DOMENICA XII DOPO PENTECOSTE (2020).
Semidoppio.- Paramenti verdi.
Nell’ufficio divino si effettua in questo tempo la lettura delle Parabole o Proverbi di Salomone. « Queste parabole sono utili per conoscere la sapienza e la disciplina, per comprendere le parole della prudenza, per ricevere l’istruzione della dottrina, la giustizia e l’equità affinché sia donato a tutti i piccoli il discernimento e ai giovani la scienza e l’intelligenza. Il savio ascoltando diventerà più savio e l’intelligente possederà i mezzi per governare! (7° Nott.). Salomone non era che la figura di Cristo, che è la Sapienza incarnata come leggiamo nel Vangelo di questo giorno: « Beati gli occhi che vedono quello che voi vedete, poiché io ve lo dico, molti profeti e re hanno voluto vedere quello che voi vedete e non hanno potuto; e ascoltare quello che voi ascoltate e non hanno inteso ». « Beati, dice S. Beda, gli occhi che possono conoscere i misteri del Signore, dei quali è detto: « Voi li avete rivelati ai piccoli ». Beati gli occhi di questi piccoli, ai quali il Figlio degnò rivelarsi e rivelare il Padre. Ed ecco un dottore della legge che ha pensato di tentare il Signore e l’interroga sulla vita eterna (Vang.). Ma il tranello che tende a Gesù Cristo mostra come era vero quello che il Signore aveva detto rivolgendosi al Padre: « Tu hai nascoste queste cose ai saggi e ai prudenti e le hai rivelate ai piccoli» (2° Nott.). — « Figlio mio, dice Salomone, il timor di Dio è il principio della sapienza. Se i peccatori vogliono attirarti non acconsentir loro. Se essi dicono: Vieni con noi, tendiamo agguati all’innocente, inghiottiamolo vivo e intero com’è inghiottito il morto che scende nella tomba; noi troveremo ogni sorta di beni preziosi, riempiremo le nostre case di bottini; figlio mio, non andare con loro, allontana i tuoi passi dal loro sentiero. Poiché i loro passi sono rivolti al male ed essi si affrettano per versar sangue. E s’impadroniscono dell’anima di coloro che soggiogano » (7» Nott.). — Cosi i demoni agirono col primo uomo, poiché quando Adamo cadde nel peccato, lo spogliarono di tutti i suoi beni e lo coprirono di ferite. Il peccato originale, infatti, priva l’uomo di tutti i doni della grazia e lo colpisce nella sua stessa natura. La tua intelligenza è meno viva e la sua volontà meno ferma, poiché la concupiscenza che regna nelle sue membra lo porta al male. Per fargli comprendere la sua impotenza — poiché, dice S. Paolo, la nostra attitudine a intendere viene da Dio (Ep.) — Jahvé stabilì la legge mosaica che gli dava precetti senza dargli la forza di compierli, ossia senza la grazia divina. Allora, l’uomo comprendendo che gli bisognava l’aiuto di Dio per essere guarito, per volere il bene, per realizzarlo e per perseverare in esso fino alla fine, rivolse il suo sguardo al cielo: « O Dio, gridò, e non deve giammai cessare di gridare: O Dio, vieni in mio aiuto; Signore, affrettati a soccorrermi! Siano confusi coloro che cercano l’anima mia » (Intr.). — « Signore, Dio della mia salute, io ho gridato verso di te tutto il giorno e la notte » (All.). E Dio allora risolse di venire in aiuto dell’uomo e poiché i sacerdoti ed i leviti dell’antica legge non avevano potuto cooperare con lui, mandò Gesù Cristo, che si fece, secondo il pensiero di S. Gregorio, il prossimo dell’uomo, rivestendosi della nostra umanità per guarirla (3° Nott.). Queste è quanto ci dicono l’Epistola e il Vangelo. La legge del Sinai, scolpita in lettere su pietre, spiega S. Paolo, fu un ministero di morte perché, l’abbiamo già visto, non dava la forza di compiere ciò che comandava. Cosi l’Offertorio ci mostra come Mose dovette Intervenire presso Dio per calmare la sua ira provocata dai peccati del suo popolo. La Legge della grazia è Invece un ministero di giustificazione, perché lo Spirito Santo che fu mandato alla Chiesa nel giorno della Pentecoste, giorno in cui la vecchia legge fu abrogata, dava la forza di osservare i precetti del decalogo e quelli della Chiesa. Cosi S. Paolo dice: « La lettera uccide, ma lo Spirito vivifica » (Ep.). E il Vangelo ne fa la dimostrazione nella parabola del buon Samaritano. All’impotente legge mosaica, rappresentata in qualche modo dal sacerdote e dal levita della parabola evangelica, il buon Samaritano che è Gesù, sostituisce una nuova legge estranea all’antica e viene Egli stesso in aiuto dell’uomo. Medico delle nostre anime, versò nelle nostre ferite l’unzione della sua grazia, l’olio dei suoi sacramenti e il vino della sua Eucaristia. Per questo la liturgia canta, in uno stile ricco di immagini, la bontà del Signore, che ha fatto produrre sulla terra il pane che fortifica l’uomo, il vino che rallegra il suo cuore, e l’olio che dona al suo viso un aspetto di gioia (Com.). « Io benedirò, dice il Graduale, il Signore in tutti i tempi: la sua lode sarà sempre sulle mie labbra ». Noi dobbiamo imitare verso il nostro prossimo quello che Dio ha fatto per noi e quello di cui il Samaritano è l’esempio. « Nessuna cosa è maggiormente prossimo delle membra che il capo, dice S. Beda: amiamo dunque colui che è fratello del Cristo, cioè siamo pronti a rendergli tutti i servizi sia temporali che spirituali dicui potrà aver bisogno » (3° Nott.). Né la legge mosaica, né il Vangelo separano l’amore verso Dio dall’amore di chi dobbiamo ritenere come prossimo: amore soprannaturale nella sua origine, poiché procede dallo Spirito Santo; amore soprannaturale nel soggetto perché è Dio nella persona dei nostri fratelli. Il prossimo di questo uomo ferito non è, come pensavano i Giudei, colui che è legato per vincoli di sangue, ma colui che si china caritatevolmente su di esso per soccorrerlo. L’unione in Cristo, che giunge fino a farci amare quelli che ci odiano e perdonare a quelli che ci hanno fatto del male, perché Dio è in essi, o è chiamato ad essere in essi, è il vero amore del prossimo. Perfezionati dalla grazia, noi dobbiamo imitare il Padre nostro del cielo, che, calmato dalla preghiera di Mosè, figura di Cristo, colmò di beni il popolo che l’aveva offeso (Off., Com.). — Uniti dunque con Cristo, [Questa unità dei Cristiani e del Cristo fa sì che si chiami Gesù il Samaritano, cioè lo straniero, per indicare che i Gentili imiteranno Cristo mentre i Giudei increduli lo disprezzeranno], curviamoci con Lui verso il prossimo che soffre. Questo sarà il miglior modo di diventare, per la misericordia divina, atti a servire Dio onnipotente, degnamente e lodevolmente, e di ottenere che, rialzati dalla grazia, noi corriamo, senza più cadere, verso il cielo promesso (Oraz.) . «Gesù, dice S. Beda, il Venerabile, mostra in maniera chiarissima che non vi è che un solo amore, il quale deve essere manifestato non solo a parole ma con le buone opere, ed è questo che conduce alla vita eterna ». (3° Nott.).
La gloria dei ministero di Mosè fu assai grande: raggi miracolosi brillavano sul volto del legislatore dell’antica legge, allorché discese dal Sinai. Ma questo ministero era inferiore al ministero evangelico. Il primo era passeggero: il secondo doveva surrogarlo e durare per sempre. Il primo era scritto su tavole di pietra, era il ministero della lettera; il secondo è tutto spirituale, è il ministero dello spirito. Il primo produceva spesso la morte spirituale spingendo alla ribellione con la molteplicità dei suoi precetti difficili ad adempirsi; il secondo è accompagnato dalle grazie dello Spirito d’amore, che gli Apostoli distribuiscono alle anime. L’uno è dunque un ministero che provoca i terribili giudizi di Dio, e l’altro è un ministero che giustifica gli uomini davanti a Dio, perché dona ad essi lo Spirito che vivifica.
