DOMENICA XIII dopo PENTECOSTE (2020)
La Chiesa ci fa leggere in questo tempo nel Breviario il principio del libro dell’Ecclesiaste: « Vanità delle vanità, dice l’autore sacro, tutto è vanità. Si dimentica ciò che è passato, e le cose. che debbono ancora venire non lasceranno ricordi presso quelli che verranno più tardi. Io ho vedute tutte le cose che avvengono sotto il sole, ed ecco che sono tutte vanità e afflizione dell’anima. I perversi difficilmente si correggono e infinito è il numero degli insensati » (7° Nott.). « Dopo che Salomone poté contemplare la luce della vera sapienza, dice S. Giovanni Crisostomo, uscì in questa esclamazione sublime e degna del cielo: « Vanità delle vanità, tutto è vanità! ». A vostra volta, se volete, potete rendere simile testimonianza. È vero che nei secoli passati, Salomone non era tenuto ad una diligente ricerca della sapienza, poiché l’antica legge non considerava vanità il godimento dei beni superflui; tuttavia, malgrado questo stato di cose, si può vedere quanto siano vili e dispregevoli. Ma noi, chiamati a virtù più perfette, saliamo a cime più alte, ci esercitiamo in opere più difficili. Che dire di più se non che ci è stato comandato di regolare la nostra vita su virtù celesti, che non hanno nulla di materiale e che sono tutta intelligenza? » (2° Nott.). Queste virtù celesti sono per eccellenza, le tre virtù teologali: « fede, speranza, carità » che l’Orazione ci fa chiedere a Dio affinché noi « non amiamo se non quello che Egli ci comanda ». Ed è per questo motivo che la Chiesa fa leggere in questo giorno [‘Epistola di S. Paolo ai Corinti, che ha per oggetto la fede in Gesù Cristo, fede che agisce mediante la carità e che ci fa mettere, come già Abramo, la nostra speranza nel divino Salvatore. Infatti solo per questa fede operante e confidente, le anime coperte dalla lebbra del peccato vengono guarite come ci mostra il Vangelo. I dieci lebbrosi che rappresentano in qualche modo le trasgressioni fatte dagli uomini ai dieci comandamenti, scorgono il loro divino Medico e, ponendo subito in Lui ogni speranza: « Maestro, abbi pietà di noi! » gridano. La fede loro è operante, perché quando Cristo li mette alla prova dicendo: « Andate, mostratevi ai sacerdoti », essi vanno senza esitare e, andando, sono guariti. Ma questa guarigione è confermata da uno solo di quelli che tornò indietro per mostrare la sua riconoscenza a Gesù. « Quando uno di essi si vide guarito, tornò sui suoi passi, glorificando Dio ad alta voce e cadendo con la faccia a terra ai piedi di Gesù, lo ringraziò ». Gesù allora gli disse: « Va, la tua fede ti ha salvato ». Questo mostra che è la fede in Gesù che salva le anime. Ora se è la fede in Gesù che salva le anime, la Chiesa ha precisamente da Gesù la missione di far penetrare nelle anime questa fede mediante la predicazione e la lettura. Questo passo del Vangelo ci indica anche l’espulsione dei Giudei che sono stati ingrati verso Colui che era venuto per guarirli, mentre i Gentili gli sono stati fedeli. Dei dieci lebbrosi infatti nove erano Giudei e uno solo non lo era, ed è a questo solo — che era Samaritano, e tornò indietro a ringraziare il Salvatore — che Gesù dice: La tua fede t’ha salvato. Da ciò si vede non essere soltanto ai figli d’Abramo secondo il sangue che è stata fatta questa promessa, ma ancora a tutti coloro i quali sono suoi figli perché partecipi della sua fede in Gesù Cristo. Infatti è per questa fede che la promessa di vita eterna fatta ad Abramo si estende a tutti i popoli. Così l’Orazione della III Profezia del Sabato Santo dice che « col Battesimo, Dio, moltiplicando i figli della promessa stabilisce Abramo, suo servo, padre di tutte le genti secondo la profezia ». « Fate, soggiunge la quarta Orazione, che tutti i popoli della terra diventino figli d’Abramo e partecipino della grandezza toccata in sorte al popolo d’Israele». I Gentili occupano dunque il posto dei Giudei. « I nove, commenta S. Agostino, gonfi d’orgoglio, credevano di umiliarsi col ringraziare; e non ringraziando sono stati riprovati e rigettati dall’unità che si trova nel numero dieci (vi erano dieci lebbrosi), mentre l’unico che ringrazia è approvato dall’unica Chiesa. — Così per il loro orgoglio, i Giudei perdettero il regno dei cieli dove regna la più grande unità; mentre il Samaritano, sottomettendosi al re col suo ringraziamento, ha conservata l’unità del regno per la sua devozione piena di umiltà» (Mattutino). I Giudei entreranno in massa nel regno dei cieli alla fine del mondo, allorché crederanno in Gesù, ed è a ciò cui fa allusione l’Introito quando essi chiedono che la loro esclusione dalla Chiesa non sia irrevocabile: « Ricordati, o Signore, della tua alleanza, non abbandonare le anime dei poveri alla fine. Perché, o Dio, ci hai rigettati? Perché la tua collera si è accesa contro le pecore del tuo ovile? ». E la Chiesa chiede a Dio « d’essere propizio al suo popolo, e, placato dal sacrificio che gli viene offerto, di perdonare la sua ingratitudine » (Secr.). Quanto ai Gentili, essi dicono a Gesù che ripongono in Lui tutta la loro speranza (Off.) perché si è fatto loro rifugio di generazione in generazione (All.) e li nutre del suo pane celeste, come fece per gli Ebrei nel deserto, allorché dette la manna che conteneva ogni sapore ed ogni dolcezze (Com.).
Incipit
In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.
Introitus
Ps LXXIII: 20; 19; 23
Réspice, Dómine, in testaméntum tuum, et ánimas páuperum tuórum ne derelínquas in finem: exsúrge, Dómine, et júdica causam tuam, et ne obliviscáris voces quæréntium te.
[Signore, abbi riguardo al tuo patto e non abbandonare per sempre le anime dei tuoi poveri: sorgi, o Signore, difendi la tua causa e non dimenticare le voci di coloro che Ti cercano.]
Ps LXXIII: 1
Ut quid, Deus, reppulísti in finem: irátus est furor tuus super oves páscuæ tuæ?
[Perché, o Signore, ci respingi ancora? Perché arde la tua ira contro il tuo gregge?]
Réspice, Dómine, in testaméntum tuum, et ánimas páuperum tuórum ne derelínquas in finem: exsúrge, Dómine, et júdica causam tuam, et ne obliviscáris voces quæréntium te.
[Signore, abbi riguardo al tuo patto e non abbandonare per sempre le ànime dei tuoi poveri: sorgi, o Signore, difendi la tua causa e non dimenticare le voci di coloro che Ti cercano.]
Oratio
Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, da nobis fídei, spei et caritátis augméntum: et, ut mereámur asséqui quod promíttis, fac nos amáre quod præcipis.
[Onnipotente e sempiterno Iddio, aumenta in noi la fede, la speranza e la carità: e, affinché meritiamo di raggiungere ciò che prometti, fa che amiamo ciò che comandi.]
Lectio
Léctio Epístolæ beáti S. Pauli Apóstoli ad Gálatas.
