[G. Sbuttoni: Da Pietro a Pio XII, Edit. A. B. E. S. Bologna, 1953; nihil ob. et imprim. Dic. 1952]
PARTE SECONDA
DAL 1000 AI NOSTRI GIORNI
CAPO I .
LA LOTTA DELLE INVESTITURE
PREAMBOLO
1 – L’ETÀ FERREA DEL PAPATO
All’epoca delle invasioni normanne, i re sono incapaci di difendere i loro stati. Ogni proprietario influente deve organizzare per proprio conto la resistenza: s’inizia così il FEUDALISMO. Sotto questo regime i signori potenti ed anche i re che hanno conservato qualche potere, affidano volentieri importanti principati a vescovi o ad abati (Liegi, Stavelot, Malmédy); questi uomini di chiesa, essi credono, saranno più sottomessi dei vassalli laici. Inoltre, sul letto di morte, alcuni feudatari legano una parte dei loro beni alla Chiesa. Non è forse giusto? Essa è incaricata del culto, dell’istruzione pubblica, della beneficenza. In questi due modi, affluiscono alla Chiesa ricchezze e potenza. Tale situazione, apparentemente vantaggiosa, è tuttavia origine di tre mali che metteranno in pericolo la sua vita:
la dipendenza dal potere temporale,
la simonìa (= da Simon Mago, che volle comprare da Pietro la grazia dei Sacramenti),
il rilassamento dei costumi del clero.
1) I signori potenti che lasciano per testamento una delle loro terre ad un Vescovo o a un’abazia, intendono stabilire sulla sede episcopale o abaziale il candidato di loro scelta. Pretendono conferirgli l’autorità episcopale mediante il conferimento del Pastorale, e dell’Anello (investitura « per mezzo del pastorale e dell’anello »). Il signore loca locale agisce nello stesso modo riguardo ai parroci. I laici giungono anche ad asservire il Papato. La deposizione, di Carlo il Grosso (887) e la vacanza della sede imperiale lo privano del suo protettore. Si trova allora dominato dalle famiglie italiane (867-962). La restaurazione dell’Impero (= Sacro Romano Impero Germanico, 962) gli rende un protettore, ma non gli restituisce la libertà, poiché questi si arroga il potere di eleggere il Sommo Pontefice. Parroci, vescovi, abati, Papi, tutti sono sottomessi al potere temporale. La Chiesa non è forse ridotta alla condizione di una gerarchia feudale privilegiata?.
2) In tali condizioni le cariche ecclesiastiche sono brigate e comprate come feudi temporali. Il Vescovo paga la propria carica al re o al principe; in compenso vende delle parrocchie e dei canonicati. I parroci si rifanno delle spese facendo commercio dei Sacramenti, talmente che la simonia si stabilisce ovunque.
3) Si desidera trasmettere a proprio talento una carica pagata a sì caro prezzo. Questi ecclesiastici interessati e, ordinariamente, sprovvisti di vera vocazione, giudicano ormai caduto in disuso l’obbligo del celibato: prendono moglie: hanno figli che sono i loro eredi. L’immoralitàdel clero scandalizza il popolo cristiano. Ignorante e poco premuroso nel compimento dei suoi doveri, questo clero non istruisce i fedeli. Lascia che l’eresia si propaghi tanto più facilmente in quanto il popolo è disamorato della religione. « Gli scandali del clero hanno aperto la porta dalla quale le moltitudini si precipitano fuor della Chiesa » (G. Kurth).
L’ora è grave: il feudalesimo gaudente e la barbarie finiranno con il dominare la società spirituale e pacifica che è la Chiesa? Ma la Provvidenza di Dio veglia e interviene con il suo aiuto straordinario. Sorgono anche allora uomini insigni per santità e scienza, che, quali fari luminosi, diradano le dense tenebre e purificano l’atmosfera della società cristiana; appaiono allora difensori intrepidi dei diritti della Chiesa, che coraggiosamente affrontano dure battaglie per ridarle la sua indipendenza e dignità.
