R. P. CHAUTARD D . G. B .
L’ANIMA DELL’APOSTOLATO (2)
TRADUZIONE
del Sac. GIULIO ALBERA, S. D. B.
8a EDIZIONE
SOCIETÀ EDITRICE INTERNAZIONALE– TORINO MILANO GENOVA PADOVA PARMA ROMA NAPOLI BARI CATANIA PALERMO
VISTO: Nulla osta alla stampa.
Torino: 22 giugno 1922.
Can. CARLO FRANCO – Rev. Arciv.
VISTO: Imprimatur.
C. FRANCESCO DUVINA – Provic. gen.
3.
Che cosa è la vita interiore?
Le espressioni vita di orazione, vita contemplativa, adoperate in questo libro, si riferiscono, come nell’Imitazione di Gesù Cristo, allo stato delle anime le quali si danno sul serio a una vita cristiana non comune, eppure accessibile a tutti e, in sostanza, obbligatoria per tutti (Pure, prescindendo sempre dai fenomeni che accompagnano certi stati straordinari di unione con Dio, siamo persuasi che Dio spesso concede, all’infuori di tali fenomeni, grazie speciali di orazione alle anime generose che bramano di vivere in intimità con Lui). Non è nostra intenzione fermarci qui in uno studio di ascetismo, ma ci limiteremo a ricordare in breve quello che CIASCUNO è obbligato ad accettare come assolutamente certo, per il governo intimo dell’anima sua.
I. VERITÀ. La vita soprannaturale è in me, la Vita di Gesù Cristo medesimo, per mezzo della Fede, della Speranza e della Carità, perché Gesù è la causa meritoria esemplare e finale e, come Verbo, è col Padre e con lo Spirito Santo la causa efficiente della grazia santificante nell’anima nostra. La presenza di Gesù per mezzo di questa vita soprannaturale non è la presenza reale propria della santa Comunione, ma una presenza di AZIONE VITALE, come l’azione della testa o del cuore sulle altre membra; azione intima che Dio per lo più nasconde all’anima mia, per accrescere il merito della mia fede; dunque azione abitualmente insensibile alle mie facoltà naturali, che soltanto la fede mi obbliga a credere formalmente; azione divina che non distrugge il mio libero arbitrio e che si serve di tutte le cause seconde, fatti, persone e cose, per farmi conoscere la volontà di Dio e per darmi occasione di acquistare o di accrescere la mia partecipazione alla vita divina. – Questa vita cominciata col Battesimo con lo stato di grazia, perfezionata con la Cresima, ricuperata con la Penitenza, mantenuta e arricchita con l’Eucarestia, è la mia VITA CRISTIANA.
II. VERITÀ. Per mezzo di questa vita, Gesù Cristo mi comunica il suo Spirito; così Egli diventa un principio di attività superiore il quale, se non vi metto ostacolo, mi fa pensare, giudicare, amare, volere, soffrire e lavorare con Lui, in Lui, per mezzo di Lui, come Lui. Le mie azioni esteriori diventano la manifestazione di questa vita di Gesù in me, e così io tendo ad effettuare l’ideale della VITA INTERIORE formulato da san Paolo: Non sono più io che vivo, ma è Gesù che vive in me. – Vita cristiana, Pietà, Vita interiore, Santità non sono cose essenzialmente diverse, ma sono i gradi diversi di un medesimo amore: sono il crepuscolo, l’aurora, la luce, lo splendore di un medesimo sole. – Quando in questo libro adoperiamo l’espressione Vita interiore, non intendiamo tanto la vita interiore abituale, cioè, se così possiamo esprimerci, « il capitale di vita divina » che possediamo per la grazia santificante, quanto piuttosto la Vita interiore attuale, ossia il buon uso di questo capitale per mezzo dell’attività dell’anima e della fedeltà alle grazie attuali. Possiamo dunque definirla lo stato di attività di un’anima che REAGISCE per DOMINARE le sue inclinazioni naturali e si sforza di acquistare L’ABITUDINE di giudicare e di regolarsi IN TUTTO secondo la luce del Vangelo e gli esempi di Gesù Cristo. Vi sono dunque due movimenti: col primo, l’anima si ritrae da ciò che il creato può avere di contrario alla vita soprannaturale, e cerca di essere sempre presente a se stessa: Aversio a creaturis; col secondo, l’anima si porta verso Dio e si unisce a Lui: Conversio ad Deum. – Quest’anima vuole perciò essere fedele alla grazia che Nostro Signore le offre in ogni momento; insomma, essa vive unita a Gesù e avvera in se stessa la parola di Lui: Qui manet in Me et Ego in eo Me fert fructum multum – Chi si tiene in me, e in chi io mi tengo, questi porta gran frutto (Giov. XV, 5).