« Quest’uomo che scendeva da Gerusalemme a Gerico, dice S. Beda, è Adamo che rappresenta il genere umano. Gerusalemme è la città della pace celeste, della beatitudine dalla quale è stato allontanato per il peccato. I ladri sono il demonio e i suoi angeli nelle mani dei quali Adamo è caduto nella sua discesa. Questi lo spogliarono di tutto: gli tolsero la gloria dell’immortalità e la veste dell’innocenza.. Le piaghe che gli fecero, sono i peccati che, intaccando l’integrità dell’umana natura, fecero entrare la morte dalle ferite aperte. Lo lasciarono mezzo morto, perché se lo spogliarono della beatitudine della vita immortale, non riuscirono a togliergli l’uso della ragione colla quale conosceva Dio. Il sacerdote e il levita che, avendo veduto il ferito, passarono oltre, indicano i sacerdoti e i ministri dell’Antico Testamento che potevano solamente, con i decreti della legge, mostrare le ferite del mondo languente, ma non potevano guarirle, perché era loro impossibile – al dire dell’Apostolo – cancellare i peccati col sangue dei buoi e degli agnelli. Il buon Samaritano, parola che significa guardiano, e lo stesso Signore. Fatto uomo, s’è avvicinato a noi con la grande compassione che ci ha mostrata. L’albergo è la Chiesa ove Gesù stesso conduce l’uomo, ponendolo sulla cavalcatura perché nessuno, se non è battezzato, unito al corpo di Cristo, e portato come la pecora sperduta sulle spalle del buon Pastore, può far parte della Chiesa. I due danari sono i due Testamenti sui quali sono impressi il nome e l’effigie del Re eterno. La fine della legge è Cristo. Questi due denari furono dati all’albergatore il giorno dopo, perché Gesù il giorno seguente la sua risurrezione aprì gli occhi dell’intelligenza ai discepoli di Emmaus e ai suoi Apostoli perché comprendessero le sante Scritture. Il giorno seguente, infatti, l’albergatore, ricevette i due danari, come compenso delle sue cure verso il ferito perché lo Spirito Santo, venendo su la Chiesa, insegnò agli Apostoli tutte le verità perché potessero istruire le nazioni e predicare il Vangelo » (Omelia del giorno).
Incipit
In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.
Introitus
LXIX: 2-3
Deus, in adjutórium meum inténde: Dómine, ad adjuvándum me festína: confundántur et revereántur inimíci mei, qui quærunt ánimam meam.
[O Dio, vieni in mio aiuto: o Signore, affrettati ad aiutarmi: siano confusi e svergognati i miei nemici, che attentano alla mia vita.]
Ps LXIX: 4
Avertántur retrórsum et erubéscant: qui cógitant mihi mala.
[Vadano delusi e scornati coloro che tramano contro di me.]
Deus, in adjutórium meum inténde: Dómine, ad adjuvándum me festína: confundántur et revereántur inimíci mei, qui quærunt ánimam meam.
[O Dio, vieni in mio aiuto: o Signore, affrettati ad aiutarmi: siano confusi e svergognati i miei nemici, che attentano alla mia vita.]
Oratio
Orémus.
Omnípotens et miséricors Deus, de cujus múnere venit, ut tibi a fidélibus tuis digne et laudabíliter serviátur: tríbue, quǽsumus, nobis; ut ad promissiónes tuas sine offensióne currámus.
[Onnipotente e misericordioso Iddio, poiché dalla tua grazia proviene che i tuoi fedeli Ti servano degnamente e lodevolmente, concedici, Te ne preghiamo, di correre, senza ostacoli, verso i beni da Te promessi.]
Lectio
Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corinthios. 2 Cor III: 4-9.
“Fratres: Fidúciam talem habémus per Christum ad Deum: non quod sufficiéntes simus cogitáre áliquid a nobis, quasi ex nobis: sed sufficiéntia nostra ex Deo est: qui et idóneos nos fecit minístros novi testaménti: non líttera, sed spíritu: líttera enim occídit, spíritus autem vivíficat. Quod si ministrátio mortis, lítteris deformáta in lapídibus, fuit in glória; ita ut non possent inténdere fili Israël in fáciem Moysi, propter glóriam vultus ejus, quæ evacuátur: quómodo non magis ministrátio Spíritus erit in glória? Nam si ministrátio damnátionis glória est multo magis abúndat ministérium justítiæ in glória.”
[“Fratelli: Tanta fiducia in Dio noi l’abbiamo per Cristo. Non che siamo capaci da noi a pensar qualche cosa, come se venisse da noi; ma la nostra capacità viene da Dio, il quale ci ha anche resi idonei a essere ministri della nuova alleanza, non della lettera, ma dello spirito; perché la lettera uccide ma lo spirito dà vita. Ora, se il ministero della morte, scolpito in lettere su pietre, è stato circonfuso di gloria in modo che i figli d’Israele non potevano fissare lo sguardo in faccia a Mosè, tanto era lo splendore passeggero del suo volto; quanto più non sarà circonfuso di gloria il ministero dello Spirito? Invero, se è glorioso il ministero di condanna, molto più è superiore in gloria il ministero di giustizia”].
OMELIA I
[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia 1921)
Il SACERDOZIO
La severa lettera di San Paolo a quei di Corinto aveva prodotto un salutare effetto. Quella comunità aveva preso ora un andamento più consolante; e, sebbene gli sconvenienti non fossero tutti scomparsi, c’era fondata speranza che l’ulteriore azione di S. Paolo riuscisse al compimento dell’opera incominciata. Non dormivano, è naturale i suoi nemici; anzi lo combattevano più aspramente di prima. Cercavano soprattutto di metterlo in discredito negandogli la dignità e l’autorità di Apostolo e criticando il suo modo di operare. Era in gioco la missione di Apostolo, affidata da Dio a Paolo, e questi crede suo dovere di difendersi dai falsi apostoli, perché non riuscissero a trar dalla loro parte i fedeli, specialmente i neofiti. Ed ecco che dalla Macedonia, pochi mesi dopo la prima, invia a Corinto una seconda lettera, in cui rivendica la sua autorità di Apostolo, e ribatte le calunnie dei suoi avversari. L’epistola di quest’oggi è un passo della lettera dove San Paolo difende il suo ministero. Se egli si presenta come predicatore della fede non lo fa per vana gloria, ben riconoscendo la sua insufficienza. Tutto il suo vanto lo ripone in Dio, per la cui grazia, datagli per mezzo di Gesù Cristo, egli compie il suo ministero tra loro. Dio ha scelto lui e i suoi compagni a essere ministri idonei del nuovo Testamento, in cui non regna più la lettera che uccide come nell’antico, ma lo spirito che dà la vita della grazia. È un ministero superiore all’antico per la gloria di cui è circonfuso. Il ministero della legge che uccide — non dando la forza di praticare ciò che prescrive — fu circondato di gloria, come si vide sul volto di Mosè, che portava questa legge scolpita in tavole di pietra. Questa gloria dev’esser sorpassata da quella che circonda il ministero dello spirito che vivifica. La gloria del ministero che vivifica è, senza confronto, superiore alla gloria del ministero di condanna. Il contenuto dell’Epistola di quest’oggi ci porta a parlare del Sacerdote Cattolico, il quale:
1. È banditore d’una dottrina sublime,
2. È dispensatore dei divini misteri,
3. Merita il nostro rispetto e le nostre premure.
1.
La nostra capacità viene da Dio, il quale ci ha anche resi idonei a esser ministri della nuova alleanza, non della lettera, ma dello spirito. L’Apostolo compie il suo ministero per la grazia di Dio. Egli, che lo ha scelto a suo ministro, lo ha reso idoneo a predicare la dottrina del Vangelo, nel quale regna lo spirito, e non più la lettera come nell’antico testamento. Come San Paolo, ogni Sacerdote è scelto da Dio, che lo rende idoneo a predicare la dottrina del Vangelo. Con la dottrina del Vangelo il sacerdote si fa guida agli uomini in questo terreno pellegrinaggio. Satana, il padre della menzogna, fa deviare dal retto sentiero i nostri progenitori nel paradiso terrestre. Fa deviare, dopo di essi, continuamente, i loro discendenti. Ha, in questo, ai suoi ordini una schiera di alleati. Insegnanti, conferenziere, settari, gaudenti, beffardi, libri, riviste, giornali, direttamente o indirettamente, tolgono di vista all’uomo la meta, cui deve arrivare. E l’uomo comincia ad essere indeciso; smarrisce il sentiero e, smarritolo, non ha più la volontà di rifare la via da capo. Il Sacerdote è posto da Dio a illuminare la via che l’uomo deve percorrere. Egli addita i pericoli da schivare, indica la via sicura, e la rischiara con gli insegnamenti di Colui che proclamò:« Io sono la via » (Giov. XIV, 6.). Ismaele va errando nel deserto di Betsabea, tormentato dalla sete. Questa è ormai divenuta insostenibile, e la madre per non vedere il figlio morire, lo abbandona sotto un arbusto. Dio ascolta il grido di Agar e di Ismaele, e manda il suo Angelo a mostrare il pozzo d’acqua ristoratrice (Gen. XXI, 14 segg.). Il Sacerdote è l’Angelo che al viandante diretto alla patria celeste, ormai privo del primo fervore, annoiato dalla lunghezza del cammino, stanco per la sua asprezza, indeciso a continuarlo, solleva lo spirito e infonde nuova forza e coraggio, facendogli porre la fiducia in Colui che dice: «Non si turbi il vostro cuore. Abbiate fede in Dio, e abbiate fede anche in me» (Giov. XIV, 1). – La parola del Sacerdote è l’unica che sappia veramente appagare il cuore e l’intelligenza dell’uomo. La sua dottrina «non è cosa umana» (Gal. I, 4) Perciò avvince tutte le intelligenze, fa superar tutte le difficoltà. Le scoperte, il progresso, le migliorate condizioni sociali non possono togliere nulla alla efficacia e alla bellezza della dottrina del Vangelo. La parola di Dio non può scolorire davanti alla parola degli uomini. È una dottrina che non invecchierà Mai, che non avrà mai bisogno d’essere sfrondata o corretta.
