L’ANIMA DELL’APOSTOLATO (5)

R. P. CHAUTARD D. G. B .

L’ANIMA DELL’APOSTOLATO (5)

TRADUZIONE del Sac. GIULIO ALBERA, S. D. B.

8a EDIZIONE

SOCIETÀ EDITRICE INTERNAZIONALETORINO MILANO GENOVA PADOVA PARMA ROMA NAPOLI BARI CATANIA PALERMO

VISTO: Nulla osta alla stampa.

Torino: 22 giugno 1922.

Can. CARLO FRANCO – Rev. Arciv.

VISTO: Imprimatur.

C. FRANCESCO DUVINA – Provic. gen.

PARTE SECONDA

Unione della vita attiva e della vita interiore

4.

Vita interiore e vita attiva si chiamano a vicenda

Come l’amore di Dio si rivela con gli atti della vita interiore, così l’amore del prossimo si manifesta con le operazioni della vita esteriore e perciò, non potendosi separare l’amore di Dio e l’amore del prossimo, ne risulta che queste due forme di vita non possono stare l’una senza l’altra (vitam diligendus est proximus, ac per hoc, sic non possuinus sine utraque esse vita, sicut et sine utraque dilectione esse nequaquam possumus – S. IBID., Different, lib. II, XXXIV, n. 135). Perciò, dice il Suarez, non vi può essere uno stato correttamente e normalmente ordinato per giungere alla perfezione, il quale non partecipi in una certa misura dell’azione e della contemplazione (Concedendum ergo est nullum esse posse vitæ studium recte institutum ad perfectionem obtinendam, quod non aliquid de actione et de contemplatane participet – SUAREZ, de Relig. trac., 1. I, cap. V, n. 5). L’illustre gesuita non fa altro che commentare l’insegnamento di san Tommaso. Coloro che sono chiamati alle opere della vita attiva, dice il Dottore Angelico, avrebbero torto a credere che questo dovere li dispensi dalla vita contemplativa; questo dovere non ne accresce e non ne diminuisce la necessità. Perciò le due vite non solo non si escludono a vicenda, ma si chiamano, si suppongono, si mescolano e si completano, e se si deve dare una parte maggiore all’una delle due, bisogna darla alla vita contemplativa che è la più perfetta e la più necessaria (GOFFREDO, Vita S. Bern., I, c. V e III). Perché sia feconda, l’azione ha bisogno della contemplazione; questa quando giunge a un certo grado d’intensità, diffonde sulla prima qualche cosa della sua sovrabbondanza, e così l’anima va ad attingere direttamente nel cuore di Dio le grazie che razione deve distribuire. – Perciò nell’anima di un santo, l’azione e la contemplazione, fondendosi in perfetta armonia, danno alla sua vita una meravigliosa unità. Tale era, per esempio, san Bernardo, l’uomo più contemplativo e inpari tempo più attivo del suo secolo. Di lui unsuo contemporaneo fa questa magnifica descrizione: in lui l’azione e la contemplazione si accordavano così bene, che egli pareva nel tempo stesso tutto dedito alle opere esteriori e intanto tutto assorto nella presenza e nell’amore del suo Dio(S. TOMM., 2a 2æ, q. 182, a. 1 ad 3).  Commentando quel testo scritturale: Pone me ut signaculum super cor tuum, ut signaculum super brachium tuum – Mettimi come un sigillo sul tuo cuore, come un sigillo sul tuo braccio – Cant. VIII, 6), il F. Saint-Jure descrive molto bene i rapporti tra le due vite; riassumiamo le sue riflessioni. Il cuore significa la vita interiore, contemplativa; il braccio, la vita esteriore, attiva.  Il sacro testo nomina il cuore e ilbraccio per mostrare che le due vite possono allearsi e andare perfettamente d’accordo nella medesima persona.  Il cuore è nominato per il primo, perché è un organo più nobile e più necessario che il braccio; così pure la contemplazione è assai più eccellente e più perfetta, e merita più stima che non l’azione. – Il cuore batte notte e giorno, e un momento di fermata in questo organo essenziale porterebbe alla morte. Il braccio invece che è soltanto parte integrante del corpo umano, si muove solo a intervalli. Così noi dobbiamo di tanto intanto dare un po’ di tregua al nostro lavoro esteriore, ma non sospendere mai la nostra applicazione alle cose spirituali.  Il cuore dà la vita e la forza al braccio, per mezzo del sangue che gli manda, altrimenti questo membro si paralizzerebbe. Così la vita contemplativa, vita di unione con Dio, con i lumi e la continua assistenza che l’anima riceve da questa intimità, vivifica le occupazioni esteriori ed essa sola ècapace di comunicare loro, insieme con un carattere soprannaturale, una reale utilità. Senza di essa, tutto è languido, sterile, pieno d’imperfezioni.  