La più notevole di queste battaglie fu la lotta contro le investiture.
D. Che cosa significa «Investitura » ‘?
— Significa immissione in possesso di territori e di uffici da parte di sovrani
D. Quando cominciò l’istituto dell’ investitura ?
— Nel Medioevo, allorché anche gli ecclesiastici divennero feudatari per la concessione di territori e uffici da parte di sovrani. Si chiamò investitura l’immissione in possesso feudale di cotesti ecclesiastici da parte del signore laico.
D. Come venne preparata l’investitura?
— Dall’uso invalso, all’epoca di Carlo Magno e della dinastia sassone, di investire i Vescovi e gli abati di funzioni politiche, per limitare la potenza dei signorotti locali.
D. Fu vantaggiosa alla Chiesa l’investitura?
— No, portò anzi un grave danno alla libertà della Chiesa. Clero e popolo, infatti, cui spettava l’elezione dei Vescovi, furono messi presto in disparte, e spesso bastava una semplice raccomandazione del re, perché il Metropolita consacrasse la persona raccomandata, senza tener conto se era o no degna.
D. Quali conseguenze sì verificarono?
— Si finì con il non tenere quasi più conto dei meriti del consacrando e membri di nobili famiglie, senza nessuna preparazione, talvolta in giovanissima età, ascesero le cattedre episcopali. Non solo; nell’atto dell’investitura, i principi non consegnarono più ai nuovi vescovi lo scettro e lo stendardo — simboli dell’autorità politica —, ma addirittura il pastorale e l’anello — simboli del potere spirituale. La consegna poi avveniva con le parole: « Ricevi questa Chiesa ».
D. Quale fisionomia perciò assunse la dignità episcopale?
— Una fisionomia sempre più spiccatamente politica e terrena, a scapito della sua natura religiosa.
D. A chi andavano le sedi episcopali e abbaziali?
— Ai membri dell’alta aristocrazia. Tali sedi, dotate di ricche prebende, ne stuzzicavano l’avidità, cosicché essi davan loro la caccia esclusivamente con la mira di goderne le laute rendite.
D. Che cosa portò questo stato di fatto?
— Un deplorevole deterioramento nei costumi dell’alta gerarchia ecclesiastica e un accentuarsi della simonia, poiché uffici e benefici sacri si distribuivano dietro il versamento di forti somme, al punto che le dignità ecclesiastiche furono messe all’asta e cedute al miglior offerente, il quale a sua volta, per rifarsi delle spese, faceva mercimonio delle dignità minori fra i suoi subalterni.
D. Come si giustificava questa condotta?
— Con l’asserire che il potere religioso, come il civile, proveniva direttamente dalla volontà del principe.
D. Intanto che cosa si notò fra il clero?
— L’infierire dei vizi più vergognosi, particolarmente il concubinato.
D. Che cosa apparve assolutamente inderogabile?
— Il risorgere da uno stato sì miserando; e, poiché alla radice di tutti questi mali stava l’intromissione del potere laico nell’organismo ecclesiastico, era evidente che il segreto della vittoria consisteva soprattutto nell’eliminare tale abusiva intromissione.
D. Da dove partì lo stimolo della riforma?
— Dai chiostri, nei quali in quel tempo si notò un rifiorire di vita monastica, come a Cluny, a Camaldoli, a Vallombrosa. Non va taciuto tuttavia il nome di S. Pier Damiani, il focoso ravennate, che con gli scritti e la parola rivendicò ad oltranza la libertà ecclesiastica contro gli abusi del potere laico.
2 – GREGORIO VII
PREAMBOLO
Il liberatore
« Secoli di ferro» furori detti quelli (X-XI) nei quali il clero e il monachismo erano in gran parte decaduti dalla loro dignità e indipendenza spirituale sotto la pressione delle armi e dei poteri del laicato politico, organizzato nei feudi e nell’impero. Sicché non pochi abati e Vescovi e finanche Papi diventarono funzionari dell’imperatore e strumenti di ambizioni e di interessi di potenti famiglie.