[Gal. III: 16-22]
“Fratres: Abrahæ dictæ sunt promissiónes, et sémini ejus. Non dicit: Et semínibus, quasi in multis; sed quasi in uno: Et sémini tuo, qui est Christus. Hoc autem dico: testaméntum confirmátum a Deo, quæ post quadringéntos et trigínta annos facta est lex, non írritum facit ad evacuándam promissiónem. Nam si ex lege heréditas, jam non ex promissióne. Abrahæ autem per repromissiónem donávit Deus. Quid igitur lex? Propter transgressiónes pósita est, donec veníret semen, cui promíserat, ordináta per Angelos in manu mediatóris. Mediátor autem uníus non est: Deus autem unus est. Lex ergo advérsus promíssa Dei? Absit. Si enim data esset lex, quæ posset vivificáre, vere ex lege esset justítia. Sed conclúsit Scriptúra ómnia sub peccáto, ut promíssio ex fide Jesu Christi darétur credéntibus”.
[“Fratelli: Le promesse furono fatte ad Abramo ed alla sua discendenza. Non dice la scrittura: E ai suoi discendenti, come si trattasse di molti; ma come parlando di uno solo: E alla tua discendenza; e questa è Cristo. Ora, io ragiono così; un’alleanza convalidata da Dio non può, da una legge venuta quattrocento anni dopo, essere annullata, così da rendere vana la promessa. Poiché, se l’eredità viene dalla legge, non vien più dalla promessa. Ma Dio l’ha donata ad Abramo in virtù d’una promessa. Perché dunque la legge? È stata aggiunta in vista delle trasgressioni, finché non venisse la discendenza a cui era stata fatta la promessa, e fu promulgata per mezzo degli Angeli per mano di un mediatore. Ora non si dà mediatore di uno solo, e Dio è uno solo. Dunque la legge è contraria alle promesse di Dio? Niente affatto. Se fosse stata data una legge capace di procurarci la vita, allora, sì, la giustizia verrebbe dalla legge. Ma la Scrittura ha racchiuso tutto sotto il peccato, affinché la promessa, mediante la fede in Gesù Cristo, fosse data ai credenti»”.
Omelia I
[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia, 1920]
UNO SGUARDO AL CROCIFISSO
S. Paolo aveva insegnato ai Galati che la giustificazione non dipende dalla legge di Mosè, ma dalla fede in Gesù Cristo, morto per noi in croce. Ma Gesù Crocifisso. dipinto tanto vivamente dall’Apostolo ai Galati, era stato ben presto dimenticato da essi, lasciatisi affascinare da coloro che insegnavano dover noi attendere la nostra salvezza dalla legge. S. Paolo, rimproverata la loro stoltezza, nota come Gesù, morendo sulla croce, maledetta dalla legge, libera i Giudei dalla maledizione, e conferisce a tutti, Giudei e Gentili, che si uniscono nella fede in Gesù Cristo, lo Spirito promesso. Passa poi a far osservare come vediamo nell’epistola di quest’oggi, che la promessa dei beni celesti, fatta ad Abramo e alla sua discendenza. cioè al Cristo, nel quale si sarebbero unite tutte le nazioni a formare un solo popolo, essendo incondizionata, fatta ad Abramo direttamente da Dio, e da Dio confermata, aveva tutto il carattere d’un patto irremissibile. Non poteva, quindi, venir indebolita o modificata dalla legge di Mosè venuta 430 anni dopo, con un contratto temporaneo. La legge, del resto, non escludeva la promessa, dal momento che essa non poteva giustificare e dare la vita, come fa la promessa. E neppure fu inutile; perché, facendo conoscere i numerosi doveri da compiere, senza porgere l’aiuto necessario, metteva l’uomo nella condizione di dover sperimentare tutta la propria debolezza e di sentir la necessità d’un Redentore; e di riconoscere, per conseguenza, che le celesti benedizioni non possono essere effetto della legge, ma della promessa, e che non si ottengono che con la fede in Gesù Cristo. Gesù Cristo, che morendo in croce, adempie le promesse fatte da Dio, sarà l’argomento di questa mattina. – Gesù Cristo Crocifisso, così presto dimenticato dai Galati, fermi la nostra attenzione. Consideriamo come il Crocifisso:
1. È il centro dei cuori
2. È la nostra guida,
3. È la causa della nostra salvezza.
1.
La legge mosaica non ci dà l’eredità né le benedizioni promesse, Essa è stata aggiunta in vista delle trasgressioni, finché non venisse la discendenza a cui era stata fatta la promessa. La legge aveva lo scopo di indicare le trasgressioni e di far sentire il peso dei peccati, risvegliando così e tenendo desta l’aspirazione al Salvatore, senza la grazia del quale era impossibile l’osservanza dei precetti. L’eredità e le benedizioni noi le abbiamo in Gesù Cristo, che muore per noi sulla croce. Dopo la risurrezione di Lazzaro, i pontefici e i farisei, che volevano sbarazzarsi di Gesù, radunato il consiglio, si pongono la domanda: «Che facciamo? Poiché quest’uomo opera grandi meraviglie. Se lo lasciamo fare così, tutti crederanno in lui». E Caifa, il pontefice di quell’anno, consiglia di disfarsene: «Conviene che un uomo muoia per il popolo» (Joan. I, 47). Che cosa si aspettavano costoro dalla morte di Gesù? Forse di seppellirne col corpo anche la memoria? Accecati dall’odio, questi orgogliosi che si vantavano di aver per padre Abramo, non avevano voluto riconoscere l’unica sua discendenza, cioè il Cristo, al quale erano state fatte tutte le promesse. Ragionando da veri insensati, confessano che Gesù compie dei miracoli, e invece di trarne la conseguenza: — Con questi miracoli egli prova che è veramente il Messia promesso, l’inviato di Dio, — concludono: — Sopprimiamolo: con la sua soppressione scompariranno anche i seguaci. — E lo sopprimono con la morte di croce. – Ma l’uomo propone e Dio dispone. Gesù Cristo aveva detto: «E io, quando sarò innalzato da terra, tutto trarrò a me (Joan. XII, 32). – Quando egli è innalzato sulla croce gli animi di buona volontà si rivolgono a Lui. Non è solamente il discepolo prediletto con la Madre e un gruppo di pie donne, che sono attratti a colui che muore sul patibolo. Uno dei due ladroni, che gli stanno di fianco, crocifisso come Lui, riconosce il Messia, che non vollero riconoscere i Giudei, e, rivolgendosi a Lui, lo pregò: «Signore, ricordati di me quando giungerai nel tuo regno. E Gesù gli rispose: Ti dico in verità; oggi sarai con me in Paradiso ». (Luc. XXIII, 42-43). Gesù è spirato sulla croce, e continua a conquistare anime e a piegare i cuori. Il centurione, che stava di rimpetto a Gesù crocifisso, proclama la sua divinità e dà gloria a Dio. Coloro che erano andati al Calvario per vedere il supplizio di Gesù, riconoscono l’ingiustizia commessa contro di Lui, ed esprimono il loro dolore percuotendosi il petto. Sulla croce Gesù inaugura il regno dell’amore che conquisterà tutti i popoli della terra. E la Chiesa può cantare solennemente: «Dio regnò dal legno» (Vexilla Regis). – Gli Apostoli, mandati alla conquista di coloro che erano sotto il giogo di Satana, presentano Gesù Crocifisso. armati di nient’altro che del crocifisso partirono alla conquista dei popoli i loro successori. Armati di quest’unica arma compiono ancora oggi le loro conquiste i missionari tra gente barbara e selvaggia. – Il Crocifisso cerca con lo sguardo e con l’anima colui che sta per partire da questo mondo: davanti al Crocifisso si reca a cercar il balsamo lenitore chi è provato dal dolore: nelle piaghe del Crocifisso cerca il suo porto di salvezza chi è agitato dalle tentazioni: baciando il Crocifisso, trova la rassegnazione e la pace chi muore per la mano della giustizia terrena. Il Crocifisso è veramente la pace, il gaudio la vita dei Cristiani; è il centro dei loro cuori.