III. VERITÀ. Mi priverei di uno dei mezzi migliori per acquistare questa vita interiore, se non mi sforzassi di avere una fede PRECISA E CERTA di questa presenza attiva di Gesù in me e soprattutto di ottenere che tale presenza sia per me una realtà viva, ANZI VIVISSIMA, la quale penetri sempre più nella cerchia delle mie facoltà. Così, divenendo Gesù la mia luce, il mio ideale, il mio consiglio, il mio appoggio, il mio rifugio, la mia forza, il mio medico, il mio conforto, la mia gioia, il mio amore, insomma la mia vita, io acquisterò tutte le virtù. Soltanto allora potrò recitare con sincerità la bella preghiera di san Bonaventura, che la Chiesa mi propone come ringraziamento dopo la Messa: Transfige, etnicissime Domine Jesu..,
IV.VERITÀ. In proporzione dell’intensità del mio amore per Dio, la mia vita soprannaturale può crescere ogni momento per una nuova infusione della grazia della presenza attiva di Gesù in me, e questa infusione è prodotta:
1° Da ATTI MERITORI (virtù, lavoro, patimenti nelle loro varie forme, privazione di creature, dolore fisico o morale, umiliazione, abnegazione: preghiera, Messa, atti devoti verso Maria santissima ecc.) —
2° Dai SACRAMENTI e soprattutto dall’Eucaristia.
Dunque è cosa certa — e questa conseguenza mi schiaccia con la sua sublimità e con la sua profondità, ma più ancora mi rallegra e m’incoraggia — è dunque cosa certa che in ogni avvenimento, persona o cosa, siete Voi, o Gesù, proprio Voi che vi presentate a me e in ogni minuto! Sotto quelle apparenze Voi nascondete la vostra sapienza e il vostro amore e sollecitate la mia cooperazione, per accrescere in me la vostra vita! – O anima mia, è sempre Gesù che ti si presenta per mezzo della GRAZIA DEL MOMENTO PRESENTE, della preghiera che devi dire, della Messa che devi celebrare o ascoltare, della lettura che devi fare, degli atti di pazienza, di zelo, di rinuncia, di lotta, di confidenza, di amore che devi fare, e tu oseresti voltare la faccia o nasconderti?
V. VERITÀ. La triplice concupiscenza causata dal peccato originale e accresciuta da ciascuno dei miei peccati attuali, produce in me ELEMENTI DI MORTE, opposti alla vita di Gesù. Ora nella stessa misura con cui tali elementi si sviluppano, diminuiscono l’esercizio di tale vita e possono purtroppo anche arrivare a sopprimerla. Tuttavia né inclinazioni, né sentimenti contrari a tale vita, né tentazioni anche violente e prolungate, non le possono nuocere finché la mia volontà vi si oppone; e in tal caso — oh! verità consolante! — essi contribuiscono anzi ad aumentarla,in proporzione del mio zelo, come qualunque elemento di lotta spirituale.
