DOMENICA XII DOPO PENTECOSTE (2020)

DOMENICA XII DOPO PENTECOSTE (2020).

Semidoppio.- Paramenti verdi.

Nell’ufficio divino si effettua in questo tempo la lettura delle Parabole o Proverbi di Salomone. « Queste parabole sono utili per conoscere la sapienza e la disciplina, per comprendere le parole della prudenza, per ricevere l’istruzione della dottrina, la giustizia e l’equità affinché sia donato a tutti i piccoli il discernimento e ai giovani la scienza e l’intelligenza. Il savio ascoltando diventerà più savio e l’intelligente possederà i mezzi per governare! (7° Nott.). Salomone non era che la figura di Cristo, che è la Sapienza incarnata come leggiamo nel Vangelo di questo giorno: « Beati gli occhi che vedono quello che voi vedete, poiché io ve lo dico, molti profeti e re hanno voluto vedere quello che voi vedete e non hanno potuto; e ascoltare quello che voi ascoltate e non hanno inteso ». « Beati, dice S. Beda, gli occhi che possono conoscere i misteri del Signore, dei quali è detto: « Voi li avete rivelati ai piccoli ». Beati gli occhi di questi piccoli, ai quali il Figlio degnò rivelarsi e rivelare il Padre. Ed ecco un dottore della legge che ha pensato di tentare il Signore e l’interroga sulla vita eterna (Vang.). Ma il tranello che tende a Gesù Cristo mostra come era vero quello che il Signore aveva detto rivolgendosi al Padre: « Tu hai nascoste queste cose ai saggi e ai prudenti e le hai rivelate ai piccoli» (2° Nott.). — « Figlio mio, dice Salomone, il timor di Dio è il principio della sapienza. Se i peccatori vogliono attirarti non acconsentir loro. Se essi dicono: Vieni con noi, tendiamo agguati all’innocente, inghiottiamolo vivo e intero com’è inghiottito il morto che scende nella tomba; noi troveremo ogni sorta di beni preziosi, riempiremo le nostre case di bottini; figlio mio, non andare con loro, allontana i tuoi passi dal loro sentiero. Poiché i loro passi sono rivolti al male ed essi si affrettano per versar sangue. E s’impadroniscono dell’anima di coloro che soggiogano » (7» Nott.). — Cosi i demoni agirono col primo uomo, poiché quando Adamo cadde nel peccato, lo spogliarono di tutti i suoi beni e lo coprirono di ferite. Il peccato originale, infatti, priva l’uomo di tutti i doni della grazia e lo colpisce nella sua stessa natura. La tua intelligenza è meno viva e la sua volontà meno ferma, poiché la concupiscenza che regna nelle sue membra lo porta al male. Per fargli comprendere la sua impotenza — poiché, dice S. Paolo, la nostra attitudine a intendere viene da Dio (Ep.) — Jahvé stabilì la legge mosaica che gli dava precetti senza dargli la forza di compierli, ossia senza la grazia divina. Allora, l’uomo comprendendo che gli bisognava l’aiuto di Dio per essere guarito, per volere il bene, per realizzarlo e per perseverare in esso fino alla fine, rivolse il suo sguardo al cielo: « O Dio, gridò, e non deve giammai cessare di gridare: O Dio, vieni in mio aiuto; Signore, affrettati a soccorrermi! Siano confusi coloro che cercano l’anima mia » (Intr.). — « Signore, Dio della mia salute, io ho gridato verso di te tutto il giorno e la notte » (All.). E Dio allora risolse di venire in aiuto dell’uomo e poiché i sacerdoti ed i leviti dell’antica legge non avevano potuto cooperare con lui, mandò Gesù Cristo, che si fece, secondo il pensiero di S. Gregorio, il prossimo dell’uomo, rivestendosi della nostra umanità per guarirla (3° Nott.). Queste