2.
Se fosse stata data una legge capace di procurarci la vita, allora, si, la giustizia verrebbe dalla legge. Ma Dio non volle dare alla legge antica il potere di comunicare all’uomo la vita della giustizia. E così, l’uomo non deve cercare la sua salute nelle opere della legge. Deve cercarla, mediante la fede e la carità, in Gesù Cristo, salito sulla croce a immolarsi per tutti, a esser «guida e luce nella via dell’esilio». – Le inclinazioni degli uomini non sono, senza dubbio, un incitamento alla virtù. Gli uomini desiderano le ricchezze, e Gesù Cristo, che fu poverissimo durante la sua vita, sulla croce è spogliato dell’unica veste. Gli uomini bramano gli onori, la gloria. Gesù, che aveva rifiutato di esser fatto re durante gli anni della sua vita pubblica, sulla croce sopporta con animo mansuetissimo i disprezzi che gli si fanno da parte di tutti, dopo esser stato percosso, sputacchiato, da vili sgherri e dalla plebaglia. È là come l’aveva dipinto Isaia: «Come tu fosti lo stupore di molti, così il tuo aspetto sarà senza gloria tra gli uomini e la tua faccia tra i figli degli uomini» (Is. LII, 14). La disubbidienza spopolò il cielo d’una gran quantità di Angeli, e portò la rovina del genere umano. Gesù Cristo, che nella bottega di Nazaret passò la vita nell’ubbidienza a Maria e a Giuseppe, sulla croce ubbidisce ai carnefici, ai giudici iniqui, che un giorno saranno da Lui giudicati. Raramente noi ci manteniamo calmi nei contrasti, nelle pene. Ci ribelliamo, e dichiariamo ingiuste le afflizioni che ci provano. Gesù sulla croce, dissanguato dai flagelli, con le mani e i piedi trapassati da chiodi, con spine confitte nel capo, agnello senza macchia, sopportò il peso della pena dovuta ad altri, e tace. – Duro è per noi dimenticare le offese ricevute, amare coloro che ci fanno del male. Ma diventerebbe leggero, se dessimo uno sguardo a Gesù, che dalla croce, perdona a suoi offensori, li scusa, prega per loro. – Il Beato Vincenzo Maria Strambi, era stato incaricato dal Papa Pio VI di predicare una missione al popolo di Roma nella vastissima Piazza Colonna. Una sera, nella foga dell’orazione, gli venne a mancare la voce. Riusciti inutili gli sforzi per farsi sentire, prese nelle mani Crocifisso, e lo mostrò al popolo, additandone le piaghe grondanti sangue, e, come poté, disse: «Popolo mio, io non posso più parlare; questo crocifisso parlerà per me». E il crocifisso parlò veramente al cuore dei Cristiani, poiché nessuno partì da quella piazza senza di aver concepito il proposito d’una vita migliore. – Se noi amiamo Gesù Crocifisso, ogni volta che gli diamo uno sguardo parlerà al nostro cuore con parola ora ammonitrice, ora esortatrice, che ci farà progredire sempre più nella via del bene.
3.
Quando Gesù pende in croce, popolo, sacerdoti, senior e perfino il brigante che gli è crocifisso a fianco concordi nello scherno atroce : «Scenda dalla croce » (Matth. XXVII, 40-44). Se Gesù avesse voluto, sarebbe certamente sceso dalla croce. Poche ore prima solamente, aveva dato prova del suo potere, quando con due parole: «Sono io», dimostrò tanta potenza, che i soldati mandatigli incontro « diedero indietro e stramazzarono per terra» (Joan. XVIII, 6). Egli pende in croce, ma è sempre quel Gesù «potente in opere e in parole» (Luc. XXIV, 19) che guariva le malattie corporali e spirituali, che ridava la vita ai corpi e alle anime. Egli pende in croce come un malfattore, ma dalla croce dà la vita eterna al ladrone che gli sta vicino; e, spirando in croce, apre i sepolcri, da cui risorgono i morti addormentati nel Signore. Egli muore in croce, e la sua morte segna l’adempimento della promessa… data ai credenti. – Col peccato il giogo di satana era stato posto sul collo degli uomini, e nessuna forza umana avrebbe potuto scuoterlo. Gesù Cristo sulla Croce compì quello che nessun uomo avrebbe potuto compiere. Egli carica sopra di sé le colpe di tutti gli uomini; si presenta a Dio in abito di peccatore, e chiede che su Lui si compia la giustizia che doveva compiersi sui mortali. L’offerta è gradita al Padre, la sostituzione è accettata. Pene esterne e interne lo avvolgeranno come in un mare, e tutto sarà suggellato con la morte. Ma con questa morte il decreto di condanna è stracciato, il potere di satana è infranto. «Nel paradiso (terrestre) germogliò la morte; sulla croce la morte fu tolta » (S. Giov. Cris. In Epist. ad Eph. Hom. 20, 3). satana si era servito del frutto proibito per introdurre nel mondo il suo regno; per mezzo dell’albero della Croce Gesù Cristo prende la rivincita su satana. Sulla croce Gesù sta non come un giustiziato, ma come un conquistatore, che, conquiso e debellato il suo nemico, dall’alto del trono proclama la vittoria; e annuncia ai popoli tutti della terra la liberazione dalla schiavitù, la fine del regno della maledizione e il principio del regno della grazia. – Dall’alto della croce Gesù ci dice con le sue piaghe che il prezzo del riscatto è di valore così grande che nessuno, per quanto gravi siano i Suoi peccati, ne va escluso; dall’alto della croce, con le braccia aperte, Gesù ci dice tutta la sua brama di vederci vicini a Lui, di poterci abbracciare. – Non dimentichiamo, come i Galati, l’immagine del Crocifisso; ma frequentemente «si dia uno sguardo alla croce, su cui, per mezzo del gran delitto dei Giudei, ebbe compimento la volontà di Dio misericordioso, il quale volle che fosse ucciso il suo unico Figlio per la nostra salvezza ».
Graduale
Ps LXXIII:20; 19; 22.
Réspice, Dómine, in testaméntum tuum: et ánimas páuperum tuórum ne obliviscáris in finem.
[Signore, abbi riguardo al tuo patto: e non dimenticare per sempre le ànime dei tuoi poveri.]
Exsúrge, Dómine, et júdica causam tuam: memor esto oppróbrii servórum tuórum. Allelúja, allelúja
[V. Sorgi, o Signore, e difendi la tua causa e ricordati dell’oltraggio a Te fatto. Allelúia, allelúia].
Alleluja
Ps LXXXIX: 1
Dómine, refúgium factus es nobis a generatióne et progénie. Allelúja.
[O Signore, Tu fosti il nostro rifugio in ogni età. Allelúia.]
Evangelium
Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Lucam.
Luc XVII: 11-19
“In illo témpore: Dum iret Jesus in Jerúsalem, transíbat per médiam Samaríam et Galilaeam. Et cum ingrederétur quoddam castéllum, occurrérunt ei decem viri leprósi, qui stetérunt a longe; et levavérunt vocem dicéntes: Jesu præcéptor, miserére nostri. Quos ut vidit, dixit: Ite, osténdite vos sacerdótibus. Et factum est, dum irent, mundáti sunt. Unus autem ex illis, ut vidit quia mundátus est, regréssus est, cum magna voce magníficans Deum, et cecidit in fáciem ante pedes ejus, grátias agens: et hic erat Samaritánus. Respóndens autem Jesus, dixit: Nonne decem mundáti sunt? et novem ubi sunt? Non est invéntus, qui redíret et daret glóriam Deo, nisi hic alienígena. Et ait illi: Surge, vade; quia fides tua te salvum fecit.”
