LO SCUDO DELLA FEDE (107)

1Paolo SEGNERI S. J.:

L’INCREDULO SENZA SCUSA

[Tipogr. e libr. Salesiana, TORINO, 1884]

CAPO XVII.

Si dimostra Dio sotto il concetto di un essere sommamente perfetto.

I. Gli osservatori delle stelle, là nell’Egitto costumarono da principio di contemplare ilcielo da que’ loro medesimi campi aperti dove abitavano: ma poi col tempo, perfezionandosi l’arte, andarono a mano a mano scegliendo, per tali osservazioni le specole più sublimi, e ancora formandole: tanto che il più nobile uso che avesse già quell’eccelsissimo tempio di Babilonia, dedicato a Belo, fu il servire con la sua sommità agli astronomi di quei giorni per considerare i moti delle sfere da un’aria men carica di vapori troppo alteranti, con le importunità delle rifrazioni, le misure fedeli, e le mire ferme (Diod. 1. 2. c. 4). Ora noi fin qui, dal piano delle creature, abbiam contemplata qualche cosa alla grossa intorno all’esistenza del Creatore. Giusto è però, che raffinata la forma di specolare, ci solleviamo ormai su tutto il sensibile, per indi contemplare, come da posto più purgato e più prossimo, non il cielo (che ci rimarrà sotto i pie), ma il Creatore del cielo, nel suo grande essere, contenitore in sé di ogni grado di perfezione, che sia diviso in qualunque grado di essere immaginabile. Altrimenti mi parrebbe di far troppo grave torto alla capacità del vostro intelletto, se non mi fidassi di potere imprimere in esso la verità della divina esistenza con altre stampe, che con le grossolane, prestate a noi dalle botteghe de’ sensi.

II. Ed in primo luogo mi piace che giudichiate di qual pena sieno rei gli ateisti, mentre negano l’essere al primo Essere. Anassagora, perché spacciò che il sole non altro fosse che una gran pietra di fuoco, fu riputato degno dagli ateniesi di cruda morte, in virtù di cui non avesse a mirare mai più quel lume che tanto egli andava infamando con tal sentenza. Lascio però al nobile areopago di tutti i savi lo stabilire qual supplizio si debba, non a chi asserisca, che il sole sia un gran crisolito, o un gran carbonchio, quale Anassagora potea dir che intendesse per quella pietra di fuoco: ma a chi non tema affermare che Dio non è, se non un nome chimerico, un fantasma, una favola, un nulla sotto la maschera di ogni bene. E pure a tanto pervengono gli ateisti.

III. Ma adagio un poco, che qui è dove voglio io cavare la talpa, se mi riesce, malgrado suo, di sotterra a mirar la luce, con valermi di questo dilemma acuto.

IV. Voi dite, che Dio non v’è: Non est Deus. Ora bene. Giacché non v’è, è possibile almenoche Egli vi sia, o non è possibile? Non è gran fatto che a prima giunta voi mi concediate la sua possibilità: da che ad alcuni darebbe lieve noia il sapere, che Dio sia possibile, purché si assicurassero, che egli non fosse in atto.Ma piano, piano, che a risponder così voi restatedi subito nella rete, mentre non vedete fra voi, che alla prima cagion di tutte le cose,non si può concedere mai la possibilità senza insieme concederle l’esistenza. Il sole, i mari,i monti, l’uomo vivente, e tutte le altre creature, possono essere quando ancor di fattonon sono. Ma Dio non può. Se è possibile,egli è parimente in atto. Conciossiachè fingete,che Egli possa essere, ma non sia. Adunque vi ha una cagione che può produrlo: non sapendola mente nostra neppure apprendere,che parto alcuno possa uscir mai dai cupi abissi del nulla, ed uscirne di virtù propria.Se n’esce, conviene che vi sia di necessità chi nel tragga fuora, comunicandogli quella esistenza, di cui qualsivoglia effetto, infino a tanto che è meramente possibile, non è peranche arrivato a pigliar possesso. Questa cagione adunque, in vigor di cui sarebbe possibile, che Dio, dal non essere attualmente,passasse all’essere, questa cagion, dico, sarebbe in sé più perfetta, che non sarebbe il termine prodotto da lei con sì grande azione,mentre non solo lo agguaglierebbe in tutte le prerogative di potenza, di sapienza, di scienza,di bontà, e di altre tali, che a lui donasse inprodurlo; ma di più lo precederebbe, per quella priorità almeno che appellasi di natura,se non per quella di tempo, e però questa cagione medesima sarebbe Dio prima dell’effetto prodotto. Ella conterrebbe nel suo seno la sorgente di tutto l’essere, avanti di trasferirla nel seno altrui: e così ella più veramente sarebbe la cagion prima. Mirate dunque, come con illazione necessarissima si deduce, che sesi dà per possibile il primo Essere, non può all’ora stessa non darsi per esistente.