è quanto ci dicono l’Epistola e il Vangelo. La legge del Sinai, scolpita in lettere su pietre, spiega S. Paolo, fu un ministero di morte perché, l’abbiamo già visto, non dava la forza di compiere ciò che comandava. Cosi l’Offertorio ci mostra come Mose dovette Intervenire presso Dio per calmare la sua ira provocata dai peccati del suo popolo. La Legge della grazia è Invece un ministero di giustificazione, perché lo Spirito Santo che fu mandato alla Chiesa nel giorno della Pentecoste, giorno in cui la vecchia legge fu abrogata, dava la forza di osservare i precetti del decalogo e quelli della Chiesa. Cosi S. Paolo dice: « La lettera uccide, ma lo Spirito vivifica » (Ep.). E il Vangelo ne fa la dimostrazione nella parabola del buon Samaritano. All’impotente legge mosaica, rappresentata in qualche modo dal sacerdote e dal levita della parabola evangelica, il buon Samaritano che è Gesù, sostituisce una nuova legge estranea all’antica e viene Egli stesso in aiuto dell’uomo. Medico delle nostre anime, versò nelle nostre ferite l’unzione della sua grazia, l’olio dei suoi sacramenti e il vino della sua Eucaristia. Per questo la liturgia canta, in uno stile ricco di immagini, la bontà del Signore, che ha fatto produrre sulla terra il pane che fortifica l’uomo, il vino che rallegra il suo cuore, e l’olio che dona al suo viso un aspetto di gioia (Com.). « Io benedirò, dice il Graduale, il Signore in tutti i tempi: la sua lode sarà sempre sulle mie labbra ». Noi dobbiamo imitare verso il nostro prossimo quello che Dio ha fatto per noi e quello di cui il Samaritano è l’esempio. « Nessuna cosa è maggiormente prossimo delle membra che il capo, dice S. Beda: amiamo dunque colui che è fratello del Cristo, cioè siamo pronti a rendergli tutti i servizi sia temporali che spirituali dicui potrà aver bisogno » (3° Nott.). Né la legge mosaica, né il Vangelo separano l’amore verso Dio dall’amore di chi dobbiamo ritenere come prossimo: amore soprannaturale nella sua origine, poiché procede dallo Spirito Santo; amore soprannaturale nel soggetto perché è Dio nella persona dei nostri fratelli. Il prossimo di questo uomo ferito non è, come pensavano i Giudei, colui che è legato per vincoli di sangue, ma colui che si china caritatevolmente su di esso per soccorrerlo. L’unione in Cristo, che giunge fino a farci amare quelli che ci odiano e perdonare a quelli che ci hanno fatto del male, perché Dio è in essi, o è chiamato ad essere in essi, è il vero amore del prossimo. Perfezionati dalla grazia, noi dobbiamo imitare il Padre nostro del cielo, che, calmato dalla preghiera di Mosè, figura di Cristo, colmò di beni il popolo che l’aveva offeso (Off., Com.). — Uniti dunque con Cristo, [Questa unità dei Cristiani e del Cristo fa sì che si chiami Gesù il Samaritano, cioè lo straniero, per indicare che i Gentili imiteranno Cristo mentre i Giudei increduli lo disprezzeranno], curviamoci con Lui verso il prossimo che soffre. Questo sarà il miglior modo di diventare, per la misericordia divina, atti a servire Dio onnipotente, degnamente e lodevolmente, e di ottenere che, rialzati dalla grazia, noi corriamo, senza più cadere, verso il cielo promesso (Oraz.) .  «Gesù, dice S. Beda, il Venerabile, mostra in maniera chiarissima che non vi è che un solo amore, il quale deve essere manifestato non solo a parole ma con le buone opere, ed è questo che conduce alla vita eterna ». (3° Nott.).