VI.VERITÀ. Se non faccio uso continuo di certi mezzi, la mia intelligenza si accecherà, e la mia volontà diventerà troppo debole per cooperare con Gesù ad accrescere ed anche a mantenere la sua vita in me; allora avviene una diminuzione progressiva di questa vita in me e io cammino verso la TEPIDEZZA DELLA VOLONTÀ (Questa tepidezza è ben diversa dall’aridità e anche dal disgusto che provano talvolta, loro malgrado, i fervorosi. Le colpe veniali che sfuggono alla fragilità e che sono combattute e subito detestate appena commesse, non rivelano neppur esse la tepidezza della volontà. L’anima che ha questa tepidezza, ha due volontà opposte, una buona e l’altra cattiva; una calda e l’altra fredda. Da una parte vuole la salute e perciò evita i peccati mortali e manifesti; d’altra parte non vuole le esigenze dell’amor di Dio, vuole invece le comodità di una vita libera e facile e perciò si permette peccati veniali deliberati… Quando questa tepidezza non è combattuta, per ciò stesso vi è nell’anima cattiva volontà, non totale, ma parziale; vi è cioè una parte della volontà che dice a Dio: « Su questo o su quel punto, non voglio cessare di dispiacervi » – P. DESURMONT, C. SS. R., Le Retour continuel à Dieu). Per dissipazione, per vigliaccheria, per illusione o per accecamento, vengo a patti col peccato veniale e per conseguenza divento incerto della mia salute, essendo quella una disposizione facile al peccato MORTALE. – Se avessi la disgrazia di cadere in questa tepidezza, e tanto più se avessi la disgrazia di cadere anche più in basso, dovrei tentare ogni mezzo per uscirne, 1° con ravvivare il mio timor di Dio, rappresentandomi al vivo il mio fine, la morte, i giudizi di Dio, l’inferno, l’eternità, la malizia del peccato ecc.; 2° col ravvivare la mia compunzione per mezzo della scienza amorosa delle vostre Piaghe, o misericordioso Redentore, e portandomi in ispirito al Calvario, mi prostrerò ai vostri piedi santi, affinché il vostro Sangue vivo, scorrendo sulla mia testa e sul mio cuore, dissipi il mio accecamento, sciolga il ghiaccio dell’anima mia e desti dal torpore la mia volontà.
VII. VERITÀ. Devo seriamente temere di non avere il grado di vita interiore che Gesù esige da me:
1° Se tralascio di accrescere in me la SETE di vivere di Gesù, sete che mi dà il desiderio di piacere in ogni cosa a Dio e il timore di dispiacergli in qualche cosa; ora questo avviene necessariamente se non adopero più i mezzi che sono le preghiere del mattino, la Messa, i Sacramenti e l’Uffizio, gli esami particolare e generale, la lettura spirituale; oppure se per colpa mia tali mezzi non hanno effetto.
2° Se non ho almeno il puro necessario del RACCOGLIMENTO che mi permetta, durante le mie occupazioni, di custodire il mio cuore in una purezza e in una generosità sufficienti perché non venga soffocata la voce di Gesù che mi avverte degli elementi di morte che si presentano, e m’invita a combatterli. Ora quel tanto di raccoglimento mi mancherà, se trascuro i mezzi che me lo possono assicurare, cioè Vita liturgica, giaculatorie soprattutto in forma di suppliche, comunioni spirituali, esercizio della presenza di Dio ecc. – Senza quel raccoglimento, i peccati veniali verranno a pullulare nella mia vita, e io non potrò forse neppure dubitarne; per nasconderli e anche per non lasciarmi vedere uno stato più deplorevole, l’illusione si gioverà dell’apparenza di pietà più speculativa che pratica, di zelo per l’azione ecc. Ma intanto il mio accecamento sarà colpevole, perché ne avrò messa o mantenuta la causa, con la mancanza di quel raccoglimento indispensabile.
VIII. VERITÀ. La mia vita interiore sarà quale è la mia Custodia del cuore: Omni custodia serva cor tuum, quia ex ipso vita procedit (Prima di tutto custodisci il tuo cuore, perché da esso viene la vita (Prov. IV, 23). La custodia del cuore altro non è che la sollecitudine ABITUALE o almeno frequente per preservare tutte le mie azioni, man mano che si presentano, da tutto ciò che potrebbe viziarle o nel loro MOTIVO o nella loro ESECUZIONE.
Sollecitudine calma, tranquilla, senza sforzo, ma però forte, perché fondata sul filiale ricorso a Dio. È questo un lavoro del cuore e della volontà più che della mente la quale deve restare libera per compiere i suoi doveri. La custodia del cuore non solo non disturba l’azione, ma la perfeziona, perché la regola secondo lo spirito di Dio e l’aiuta nei doveri del proprio stato. – Questo esercizio si può fare ogni momento; è come uno sguardo del cuore sulle azioni presenti a un’attenzione tranquilla sulle diverse parti di un’azione che si sta facendo; è la perfetta osservanza dell’Age quod agis. L’anima come una sentinella attenta esercita la sua vigilanza su tutti i movimenti del cuore, su tutto ciò che avviene nel suo interno, intenzioni, impressioni, passioni, inclinazioni, insomma su tutti i suoi atti interni ed esterni, pensieri, parole e azioni. Per la custodia del cuore si richiede un certo raccoglimento, e un’anima dissipata non ne è capace. – Con la frequenza di questo esercizio, a poco a poco se ne acquista l’abitudine.