La Chiesa era schiava.
Chi l’avrebbe liberata? – Gregorio VII.
D. Chi fu il campione vittorioso di quella lotta gigantesca?
— Il monaco ILDEBRANDO, che cinse la tiara con il nome di GREGORIO VII.
D. Chi fu Gregorio VII?
— Uno dei massimi successori di Pietro.
Un gigante.
Un lottatore formidabile.
Il Carducci lo paragonò ad uno scoglio che, in mezzo all’infuriar dell’onde oceaniche, non crolla. Napoleone ebbe a dirne : « Se non fossi chi sono, vorrei essere Gregorio VII ». Ed era, Gregorio, un omino di piccola statura e di gamba corta: uno scricciolo. Ma c’era in lui la fortezza suprema. La fortezza di Dio.
D. Dove nacque Ildebrando?
— A Soana (Grosseto) nel 1013. Per l’ingegno e pietà .che in lui rilucevano, i genitori lo affidarono ai Benedettini dell’Avventino. Essi educarono in lui il necessario liberatore della Chiesa.
D. Come gli nacque l’idea della riforma?
— Recatosi in Germania, al seguito di Gregorio VI, là poté constatare — inorridito — il mercimonio che si compiva dei benefìci ecclesiastici. Fu allora che concepì il pensiero di riformare la gerarchia ecclesiastica sottraendola alla nefasta influenza del potere imperiale, e di trasformare il clero, fiacco e rammollito, staccandolo dall’avida sete delle ricchezze terrene.
D. Dove perfezionò il suo programma di riforma!
— Nella sacra solitudine di Cluny, da dove uscì nel 1048, per accingersi con zelo all’ingrata fatica, a fianco dei Papi, di cui godé piena fiducia.
D. Come iniziò l’opera sua?
— Nel 1049 Leone IX venne eletto Papa dall’imperatore Enrico III; Ildebrando lo indusse a non assumere le insegne pontificali, finché non avesse avuto la conferma dell’elezione da Roma. Era un primo passo nel processo di rivendicazione della libertà d’elezione del Papa.
D. Che fece dopo questo primo passo?
— Gli riuscì di far eleggere un intrepido assertore della riforma, Nicolò II, il quale nel 1059 emanò alcuni decreti di capitale importanza per la libertà e la riforma della Chiesa, in quanto colpivano con pene gravissime il concubinato, rivendicavano la nomina dei Vescovi al Papa e al clero, deputavano l’elezione del Papa a un collegio permanente, composto di soli Cardinali. Con il successore, Alessandro II, batté la stessa strada.
D . Che si venne a notare intanto?
— I primi sintomi di lotta, con la reazione dei vescovi simoniaci colpiti dai decreti della riforma, i quali tentarono di appoggiare l’antipapa Onorio II, ma, alla morte di Alessandro II, lo scisma era cessato, e Ildebrando, eletto Papa nel 1073 per acclamazione, trovò sgombro il campo da competitori.
D. Che fece eletto Papa?
— Proseguì con energia decuplicata l’opera di riforma. Scrisse ad abati e Vescovi e re, deplorando le misere condizioni in cui versava la Chiesa.
D. Dov’è che la posizione morale del clero era peggiore?
— In Germania e per gran colpa di Enrico IV imperatore, per la sua condotta riprovevole e per la nomina di Vescovi simoniaci e libertini.
D. Che fa Gregorio VII nel Concilio Lateranense del 1074?
— Rinnova i decreti antecedenti contro la simonia e il concubinato e la promessa di servigio (specie di vassallaggio) all’autorità secolare.
D. Che cosa suscita questo rinnovo?
— Un’enorme opposizione da parte di Vescovi e di preti, ma il Papa resta irremovibile.