[“In quel tempo andando Gesù in Gerusalemme, passava per mezzo alla Samaria e alla Galilea. E stando por entrare in un certo villaggio, gli andarono incontro dieci uomini lebbrosi, i quali si fermarono in lontananza, e alzarono la voce dicendo: Maestro Gesù, abbi pietà di noi. E miratili, disse: Andate, fatevi vedere da’ sacerdoti. E nel mentre che andavano, restarono sani. E uno di essi accortosi di essere restato mondo, tornò indietro, glorificando Dio, ad alta voce: e si prostrò per terra ai suoi piedi, rendendogli grazie: ed era costui un Samaritano. E Gesù disse: Non sono eglino dieci que’ che son mondati? E i nove dove sono? Non si è trovato chi tornasse, e gloria rendesse a Dio, salvo questo straniero. E a lui disse: Alzati, vattene, la tua fede ti ha salvato”]
OMELIA II
[Mons. J. Billot; Discorsi Parrocchiali – Cioffi ed. Napoli, 1840]
Sul frequente uso della confessione.
“Ite, ostendite vos sacerdotibus. Luc. XVII.
Quel che Gesù Cristo disse a quei lebbrosi di cui si parla nell’odierno vangelo, è ciò, fratelli miei, che Egli c’incarica di dire ai peccatori coperti della lebbra del peccato, di cui quelli erano figura. Peccatori, che gemete sotto il peso di una malattia molto più funesta che la lebbra del corpo, poiché questa non gli toglie la vita, laddove il peccato dà la morte all’anima, volete voi essere guariti da questa malattia mortale, che vi ha fatto perdere la vita della grazia? Andate a scoprirla ai medici, che Gesù Cristo ha stabiliti per guarirvi, dichiarate i vostri peccati ai sacerdoti ch’Egli ha rivestiti della sua autorità per rimetterveli: Ite, ostendite vos sacerdotibus. Egli è vero che Gesù Cristo, supremo medico delle nostre anime, potrebbe benissimo guarirvi da se stesso senza inviarvi ai suoi ministri, come guarì un lebbroso del Vangelo nel momento che questi gliene ebbe fatta domanda, e come guarì anche quelli di cui abbiam parlato. Ma notate, fratelli miei, che sebbene il Salvatore accordasse la guarigione a quei lebbrosi, pure esigette da essi che, per ubbidire alla legge, andassero a mostrarsi a chi doveva dichiararli esenti dalla macchia legale, che avevano contratta. Egli voleva con questo, come osservano i santi Padri, farci conoscere qual sarebbe in appresso il potere dei sacerdoti della nuova legge, i quali non dovevano solamente, come quelli dell’antica, discernere i lebbrosi da coloro che tali non erano, e dichiararli esenti da una macchia legale; ma dovevano purificare i peccatori dalla lebbra e dalla macchia del peccato. Si è questo potere ammirabile, che Gesù Cristo ha lasciato ai sacerdoti nella persona degli Apostoli, allorché disse loro: A quelli cui rimetterete i peccati saranno rimessi, a quelli cui li riterrete saranno ritenuti. Con questo Egli ha stabiliti i sacerdoti giudici della causa dei peccatori, di modo che le sentenze, che essi pronunciano sulla terra siano ratificate nel cielo. Bisogna dunque, peccatori, che volete esser assolti dai vostri peccati, vi presentiate al tribunale di questi giudici; bisogna vi indirizziate a questi medici, se volete esser guariti dalle vostre malattie. Voi non potete sottrarvi alla loro giurisdizione, senza far contro la volontà di Gesù Cristo, che avrebbe loro dato un potere inutile di legarvi o sciogliervi, se non foste obbligati a sottomettervi al loro giudizio. Ma, oltre la legge, che vi obbliga a mostrarvi ai sacerdoti per dichiarare i vostri peccati, quanti vantaggi ve ne derivano! – Ed è appunto per questo motivo d’utilità, che io prendo quest’oggi ad esortarvi che vi accostiate spesso al sacro tribunale della penitenza. Vediamo quali sono i vantaggi di una buona e frequente confessione: primo punto; qual è il danno di coloro che si allontanano dalla confessione: secondo punto.
I. Punto. Non conviene dissimularlo! fratelli miei, la confessione è un giogo che ha il suo peso; ella è un rimedio, la cui amarezza ripugna alla natura; reca pena il confessarsi reo, dichiarare ad un mortale ciò che si ha di più segreto, palesar cose di cui si arrossisce e che si vorrebbe poter nascondere a se stesso. Ma senza esaminare ciò che v’è di duro e di penoso in questo giogo, queste pene e queste amarezze non sono forse molto raddolcite dai vantaggi che vi si trovano? Infatti, quanti beni non procura la confessione ai peccatori, ed ai giusti? Ai peccatori, ella è un mezzo tanto efficace quanto facile per rientrare in grazia con Dio; ai giusti, ella è un aiuto per crescere in virtù e perseverar nella grazia. Niuno v’ha tra voi, fratelli miei, che questo soggetto non interessi, e che non debba essere animato da questi motivi a fare un frequente uso della confessione. Ripigliamo. – Quanto è mai deplorabile lo stato di un peccatore! nemico di Dio, egli ha perduto il diritto, che aveva al cielo; schiavo del demonio, egli è una vittima destinata alle vendette eterne. Ah! come potete voi, o peccatori, rimaner un sol momento in quello stato, sul punto in cui siete di cader ad ogni istante nell’inferno se foste sorpresi dalla morte? Come non ricorrete voi al rimedio, che può preservarvi dalla morte eterna? Questo rimedio è la confessione; rimedio efficace, che per la virtù datagli da Gesù Cristo può cancellare il vostro peccato, riconciliarvi con Dio, ristabilirvi nei diritti che avete perduti, e procurarvi la pace di una buona coscienza. Tali sono per i peccatori i vantaggi di una confessione ben fatta. – Sì, fratelli miei, quantunque i vostri peccati fossero moltiplicati sopra le gocce d’acqua che sono nel mare, sopra i grani di sabbia che sono nella terra, essi sono tutti cancellati con una buona confessione; il Signore non se ne ricorderà più, dice il profeta: sebbene foste più neri del carbone, aggiunge egli, voi diverrete più bianchi della neve. Anatema, dice il santo concilio di Trento, a chiunque dicesse che v’è qualche peccato irremissibile, poiché Gesù Cristo ha dato ai suoi Apostoli ed ai Sacerdoti loro successori un potere, che non è limitato ad alcun genere di peccato. Tutto ciò che voi sciorrete sopra la terra, disse loro, sarà sciolto nel cielo: Quodcumque solventi» super terram, erit solutum et in cœlis. Benché foste voi fratricidi come Caino, adulteri come Davide, ingiusti come Acab, empi come Manasse, in una parola, benché avreste commessi tanti peccati come tutti gli uomini insieme, essi saranno tutti cancellati col sangue di Gesù Cristo, che vi sarà applicato con questo Sacramento; tutti i vostri nemici saranno sommersi, annegati in questo mar rosso uscito dalle fontane del Salvatore; le chiavi che Gesù Cristo ha confidate alla sua Chiesa chiuderanno l’inferno, che era aperto per inghiottirvi, vi apriranno il cielo, che vi era chiuso; di schiavi del demonio che eravate, voi diverrete figliuoli di Dio, suoi amici. Questo tenero Padre, come quello del fìgliuol prodigo, vi riceverà nella sua casa, vi darà il bacio di pace, vi renderà la vostra prima