2.
L’Apostolo, facendo il confronto tra l’antica alleanza, che si fondava sulla lettera, cioè sulla legge scritta, e la nuova alleanza, che è opera dello Spirito Santo, osserva: la lettera uccide, ma lo spinto dà vita. La lettera, ossia la legge scritta uccide, perché non dando la grazia necessaria a compiere ciò che è comandato e ad evitare ciò che è proibito, era, indirettamente, occasione di peccato, e quindi di morte eterna. Lo spirito dà vita, perché nella nuova legge, lo Spirito Santo dà la grazia, con cui l’uomo può osservare ciò che esternamente viene comandato o proibito. E il Sacerdote, in questa nuova legge, è fatto da Dio l’idoneo dispensatore della grazia. –
3.
L’uomo nasce figlio di questa valle di lagrime, spoglio d’ogni bene soprannaturale. Il Sacerdote versa sul suo capo l’acqua battesimale, ed egli rinasce figlio del cielo, adorno dei beni della grazia. Per il ministero del Sacerdote gli è aperta la porta al regno di Gesù Cristo, la Chiesa, e acquista il diritto a ricevere gli altri Sacramenti con l’abbondanza delle grazie, che li accompagnano. – Ogni uomo è destinato preda alla morte. Chi nasce muore. Quando arriva questo giorno, l’uomo si trova ancora di fianco il Sacerdote. «E’ infermo alcuno tra voi? — è scritto nel Nuovo Testamento — chiami i Sacerdoti della Chiesa e facciano orazione su lui, ungendolo con l’olio nel nome del Signore» (Giac. V, 19). Così si pratica nella Chiesa Cattolica. Presso il morente accorre il Sacerdote, che gli amministra il Sacramento dell’olio Santo, il quale con la sua grazia porta sollievo spirituale e corporale ai Cristiani gravemente infermi. L’uomo ha pur sempre bisogno dei soccorsi della grazia durante la sua vita. La grazia santificante, che ci viene infusa nel Battesimo, generalmente non rimane a lungo. Al primo svegliarsi delle passioni si perde facilmente. E con la perdita della grazia santificante è perduto anche il diritto alla eredità celeste. L’uomo che ha perduto la grazia santificante è un povero figlio diseredato, che ha bisogno di essere riconciliato con il Padre. Anche questa volta è il Sacerdote che avvicina il figlio al Padre. Egli, pronunciando nel tribunale di penitenza le parole dell’assoluzione, apre al figlio pentito la casa del Padre, lo rimette nelle sue grazie, e gli riacquista i diritti perduti. Ma chi aveva strappato il figlio dalla casa del padre, non si dà pace ora che ve lo vede riammesso. È questa per lui una sconfitta insopportabile, che lo spinge alla rivincita. Occorrono forze raddoppiate per resistere ai suoi assalti. Il Sacerdote procurerà queste forze, somministrandogli un pane che è la fonte delle grazie. Nelle vicinanze di Betsaida Gesù Cristo, mosso a compassione delle turbe che da tre giorni l’avevano seguito, pensa a ristorarle, perché nel ritorno alle loro case, sfinite di forze, non abbiano a venir meno per via. Moltiplicati dei pani che gli furono presentati, « li diede ai suoi discepoli, perché li ponessero davanti alle turbe ». (Marc. VIII, 6). Nell’ultima cena dà incarico ai discepoli di distribuire con le loro mani ai fedeli il Pane eucaristico, perché possano fortificarsi nel combattimento spirituale, e non venir meno sotto gli assalti del demonio, del mondo, della carne. Difatti, « mentre mangiavano Gesù prese del pane, lo benedisse, lo spezzò e lo diede ai suoi discepoli dicendo: — Prendete e mangiate, questo è il mio corpo, (Matt. XXVI, 26) il quale è dato per voi: fate questo in memoria di me » – E i Sacerdoti, seguendo il comando di Gesù Cristo, continuano a rinnovare nella santa Messa la consacrazione eucaristica e a distribuire ai fedeli questo Pane di vita. – Il Beato Giovanni de Brébeuf, martire canadese, si trovava in un villaggio di Uroni, quando all’improvviso giungono gli Irochesi, loro terribili nemici. I capitani presenti fanno uscire dal villaggio le donne e i fanciulli, e pregano il Beato e il suo compagno, padre Gabriele Lalemant a seguire i fuggiaschi. «La vostra presenza — dicono essi — non ci può esser di servizio alcuno. Voi non sapete maneggiare né l’accetta né il fucile». — «C’è qualcosa ch’è più necessaria delle armi, — risponde il de Brébeuf — e sono i Sacramenti che noi soli possiamo amministrare. Il nostro posto è in mezzo a voi». E rimasero infatti ad amministrare i Sacramenti, ricevendo in premio la corona del martirio (Nicola Risi, Gli otto Martiri Canadesi della Compagnia di Gesù. Torino, 1926. p. 63-64). Nessuno può dispensare ai fedeli i tesori spirituali che dispensa il sacerdote. S. Paolo esalta tutta l’importanza del ministero sacerdotale con una semplice frase, chiamandolo ministero circonfuso di gloria. È, dunque, un ministero che merita tutto il nostro rispetto e il nostro interessamento. Ma questo contegno non è, pur troppo, il contegno della maggior parte. Per alcuni il Sacerdote non esiste che per esser bersaglio alle critiche, alle calunnie, alle persecuzioni. I preti, secondo essi, sono la cagione di tutti i malanni che succedono, o che potrebbero succedere. Ci sono i settari, i nemici della Religione, che combattono il Sacerdote per i loro fini. In battaglia si cerca di colpire specialmente gli ufficiali. Tolti di mezzo questi, i battaglioni si disgregano. I nemici della Religione Cattolica cercano di colpire specialmente i Sacerdoti per scristianizzare il popolo. – Altri si interessano del Sacerdote e lo stimano finché fa comodo. Diventa loro insopportabile quando, costretto dal proprio dovere, dà qualche ammonimento o fa qualche osservazione. «Chi vien biasimato o ripreso — nota in proposito il Grisostomo — chiunque egli sia, tralasciando affatto di essere riconoscente, diventa nemico » (In 1 Epist. ad Thess. Hom. 10, 1). E il Cristiano che viene avvisato, ammonito, ripreso dal Sacerdote gli diventa nemico. – Per altri il Sacerdote non esiste. Non gli si fanno critiche, ma neppure si pensa a lui. Lo si lascia stare. È considerato come uno che compie una funzione sociale qualsiasi, e niente di più. Questo non è un tributare l’onore, il rispetto, che s’addicono alla dignità dei ministri del nuovo Testamento. I Sacerdoti siano uomini; avranno anch’essi i loro difetti. Noi dobbiamo, però, considerare la loro dignità e non voler scrutare le loro azioni. «Non mi accada mai — scrive S. Gerolamo — che io dica qualcosa di sfavorevole rispetto a coloro, che, succeduti alla dignità apostolica, con la bocca consacrata ci danno il Corpo di Cristo, e per mezzo dei quali noi siamo Cristiani; e i quali, avendo le chiavi del regno celeste, in certo qual modo giudicano prima del giudizio» (Epist. 14, 8 ad Heliod.). – La nostra deferenza verso i Sacerdoti dobbiamo dimostrala, pure, nell’ascoltar volentieri la parola del Vangelo, da essi predicata, nel mostrarci docili alle loro cure. « Poiché — nota S. Cipriano — le eresie e gli scismi non trassero origine da altro, che dalla disubbidienza al Sacerdote di Dio» (Epist. 13, 5). – Se per mezzo del Sacerdote riceviamo i Sacramenti, partecipiamo ai divini misteri, usufruiamo delle celesti benedizioni, non possiamo disinteressarci di lui. Non basta il rispetto, la docilità alla sua parola. La riconoscenza deve spingerci a pregare per lui. La Chiesa ha stabilito giorni particolari di preghiere e di penitenza pei sacerdoti: le quattro tempora. Il Cristiano, però, non deve limitarsi a pregare pei Sacerdoti che salgono l’altare la prima volta. Deve pregare per i novelli Sacerdoti, deve pregare per quelli che sono incanutiti nel ministero, e deve pregare pei Sacerdoti futuri. Lo comanda Gesù: « La messe è veramente copiosa, ma gli operai sono pochi. Pregate il padrone della messe che mandi gli operai a lavorare nel suo campo (Matt. IX, 37-38). E che gli operai oggi siano pochi lo constatiamo tutti. Concorriamo adunque con la preghiera, e anche con quel contributo materiale che ci è possibile, a mandar nuovi operai nella vigna del Signore. Favorendo le vocazioni al Sacerdozio, faremo opera graditissima a Gesù perché concorreremo a procurargli dei collaboratori; faremo opera di carità squisita al prossimo, concorrendo a procurargli una guida spirituale; faremo il nostro migliore vantaggio perché ci faremo partecipi, in qualche modo, dei meriti che si acquista il Sacerdote nel salvar le anime.