Quo vadam et ad quid? Che cosa farebbe Gesù, come si comporterebbe al mio posto! Che cosa mi consiglierebbe? Che cosa chiede da me in questo momento? Ecco le domande spontanee che vengono all’anima avida di vita interiore. Per l’anima che va a Gesù per mezzo di Maria, la custodia del cuore prende un carattere ancora più facilmente affettivo, e per il suo cuore diventa un continuo bisogno il ricorrere a questa buona Madre.
IX. VERITÀ. Gesù Cristo regna nell’anima quando questa vuole imitarlo sul serio, in tutto e con affetto. In questa imitazione vi sono due gradi:
1° L’anima si sforza di divenire indifferente alle creature considerate in se stesse, siano esse conformi oppure contrarie ai suoi gusti. Come Gesù, non accetta altra legge che la Volontà di Dio in tutte le cose: Descendi de cœlo non ut faciam voluntatem meam, sed voluntatem eius qui misit me (Sono disceso dal Cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di Colui che mi ha mandato – Giov. VI, 38). —
2° Christus non sibi placuit (Rom. XV, 3. Il Cristo non ebbe compiacenza per se. ). L’anima tende più volentieri a ciò che è contrario e ripugna alla natura. Essa allora mette in pratica l’Agendo contra di cui parla sant’Ignazio nella sua celebre meditazione del Regno di Gesù Cristo; è l’azione contro la natura per dare la preferenza a ciò che imita la povertà del Salvatore e il suo amore dei patimenti e delle umiliazioni. Allora l’anima, secondo l’espressione di san Paolo, conosce davvero il Cristo: Didicistis Christum (Efes. IV, 20.).
X. VERITÀ. Qualunque sia il mio stato, se voglio pregare ed essere fedele alla grazia, Gesù mi offre tutti i mezzi per ritornare ad una vita interiore che mi restituisce la sua intimità e mi permette di sviluppare in me la sua vita. Allora, nel suo progredire, l’anima possederà la gioia, anche in mezzo alle prove, e si avvereranno per lei le parole d’Isaia: Allora splenderà la tua luce come l’aurora, e la guarigione presto verrà; la tua giustizia camminerà dinanzi a te; la gloria del Signore ti seguirà. Allora invocherai il Signore, ed Egli ti esaudirà; tu griderai, ed Egli dirà: Eccomi… E il Signore sarà la tua guida; sazierà l’anima tua nei luoghi aridi e darà vigore alle tue ossa; tu sarai come un giardino bene irrigato, come una sorgente le cui acque non vengono mai meno (Is. LVIII, 8, 9).
XI. VERITÀ. Se Dio vuole da me che io esplichi la mia attività non soltanto per la mia santificazione, ma anche per le opere di zelo, devo anzitutto formare nell’anima mia questa convinzione ferma: Gesù deve e vuole essere la vita di queste opere. – I miei sforzi da soli non sono nulla, assolutamente nulla: Sine me nihil potesti facete (Senza di me, voi non potete fare nulla – Giov. XV, 5); non saranno né utili né benedetti da Dio, se non li unisco continuamente all’azione vivificatrice di Gesù, con una vera vita interiore; saranno invece onnipotenti, se così farò: OMNIA possum in eo qui me confortat (Io posso tutto in Colui che mi conforta – Filipp. IV, 13). Ma se derivassero da presunzione orgogliosa, dalla fiducia nella mia capacità, dal desiderio di una bella riuscita, i miei sforzi sarebbero rigettati da Dio: non sarebbe infatti una stoltezza sacrilega la mia, se volessi rubare qualche cosa alla gloria di Dio, per farmene bello? Tale convinzione non solo non mi renderà pusillanime, ma sarà la mia forza. Come mi farà sentire il bisogno della preghiera per ottenere questa umiltà che è tesoro per l’anima mia, assicurazione dell’aiuto di Dio e pegno di buona riuscita per le mie opere! – Ben convinto dell’importanza di questo principio, mi esaminerò seriamente nei giorni di ritiro, per vedere – se la mia convinzione della nullità delle mie azioni quando è sola, e della sua forza quando è unita all’azione di Gesù, non si è indebolita; – se escludo inesorabilmente la compiacenza, la vanità e la personalità nella mia vita di apostolo; – se conservo un’assoluta diffidenza di me stesso; – se prego Dio di dare vita alle opere e di difendermi dall’orgoglio, che è l’ostacolo principale al suo aiuto. – Questo CREDO della vita interiore, quando è per l’anima la base della sua esistenza, le assicura fino di quaggiù una partecipazione alla felicità del cielo.