veste, vi metterà l’anello in dito; cioè vi arricchirà di tutti i tesori delle grazie e delle virtù che avevate perdute per lo peccato. – Ecco un vantaggio della confessione che vi prego di ben osservare. Il peccato mortale, dando la morte all’anima, le fa perdere non solamente la grazia santificante, che è la sua vita soprannaturale, ma ancora tutto il merito delle buone opere, che essa può aver acquistato: quand’anche avesse ella accumulati tanti tesori di merito come tutti i santi insieme, il peccato le toglie tutte le ricchezze: oh perdita degna di essere pianta con lagrime di sangue! Ma consolati, anima sfortunata, ecco un mezzo efficace di riparare le tue disgrazie. Il Sacramento della penitenza ti fa ricuperare quella grazia santificante che tu avevi perduta e riconduce seco tutti i meriti che l’accompagnavano. Questo è ciò che ci promette il Signore per uno dei suoi profeti quando dice che ci renderà quei belli anni, che la ruggine ed i vili insetti avevano rosicchiati e distrutti: Reddam vobis annos quos comedit locusta, bruchus et rubigo. (Joel. II). Cioè, secondo la spiegazione di s. Girolamo, un’anima la quale rientra in grazia con Dio ricupera tutti i meriti delle buone opere, che aveva fatti altre volte in istato di grazia. Queste buone opere, che erano mortificate per il peccato, come dicono i teologi, riprendono una nuova vita per la penitenza; di modo che le azioni virtuose, che non sarebbero state contate per nulla se il peccatore fosse morto in istato di peccato, saranno eternamente ricompensate in cielo, se muore nello stato della grazia, che ha ricuperata: reddam vobis. Felice riparazione, fratelli miei, che, facendoci conoscere la bontà di Dio per lo peccatore, ci fa vedere nello stesso tempo qual è la virtù e l’efficacia del Sacramento della penitenza; l’anima vi è liberata dalla schiavitù del peccato e del demonio, e vi ricupera la sua primiera bellezza. – Quindi, quella pace, quell’allegrezza di una buona coscienza, che si prova dopo una confessione ben fatta; siccome un infermo tormentato dai dolori di un tumore trovasi molto alleggerito quando questo sia stato aperto, e se ne sia fatto uscire tutto il veleno; così il peccatore gode di un dolce riposo interiore, quando non sente più dentro di sé quel veleno mortale, che infettava l’anima sua. Sgravato dal peso dei suoi delitti, egli gusta una pace che sorpassa tutte le allegrezze del mondo. Quale allegrezza per un prigioniero già condannato alla morte, quando gli si annuncia che gli è fatta grazia! Quale allegrezza per un infermo, che si è veduto alle porte della morte, e che ricupera la sanità più perfetta; per un figliuolo, che aveva incorsa la disgrazia del migliore dei padri, da cui aveva tutto a temere, e che ne possiede tutta la tenerezza! Quale soddisfazione per un mercante, che aveva perdute in un naufragio tutte le merci di cui era carica la sua nave, e che ritrova in un momento tutte le sue ricchezze! Tale è mille volte più grande e ancora deve essere l’allegrezza d’un peccatore riconciliato col suo Dio. Non è più tormentato questo peccatore dai rimorsi della coscienza, che gli rimproverava il suo delitto, e gli faceva sentire il rischio in cui era di cadere in una infelicità eterna; ma egli è sicuro, quanto si può essere in questa vita, che gode della libertà dei figliuoli di Dio, che possiede l’amicizia del suo Dio, e che se egli muore in quel felice stato, prenderà possesso nel cielo del posto che gli è stato destinato e che aveva perduto. Ah quanto è consolante questo pensiero! Io ne chiamo in testimonio la vostra esperienza, fratelli miei. Quando è che voi avete gustato più soave riposo, pace e piacere? Non è forse in quei giorni felici, in cui con il cuore penetrato dal dolore avete confessate le vostre colpe ai piedi del ministro di Gesù Cristo, il quale vi ha detto da parte sua quelle consolanti parole: Andate in pace: Vade in pace. Non vi sembrava forse all’uscir dal tribunale della riconciliazione d’esservi alleggeriti di un peso molto grave? Siete voi stati giammai più tranquilli e più contenti che nei primi momenti dopo la vostra riconciliazione? Perché dunque non vi servite di un mezzo cosi efficace per procurarvi tutti i vantaggi di cui abbiamo parlato, giacché questo mezzo è si facile? Mentre finalmente, di che si tratta per ottenere il perdono delle vostre colpe? Si tratta di confessarle con cuor contrito ed umiliato, e la vostra grazia è sicura. Qual differenza tra il tribunale della misericordia di Dio e quello della giustizia degli uomini! In questo la confessione del reo lo fa condannare, in quello lo fa assolvere: in questo si producono testimoni, si tormenta il reo per trarre la prova di un delitto; e quando il delitto è provato, si condanna alla morte o al supplizio che ha meritato; ma nel tribunale della penitenza non v’è altro testimonio che il reo, egli è il suo proprio accusatore, e tosto che si accusa, ode pronunciare un giudizio favorevole, un giudizio che lo libera dalla morte per dargli la vita. Possiamo noi forse lamentarci che il perdono è accordato a dure condizioni, o piuttosto una grazia di un si gran prezzo, non sorpassa tutta la pena, che provare possiamo nel dichiararci colpevoli? Ah! se i rei detenuti nelle prigioni potessero così facilmente rompere la loro catena; se con la sola confessione dei loro delitti potessero mettersi in libertà e preservarsi dai supplizi, cui devono essere condannati, ben tosto quei luoghi d’orrore e di miseria sarebbero aperti per farne uscire tutti i colpevoli; niuno sarebbevi, che non confessasse il suo mancamento, che non si riputasse felice di potere ad una condizione così facile ricuperare la sua libertà. E pure, fratelli miei, qual differenza tra il loro stato e quello del peccatore, che è sotto l’impero del demonio. Qual differenza tra i supplizi, a cui la giustizia degli uomini condanna i colpevoli, e i tormenti che la giustizia di Dio riserba ai peccatori! Gli uomini possono tutti al più condannar i colpevoli a perdere una vita temporale per via di dolori, che non sono di gran durata; ma il peccatore merita di essere condannato ad una morte eterna, a supplizi che sorpassano infinitamente pel loro rigore e per la durata tutto ciò che si possa soffrire quaggiù di più doloroso. Si può, torno a dirvi, trovar più duro ed amaro un mezzo così facile di preservarsi da quei supplizi come è quello di fare la confessione dei suoi delitti? – Se per essere liberato dalla morte eterna che merita il peccatore, Dio gli domandasse d’intraprendere cose difficili, di fare penosi viaggi, di soffrire lunghi e crudeli supplizi, di dare tutti i suoi beni ed anche la vita; oimè! egli nulla domanderebbe che non fosse molto da meno della grazia, che gli accorderebbe; ed il peccatore non dovrebbe esitare neppure un momento a sottomettersi a tutto per evitare un’infelicità eterna. Ma noi fratelli miei, Dio