Graduale
Ps XXXIII: 2-3.
Benedícam Dóminum in omni témpore: semper laus ejus in ore meo.
[Benedirò il Signore in ogni tempo: la sua lode sarà sempre sulle mie labbra.]
V. In Dómino laudábitur ánima mea: áudiant mansuéti, et læténtur.
[La mia anima sarà esaltata nel Signore: lo ascoltino i mansueti e siano rallegrati.]
Alleluja
Allelúja, allelúja
Ps LXXXVII: 2
Dómine, Deus salútis meæ, in die clamávi et nocte coram te. Allelúja.
[O Signore Iddio, mia salvezza: ho gridato a Te giorno e notte. Allelúia.]
Evangelium
Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum S. Lucam.
Luc. X: 23-37
“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Beáti óculi, qui vident quæ vos videtis. Dico enim vobis, quod multi prophétæ et reges voluérunt vidére quæ vos videtis, et non vidérunt: et audire quæ audítis, et non audiérunt. Et ecce, quidam legisperítus surréxit, tentans illum, et dicens: Magister, quid faciéndo vitam ætérnam possidébo? At ille dixit ad eum: In lege quid scriptum est? quómodo legis? Ille respóndens, dixit: Díliges Dóminum, Deum tuum, ex toto corde tuo, et ex tota ánima tua, et ex ómnibus víribus tuis; et ex omni mente tua: et próximum tuum sicut teípsum. Dixítque illi: Recte respondísti: hoc fac, et vives. Ille autem volens justificáre seípsum, dixit ad Jesum: Et quis est meus próximus? Suscípiens autem Jesus, dixit: Homo quidam descendébat ab Jerúsalem in Jéricho, et íncidit in latrónes, qui étiam despoliavérunt eum: et plagis impósitis abiérunt, semivívo relícto. Accidit autem, ut sacerdos quidam descénderet eádem via: et viso illo præterívit. Simíliter et levíta, cum esset secus locum et vidéret eum, pertránsiit. Samaritánus autem quidam iter fáciens, venit secus eum: et videns eum, misericórdia motus est. Et apprópians, alligávit vulnera ejus, infúndens óleum et vinum: et impónens illum in juméntum suum, duxit in stábulum, et curam ejus egit. Et áltera die prótulit duos denários et dedit stabulário, et ait: Curam illíus habe: et quodcúmque supererogáveris, ego cum redíero, reddam tibi. Quis horum trium vidétur tibi próximus fuísse illi, qui íncidit in latrónes? At ille dixit: Qui fecit misericórdiam in illum. Et ait illi Jesus: Vade, et tu fac simíliter.”
[“In quel tempo Gesù disse a’ suoi discepoli: Beati gli occhi che veggono quello che voi vedete. Imperocché vi dico, che molti profeti e regi bramarono di vedere quello che voi vedete, e no videro; e udire quello che voi udite, e non l’udirono. Allora alzatosi un certo dottor di legge per tentarlo, gli disse: Maestro, che debbo io fare per possedere la vita eterna? Ma Egli disse a lui: Che è quello che sta scritto nella legge? come leggi tu? Quegli rispose, e disse: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuor tuo, e con tutta l’anima tua, e con tutte le tue forze, o con tutto il tuo spirito; e il prossimo tuo come te stesso. E Gesù gli disse: Bene hai risposto: fa questo e vivrai. Ma quegli volendo giustificare se stesso, disse a Gesù: E chi è mio prossimo? E Gesù prese la parola, e disse: Un uomo andava da Gerusalemme a Gerico, e diede negli assassini, i quali ancor lo spogliarono; e avendogli date delle ferite, se n’andarono, lasciandolo mezzo morto. Or avvenne che passò per la stessa strada un sacerdote, il quale vedutolo passò oltre. Similmente anche un levita, arrivato vicino a quel luogo, e veduto colui, tirò innanzi: ma un Samaritano, che faceva suo viaggio, giunse presso lui; e vedutolo, si mosse a compassione. E se gli accostò, e fasciò le ferite di lui, spargendovi sopra olio e vino; e messolo sul suo giumento, lo condusse all’albergo, ed ebbe cura di esso. E il dì seguente tirò fuori due danari, e li diede all’ostiere, e dissegli: Abbi cura di lui: e tutto quello che spenderai di più te lo restituirò al mio ritorno. Chi di questi tre ti pare egli essere stato prossimo per colui che diede negli assassini? E quegli rispose: Colui che usò ad esso misericordia. E Gesù gli disse: Va’, fa’ anche tu allo stesso modo.”]
OMELIA II
Sopra l’amor del prossimo.
“Diliges proximum tuum sicut te ipsum”. Luc. X
Che convien fare per possedere la vita eterna, chiedeva un giorno un dottor della legge al Salvatore del mondo? Cui Gesù Cristo rispose: ch’è scritto e che leggete nella legge? Voi amerete il Signore vostro Dio, ripigliò il dottore, con tutto il vostro cuore, con tutta la vostr’anima, con tutte le vostre forze, con tutto i1 vostro spirito, ed il vostro prossimo come voi medesimo: Diliges, etc. Voi avete risposto benissimo, soggiunse Gesù Cristo; fate questo e vivrete. Ma il dottore, volendo farsi stimare per uomo dabbene, domandò a Gesù Cristo chi fosse il suo prossimo. Il Salvatore, per istruirlo, gliene fece il ritratto in questa parabola. Un uomo disse, che scendeva da Gerusalemme a Gerico, cadde nelle mani degli assassini, che lo spogliarono, e, caricatolo di colpi, lo lasciarono mezzo morto. Alcuni passeggeri videro l’infelice in quel pessimo stato senza dare il minimo segno di compassione; ma un Samaritano, che faceva viaggio, avendolo veduto, venne a lui: mosso da compassione per quell’uomo, gli benda le piaghe, dopo avervi versato dell’olio e del vino, lo conduce ad un’osteria e prende cura di lui; il giorno dopo dà due monete all’oste e gli raccomanda quello sgraziato sino alla sua intera guarigione, promettendo di rendergli al suo ritorno tutto ciò che avrebbe speso di più. Quale, disse Gesù Cristo, è stato il prossimo di quell’uomo? Egli è, rispose il dottore, colui che l’ha con carità assistito. E Gesù Cristo: Andate, gli disse, e fate lo stesso: Vade, et tu fac similiter. Ecco, fratelli miei, il modello che Gesù Cristo ha voluto proporci, come a quel dottore, per apprendere la carità, che dobbiamo avere per il prossimo. Tale è il modo con cui dobbiamo adempiere questo gran precetto, che ci comanda di amare il nostro prossimo come noi medesimi, cioè di fargli tutto il bene che vorremmo fosse fatto a noi medesimi. Diliges proximum tuum sicut te ipsum. Ma ohimè! quanto questo precetto è al giorno d’oggi mal osservato tra noi! Questo bel fuoco, che Gesù Cristo è venuto ad accendere sulla terra, è quasi interamente estinto dagli odi, dalle vendette, dai disordini che regnare si vedono nelle famiglie, nelle città, nelle Provincie e nei regni. Perché non poss’io, fratelli miei, riaccendere in questo giorno nei vostri cuori questo bel fuoco, che fa il carattere dei discepoli di Gesù Cristo? Si è per questo fine, che io voglio farvi vedere l’obbligazione ed il modo di adempierlo. Voi l’amerete come voi medesimi: sicut te ipsum; eccone la regola, ed il mio secondo punto.