La vita interiore è la vita dei predestinati.
Essa corrisponde al fine propostosi da Dio nel crearci (Ad contemplandum quippe Creatorem suum homo conditus fuerat eius semper speciem quæreret atque in noi idi tate amorfa illius habitaret (S. GREG., Moral. VIII, cap. XII). Essa corrisponde al fine dell’Incarnazione: Filium suum Unigenitum misit Deus in mundum ut vivanvus per eum (Dio mandò il suo Figlio Unigenito nel mondo, affinché noi viriamo per Lui – I Giov. IV, 9). È uno stato felice: Finis humanæ creaturæ est adhærere Deo: in hoc enim felicitas eius consistit (Il fine della creatura umana è di unirsi a Dìo; qui sta tutta la felicità (S. Tommaso). All’opposto delle gioie del mondo, se fuori vi sono spine, dentro vi sono rose. Come sono da compiangere i poveri mondani! dice il santo Curato d’Ars; essi portano su le spalle un mantello foderato di spine e non si possono muovere senza pungersi; invece i veri Cristiani portano un martello foderato di pellicce. Crucem vident, unctionem non vident (Si vede la croce, ma non se ne vede l’unzione – S. Bernardo). – È uno stato celeste: l’anima diventa un cielo vivente (Semper memineris Dei, et cœlum mens tua evadit (S. Efrem). — Mens animæ paradisus est, in qua, dum cœlestia meditatur, quasi in paradiso voluptatis delectatur (Ugo da San Vittore). – Come santa Margherita Maria, essa canta: « Io posseggo in ogni tempo e porto in ogni luogo il Dio del mio cuore e il cuore del mio Dio ». – È il principio della beatitudine: Inchoatio quœdam beatitudinis (S. TOMM., 2a 2æ, q. 180, a. 4): la grazia è il Cielo in germe.
4.
Come è conosciuta male questa vita interiore
San Gregorio Magno, il quale fu esperto amministratore e apostolo zelante e nel tempo stesso un gran contemplativo, con questa semplice espressione Secum vivebat (Egli viveva con se stesso), caratterizza lo stato d’animo di san Benedetto il quale a Subiaco gettava le fondamenta della sua Regola, divenuta poi una delle più potenti leve di apostolato, di cui Dio si sia servito sulla terra. Della maggior parte dei nostri contemporanei bisognainvece dire il contrario; vivere con se stesso, in se stesso, voler governare se stesso e non lasciarsi governare dalle cose esteriori, obbligare la fantasia, la sensibilità, e anche l’intelligenza e la memoria a fare la parte di serve della volontà e conformare sempre la propria volontà a quella di Dio, è un programma che si accetta sempre di meno in questo secolo di agitazione, il quale vide nascere un ideale nuovo, cioè l’amore dell’azione per l’azione. Per evitare questa disciplina delle facoltà, si prende per buono ogni pretesto; gli affari, le cure della famiglia, l’igiene, la buona fama, lo spirito di corpo, la pretesa gloria di Dio vanno a gara per non lasciarci vivere in noi stessi; questa specie di delirio della vita esteriore arriva anche ad attrarci irresistibilmente.Allora che meraviglia se la vita interiore è mal conosciuta? Dire che è mal conosciuta è anzi troppo poco; essa è spesso disprezzata e messa in ridicolo proprio da quelli che dovrebbero stimarne di più i vantaggi e la necessità. Per protestare contro le funeste conseguenze di un’ammirazione esclusiva per l’azione, ci voleva la memorabile lettera di Leone XIII al Cardinale Gibbons, Arcivescovo di Baltimora. – L’ecclesiastico, per schivare la fatica della vita interiore, arriva al punto di non riconoscere l’eccellenza della vita con Gesù, in Gesù, per mezzo di Gesù,, di dimenticare che, nel disegno della Redenzione, tutto si fonda sulla vita eucaristica, come tutto è costruito sulla rocca di Pietro. Mettere in second’ordine quello