non esige tanto da voi: un vivo pentimento, una confessione sincera delle vostre colpe, fatta ai piedi dei suoi ministri disarma la sua collera, vi apre il seno delle sue misericordie. Da qual riconoscenza non dovete voi essere penetrati verso questa divina misericordia sì facile a perdonare? E con qual premura non dovete voi, servirvi del mezzo che essa vi offre per avere il perdono? –Noi leggiamo nella Scrittura che Naaman, generale delle armate del re di Siria, essendo venuto in Israele per essere guarito dalla lebbra, il Profeta Eliseo gli fece dire di lavarsi sette volte nel Giordano. Quel signore riguardò questa risposta come un segno di disprezzo, e se ne ritornò acceso di collera: era forse d’uopo, esclamava egli, di lasciar la mia patria? I fiumi che la innaffiano non sono forse migliori dell’acqua del Giordano? E che! (gli dissero i suoi servi) se il Profeta vi avesse domandato qualche cosa di più difficile per essere guarito, voi l’avreste dovuto fare: si rem grandem dicisset tibi Propheta, certe facere debueras (IV Reg. V). Con quanto più forte ragione dovete voi adempire un precetto così facile, come quello di lavarvi nel Giordano per essere guarito dalla vostra lebbra: quanto magisquia nunc dixit tibi, lavare et mundaberis (Ibid.) Di voi parla, o peccatori, lo Spirito Santo in questo esempio: se per essere purificati dalla lebbra del peccato, di cui voi siete infetti, Dio esigesse da voi cose difficili, dovreste voi esitare ad ubbidirgli? Ma no, quel che domanda è facile; egli ci comanda di lavarvi in questa piscina misteriosa, di cui l’Angelo del Signore non fa solamente scorrere le acque a certi tempi, come in quella di Gerusalemme, ma che vi è aperta in tutti i tempi e in tutti i luoghi. Perché ricusate voi di tuffarvi in essa? Avete voi a dolervi come quel paralitico della piscina di Gerusalemme? Da trent’otto anni io non ho alcuno, diceva egli, per fare scorrere su di me le acque medicinali. Vi mancano forse, fratelli miei, ministri del Signore pronti a ricevervi ogni qual volta vorrete accostarvi ai sacri tribunali della Penitenza? – Andate dunque ad immergervi in questa piscina per essere purificati da tutte le vostre macchie; mostratevi al sacerdote tali quali voi siete: ite ostendite vos sacerdotibus (Luc. XVII). Rivelate tutte le vostre vie, come lo fa reste a Dio medesimo: Revela Domino viam tuam (Psal. XXXVI). Questi Angeli del Signore, questi ministri della sua autorità faranno scorrere su di voi le acque salutevoli della grazia che vi laveranno da tutte le vostre iniquità; essi vi diranno da parte del loro maestro, ciò che disse egli a quel lebbroso del Vangelo: volo mundare (Matth. VIII). Siete guariti. La sentenza che pronunceranno in vostro favore, opererà nel momento quel che essa significa, voi uscirete da questo secondo battesimo bianchi come la neve: conſestim mundata est lepra eius. Ammirabile genere di guarigione, fratelli miei, ove basta scoprire il suo male al medico per esserne liberato! Oh! se si potesse così facilmente guarire dalle malattie del corpo, chi non godrebbe ben tosto di una sanità perfetta? La guarigione delle malattie della vostr’anima, dipende dalla confessione che voi ne farete al ministro di Gesù Cristo vostro medico. Esiterete a profittare di un mezzo così pronto e così efficace per ottenerla? Voi troverete in questa piscina non solamente un rimedio che vi guarirà dal vostro peccato, ma ancora un preservativo contro il peccato, sia nelle grazie abbondanti che vi si ricevono per la virtù del Sacramento, sia nei buoni avvisi che vi darà un caritatevole confessore, il quale vi servirà di guida nelle vie della salute. Muniti di questi potenti aiuti, voi cadrete più di rado e vi rialzerete più prontamente, accostandovi spesso al sacro tribunale, voi vi ricorderete più facilmente dei vostri peccati, sarete più sicuri di fare una buona confessione, la quale sovente è difettosa per difetto di esame, allorché ci confessiamo di rado. Ma il gran vantaggio che voi troverete nella frequente confessione, si è la sicurezza di una buona morte; poiché, o voi sarete sorpresi dalla morte, o voi avrete il tempo di pensarvi. Se voi siete sorpresi dalla morte, confessandovi spesso, avete maggior speranza di trovarvi in istato di grazia in quell’ultimo momento, che coloro i quali nol fanno che di rado. La morte, benché subitanea per voi, non sarà improvvisa per la precauzione che prenderete di conservare la grazia di Dio. Se voi avete il tempo di pensarvi, riceverete i Sacramenti in buona disposizione per l’ottimo abito che avete avuto durante la vita di ben riceverli. E qual motivo di sperare che Dio in conseguenza della vostra assiduità ad accostarvi ai Sacramenti durante la vita, non permetterà che voi ne siate privi alla morte! Quanti vantaggi, fratelli miei, e quanti motivi fortissimi per indurre i peccatori alla frequente confessione. – Voi poi, o giusti, benché non siate esposti alla medesima disgrazia che i peccatori, la confessione vi è ugualmente utile per fortificarvi nella pratica delle buone opere, avanzar in virtù, accrescere il vostro merito, e perseverare nella grazia del Signore. Chi è giusto, lo divenga ancora di più, dice lo Spirito Santo, e chi è santo, si santifichi di più. Ora, si è colla confessione frequente che voi diverrete sempre più giusti, sempre più santi. E come ciò? Perché la confessione vi purificherà dalle macchie le più leggiere, che i più giusti ancora contraggono in questa vita. Perciocchè il Sacramento della Penitenza, dice il Concilio di Trento, ha la virtù di cancellare le colpe veniali; ricevendo la remissione di queste colpe veniali, voi sarete liberati in tutto, o in parte dalla pena temporale che dovreste soffrire nel Purgatorio, voi aggiungerete nuovi gradi alla grazia santificante, di cui la vostr’anima è adorna; questa nuova grazia vi dà diritto a certi aiuti particolari che vi faranno superare tentazioni difficili, che vi renderanno facile la pratica delle più eroiche virtù. Accostandovi al tribunale della Penitenza voi esaminerete i vostri difetti per correggervene, vi umilierete alla vista delle vostre debolezze, diverrete più vigilanti sopra di voi medesimi, crescerete nell’amore di Dio, in fervore nel suo servigio per i buoni proponimenti che formerete di evitare sino la minima apparenza di male. Più spesso vi confesserete, più rinnoverete questi buoni proponimenti di evitare sino le colpe le più leggiere, evitando le colpe leggiere per mezzo degli aiuti che il Sacramento vi procura, vi eviterete il pericolo di perdere la grazia di Dio col peccato mortale, quindi renderete certa la vostra perseveranza nel bene, la vostra perseveranza finale che deve decidere della vostra felicità eterna. Di qual utilità non è dunque la confessione per i giusti medesimi, come per i peccatori? Ve diamo ora quali sono gli svantaggi di coloro che se ne allontanano.