L’uomo disgraziatamente troppo spesso separa quello che Dio ha unito, perciò questa perfetta unione è molto rara, e poi per effettuarsi esige un complesso di precauzioni che spesso si trascurano: non intraprendere nulla di superiore alle proprie forze; vedere in tutto abitualmente, ma semplicemente, la volontà di Dio; non impegnarsi nell’azione se non quando Dio lo  vuole e nella misura esatta in cui lo vuole da noi, e con il solo desiderio di esercitare la carità; offrirgli fin dal principio il nostro lavoro e durante il lavoro ravvivare spesso con santi pensieri e con ardenti giaculatorie la nostra risoluzione di agire soltanto per Lui e per mezzo di Lui; ancora durante il lavoro, qualunque sia l’attenzione che si richiede da noi, conservarci sempre nella pace, perfettamente padroni di noi medesimi; per la riuscita, rimetterci unicamente a Dio e non desiderare di essere liberati dalla fatica se non per ritrovarci soli con Gesù Cristo. Tali sono i sapientissimi consigli dei maestri della vita spirituale, per giungere a questa unione. Qualche volta le occupazioni si moltiplicheranno tanto, da richiedere tutte le nostre energie, senza che possiamo in nessun modo liberarci dal nostro peso e neppure alleggerirlo. La conseguenza ne potrà essere la privazione, per un tempo più o meno lungo, del godimento dell’unione con Dio, ma questa unione non ne soffrirà, se noi non lo vogliamo. Se tale stato si prolunga, BISOGNA SOFFRIRNE, GEMERNE E SOPRATTUTTO TEMERE CHE DIVENTI ABITUDINE. L’uomo è debole e incostante; trascurata la sua vita spirituale, ben presto ne perde il gusto; assorbito dalle occupazioni materiali, finisce con sentirne piacere. Invece se lo spirito interiore esprime la sua vitalità latente con gemiti e sospiri, questi continui lamenti che vengono da una ferita la quale non si chiude nemmeno in mezzo ad un’attività assorbente, costituiscono il merito della contemplazione sacrificata, o meglio l’anima mette in effetto quella meravigliosa e feconda unione della vita interiore e della vita attiva. Stimolata da questa sete di vita interiore, che essa non può soddisfare a suo agio » ritorna con ardore, appena lo può, alla vita di orazione. Il Signore le prepara sempre alcuni istanti di conversazione; Egli vuole però che essa vi sia fedele e le concede di poter compensare eoi fervore la brevità di quei momenti felici.  In un testo le cui parole sono tutte degne di essere meditate, san Tommaso riassume molto bene tale dottrina: Vita contemplativa, ex genere suo, maioris est meriti quam vita activa. Potest nihilominu8 uccidere ut aliquis plus mereatur aliquid exter-num agendo: pitta si propter abundantiam divini amoris, ut Eius voìuntas impleatur, propter Ipsius gloriam, interdum sustinet a dulcedine divinæ contemplationis ad tempus separati (La vita contemplativa è in sé più meritoria che la vita attiva. Può tuttavia accadere che un uomo meriti di più, facendo un atto esteriore: per esempio se per causa dell’abbondanza di amore, per compiere la volontà di Dio, per la sua gloria, si tollera qualche volta di stare privo, per qualche tempo, della dolcezza della divina contemplazione – 2a 2æ, q. 18, a. 2).  Notiamo l’abbondanza di condizioni che il santo Dottore suppone, perché l’azione diventi più meritoria della contemplazione. La molla interna che spinge l’anima all’azione non è altro che la sovrabbondanza della sua carità: Propter abundantiam divini amoris; non si tratta dunque né dell’agitazione né del capriccio né del bisogno di espandersi. E difatti è un dolore per l’anima: Sustinet, per essere privata delle dolcezze della vita di orazione (Dolcezza che avendo la sua sede soprattutto nella parte superiore dell’anima, non sopprime punto le aridità, perciò: Exsuperat omnem sensum. La logica della fede pura, arida e fredda in sé, basta alla volontà per infiammare il cuore con una fiamma soprannaturale con l’aiuto della grazia.  Sopra il suo letto di morte, a Moulins, santa Giovanna di Chantal, ima delle anime più provate nell’orazione, lasciava alle sue figliuole, come testamento, il principio di cui essa era vissuta per logica della fede: la maggiore felicità quaggiù è di potersi trattenere con Dio.), a dulcedine divinæ contemplationis… separati. Perciò essa sacrifica soltanto provvisoriamente: Accidere… interdum… ad tempus, e per un fine affatto soprannaturale: ut Eius voluntas impleatur, propter Ipsius gloriam, una parte del tempo riservato all’orazione.  – Quanta sapienza e quanta bontà nelle vie del Signore! Che meravigliosa direzione Egli dà all’anima con la vita interiore! Conservata in mezzo all’azione e intanto generosamente offerta, questa pena profonda di dover consacrare tanto tempo alle opere di Dio e così poco al Dio delle opere, trova il suo conforto. Per lei infatti scompaiono tutti i pericoli di dissipazione, di amor proprio, di affezioni naturali; invece di nuocere alla libertà di spirito e all’attività, questa disposizione di animo dà loro un carattere più serio. Essa è la forma pratica dell’esercizio della presenza di Dio, perché l’anima trova nella GRAZIA DEL MOMENTO PRESENTE, Gesù vivo che si offre a lei, nascosto sotto il lavoro da compiere: Gesù lavora con  lei e la sostiene. Quante persone sotto il peso del lavoro dovranno a questa pena salutare ben compresa, a questo desiderio sacrificato, eppure mantenuto, di avere più tempo di stare presso il santo Tabernacolo, a quelle comunioni spirituali quasi continue, dovranno, dico, la fecondità della loro azione e nel tempo stesso la sicurezza dell’anima loro e il progresso nella virtù!