che è ESSENZIALE, è appunto quello a cui tendono inconsciamente i partigiani di quella spiritualità moderna detta AMERICANISMO; per costoro la Chiesa non è ancora un tempio protestante, il santo tabernacolo non è ancora vuoto, ma la vita eucaristica, a loro giudizio, non può adattarsi né, molto meno, bastare alle esigenze della civiltà moderna, e la vita interiore la quale deriva necessariamente dalla vita eucaristica, ha fatto il suo tempo. Per le persone, purtroppo assai numerose, le quali sono imbevute di queste teorie, la Comunione non ha più il vero significato che in essa trovavano i primi Cristiani; esse credono all’Eucaristia, ma non vedono in essa un elemento di vita così necessario, tanto per loro che per le loro opere. Non fa perciò meraviglia che, non esistendo quasi più per loro l’intimità con Gesù, la vita interiore venga considerata come un ricordo del Medioevo. – Davvero che al sentire questi uomini di azione a parlare delle loro imprese, sembrerebbe che il Creatore, il quale creò i mondi scherzando e per il quale l’universo è polvere e nulla, non possa fare a meno del loro concorso! Molti fedeli, e persino sacerdoti e religiosi, arrivano insensibilmente, con il culto dell’azione, a farsene una specie di dogma che ispira la loro condotta, le loro azioni, e li spinge ad abbandonarsi sfrenatamente alla vita esteriore. La Chiesa, la diocesi, la parrocchia, la congregazione, l’Azione Cattolica hanno bisogno di me; volentieri si vorrebbe poter dire… Io sono molto utile a Dio!… E se non si osa dire simile sciocchezza, stanno però nascoste in fondo al cuore la presunzione, che ne è la base, e la diminuzione di fede, che l’ha prodotta. – Spesso si prescrive al nevrastenico di astenersi, talvolta anche per molto tempo, da qualunque lavoro; ma è questo un rimedio per lui insopportabile, perché appunto la sua malattia lo mette in una agitazione febbrile che diventa come una seconda natura e lo spinge a cercare continuamente nuovi sperperi di forze e nuove emozioni che aggravano il suo male. Lo stesso avviene spesso all’uomo di azione, riguardo alla vita interiore; egli la sdegna, anzi sente di essa tanto maggiore ripugnanza appunto perché nella sua pratica soltanto si trova il rimedio al suo stato morboso; peggio ancora, cercando di stordirsi sempre più in un cumulo di lavori nuovi e non bene diretti, perde ogni possibilità di guarire. La nave corre a tutto vapore; ma mentre chi la guida ne ammira la velocità, Dio giudica che, per mancanza di un saggio pilota, quel bastimento va alla ventura e corre pericolo di perdersi. Dio vuole prima di tutto adoratori in ispirito e verità: l’americanismo invece pensa di dare grande gloria a Dio, mirando principalmente ai risultati esteriori. Questo modo di pensare ci spiega come ai nostri giorni, se si fa un gran conto delle scuole, dei dispensari per i poveri, delle missioni, degli ospedali, sia invece sempre meno compresa l’abnegazione nella sua forma intima, cioè nella penitenza e nella preghiera. Chi non sa più credere al valore dell’immolazione nascosta, non si accontenta di trattare da vili e da illusi coloro che la praticano nella solitudine del chiostro, senza cederla, nell’ardore per la salute delle anime, ai più infaticabili missionari, ma metterà anche in ridicolo le persone di azione le quali credono cosa indispensabile il rubare qualche momento alle occupazioni più utili, per andare a purificare e a riscaldare il loro zelo dinanzi al Tabernacolo, per ottenere dall’Ospite divino migliori risultati alle loro fatiche.
https://www.exsurgatdeus.org/2020/08/21/lanima-dellapostolato-3/