La gloria dei ministero di Mosè fu assai grande: raggi miracolosi brillavano sul volto del legislatore dell’antica legge, allorché discese dal Sinai. Ma questo ministero era inferiore al ministero evangelico. Il primo era passeggero: il secondo doveva surrogarlo e durare per sempre. Il primo era scritto su tavole di pietra, era il ministero della lettera; il secondo è tutto spirituale, è il ministero dello spirito. Il primo produceva spesso la morte spirituale spingendo alla ribellione con la molteplicità dei suoi precetti difficili ad adempirsi; il secondo è accompagnato dalle grazie dello Spirito d’amore, che gli Apostoli distribuiscono alle anime. L’uno è dunque un ministero che provoca i terribili giudizi di Dio, e l’altro è un ministero che giustifica gli uomini davanti a Dio, perché dona ad essi lo Spirito che vivifica.

« Quest’uomo che scendeva da Gerusalemme a Gerico, dice S. Beda, è Adamo che rappresenta il genere umano. Gerusalemme è la città della pace celeste, della beatitudine dalla quale è stato allontanato per il peccato. I ladri sono il demonio e i suoi angeli nelle mani dei quali Adamo è caduto nella sua discesa. Questi lo spogliarono di tutto: gli tolsero la gloria dell’immortalità e la veste dell’innocenza.. Le piaghe che gli fecero, sono i peccati che, intaccando l’integrità dell’umana natura, fecero entrare la morte dalle ferite aperte. Lo lasciarono mezzo morto, perché se lo spogliarono della beatitudine della vita immortale, non riuscirono a togliergli l’uso della ragione colla quale conosceva Dio. Il sacerdote e il levita che, avendo veduto il ferito, passarono oltre, indicano i sacerdoti e i ministri dell’Antico Testamento che potevano solamente, con i decreti della legge, mostrare le ferite del mondo languente, ma non potevano guarirle, perché era loro impossibile – al dire dell’Apostolo – cancellare i peccati col sangue dei buoi e degli agnelli. Il buon Samaritano, parola che significa guardiano, e lo stesso Signore. Fatto uomo, s’è avvicinato a noi con la grande compassione che ci ha mostrata. L’albergo è la Chiesa ove Gesù stesso conduce l’uomo, ponendolo sulla cavalcatura perché nessuno, se non è battezzato, unito al corpo di Cristo, e portato come la pecora sperduta sulle spalle del buon Pastore, può far parte della Chiesa. I due danari sono i due Testamenti sui quali sono impressi il nome e l’effigie del Re eterno. La fine della legge è Cristo. Questi due denari furono dati all’albergatore il giorno dopo, perché Gesù il giorno seguente la sua risurrezione aprì gli occhi dell’intelligenza ai discepoli di Emmaus e ai suoi Apostoli perché comprendessero le sante Scritture. Il giorno seguente, infatti, l’albergatore, ricevette i due danari, come compenso delle sue cure verso il ferito perché lo Spirito Santo, venendo su la Chiesa, insegnò agli Apostoli tutte le verità perché potessero istruire le nazioni e predicare il Vangelo » (Omelia del giorno).

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

LXIX: 2-3
Deus, in adjutórium meum inténde: Dómine, ad adjuvándum me festína: confundántur et revereántur inimíci mei, qui quærunt ánimam meam.

[O Dio, vieni in mio aiuto: o Signore, affrettati ad aiutarmi: siano confusi e svergognati i miei nemici, che attentano alla mia vita.]

Ps LXIX: 4

Avertántur retrórsum et erubéscant: qui cógitant mihi mala.

[Vadano delusi e scornati coloro che tramano contro di me.]

Deus, in adjutórium meum inténde: Dómine, ad adjuvándum me festína: confundántur et revereántur inimíci mei, qui quærunt ánimam meam.

[O Dio, vieni in mio aiuto: o Signore, affrettati ad aiutarmi: siano confusi e svergognati i miei nemici, che attentano alla mia vita.]

Oratio

Orémus.
Omnípotens et miséricors Deus, de cujus múnere venit, ut tibi a fidélibus tuis digne et laudabíliter serviátur: tríbue, quǽsumus, nobis; ut ad promissiónes tuas sine offensióne currámus.

[Onnipotente e misericordioso Iddio, poiché dalla tua grazia proviene che i tuoi fedeli Ti servano degnamente e lodevolmente, concedici, Te ne preghiamo, di correre, senza ostacoli, verso i beni da Te promessi.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corinthios. 2 Cor III: 4-9.

“Fratres: Fidúciam talem habémus per Christum ad Deum: non quod sufficiéntes simus cogitáre áliquid a nobis, quasi ex nobis: sed sufficiéntia nostra ex Deo est: qui et idóneos nos fecit minístros novi testaménti: non líttera, sed spíritu: líttera enim occídit, spíritus autem vivíficat. Quod si ministrátio mortis, lítteris deformáta in lapídibus, fuit in glória; ita ut non possent inténdere fili Israël in fáciem Moysi, propter glóriam vultus ejus, quæ evacuátur: quómodo non magis ministrátio Spíritus erit in glória? Nam si ministrátio damnátionis glória est multo magis abúndat ministérium justítiæ in glória.