5.

Eccellenza di questa unione

L’unione delle due vite, contemplativa e attiva, costituisce il vero apostolato, opera principale del Cristianesimo, come dice san Tommaso: Principalissimum officium (3a p. q. 67, a. 2 ad 1).  L’apostolato suppone anime capaci di entusiasmarsi per un’idea, di consacrarsi al trionfo di un principio. Se l’effettuazione di questo ideale diventa soprannaturale per lo spirito interiore, se il nostro zelo, nel suo scopo, nel suo focolare e nei suoi mezzi, è animato dallo spirito di Gesù, noi avremo la vita in sé più perfetta, la vita per eccellenza, poiché i teologi la preferiscono anche alla semplice contemplazione: Præfertur simplici contemplationi (San Tommaso). L’apostolato dell’uomo di orazione è la parola conquistatrice, col mandato di Dio, con lo zelo delle anime, col frutto delle conversioni: Missio a Deo, zélus animarum, fructificatio auditorum (San Bonaventura). È il vapore della fede, dalle salutari esalazioni: Zélus, id est vapor fidei (Sant’Ambrogio).  L’apostolato del santo è la semina del mondo. L’apostolo getta alle anime il frumento di Dio (P. Leon, passim, op. cit.). È l’amore in fiamme che divora la terra, l’incendio della Pentecoste irresistibilmente propagato attraverso i popoli: Ignem veni mittere in terram (Io sono venuto a gettare il fuoco sulla terra – S. Luc. XII, 19).  – La sublimità di questo ministero consiste nel provvedere alla salute degli altri, senza pregiudizio per l’apostolo: sublimatur ad hoc ut aliis provideat. Trasmettere le verità divine alle intelligenze, non è questo un ministero degno degli Angeli? Contemplare la verità è cosa buona, ma il comunicarla agli altri è meglio ancora; riflettere la luce è qualche cosa di più che il riceverla; rischiarare è meglio che risplendere sotto il moggio. Con la contemplazione l’anima si nutre, con l’apostolato si dà: Sicut maius est illuminare quam lucere solum, ita maius est contemplata aliis tradere quam solum contemplari (S. TOHM., 2a 2æ, q. 188, a. 6). – Contemplata aliis tradere: in questo ideale di apostolato, la vita di orazione resta la sorgente: tale è il pensiero evidente di san Tommaso. Questo testo, come pure le parole dello stesso santo Dottore citate alla fine del capitolo precedente, condanna chiaramente l’americanismo i cui partigiani sognano una vita mista in cui l’azione soffocherebbe la contemplazione.  Esso infatti suppone due cose: 1° che l’anima viva già abitualmente di orazione e ne viva abbastanza da dover dare soltanto il superfluo; 2° che l’azione non debba sopprimere la vita di orazione, e che, pure dandosi agli altri, l’anima debba praticare la custodia del cuore, in modo da non correre nessun serio pericolo di sottrarre l’esercizio della sua attività all’influenza di Gesù Cristo.  La parola scultoria del P. Matteo Crawley, l’apostolo della Consacrazione delle famiglie al Sacro Cuore di Gesù, traduce esattamente il pensiero di san Tommaso: L’apostolo è un calice pieno fino all’orlo, della vita di Gesù Cristo e la cui sovrabbondanza si riversa sulle anime.  Questa unione dell’azione, con tutto il suo dispendio di zelo, e della contemplazione, con le sue sublimi elevazioni, produsse i più grandi Santi, san Dionigi, san Martino, san Bernardo, san Domenico, san Francesco d’Assisi, san Francesco Saverio, san Filippo Neri, sant’Alfonso, tutti ardenti contemplativi e in pari tempo grandi apostoli.  Vita interiore e vita attiva! Santità nelle opere! Unione potente, unione feconda! quanti prodigi di conversione voi operate! O Dio, date alla vostra Chiesa molti apostoli, ma ravvivate nel loro cuore, infiammato dal desiderio di sacrificarsi, una sete ardente della vita di orazione. Date ai vostri operai questa azione contemplativa e questa contemplazione attiva; allora l’opera vostra si compirà, i vostri operai evangelici riporteranno quelle vittorie che voi annunziaste loro prima della vostra gloriosa Ascensione.