I . Punto. Non solamente nella legge di grazia è stato detto: voi amerete il vostro. prossimo: Diliges proxcimum: questa legge è sì antica, quanto il mondo; essa ha cominciato prima di lui; Dio ne impresse il carattere nel cuore dei nostri primi genitori per trasmetterla alla loro posterità. A misura che gli uomini si moltiplicarono, essa ricevette maggior estensione; e fu per perpetuarla che il Signore volle ancora scolpirla sopra tavole di pietra che diede a Mosè per pubblicarla al suo popolo. Ma siccome questa legge non aveva ancora la sua perfezione, ed era anche di già cancellata nel cuore della maggior parte degli uomini, Gesù Cristo, che era venuto per compire ciò che le marcava, la rinnovò per via del suo divino Spirito, e le diede l’ultima perfezione. Ed è per questo, che la mette nel numero delle prime massime del suo Vangelo, che la chiama suo comandamento speciale: Hoc est præceptum meum,ut diligatis invicem (Jo. XV). Si è un comandamento nuovo, che io vi do: Mandatum novum; Egli vuole che si osservi in una maniera affatto nuova e con maggior perfezione che nell’antica legge, cioè che gli uomini si amino gli uni cogli altri , come Gesù Cristo li ha amati, che amino anche i loro più crudeli nemici: Mandatum novum do vobis, ut diligatis invicem, sicut dilexi vos (Jo. XIII). – Tali sono, fratelli miei, le parole della legge che comanda l’amor del prossimo; legge formale e precisa che non soffre verun equivoco; legge indispensabile, contro cui non si può recare alcuna scusa per esentarsene; legge la più giusta e la più ragionevole, che appoggiata sopra i più sodi fondamenti, voglio dire sopra i rapporti, che uomini hanno con Dio, e sopra quelli, che hanno tra essi. Noi dobbiamo amare il nostro prossimo; e perché? Perché egli è l’opera e l’immagine di Dio, perché egli è stato riscattato col sangue di un Dio: ecco i rapporti ch’egli ha con Dio. Noi dobbiamo amare nostro prossimo: e perché? In qualità di uomini noi siamo tutti fratelli, e più ancora in qualità di Cristiani: ecco i rapporti, ch’egli ha con noi medesimi. – L’uomo è l’opera e l’immagine di Dio, del che non possiamo noi dubitare. Allorché Dio stabilì di trarlo dal nulla, facciamo – disse – l’uomo a nostra immagine e somiglianza: Faciamus hominem ad imaginem, et similitudinem nostram (Gen. 1). Egli ne formò il corpo d’un po’ di terra, che animò con un soffio di vita d’una sostanza spirituale, che rappresenta nella sua essenza la Divinità medesima, che l’imita nelle sue operazioni, e che essendo immortale partecipa della sua eternità. Questo uomo formato ad immagine di Dio, è ancora il prezzo del sangue d’un Dio, egli è stato redento e salvato con la morte d’un Dio-uomo, ed in questa qualità egli è figliuolo adottivo di Dio, erede del suo regno, l’oggetto del suo amore e della sua vigilanza veramente paterna. Qual forti motivi di amar questo prossimo! Negargli amore non sarebbe egli negarlo a Dio medesimo, che l’ha creato e redento? Mentre se voi non amate il vostro prossimo che vedete, come amerete Dio che non vedete? dice S. Giovanni. Se voi non amate il vostro prossimo, come potete voi dire che amate Dio? Poiché voi trasgredite uno dei primi comandamenti, e si è dall’osservanza de’ suoi comandamenti che Egli conosce coloro che l’amano e se siamo colpevoli di prevaricazione contro tutti i punti della legge, trasgredendone un solo, come dice s. Giacomo, che sarà trasgredirli, per cosi dire, tutti, non osservando il precetto della carità, che è la pienezza della legge? Non evvi dunque salute alcuna a sperare per coloro che non amano il loro prossimo. Invano, fratelli miei, parlereste il linguaggio degli Angeli; invano avreste una fede sì viva da trasferire i monti, come dice S. Paolo; invano passereste tutti i vostri giorni in orazione; invano abbandonereste il vostro corpo a tutti i rigori del digiuno e della mortificazione: se voi non avete la carità, soggiunge lo stesso Apostolo, tutto questo a nulla vi serve: Si charitatem non habuero , nihil mini prodest (1. Cor. XIII). Bisogna praticarla prima d’ogni altra virtù, dice il principe degli Apostoli: Ante omnia in vobis metipsis mutuam charitatem habentes (2 Pet. IV). Ne conta già, che quell’uomo, quella donna che non amate non meriti il vostro amore, che sia un genio bizzarro con cui non si può vivere, che quell’uomo che la legge vi prescrive di amare come voi medesimo sia soggetto a difetti che lo rendono indegno di vostr’amicizia; ch’egli sia indegno di entrare in alcuna società; che vi abbia anche insultato, oltraggiato, e che abbia sempre mal animo contro di voi. Io voglio credere che quella persona con la sua condotta meriti piuttosto il vostro sdegno che la vostra amicizia: che sia anche soggetta a difetti che la rendono oggetto del dispregio e dell’orrore del genere umano: ma quella persona è l’immagine di Dio, ella è il prezzo del suo sangue; ecco ciò che dovete risguardare in essa. Non sono i suoi vizi, i suoi difetti, i suoi disordini, che Dio vi comanda di amare, non è la sua condotta che vi chiede di approvare; si è la sua somiglianza, si è voi medesimo che convien considerare; chiudete gli occhi su tutto il restante: vi basti di sapere che Dio è rappresentato da quell’uomo che vi dispiace, che vi ha pur anche offeso, per non far conto di qualunque altra ragione, perché si è Dio che dovete amare in quell’uomo, e quell’uomo per Dio: diliges proximum. Che l’immagine del re sia scolpita sul piombo o sull’oro, ella è sempre rispettabile; che l’immagine di Dio sia in un uomo vizioso o virtuoso, ella è sempre in questa qualità degna dei vostri rispetti e del vostro amore. Riguardate questa immagine, o piuttosto riguardate Dio, e gli renderete ciò che domanda da voi; riguardate altresì ciò che il prossimo è a voi medesimi, e vi troverete un altro fondamento della carità che dobbiamo avere gli uni per gli altri. – Si può considerare l’uomo o per quel che è in sé stesso, o per quel che è in qualità di Cristiano. Sotto queste due qualità gli uomini hanno dei rapporti, dei legami gli uni cogli altri che debbono serrare i nodi d’una stretta carità. Ogni uomo è prossimo ad un altro uomo, dice s. Agostino; come uomini, noi siamo tutti usciti dalla medesima origine, abbiamo tutti il medesimo Padre. Affinché non abbiamo tutti che un medesimo cuore , dice il Crisostomo, noi siamo tutti composti della medesima natura, d’un corpo e d’un’anima somiglianti. noi abitiamo la medesima terra, noi siamo alimentati con i medesimi beni che essa produce. Non crediate dunque – dice s. Agostino – perché siete ricchi, ed il vostro prossimo è povero, di essere dispensati dall’amarlo. Perché voi siete ricchi, non avete bisogno di lui, io ne convengo; ma quel povero, quell’indigente, è uomo come voi, egli è vostro simile, non dipendeva che da Dio di arricchirlo, d’innalzarlo come voi, e forse meritato più l’ha egli che voi. Che cosa avete voi fatto a Dio di più di lui per avere dei beni ch’egli non ha? Dio non poteva forse ridurvi nel medesimo stato in cui egli è? Riguardate dunque voi medesimi in quell’uomo, che avete dispregiato, aggiunge s. Agostino: attende te ipsum. Egli è vostro fratello, egli è un altro a voi medesimo, e in questa qualità egli è degno del vostro amore; ma quanto non merita ancora in qualità di Cristiano! – Infatti noi siamo tutti fratelli di Gesù Cristo, ed il legame, che il Cristianesimo produce tra gli uomini è ancora più forte di quello dell’umanità. Come Cristiani, noi siamo tutti rigenerati con lo stesso Battesimo, noi abbiamo tutti lo stesso padre, che è Dio, la stessa madre, ch’è la Chiesa, lo stesso cibo, che sono i Sacramenti, la stessa eredità, che è il cielo; noi siamo i membri d’un medesimo corpo, di cui Gesù Cristo è il capo. Poveri e ricchi, grandi e piccoli, nobili e plebei, re e sudditi sapienti ed ignoranti, tutti appartengono al Corpo mistico di Gesù Cristo; tutti per conseguenza debbono esser uniti coi legami di una stessa carità. Mirate l’unione e la corrispondenza che sono tra le membra del corpo umano. Questo è il paragone di cui servesi il grande Apostolo. Vos estis corpus Christi, et membra de membro (1a Cor. XII). Tutti i suoi membri s’interessano l’uno per l’altro, il dolore dell’uno si comunica a tutti gli altri, e non si tosto è guarito, che ne risentono anch’essi alleviamento. Gli occhi conducono i piedi, le mani difendono il capo; nella distribuzione che si fa degli alimenti, ogni membro conserva solo ciò che gli è necessario, e lascia il restante pel nutrimento degli altri. Se qualcheduno di essi è incomodato o debole, gli altri lo soccorrono e lo sostengono; se il piede cammina su d’una spina e ne sia ferito, quantunque elevati sieno gli occhi, essi si abbassano per cercarla, la mano si mette in istato di cavarla; tutti i membri, in una parola, hanno una tal unione gli uni cogli altri, che i beni e i mali loro sono comuni a tutti. – Tali sono gli effetti che la carità deve produrre tra i Cristiani, che sono i membri d’un medesimo corpo. Tutti questi membri debbono essere talmente uniti insieme, che si rendano reciprocamente tutti gli aiuti di cui hanno bisogno, di modo che gli uni facciano la funzione degli occhi, gli altri quella del piede, come la Scrittura dichiara del Santo Giobbe, quando dice, che egli era l’occhio del cielo, il piede dello zoppo Oculus fui cæco, per claudo (Job. XXIX). Quelli che sono al di sopra degli altri per la loro autorità, e che sono come il capo del corpo, debbono scendere nella miseria dei poveri per dare loro soccorso; quelli che sono sani soccorrere gli infermi, i sapienti istruire gli ignoranti, aiutarli col consiglio. E per seguire il paragone di s. Paolo, per rapporto ai membri che sono inferiori agli altri, i piedi del corpo umano, benché molto inferiori al corpo, non portano invidia alcuna; così ì Cristiani che sono nella povertà e nell’abbassamento non debbono invidiare la sorte di coloro che sono più fortunati. Benché un membro sia incurabile, e con i suoi dolori faccia soffrire gli altri, niuno tuttavia si sdegna contro di lui; tutti al contrario lo compatiscono e non sono consentire a separarsi. Così dobbiamo soffrire dagli altri, dai nostri più crudeli nemici, ancora che mettono la nostra pazienza alla prova. Nulla deve estinguere la carità, che deve unir insieme i membri di Gesù Cristo. Chiunque è separato dal suo fratello per inimicizia contro di lui non appartiene a questo Corpo mistico, di cui Gesù Cristo è il capo; egli è un membro guasto, che trovasi in uno stato di morte: Qui non diligit, manet in morte (1 Jo. III); perché egli non ha quello spirito di carità, che è il segno a cui Gesù Cristo ha voluto che si riconoscessero i suoi discepoli: Si quis spirìtum Christi non habet, hic non est eius (Rom. VIII). – Con tutto ciò, fratelli miei, dove si trova questa carità cristiana, che deve tessere il legame dei cuori? Niun si veggono al contrario tra i Cristiani, che inimicizie, che divisioni, che dissapori, che gelosie, che ingiustizie. L’uno cerca di distrugger l’altro con vessazioni o con inganni ed artifici. Questi s’impadronisce ingiustamente d’un bene che non gli appartiene; quegli lacera crudelmente la riputazione del suo fratello: i grandi opprimono i piccoli; i piccoli portano invidia ai grandi; gli uguali non possono soffrirsi; di modo che si può dire, che tra le creature l’uomo non trova alcun più crudele nemico che l’uomo medesimo. Non v’è più fedeltà tra gli amici; non si sa più, dicesi, di chi fidarsi; il commercio degli uomini diventa insopportabile; e non si trova, per cosi dire, tranquillità che nel loro allontanamento; quei medesimi che sono i più prossimi, per i vincoli della carne e del sangue, sono talvolta i più grandi nemici; si trova sovente più di soccorso presso d’uno straniero che presso d’un congiunto. Testimonio quell’uomo dell’odierno Vangelo, che fu abbandonato da’ suoi vicini, e sollevato da un Samaritano, che era straniero alla sua nazione. Spesse volte, dirollo? voi vedrete persone che fanno, professione di pietà, le quali si lasciano trasportare da antipatie, da avversioni contro quelli che hanno la disgrazia di loro dispiacere, che essi non possono mirar di buon occhio, ed a cui danno al più al più alcuni segni esteriori di carità finta, che serve di mantello ad un rancore raffinato, ad una colpevole freddezza; voi le vedete nulladimeno accostarsi ai sacramenti, fare molte buone opere, osservare esattamente certe pratiche di divozione, le quali non essendo animate dallo spirito di carità, non possono essere gradite a Dio né meritar da Lui ricompensa. Oh carità dei primi Cristiani, che li univa sì intimamente che non facevano tutti che un cuore ed un’anima sola, purché non regni tu ancora nello spirito e nel cuore dei Cristiani dei nostri giorni? Possiate, fratelli miei, riaccendere in voi quel bel fuoco che animava il Cristianesimo nascente! Possiamo noi veder rivivere questa carità fraterna, che fa il carattere dei discepoli di Gesù Cristo? Bisogna mostrarvene la pratica: sicut te ipsum.
II. Punto. Allorché Dio ci ha fatto comandamento di amare il nostro prossimo, Egli prevedeva tutti i falsi pretesti, di cui servirebbesi l’amor proprio per eludere la forza di questa legge; Egli proscriveva per conseguenza di già anticipatamente quelle amicizie finte ed apparenti, sterili ed inefficaci, quelle amicizie politiche, le quali finiscono in alcune parole cortesi, in alcune offerte di servigi; amicizia apparente che non è nel cuore, amicizia sterile che è senza effetto. E perciò Dio ci ha comandato di amar il nostro prossimo come noi medesimi: Diliges sicut te ipsum; perché l’amore che abbiamo per noi medesimi è un amor sincero ed efficace. Tal deve essere altresì il nostro amore per il prossimo; deve essere un amor sincero che sia nel cuore, opposto alle amicizie apparenti, le quali non ne hanno che la scorza: deve essere un amor efficace, che si manifesti con le opere, opposto alle amicizie sterili, che sono senza effetto. Ma perché l’amore, che abbiamo per noi medesimi, benché sincero sia ed efficace, non è sempre ben regolato, non è sempre animato da un buon motivo, ed è sovente vizioso, mondano, carnale, interessato, Gesù Cristo ha voluto ancora purificare il nostro amore pel prossimo, proponendoci per modello quel che Egli ha per noi medesimi: Sicut dilexi vos (Jo. III). Laonde, per riassumere tutte le qualità e tutte te regole, che deve avere la carità fraterna, ella deve essere sincera nel suo principio, efficace nelle sue opere, pura nei suoi motivi. Tale fu quella del Samaritano, di cui Gesù Cristo ci propone l’esempio. Sincero. Noi ci amiamo con un amore sincero, e si può dire che in ciò non c’inganniamo; non solamente non ci vogliamo alcun male, ma ci desideriamo ancora tutti i beni, che ci sono necessari, utili e dilettevoli. Osservate dunque, dice s. Agostino, quanto vi amate voi medesimi, per amare nello stesso modo il vostro prossimo: Attende quantum te diligis, sic dilige proximum. Riguardate il vostro prossimo come un altro voi medesimo, per non desiderargli né fargli del male più che a voi medesimi, per desiderargli e fargli tutto il bene che gradireste fatto a voi. Ecco la regola della carità cristiana. Perché amate voi medesimi, voi non vorreste che altri s’impadronisse ingiustamente dei vostri beni, che denigrasse la vostra riputazione con nere calunnie, che v’insultasse con amari motteggi: perché dunque non vi diportate così a riguardo del vostro prossimo? Perché amate voi medesimi, voi vi desiderate tutto il bene che vi è necessario per preservarvi dai mali della vita; dovete avere i medesimi sentimenti per il vostro prossimo. Non crediate dunque di soddisfare al dovere della carità vivendo in uno stato d’indifferenza a suo riguardo. Il precetto dell’amore domanda il vostro cuore, ricusarglielo si è mancar al precetto. Mirate il Samaritano del Vangelo, che Gesù Cristo vi propone a modello: alla vista di quel povero ferito, che ritrova mezzo morto sulla strada, sente toccarsi il cuore di compassione, misericordia motus; si mette in luogo di quel meschino per rendergli tutti i servigi che la carità gl’inspira. Si è dal cuore, si è da un amor sincero che partono tutti i passi, ch’egli fa per soccorrerlo, misericordia motus. Gran soggetto