[“Fratelli: Tanta fiducia in Dio noi l’abbiamo per Cristo. Non che siamo capaci da noi a pensar qualche cosa, come se venisse da noi; ma la nostra capacità viene da Dio, il quale ci ha anche resi idonei a essere ministri della nuova alleanza, non della lettera, ma dello spirito; perché la lettera uccide ma lo spirito dà vita. Ora, se il ministero della morte, scolpito in lettere su pietre, è stato circonfuso di gloria in modo che i figli d’Israele non potevano fissare lo sguardo in faccia a Mosè, tanto era lo splendore passeggero del suo volto; quanto più non sarà circonfuso di gloria il ministero dello Spirito? Invero, se è glorioso il ministero di condanna, molto più è superiore in gloria il ministero di giustizia”].

OMELIA I

[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia 1921)

Il SACERDOZIO

La severa lettera di San Paolo a quei di Corinto aveva prodotto un salutare effetto. Quella comunità aveva preso ora un andamento più consolante; e, sebbene gli sconvenienti non fossero tutti scomparsi, c’era fondata speranza che l’ulteriore azione di S. Paolo riuscisse al compimento dell’opera incominciata. Non dormivano, è naturale i suoi nemici; anzi lo combattevano più aspramente di prima. Cercavano soprattutto di metterlo in discredito negandogli la dignità e l’autorità di Apostolo e criticando il suo modo di operare. Era in gioco la missione di Apostolo, affidata da Dio a Paolo, e questi crede suo dovere di difendersi dai falsi apostoli, perché non riuscissero a trar dalla loro parte i fedeli, specialmente i neofiti. Ed ecco che dalla Macedonia, pochi mesi dopo la prima, invia a Corinto una seconda lettera, in cui rivendica la sua autorità di Apostolo, e ribatte le calunnie dei suoi avversari. L’epistola di quest’oggi è un passo della lettera dove San Paolo difende il suo ministero. Se egli si presenta come predicatore della fede non lo fa per vana gloria, ben riconoscendo la sua insufficienza. Tutto il suo vanto lo ripone in Dio, per la cui grazia, datagli per mezzo di Gesù Cristo, egli compie il suo ministero tra loro. Dio ha scelto lui e i suoi compagni a essere ministri idonei del nuovo Testamento, in cui non regna più la lettera che uccide come nell’antico, ma lo spirito che dà la vita della grazia. È un ministero superiore all’antico per la gloria di cui è circonfuso. Il ministero della legge che uccide — non dando la forza di praticare ciò che prescrive — fu circondato di gloria, come si vide sul volto di Mosè, che portava questa legge scolpita in tavole di pietra. Questa gloria dev’esser sorpassata da quella che circonda il ministero dello spirito che vivifica. La gloria del ministero che vivifica è, senza confronto, superiore alla gloria del ministero di condanna. Il contenuto dell’Epistola di quest’oggi ci porta a parlare del Sacerdote Cattolico, il quale:

1. È banditore d’una dottrina sublime,

2. È dispensatore dei divini misteri,

3. Merita il nostro rispetto e le nostre premure.

1.