— Se noi, scrive egli, consentissimo di tacere davanti, alle iniquità dei prìncipi della terra, potremmo certamente avere la loro amicizia regale, sudditanza e grandi onorificenze… ma preferiamo piuttosto morire che tradire il nostro dovere. Non siamo liberi di trascurare, per riguardo a qualsiasi persona, la legge di Dio e deviare dal retto sentiero in grazia del favore degli uomini, poiché l’Apostolo dice: « Se io piacessi agli uomini, non sarei servo di Cristo ».
D. Che fa ancora per recidere il tumore alla radice?
— Nella quaresima del 1075 vieta a Vescovi, abati e preti di ricevere qualsiasi investitura di uffici sacri dai laici; a conti, duchi, re e imperatori di concedere per l’avvenire simili investiture; pena, in ambedue i casi, la scomunica.
D. Chi ora si ribella?
— Enrico IV, che, raccolta a Worms una dieta, nel gennaio 1076, dichiara deposto Gregorio VII e invia un messo a recare il decreto di deposizione al Pontefice, che si trova a Roma a presiedere un concilio in Laterano.
D. Come risponde Gregorio?
— Con la scomunica contro Enrico, che dichiara deposto dal trono, e scioglie inoltre i sudditi dal giuramento di fedeltà.
D. Che provocò la scomunica?
— La ribellione dei re vassalli contro Enrico e l’abbandono di tutti. Anzi le cose giungono al punto che nell’ottobre del 1076 la dieta di Tribur sta per eleggere un nuovo sovrano. La grave decisione viene a stento rimandata all’altra dieta da convocarsi ad Augusta nel febbraio successivo, da presiedersi dallo stesso Pontefice.
D. Che fa Enrico?
— Decide di prevenirla, non volendo comparire davanti ai suoi nemici in veste di accusato. Valica, benché d’inverno, le Alpi e scende nel piano lombardo.
D. E Gregorio?
— Sorpreso a Mantova da questa notizia, temendo in Enrico propositi di vendetta, si rifugia a CANOSSA, piccolo feudo della contessa Matilde, fra le montagne del Reggiano. Enrico sale lassù e chiede un colloquio con il Papa.
D. Viene accolta la richiesta?
— Sì, dopo che, per tre giorni, l’imperatore ha atteso in abito da penitente (25 – 27 gennaio 1077) davanti alle mura del castello. Viene assolto dalla scomunica solo dopo aver giurato che avrebbe aderito alle decisioni della dieta di Augusta.
D. È sincera la conversione dell’imperatore?
— No, infatti manda a monte la dieta di Augusta e ostacola quella di Forscheim.
D. Che fanno intanto i princìpi tedeschi?
— Per rappresaglia eleggono re Rodolfo di Svevia. Si scatena la guerra civile, che produce tante rovine, mentre Enrico compone il suo stato maggiore di vescovi e abati simoniaci e concubini.
D. E il Papa?
— Tenta invano di interporre la sua opera per giungere ad una pacificazione; e allora colpisce Enrico con una seconda scomunica, sciogliendo di nuovo i sudditi dal giuramento di fedeltà (7 marzo 1080).
D. Come reagisce Enrico?
— Deponendo Gregorio ed eleggendo antipapa Guiberto di Ravenna. Nel tentativo, ch’egli fece, di insediare l’antipapa in Roma, fu impedito dai Normanni di Roberto il Guiscardo. Vi riesce nel marzo del 1084, ma alla notizia che il Guiscardo s’avvicina a Roma con 30.000 soldati, fugge precipitosamente, lasciando la città preda delle soldatesche normanne.
D. Che fa Gregorio?
— Non potendo tollerare di vedere lo scempio che vi è compiuto, si ritira a Salerno, dove, stremato dalle fatiche e dai dolori, spira la sua grande anima il 24 maggio 1085.
D. Quali furono le sue ultime parole?
— « Amai la giustizia, odiai l’iniquità; per questo muoio in esilio ». Queste parole, grido ultimo della sua coscienza rettissima, ne sono il più fedele ritratto.