d’istruzione, fratelli miei, e nello stesso tempo di confusione per quei cuori duri ed insensibili alle miserie del prossimo, i quali sono indifferenti sulle altrui avversità, e si contentano al più di dare alcuni segni esteriori di compassione, ove il cuore non ha alcuna parte! Se voi foste nell’afflizione, oppressi da malattia, da sinistri accidenti, non gradireste voi che gli altri avessero di voi compassione, ed entrassero a parte dei vostri dolori? Invano dunque vi lusingate di amare il vostro prossimo se voi non avete per lui i medesimi sentimenti che vorreste egli avesse per voi medesimi: Diliges etc. – Perché voi vi amate con un amore sincero, volete che si sopportino i vostri difetti, che si abbia dell’indulgenza per voi; e voi sopportate similmente i difetti altrui, abbiate per gli altri la medesima indulgenza, che vorreste si avesse per voi, ed adempirete la legge di Gesù-Cristo: Alter alterius onera portate, et sic adimplebitis legem Christi (Gal. VI). Ecco qui, fratelli miei, un punto notabile per la pratica della carità. Noi abbiamo tutti dei difetti e delle debolezze, che ci espongono ad essere offesi gli uni dagli altri; siamo nulladimeno obbligati a vivere insieme; bisogna dunque, per rendere la società sopportabile, perdonali l’un l’altro, sopportare le nostre debolezze, altrimenti converrebbe rompere ogni commercio cogli uomini; nel che consiste la sapienza ammirabile del nostro Dio, che ci ha comandato di amarci gli uni con gli altri come noi medesimi, perché, amandoci in tal modo, noi vicendevolmente ci perdoniamo. Dio, che comanda a noi di sopportar gli altri, comanda loro di sopportar noi. Se ciascuno adempie al suo dovere, la pace non sarà giammai alterata, come è pur troppo dalle dissensioni, dalle guerre intestine, che desolano le famiglie: quale n’è la cagione? La mancanza di carità a sopportare i difetti del suo prossimo. Quanti ve ne sono che vogliono essere scusati e sopportati in ogni cosa, e nulla sanno sopportar negli altri? Domandano che si abbia dell’indulgenza per essi, mentre trattano gli altri con arroganza, li insultano, li dispregiano a cagione dei loro difetti. Ed è questo forse amar il suo prossimo come se stesso? No, senza dubbio, la carità cristiana segue la stessa regola pel prossimo che per sé. Ma quanto è mai raro ritrovare questa carità che soffre tutto, che perdona tutto, che desidera del bene a tutti! Credono essi di soddisfare al dovere della carità con alcune dimostrazioni di amicizia, che danno al prossimo; ma sotto queste belle apparenze non hanno alcun amore vero e sincero, ne volete la prova? Accada al prossimo qualche sinistro affare, qualche disgrazia, qualche perdita di beni: ne provano un piacere segreto, che hanno cura di nascondere sotto finte proteste di cordoglio che sentono dell’altrui avversità; al contrario si affliggono della sua prosperità, mentre esteriormente sembrano rallegrarsene, prova certissima che non l’amano come se stessi con un amor sincero, perché, per amarlo in tal modo, bisogna entrar a parte delle sue disgrazie e delle sue prosperità, come delle nostre proprie. No, no. fratelli miei, non è già nelle parole che consiste la carità, ma bensì nel cuore; e quando essa è nel cuore, si fa vedere con gli effetti: Non diligamus verbo, sed opere veritate (1. Jo. XIII). – Ma, torno a dire, qual è l’amore, che noi abbiamo per noi medesimi? Non solamente non ci desideriamo del bene, ma usiamo ancora tutti i mezzi di procurarcene e di trovare allievamento nei nostri bisogni. Siamo noi nell’indigenza? Cerchiamo i mezzi di pervenire ad una miglior fortuna. Siamo infermi? ricorriamo ai medici. Siamo nell’afflizione? cerchiamo la consolazione presso di un amico. In una parola, l’amore ingegnoso che abbiamo per noi medesimi, ci fa mettere in uso ogni mezzo per trovare tutto ciò che ci è necessario. Si è in tal modo che un amor sincero ed efficace dee diportarsi verso del suo prossimo. Perciocché contentarsi di semplici desideri senza venirne all’effetto è egli forse, fratelli miei, un adempiere i doveri della carità? Si è imitar quei viandanti, che videro quell’uomo ferito sulla strada di Gerico, e che si contentarono di avere per lui alcuni sentimenti di compassione senza dargli verun soccorso. Perché non imitiamo noi al contrario la condotta del pietoso Samaritano, che, seguendo i movimenti della sua compassione, gli diede tutte le prove d’una carità che previene, senza aspettare che quel povero ferito gli chiedesse aiuto? Egli si accosta a lui, molto diverso da quegli uomini duri, che nulla cotanto temono quanto l’aspetto dei miserabili, e da cui nulla si può ottenere se non a forza d’importunità: egli è premuroso di apportar rimedio ai mali di lui, versa dell’olio e del vino sopra le sue piaghe, lo porta alla vicina osteria, e con generosa carità si obbliga di pagar la spesa, che per quell’uomo farà d’uopo sino alla sua perfetta guarigione. Ecco, dice Gesù Cristo, il modello che dovete seguire: Vade, et tu fac similiter! Per venirne alla pratica fa d’uopo studiare tutti i bisogni del corpo e dell’anima, cui è ridotto il vostro prossimo, per dargli tutti gli aiuti che da noi dipendono. Il vostro fratello è egli nell’indigenza, abbattuto dagli infortuni, dalle miserie dei tempi? Porgetegli una mano pietosa per aiutarlo a rialzarsi col vostro danaro, col vostro credito, con la vostr’opera e con tutti i servigi che dipendono da voi. È egli stimolato dalla fame, divorato dalla sete, mancante di vestimenta? Dategli da mangiare, da bere, e di che vestirsi: prevenite anche i suoi bisogni, senz’aspettare che con sollecitazioni importune egli cavi da voi una limosina, che perde molto pel ritardo o la cattiva grazia con cui vien fatta; prevenitelo ad esempio di Abramo, il quale andava incontro ai pellegrini per indurli ad alloggiare in casa sua. Quell’altro è egli confinato nel letto da malattia o detenuto nelle prigioni per debiti o delitti? Visitatelo; procurate di sollevare quell’infermo, di liberare, o per lo meno soccorrere quel prigioniero; l’uno e l’altro meritano tanto più la vostra carità, quanto che non possono uscire come gli altri indigenti per cercare soccorso alle loro miserie. In una parola, rendete al vostro prossimo miserabile tutti i servigi che vorreste fossero renduti a voi medesimi: Vade, et tu fac similiter. – Ma quanto è mai raro trovare uomini abbastanza sensibili alle altrui miserie, per spargere nel loro cuore la carità benefica! Quanti cuori di bronzo lasciano languir miserabili che mancano di tutto, senza dar loro il minimo soccorso, mentre essi mancar non vogliono di cosa alcuna! Quanti che li trattano con disdegno e dispregi insultanti, aggiungendo nuovo peso alle loro miserie! Se si risolvono a far lor qualche limosina, non è che per liberarsi dalle loro importunità, ed è molto modica e comprata a molto caro prezzo per le maniere scortesi che l’accompagnano. Donde viene dunque, fratelli miei, questa durezza, questa insensibilità, che si ha per le miserie altrui? Da uno spirito d’interesse, che signoreggia la maggior parte degli uomini. La carità, dice s. Paolo, non cerca il suo interesse: Non quærit, quae sua sunt. Ma quasi tutti gli uomini lo ricercano questo interesse, dice il medesimo Apostolo: Omnes quæ sua sunt quærunt. Ecco ciò che distrugge la carità tra essi. La carità ama di comunicarsi; ma lo spirito d’interesse si ristringe in se stesso; egli riferisce tutto a se stesso, come a suo centro, ama solo se stesso e non ha che della durezza per gli altri. Questo spirito d’interesse rende non solamente gli uomini insensibili alle miserie del loro prossimo, egli mette ancora la divisione tra quei medesimi, che dovrebbero essere i più uniti: egli separa gli amici, i parenti, il figliuolo dal padre, il fratello dalla sorella, mette in scompiglio tutta la società. Donde viene che i primi Cristiani non facevano che un cuore ed un’anima sola? Si è perché non avevano alcun interesse a divider fra loro; tutti i loro beni erano comuni, ed essi facevano a gara a beneficarsi l’un l’altro: laddove l’interesse divide i Cristiani d’oggi giorno, e ne fa tanti cuori