V. Qui l’ateista indurato non può fare altro, che ritrattarsi, e dire, che egli errò nel concedere Dio possibile. Dovea dire anzi, che egli è impossibile affatto e così finire ogni lite.

VI. Ma ecco lo sventurato in peggior viluppo. Perché io dunque mi rimarrò dall’argomentare più oltra contro di lui, per lasciare a lui la fatica non poco grave, di provare sì bell’assunto. Io per me so, che secondo i filosofi possibile è tutto ciò che, se si riducesse all’atto, non recherebbe veruno inconveniente con esso sé. Dica dunque egli, quale inconveniente con esso se può recare la convenienza medesima, la pura perfezione, la pura probità, il puro essere in atto, che è quanto intendiamo noi nominando Dio? Troppo in questa battaglia mostrerei nondimeno di aver timore, se io volessi meramente schifarla, quasi da un alto colle, e non attaccarla. Argomento dunque così.

II.

VII. Tutte le creature stan situate, quasi fra due estremi contrari, tra l’essere e il non essere. E però, partecipando anche tutte dell’uno e dell’altro estremo, in parte sono ricche, in parte sono povere, che è quanto dire, portano ad ogni loro bene congiunta la imperfezione. Ora io qui chieggovi. Perchè son esse imperfette? Perché loro manchi un bene fantastico, favoloso, impossibile, di cui niuna potrebbe divenir vago senza follia? No certamente: mentre il mancare di qualsisia bene falso, non debbe ascriversi a povertà, ma a ventura. Adunque non è impossibile il bene che loro manca. Ma il bene che loro manca, è un bene infinito, potendosi tosto dire quel bene che hanno, ma non potendosi mai finire di dire quel che non hanno. Dunque un bene infinito non è impossibile. E tale è Dio.

VIII. Di poi chi può mai negare, che l’andare esente da ogni difetto, non sia dote, non solo buona, ma ottima, mentre è il fiore di ogni bontà? Óra come dunque direte voi che è impossibile? L’impossibile è odiabile al maggior segno, è dileggiabile, è derisibile. Questo èchiaro fra tutti i saggi (Anton. Perez, de Deo disp, 1. c. 4. et 5). Chi dirà dunque, che odiabile, dileggiabile, derisibile siasi l’andare esente da ogni difetto? Anzi questo è il bene unico che sia degno di sommo amore. Adunque egli è ben possibile, dacché ogni bene si sostenta su l’essere. E se è così, dunque è possibile Dio, non essendo Dio finalmente senonchè un bene puro da qualunque difetto. E certamente se una luce non è contraria mai all’altra luce, né anche una perfezione schiettissima e semplicissima sarà mai contraria ad altra perfezione di simil genere. Adunque potranno tutte d’accordo far lega insieme, come la fanno quanti mai sieno i diamanti in gioiello d’oro; e tutte potranno unirsi comodamente in una somma natura che le possegga senza eccezione. E tale è la natura divina. Mirisi però la stoltizia dell’ateista! Vuole che il bene sommo sia ben chimerico: onde, purché Dio non vi sia, non si cura di altro. Elegge che sia impossibile il sommo bene, piuttosto che l’eleggersi il sommo bene in un Dio possibile.

III.

IX. Su, sia così: non sia possibile Dio. Miriamo un poco quali inconvenienti ad un tratto ne seguiranno (Rigorosamente parlando , gl’incovenienti gravissimi qui registrati dall’autore avrebbero origine più che dalla negazione della possibilità di  ogni guisa; sian fisici, sian morali: i fisici mancando il primo principio; i morali, mancando l’ultimo fine.

X. E quanto ai fisici: se Dio non fosse possibile, non sarebbe possibile cosa alcuna. Perché, come non sarebbe possibile alcun calore, né alcun chiarore, se non fosse possibile il calor massimo, ed il chiaror massimo dalla cui maggiore o minor partecipazione avviene che si ritrovino cose calde, e cose chiare, in sì vari gradi; così non sarebbe possibile verun essere, se non fosse possibile l’esser massimo, che è l’essere da se stesso (S. Th. 1. p. q. 44. art. 1).