D. Simile fine non lo fa apparire uno sconfitto?
— Parve uno sconfitto…
Ma i Papi, si sa, non sono mai così vittoriosi come quando sembrano vinti. Gli avvenimenti susseguitisi infatti lo dimostrano vittorioso. Giacché si trovano compiute le imprese da lui incominciate, da lui ispirate, cioè:
stabilito il celibato ecclesiastico,
tolte di mezzo la simonia e le investiture feudali delle chiese,
tralasciata la conferma imperiale del Sommo Pontefice,
due dei designati da lui fatti Papi,
la potenza temporale accresciuta dalle donazioni della contessa Matilde,
già fatte sin dai giorni di Canossa,
le Crociate, da lui escogitate, effettuate,
la potenza imperiale abbattuta così, che non si rialzò mai più ad assoluta in Italia,
e quindi (ciò che importa qui particolarmente) i Comuni costituiti, e il nome di lui, bestemmiato dai contemporanei, santificato dalla Chiesa… (così Cesare Balbo).
D. Quale l’interpretazione migliore della supremazIa esercitata da Gregorio su popoli e sovrani?
— Quella che ammette nella Chiesa una « potestas indirecta » sullo Stato, in ordine agl’interessi spirituali.
D. Secondo tale dottrina, che può fare un Papa?
— Può deporre un capo di Stato (naturalmente cattolico), quando il suo contegno gravemente lede i diritti della Chiesa e delle anime.
Del resto, come dice Pio IX, il diritto di deporre i re, riconosciuto ai Papi, era una conseguenza del diritto pubblico d’allora e del consenso delle nazioni cristiane.
PREAMBOLO
Vindice di giustizia e libertà
Il parlamentarismo, che sembra il massimo portato della moderna democrazia, come impallidisce di fronte alle Wittenagemote di Bretagna, ai Campi di Maggio dei Franchi, alle Diete di Roncaglia in Italia, alle Cortes di Spagna, alle Assemblee Portoghesi nella pianura di Bakot, in cui rappresentanti di ogni ordine di persone si raccoglievano per discutere leggi, di cui neppur un articolo aveva valore senza. l’approvazione della maggioranza!
Il giuramento dì Pontìda e ì notturni convegni svizzeri sotto la quercia di Truns o nella prateria del Rutli, nulla hanno da invidiare alle rivoluzioni moderne per l’indipendenza dei popoli.
La « Magna Charta», imposta al tiranno Giovanni Senza Terra, dalla armata « di Dio e della S. Chiesa » raccolta dai baroni con a capo il rappresentante d’Innocenzo III, Stefano Longton, arcivescovo di Cantebury, e gli Statuti dei Comuni, sono modelli di legislazione, in cui autorità e libertà, giustizia e carità si fondono e armonizzano stupendamente. – Ma nonostante tutto spesso avveniva che i popoli erano alla mercé dei prìncipi, ritenuti da questi come gente da sfruttare, anziché accolte di uomini liberi da governare; e allora ecco levarsi, grondanti di sangue, figure di tiranni come Giovanni Senza Terra ed Ezzelino da Romano; di strozzatori di libertà come Enrico IV, Barbarossa, Federico II.
Chi sorse a rivendicare i diritti dei popoli?
Chi si levò vindice di giustizia e di libertà?
— Il Papa!
Tale egli appariva in quei tempi di gran fede, venerato dai popoli e temuto dai prìncipi; perciò a lui appellavano gli oppressi, dinnanzi a lui dovevano giustificarsi o fare ammenda gli oppressori. Canossa, che vide Enrico IV umiliato ai piedi di Gregorio VII, e Venezia, che vide il Barbarossa curvarsi vinto dinanzi ad Alessandro III, più che trionfi del Papato furono trionfi della libertà, furono pietre miliari sul cammino dei popoli verso l’emancipazione da servaggi assurdi. Quando l’autocratismo cesareo si riaffermerà con il Rinascimento, e, causa un rilassamento nella fede, verrà a mancare in questo campo il prestigio dei Papi, i popoli finiranno con il farsi giustizia da sé e con il rivendicare nel sangue i diritti alla libertà, che sarà momentaneamente libertinaggio, alla giustizia, la quale temporaneamente trascenderà nella violenza. La Rivoluzione Francese ed il bolscevismo russo insegnano qualche cosa.