II. PUNTO. Un gran numero di peccatori si accosta di rado al Sacramento della Penitenza, perché, dicono essi, la Chiesa non obbliga a confessarsi più spesso che una volta all’anno. Altri se ne allontanano, perché non vogliono correggersi dei loro malvagi abiti, lasciar le occasioni del peccato; il che per altro convien fare per una buona confessione. Ma gli uni e gli altri, sono in un accecamento deplorabile, e non vedono i mali che cagiona questo allontanamento. Ora, fratelli miei, per distruggere questi pregiudizi io dico, che, sebbene la Chiesa abbia determinato il precetto della confessione ad ogni anno per tutti i fedeli dell’uno e dell’altro sesso, non convien dire che non si possa, né si debba fare più frequente nel corso di un anno. La Chiesa, interprete delle volontà del suo divino Sposo che le ha lasciata l’autorità di giudicare i peccatori, e che ha voluto sottomettere i peccatori tutti a quest’autorità, obbliga tutti i suoi figliuoli per soddisfare al precetto del divin Maestro di accostarsi una volta all’anno al suo tribunale; perché egli è certo che il precetto obbliga per lo meno qualche volta durante la vita; e se essa non avesse imposto ai peccatori quest’obbligo per ogni anno, molti avrebbero passata tutta la loro vita senza avervi soddisfatto. Ma benchè l’adempimento di questo precetto non possa differirsi più di un anno, molte altre ragioni obbligano i peccatori a confessarsi più frequentemente. Il peccatore non deve differire la sua conversione, perché differendola, i suoi peccati si moltiplicano, i suoi malvagi abiti si fortificano; e si espone al pericolo dell’impenitenza finale, che è la morte nel peccato. Ora, tali sono i danni che provengono dall’infrequenza delle confessioni. Ed in vero, che cosa può ritener il peccatore, ed impedirlo dal cadere nell’abisso del peccato? È la grazia di Dio, è la considerazione dei mali, ove il suo peccato lo conduce; sono i rimproveri che si fa egli medesimo al tribunale della coscienza sopra i disordini della sua vita; sono gli avvisi di un confessore zelante per la sua salute. Ora il peccatore che si accosta di rado al sacro tribunale, si priva delle grazie del Sacramento, degli avvisi di un confessore, non rientra quasi giammai in se stesso per rimproverarsi i suoi disordini, e correggersene. Fa d’uopo stupirsi, se egli accumula peccati sopra peccati, e se diventa lo schiavo dei suoi abiti malvagi? Quantunque Dio non ricusi la sua grazia ad alcun peccatore, sia per convertirsi, sia per evitar il peccato, Egli vuole che questo peccatore faccia dal canto suo degli sforzi per avere certe grazie che producono la sua conversione, e che l’impediscono di pervertirsi di più; egli vuole che ricorra ad un mezzo di salute che esso gli ha somministrato per santificarsi, che sono i Sacramenti da Lui lasciati alla sua Chiesa. Questi Sacramenti sono come i canali, per dove egli fa scorrere sulle anime il sangue adorabile che è uscito dalle sue piaghe per lavare i peccatori. Questi sono gli strumenti che egli ha messi, per così dire, tra le mani di questi peccatori, per operare la loro santificazione; sono i rimedi che loro ha dati per guarirsi dalle loro malattie, e preservarsi da nuove cadute. E perciò Egli ha attaccate a questi segni di salute certe grazie particolari che corrispondono al fine per cui gli ha istituiti; grazie che non dà comunemente a coloro che si allontanano da queste sorgenti di salute. E quindi che accade ai peccatori che trascurano il rimedio della Penitenza? ciò che accade ad un infermo, il quale non vuol prendere un rimedio che un valente medico gli ha apparecchiato, sia per guarirsi, sia per impedire che la sua malattia non faccia più grandi progressi, e non lo conduca al sepolcro. Questo peccatore privo delle grazie particolari annesse al Sacramento della penitenza, esposto alle tentazioni del nemico, abbandonato alla sua propria inclinazione che lo strascina verso il male, soccomberà alle tentazioni; seguirà l’allettamento della sua passione; un peccato che ne attira un altro col suo peso, lo fa cadere di abisso in abisso; egli ammassa, accumula l’iniquità; i suoi malvagi abiti prendono tutti i giorni nuove forze; finalmente diventa incorreggibile. Se il peccatore rientrasse in se stesso, per vedere il triste stato della sua anima, i rimorsi della sua coscienza lo ricondurrebbero al dovere, ed è il vantaggio che gli procurerebbe l’uso del Sacramento della Penitenza. Mentre prima di presentarvisi, bisogna che il peccatore ricerchi ben bene le sue piaghe, investighi i nascondigli della sua anima, esamini i suoi mancamenti, e conosca le sue malattie per mostrarsi al sacerdote tal quale egli è; questa vista non può che cagionargli confusione, e fargli sentire rimproveri amarissimi; bisogna di più che esso detesti i suoi mancamenti, e che con la spada del dolore che deve concepire, apra l’ulcera che infetta la sua anima: questa detestazione, questo orrore che concepisce del peccato, gli cangia il cuore, facendogli cangiar d’oggetto, facendogli odiare ciò che amava, amare ciò che odiava. Finalmente bisogna mostrar la sua lebbra al ministro di Gesù Cristo, dichiarargli sinceramente, ed interamente tutte le sue colpe; e la confusione che accompagna questa dichiarazione, umilia il peccatore, gli fa prendere la risoluzione di non più cadere in quelle colpe; risoluzione che è fortificata dai buoni avvisi che riceve da un zelante confessore che gli impone penitenze salutevoli per espiare i suoi peccati, che gli propone mezzi per non più ricadervi, che gli offre gli aiuti delle sue preghiere per ottenergli la perseveranza. Ora, il peccatore che si allontana dal sacro tribunale, si priva di tutti questi aiuti, che sono come altrettanti ripari che l’impediscono di abbandonarsi al disordine. Egli non fa alcun esame di coscienza, non concepisce alcun dolore de’ suoi peccati, non è commosso dai mali che il suo delitto gli attira. Non è forse ancora per evitar la discussione che gli converrebbe fare delle sue colpe, l’umiliazione che avrebbe di accusarle, per sottrarsi ai terrori della sua coscienza che non vuole accostarsi al tribunale della confessione? Non è forse ancora per il timore delle ammonizioni che gli farebbe un caritatevole confessore, che ricusa di presentarsi a lui? Fa d’uopo stupirsi che egli seguiti ciecamente il torrente delle sue passioni, che viva a seconda de’ suoi desideri, non avendo più freno che lo ritenga, guida che lo rimetta sulla strada? E ciò che accresce il suo male si è, che il poco uso che egli ha fatto del rimedio salutevole, lo mette in un tale stato che lo converte in veleno anche allora quando vuol soddisfare all’obbligo di confessarsi nel tempo che gli è dalla Chiesa prescritto. Perciocchè è egli facile di adempiere come conviensi ad un obbligo che non si adempie che per necessità? In che guisa questi peccatori, i quali non si confessano che una volta all’anno nel tempo di Pasqua, esaminano i loro peccati? Il numero n’è sì grande che ne perdono la memoria e non se ne ricordano che in generale. Essi si contentano di una rivista superficiale. Quindi viene che le loro confessioni sono più presto fatte che quelle di coloro che si confessano sovente e che tralasciano, per colpa loro e per loro negligenza di frequentar i Sacramenti, un gran numero di peccati: il che rende le loro confessioni nulle e sacrileghe. Qual dolore hanno questi peccatori dei loro peccati? Qual proponimento di correggersi? Se ne può giudicare dal piccolo cangiamento che si vede nella loro condotta. Siccome non vanno al tribunale della penitenza che per una specie di necessità o di convenienza; siccome non cercano che salvare le apparenze e conservarsi la riputazione di aver fatto il loro dovere di Cristiano, così non mettonsi troppo in pena del restante. Se un confessore vuole loro imporre una penitenza salutevole, o provarli con qualche dilazione, essi disputano sul genere di penitenza che loro si prescrive: se vengono rimandati per qualche tempo, minacciano di non più ritornare: come se il ministro di Gesù Cristo dovesse rendersi colpevole di sacrilegio per dar loro un’assoluzione, che a nulla loro servirebbe…- Fa d’uopo dunque stupirsi, se questi, peccatori che si confessano di rado, che differiscono di Pasqua in Pasqua, sono sì malvagi Cristiani? L’esperienza lo fa purtroppo vedere, sono questi i meno assidui agli altri doveri della religione; gli uni si abbandonano all’intemperanza; gli altri all’impurità; questi sono ingiusti usurpatori del bene altrui; quelli vendicativi. Qual è la cagione di tanti disordini? La negligenza a frequentar i Sacramenti. Ma, diranno essi, coloro che vi si accostano spesso, non vivono meglio di noi, cadono nei medesimi disordini che noi; non è dunque la frequente confessione che ritiene i peccatori, e che rende gli uomini più santi. A questo io rispondo, 1.