XI. Quanto ai morali poi: se Dio non fosse possibile, guardate che ne avverrebbe di detestando! L’amare Dio sopra di ogni altro bene, il temere del suo sdegno, il professargli soggezione, il porgergli suppliche, l’osservare i giuramenti fatti in suo nome, sarebbero tutte cose, non pure stolte, ma ree, come contrarie anche alla retta ragione. Onde non sarebbero virtù ma vizi dell’uomo. All’opposito, l’essere spergiuro, sacrilego, profanatore de’ templi, bestemmiatore, sarebbe secondo la diritta ragione, e si meriterebbe lode maggiore, che non meriterebbesi chi gettasse a terra un idolo dagli altari, e gli protestasse con quell’onta di farlo, perché egli è quivi una statua, non è un Dio vero. Sicché in ultimo le bestemmie, i sacrilegi, gli spergiuri sarebbero non più eccessi nell’uman genere, ma virtù sopraffine, da rendere meritevole di ogni encomio quel Dionisio tiranno di Siracusa, che pure rimase ai posteri tanto infame, per aver non solo sprezzata la religione, ma messala sempre in beffe (Valer. Maxim. 1. 1. c. 2).

XII. Di più, la somma saviezza si avrebbe a riputare somma stoltezza, se Dio non fosse possibile; e la somma stoltezza si avrebbe a riputare somma saviezza. Conciossiachè tutti i maestri delle cose divine si sarebbero allucinati nella prima di tutte le verità. Avrebbero atteso, per le tenute del nulla, ad istancarsi dietro la caccia perpetua di un’ombra vana. Avrebbero dati precetti meravigliosi, di credere, di confidare, di sottoporsi ad un mero sogno, cioè ad un essere, il quale altro esser non ha, che lo sproposito di una chimera, apparsa a deludere la fantasia di chi dorme. Onde tutta la scienza de’ maggiori maestri in divinità sarebbe una insensataggine manifesta; e per contrario il credere non più di quanto si vede, il reputarsi, come le bestie del bosco affatto mortale, il tener per fermo, che un mondo pieno di una simmetria incomparabile, si nelle sue parti speciali, sì nel suo tutto, sia nondimeno un’opera casuale, un edifizio senza architetto, un esercito senza generale, una barca senza governo, sarebbe, se Dio fosse impossibile, la sovrana di tutte le verità: onde, come io dicea, la somma stoltezza sarebbe un sommo sapere, ed il sommo sapere sarebbe una infinita stoltezza.

XIII. Finalmente, se Dio fosse impossibile, ne avverrebbe, che l’uomo fosse privo di ultimo fine. Onde il nostro intelletto anderebbe sempre, qual calamita, anelando ad un primo vero, come a suo polo, senza speranza di vederlo mai in faccia. E la nostra volontà andrebbe sempre, quasi nave, aspirando ad un sommo bene, come a suo porto, senza potere mai giungere ad approdarvi. La natura, che in tutte le cose appare sì amante della veracità, non avrebbe fatto altro, che nutrirci di inganno; e quella che mostrava d’amarci fino alle somme delizie (usque in delicias amamur), ci avrebbe al fine delusi più bruttamente, che non fè già quel sì famoso pittore, quando deludeva gli uccelli con le belle uve della sua tela dipinta.

XIV. Eccovi però che vuol dire essere ateista! Vuol dire avere per mira di mettere sossopra tutte le massime con cui si è governato perpetuamente, e tuttavia si governa il genere umano. E a voi par poco sì orrido inconveniente? Ma se questo e se altri simili senza fine ne seguono dal fingersi Dio impossibile, è impossibilissimo, che Egli non sia possibile. E se è possibile, è dunque ancora, come io vi dissi, di fatto; giacché in tutto quello che sia di necessità assoluta ed antecedente non si distingue dall’essere il poter essere.

XV. Che dite pertanto voi? Vi par bella gloria star dalla banda degli sconvolgitori dell’universo, piuttosto che arrolarsi tra quei che tanto bene lo riducono a legge con dargli Dio? Tornate pure a tormentar l’intelletto più che se il misero fosse schiavo in catene, perché vi dica, doversi Dio mandar esule nel paese degl’ircocervi, piuttosto che darlo all’uomo per suo primo principio da cui dipenda, e per suo ultimo fine. Noi dirà mai. E però questo, in ristretto, è il processo formato da noi sinora contra l’ateismo: Volere a forza ignorare quel bene sommo, che non si può non conoscere: Hæc summa delicti est: nolle eum agnoscere, quem ignorare non possis [Il sommo delitto è questo: non conoscere quel che non si può ignorare] (S. Cypr. de idol. vanit.).

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.