• • •
D. Fu ripreso dai successori il programma gregoriano!
— Sì, specialmente da Urbano II, l’animatore infaticabile delle Crociate, che nel concilio di Melfi del 1089 rinnovò il divieto contro l’investitura laica e contro la simonia e il concubinato.
D . Che fece Urbano II contro Enrico IV?
— Rinnovò contro di lui e contro l’antipapa Giliberto (Clemente III) la scomunica.
D. Come si liberò dall’antipapa?
— Caldeggiò le nozze di Matilde di Canossa con Guelfo di Baviera, unione che unì per un momento la Germania meridionale con l’Italia settentrionale e provocò la cacciata dell’antipapa da Roma (1089).
D. Con quale rappresaglia rispose Enrico IV!
— Ripassa le Alpi e prende a devastare gli Stati dì Matilde; ma costei non piega e resiste virilmente allo scomunicato, la cui stella sta tramontando dopo l’abbandono del figlio Corrado e della moglie, e il rafforzarsi del partito cattolico.
D. Come si diportò il successore di Enrico IV?
— Enrico V, costretto il padre ad abdicare, continuò nella linea di condotta paterna in tema di investiture. Infatti, rivalicate le Alpi, piegò al suo volere il papa Pasquale II, che gli accordò il privilegio di conferire l’investitura mediante il pastorale e l’anello a quei vescovi ed abati che non fossero stati eletti simoniacamente.
D . Quanto durò cotesto privilegio?
— Dal 1111 al 1112, poiché la protesta di numerosi Cardinali e Vescovi fece pentire il Papa del suo gesto e lo spinse a revocare il privilegio estorto con la frode e la violenza (Conc. Laterano – 1112).
D. Come reagì Enrico V?
— Ritornò in Italia per trattare con il Papa, ma questi nel 1116 lancia la scomunica sul privilegio ingiustamente carpito; succedono poi gravi torbidi, che si ripercossero sul successore di Pasquale II, Gelasio II, che andò a morire, poverissimo, a Cluny.
D. Come terminò la cosa?
— Papa Callisto II nel 1122, convocata la dieta di Worms, fece accettare a Enrico VI il cosiddetto PATTO di CALLISTO, con cui l’imperatore rinunciava all’investitura dei Vescovi mediante il pastorale e l’anello, riservata esclusivamente alla Chiesa, garantiva la libertà delle elezioni e restituiva al Papa i possessi usurpati.
D. Che cosa dava il Papa come contropartita?
— Consentiva che in Germania, dove tutti i Vescovi ed abati erano anche principi, le elezioni venissero fatte alla presenza del legato imperiale — esclusa ogni simonia — e l’eletto ricevesse l’investitura del feudo, ma soltanto con la consegna dello scettro, fatta prima della consacrazione e dell’investitura ecclesiastica.
D. In Italia come avveniva ogni elezione?
— Senza la presenza di alcun legato regio; l’eletto veniva subito consacrato e riceveva l’investitura dei feudi dopo la consacrazione e mediante lo scettro.
D. Gli altri paesi furono funestati dalla lotta delle investiture ?
— Sì, ma in Inghilterra fu definita con concordato del 1105 e in Francia terminò l’anno prima.
D. Che cosa si ebbe con il patto di Worms?
— Si ebbe salva la libertà della Chiesa e si accettò il principio
dell’assoluta distinzione fra il potere temporale e spirituale, concretato nella doppia investitura: dello scettro per i feudi vescovili concessa dall’autorità statale, e del pastorale e dell’anello per la missione religiosa, concessa dall’Autorità Ecclesiastica.