º esser falso che coloro i quali si confessano. sovente, siano d’ordinario così sregolati come quelli che non lo fanno che di rado; le loro ricadute, come l’ho detto, sono più rare, e si rialzano più prontamente con l’aiuto che trovano nel rimedio della penitenza. 2.º Se vi sono peccatori che uniscono una vita sregolata al frequente uso della confessione, sono coloro che abusano del rimedio, e che lo convertono in veleno per le malvage disposizioni che vi apportano, o per difetto di dolore, o per difetto di esame, e di sincerità nell’accusarsi. Quantunque efficace sia il rimedio della penitenza, egli non profitta che per quanto vien bene applicato. Ora, non vi sarà un mezzo tra servirsi male del rimedio, e non usarne affatto? Si è di riceverlo con le disposizioni che lo rendano efficace: basta, o peccatori, che voi ve ne accostiate con queste disposizioni, cioè con quella sincerità che deve accompagnare la dichiarazione delle vostre colpe, e ne proverete l’utilità. Ma se voi trascurate di farlo, sapete voi a qual male vi espone la vostra negligenza? A morir nello stato del peccato, a cader negli orrori della morte eterna. Mentre, poiché voi restate mesi ed anni interi nei legami del peccato, non potete voi forse esser sorpresi dalla morte, non potete voi essere colpiti da una morte subitanea, o da qualche malattia, che togliendovi l’uso dei sensi, vi rendano, impossibile il ricevere i Sacramenti? Quanti ne avete veduti che sono stati sorpresi in tal modo, per i quali si è chiamato un confessore che, o non si è trovato, o è giunto troppo tardi, permettendolo così Iddio per punire la loro negligenza a confessarsi più spesso? Ecco forse ciò che vi accadrà, peccatori che mi ascoltate: credete voi, che, se Dio vuol togliervi da questo mondo con una morte improvvisa, Egli sceglierà il tempo che voi sarete in istato di grazia, che questa morte accadrà precisamente nel tempo di Pasqua, quando vi sarete confessati? Qual temerità sarebbe la vostra di fidarvi ad un tratto sì straordinario della grazia di cui vi rendete sì indegni. Non dovete voi forse piuttosto temere, che, se siete sorpresi dalla morte, lo sarete in istato di peccato, poiché la più gran parte della vostra vita si passa in questo infelice stato? Forse vi assicurate sopra qualche atto di contrizione che produrrete allora, o che avrete prodotto prima in mancanza del confessore? È vero, che un atto di contrizione perfetta, cioè prodotto da un puro amor di Dio può cancellare tutti i peccati, benché enormi siano, ed in gran numero. Ma sapete voi che l’atto di una perfetta contrizione essendo il più eroico di tutti, è l’effetto di una grazia particolare, che i più gran Santi medesimi, non credevano meritare? E voi vi fiderete a questa grazia, voi che resistete a tante altre che vi stimolano di andar alla sorgente, che sono i Sacramenti? Ma supponiamo che voi alla morte abbiate tutta la libertà di confessarvi: io dico che il Sacramento, di cui non avete profittato durante la vita, a nulla vi servirà allora; che avendolo profanato durante la vita, voi lo profanerete in morte a cagion delle malvage disposizioni che saranno le medesime in voi. Ora, se voi morite nell’impenitenza finale, qual sarà il vostro rammarico nell’Inferno di aver trascurato un mezzo di salute così efficace, e così facile come la confessione? Ma non sarà più tempo; voi non avrete più ministri di Gesù Cristo che possano liberarvi dai mali che vi opprimeranno in quelle prigioni di fuoco, ove sarete rinchiusi; non vi sarà più confessione, più misericordia, più perdono a sperare da voi. Procurate, o peccatori, di evitare una disgrazia egualmente grande, quanto che irreparabile: profittate dell’occasione favorevole che avrete di riconciliarvi con Dio ogni qual volta l’avete offeso. Ma guardate di non abusarvi della bontà che Dio ha nel ricevervi a penitenza per oltraggiarlo; sarebbe in voi l’effetto della più nera ingratitudine se la facilità del rimedio fosse per voi una occasione di caduta. Cominciate dunque dal giorno d’oggi a mettervi nelle disposizioni, in cui dovete essere per profittarne; cioè, lasciate al presente il peccato, le occasioni del peccato; rinunciate ai cattivi abiti; il ministro di Gesù Cristo non discioglie che chi vuol lasciare le sue catene. Provatevi dunque prima di presentarvi, preparatevi anticipatamente ad accettare le prove, alle quali il confessore vorrà mettervi; non cercate di quegli uomini che lusingano; non fuggite coloro che vogliono con una giusta dilazione accertarsi del vostro ritorno a Dio: non lasciate quelli che per vostro bene si spaventano delle vostre cadute, e ve ne domandano una penitenza proporzionata: e quindi prendete per pratica, 1º di confessarvi una volta ogni mese; 2.º se voi avete avuta la sventura di perdere la grazia con un peccato, guardatevi ben bene di non passare i giorni interi nell’inimicizia di Dio; 3.º se voi siete infermi, ricorrete al medico della vostr’anima prontamente e senza dilazione; non siate del numero di quelli, cui si teme in un’ultima malattia di parlare di Sacramenti e di confessore; siate i primi a richiedere con calore questi preziosi soccorsi: la vostr’anima, dice Gesù Cristo, vale più che il vostro corpo; aiutate dunque l’una piuttosto che l’altro; e se il Cielo ricusa al vostro corpo la sua guarigione, almeno accorderà Egli alla vostr’anima un riposo eterno all’uscire dalla sua prigione, Io ve lo desidero. Così sia.
Credo…
https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/12/il-credo/
Offertorium
Orémus
Ps XXXIII:15-16
In te sperávi, Dómine; dixi: Tu es Deus meus, in mánibus tuis témpora mea. [O Signore, in Te confido; dico: Tu sei il mio Dio, nelle tue mani sono le mie sorti.]
Secreta
Popitiáre, Dómine, pópulo tuo, propitiáre munéribus: ut, hac oblatióne placátus, et indulgéntiam nobis tríbuas et postuláta concedas.
[Sii propizio, o Signore, al tuo popolo, sii propizio alle sue offerte, affinché, placato mediante queste oblazioni, ci conceda il tuo perdono e quanto Ti domandiamo.]
https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/comunione-spirituale/
Communio
Sap XVI: 20
Panem de coelo dedísti nobis, Dómine, habéntem omne delectaméntum et omnem sapórem suavitátis.
[Ci hai elargito il pane dal cielo, o Signore, che ha ogni delizia e ogni sapore di dolcezza.]
Postcommunio
Orémus.
Sumptis, Dómine, coeléstibus sacraméntis: ad redemptiónis ætérnæ, quǽsumus, proficiámus augméntum.
[Fa, o Signore, Te ne preghiamo, che, ricevuti i celesti sacramenti, progrediamo nell’opera della nostra salvezza eterna.]
https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/preghiere-leonine-dopo-la-messa/
https://www.exsurgatdeus.org/2018/09/13/ringraziamento-dopo-la-comunione-1/
https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/