differenti, quanti sono i soggetti che compongono la società. Bisogna dunque, per essere caritatevole, staccarsi e spogliarsi del suo interesse, far parte agli altri de’ suoi beni, secondo i loro bisogni e la propria facoltà; di modo che chi ha molto dia molto, e chi ha poco dia poco, come diceva Tobia al suo figliuolo. – Ma non ci fermiamo solamente a provarvi che i bisogni del corpo del vostro prossimo debbono esser l’oggetto della carità; vi sono beni più nobili, quelli vale a dire dell’anima. Questa materia chiederebbe una istruzione particolare di cui non faccio che indicarvi in poche parole i capi principali: il vostro prossimo è nell’afflizione? Voi dovete consolarlo: è questo un esercizio di carità, che conviene a tutti, non v’è alcuno che non possa compierlo. Quante occasioni non se ne trovano negli avvenimenti funesti, che attraversano la vita degli uomini? Una parola di consolazione detta a proposito ad un infermo, ad un afflitto, calma l’amarezza dei suoi dolori. Il vostro prossimo è nell’ignoranza, o caduto a qualche disordine? Istruitelo, correggetelo. Quanti poveri ignoranti si trovano, che hanno bisogno d’istruzione, che per mancanza di essa si allontanano dalle vie della salute! Quanti peccatori, che si perdono nelle vie dell’iniquità per mancanza di una correzione salutevole, di un avviso prudente che li farebbe rientrar nel dovere! La più grande carità, che si possa dunque fare, è il faticare alla conversione dei peccatori, cooperare alla salute dell’anima del suo prossimo, sia con ammonizioni fatte a proposito, sia con i buoni esempi, i quali sono ancora più efficaci che le parole. Se voi vedeste una bestia da soma cader in un fosso, voi la rialzereste per carità verso colui cui essa appartiene, voi vedete un vostro fratello che i disordini conducono al precipizio, che è vicino a cader nell’inferno, e non farete alcuno sforzo per rattenerlo? Ov’è la vostra carità’? Ov’è il vostro zelo per la gloria di Dio? Ma qual crudeltà sarebbe la vostra se con malvagi consigli, con esempi perniciosi acceleraste la sua caduta? Iddio vi domanderebbe un conto terribile della perdita dell’anima di lui. – Finiamo. La carità deve essere pura nel suo motivo; ella sarà tale se noi ameremo il nostro prossimo, come Gesù-Cristo ci ha amati. È questo il modello che Egli ci propone: sicut dilexi vos. In qual modo Gesù-Cristo ci ha Egli amati, fratelli miei? Ci ha amati senza alcun merito dal canto nostro e senza alcun interesse dal suo. Egli ci amò fino a sacrificar i suoi beni, il suo riposo, la sua vita per nostra salute. Ecco la regola che propone alla nostra carità, Egli deve esserne il fine. Non è dunque né la nobiltà dell’origine, né lo splendore delle ricchezze , né le qualità personali del corpo e dello spirito, che fissar devono il nostro amore per il prossimo, molto meno ancora la passione deve esserne il principio. Poiché amarsi per la colpa è un amarsi per l’inferno, dice il Crisostomo; l’amor cieco e profano non deve avere alcun luogo nell’ordine della carità cristiana. Voi potete bensì avere un affetto particolare per i parenti, gli amici, le persone che lo meritano per le loro buone qualità, per i loro benefizi, ma questo affetto deve sempre riferirsi a Dio come a suo primo oggetto. Perciocché, se voi non amate il vostro prossimo che per mire umane, solamente perché vi appartiene pei vincoli del sangue o per qualche attrattiva particolare che vi piace, se non gli rendete servigio che per l’utile che ne sperate, o per una inclinazione puramente naturale, che fate voi di più che i pagani? La vostra carità, non essendo soprannaturale come deve essere, sarà senza ricompensa presso di Dio. L’esempio del Samaritano del Vangelo vi confonderà ancora in questo punto. Che poteva egli sperare da quell’uomo cui gli assassini avevano tolto tutto quel che possedeva? Non era dunque in vista dell’interesse che gli rendette sì buoni uffizi, ma per solo principio della carità, che l’animava. Ah! quanto è rara una carità cosi disinteressata! Si ama, si coltiva l’amicizia di certe persone, o perché hanno del credito, o per la speranza di certi vantaggi che se ne aspettano: si amano coloro che sono nella prosperità ed in istato di far del bene, ma dacché non si trova più il proprio interesse, dacché la fortuna ha cangiato, non avvi più amicizia. Prova certissima che Dio non n’è il principio ed il fine. Volete voi conoscere, fratelli miei, se la vostra carità viene da Dio e se ella si riferisce a Dio? Lo conoscerete quando essa non cangerà, malgrado i sinistri accidenti del vostro prossimo, malgrado i cattivi servigi che esso vi renderà; perché questa carità, trovando in Dio un motivo sempre costante, non deve giammai variare.
Pratiche. Non considerate che Dio in tutte le cose; amate il vostro prossimo in Dio, per Dio e come Dio vi ha amati, e voi lo amerete cristianamente. Volete voi sapere se avete questa carità? Riconoscetela ai segni che ce ne dà il grande Apostolo, i quali ne contengono la pratica. La carità, dice egli, è paziente e piena di bontà: Charitas patiens est, benigna est; ella è paziente per soffrire dai nostri fratelli gli affronti, le ingiurie, i dispregi; piena di bontà per far loro del bene. Essa non è invidiosa: Non æmulatur; perché, non attaccandosi alle cose di quaggiù, e non desiderando che i beni del cielo, essa non conosce quell’invidia maligna, che si affligge del bene altrui. Essa non si gonfia, non è ambiziosa: Non inflatur, non est ambitiosa; perché non crede meritar cosa alcuna, e, ben lungi dal dispregiar gli altri, non ha che umili sentimenti di sé medesima. Essa non s’irrita, perché non cerca il suo interesse: Non irritatur, non quærit, quæ sua sunt. Ella non pensa né giudica male di alcuno; non si rallegra del male, ma piuttosto del bene e della verità: non cogitat malum, congaudet veritati. Ella crede tutto, soffre tutto, spera tutto: Omnia credit, omnia sperat, omnia sustinet. Faccia il cielo, fratelli miei, che la vostra sia tale, e che, dopo essere stati uniti sopra la terra coi legami di una stretta carità, lo siate un giorno nell’eternità beata. Cosi sia.
CREDO…
https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/12/il-credo/
Offertorium
Orémus
Exod XXXII: 11;13;14
Precátus est Moyses in conspéctu Dómini, Dei sui, et dixit: Quare, Dómine, irascéris in pópulo tuo? Parce iræ ánimæ tuæ: meménto Abraham, Isaac et Jacob, quibus jurásti dare terram fluéntem lac et mel. Et placátus factus est Dóminus de malignitáte, quam dixit fácere pópulo suo. [Mosè pregò in presenza del Signore Dio suo, e disse: Perché, o Signore, sei adirato col tuo popolo? Calma la tua ira, ricordati di Abramo, Isacco e Giacobbe, ai quali hai giurato di dare la terra ove scorre latte e miele. E, placato, il Signore si astenne dai castighi che aveva minacciato al popolo suo.]
Secreta
Hóstias, quǽsumus, Dómine, propítius inténde, quas sacris altáribus exhibémus: ut, nobis indulgéntiam largiéndo, tuo nómini dent honórem. [O Signore, Te ne preghiamo, guarda propizio alle oblazioni che Ti presentiamo sul sacro altare, affinché a noi ottengano il tuo perdono, e al tuo nome diano gloria.]
https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/comunione-spirituale/
Communio
Ps CIII: 13; 14-15
De fructu óperum tuórum, Dómine, satiábitur terra: ut edúcas panem de terra, et vinum lætíficet cor hóminis: ut exhílaret fáciem in oleo, et panis cor hóminis confírmet.
[Mediante la tua potenza, impingua, o Signore, la terra, affinché produca il pane, e il vino che rallegra il cuore dell’uomo: cosí che abbia olio con che ungersi la faccia e pane che sostenti il suo vigore.]
Postcommunio
Orémus.
Vivíficet nos, quǽsumus, Dómine, hujus participátio sancta mystérii: et páriter nobis expiatiónem tríbuat et múnimen.
[O Signore, Te ne preghiamo, fa che la santa partecipazione di questo mistero ci vivifichi, e al tempo stesso ci perdoni e protegga.]
https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/preghiere-leonine-dopo-la-messa/
https://www.exsurgatdeus.org/2018/09/14/ringraziamento-dopo-la-comunione-2/
https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/