D. Che cosa rappresentava tutto questo?
— L’attuazione dell’opera di Gregorio VII.
D. Quanto durò la pace tra Impero e Papato?
— Circa 30 anni, finché sorse Federico Barbarossa, infatuato dell’ambizione di ricondurre l’impero al fastigio di Carlo Magno o anzi dell’età romana.
D. Chi si oppose a tali progetti?
— Il Papato e i Comuni. I Comuni erano sorti come reazione contro gli arbitri dei feudatari, che rendevano i sudditi servi della gleba.
D. Chi appoggiò i Comuni nelle rivendicazioni delle libertà democratiche
— L’episcopato e la S. Sede. Il primo a gettare le basi del glorioso
Comune di Milano f u il Vescovo ARIBERTO da INTIMIANO, che nel 1036 raccolse attorno al Carroccio le truppe del popolo per resistere ai soprusi dell’imperatore Corrado e dei suoi feudatari.
D. Quale fu il partito del rinnovamento democratico della .società?
— Il GUELFO, che faceva capo idealmente al Papa, in contrapposto al GHIBELLINO, sostenitore del feudalesimo aristocratico e imperiale.
D. Tu che cosa si risolse la storia civile italiana nel medioevo?
— Soprattutto nelle lotte cruente di queste due opposte correnti politiche.
D . Che fece il Barbarossa!
— Riprese aspra la lotta contro la Chiesa sul tema delle investiture e provocò guerre su guerre contro i Comuni italiani, i quali nell’affermarsi delle loro fortune in una salda concezione e pratica cristiana della vita privata e pubblica, spronati dall’esempio e dall’accordo con il Papato (Alessandro III), ressero all’urto e ne ebbero ragione con la vittoria di Legnano (1176). cui seguì la pace di Venezia (1177) tra Federico e il Papato, e la pace di Costanza (1183) tra Federico e i Comuni.
D. Che cosa rappresentò la vittoria di Legnano!
— Una tappa decisiva nella storia d’Italia.
LA CHIESA E LA CULTURA
Chi, nella storia della scuola e perciò della cultura lasciò un’impronta luminosa quanto mai, fu Carlo Magno. Divenuto imperatore, egli fece della scuola una passione e la diffuse ovunque poté. Per agevolarla impose ai monaci di Francia la regola di S. Benedetto, perché più favorevole allo studio, subordinò alla cultura sia la concessione dei benefici ai sacerdoti che l’accesso alle cariche dello Stato ai nobili e, mentre si adoperò attivamente per organizzare nell’Impero una scuola di Stato, alla sua corte fondò una scuola superiore per i nobili, la SCUOLA PALATINA, ed una specie di accademia, prevenendo quelle del Rinascimento italiano, in cui i soci assumevano un nome antico: per es. Carlo Magno, Alenino ed Angilberto si chiamavano rispettivamente David, Fiacco ed Omero.La Chiesa in più modi esercitò influenza in questa rinascita della cultura. – Influì sulla formazione di Carlo Magno, istruito da un diacono: Pietro da Pisa. Cooperò all’attuazione del programma di lui, attraverso il monaco Alcuino, fondatore della Scuola Palatina, in cui i primi maestri furono uomini di Chiesa. E quando i successori di Carlo Magno parvero incuranti della scuola, furono i Vescovi, come Teofilo di Orleans, a ordinare ai sacerdoti di tener scuola nei borghi e nelle campagne e a sollecitare l’imperatore a fondare scuole pubbliche. Quando le scuole di Stato cominciarono a declinare (intorno all’825) e si chiese la separazione delle scuole di Stato da quelle ecclesiastiche, le prime decaddero, le seconde si rinvigorirono e fiorirono, ancora distinte in tre specie: parrocchiali, vescovili e monastiche. Dalle scuole vescovili, secondo l’opinione più accreditata, derivarono le UNIVERSITÀ’.