La nostra capacità viene da Dio, il quale ci ha anche resi idonei a esser ministri della nuova alleanza, non della lettera, ma dello spirito. L’Apostolo compie il suo ministero per la grazia di Dio. Egli, che lo ha scelto a suo ministro, lo ha reso idoneo a predicare la dottrina del Vangelo, nel quale regna lo spirito, e non più la lettera come nell’antico testamento. Come San Paolo, ogni Sacerdote è scelto da Dio, che lo rende idoneo a predicare la dottrina del Vangelo. Con la dottrina del Vangelo il sacerdote si fa guida agli uomini in questo terreno pellegrinaggio. Satana, il padre della menzogna, fa deviare dal retto sentiero i nostri progenitori nel paradiso terrestre. Fa deviare, dopo di essi, continuamente, i loro discendenti. Ha, in questo, ai suoi ordini una schiera di alleati. Insegnanti, conferenziere, settari, gaudenti, beffardi, libri, riviste, giornali, direttamente o indirettamente, tolgono di vista all’uomo la meta, cui deve arrivare. E l’uomo comincia ad essere indeciso; smarrisce il sentiero e, smarritolo, non ha più la volontà di rifare la via da capo. Il Sacerdote è posto da Dio a illuminare la via che l’uomo deve percorrere. Egli addita i pericoli da schivare, indica la via sicura, e la rischiara con gli insegnamenti di Colui che proclamò:« Io sono la via » (Giov. XIV, 6.). Ismaele va errando nel deserto di Betsabea, tormentato dalla sete. Questa è ormai divenuta insostenibile, e la madre per non vedere il figlio morire, lo abbandona sotto un arbusto. Dio ascolta il grido di Agar e di Ismaele, e manda il suo Angelo a mostrare il pozzo d’acqua ristoratrice (Gen. XXI, 14 segg.). Il Sacerdote è l’Angelo che al viandante diretto alla patria celeste, ormai privo del primo fervore, annoiato dalla lunghezza del cammino, stanco per la sua asprezza, indeciso a continuarlo, solleva lo spirito e infonde nuova forza e coraggio, facendogli porre la fiducia in Colui che dice: «Non si turbi il vostro cuore. Abbiate fede in Dio, e abbiate fede anche in me» (Giov. XIV, 1). – La parola del Sacerdote è l’unica che sappia veramente appagare il cuore e l’intelligenza dell’uomo. La sua dottrina «non è cosa umana» (Gal. I, 4) Perciò avvince tutte le intelligenze, fa superar tutte le difficoltà. Le scoperte, il progresso, le migliorate condizioni sociali non possono togliere nulla alla efficacia e alla bellezza della dottrina del Vangelo. La parola di Dio non può scolorire davanti alla parola degli uomini. È una dottrina che non invecchierà Mai, che non avrà mai bisogno d’essere sfrondata o corretta.

2.

L’Apostolo, facendo il confronto tra l’antica alleanza, che si fondava sulla lettera, cioè sulla legge scritta, e la nuova alleanza, che è opera dello Spirito Santo, osserva: la lettera uccide, ma lo spinto dà vita. La lettera, ossia la legge scritta uccide, perché non dando la grazia necessaria a compiere ciò che è comandato e ad evitare ciò che è proibito, era, indirettamente, occasione di peccato, e quindi di morte eterna. Lo spirito dà vita, perché nella nuova legge, lo Spirito Santo dà la grazia, con cui l’uomo può osservare ciò che esternamente viene comandato o proibito. E il Sacerdote, in questa nuova legge, è fatto da Dio l’idoneo dispensatore della grazia. –

3.

L’uomo nasce figlio di questa valle di lagrime, spoglio d’ogni bene soprannaturale. Il Sacerdote versa sul suo capo l’acqua battesimale, ed egli rinasce figlio del cielo, adorno dei beni della grazia. Per il ministero del Sacerdote gli è aperta la porta al regno di Gesù Cristo, la Chiesa, e acquista il diritto a ricevere gli altri Sacramenti con l’abbondanza delle grazie, che li accompagnano. – Ogni uomo è destinato preda alla morte. Chi nasce muore. Quando arriva questo giorno, l’uomo si trova ancora di fianco il Sacerdote. «E’ infermo alcuno tra voi? — è scritto nel Nuovo Testamento — chiami i Sacerdoti della Chiesa e facciano orazione su lui, ungendolo con l’olio nel nome del Signore» (Giac. V, 19). Così si pratica nella Chiesa Cattolica. Presso il morente accorre il Sacerdote, che gli amministra il Sacramento dell’olio Santo, il quale con la sua grazia porta sollievo spirituale e corporale ai Cristiani gravemente infermi. L’uomo ha pur sempre bisogno dei soccorsi della grazia durante la sua vita. La grazia santificante, che ci viene infusa nel Battesimo, generalmente non rimane a lungo. Al primo svegliarsi delle passioni si perde facilmente. E con la perdita della grazia santificante è perduto anche il diritto alla eredità celeste. L’uomo che ha perduto la grazia santificante è un povero figlio diseredato, che ha bisogno di essere riconciliato con il Padre. Anche questa volta è il Sacerdote che avvicina il figlio al Padre. Egli, pronunciando nel tribunale di penitenza le parole dell’assoluzione, apre al figlio pentito la casa del Padre, lo rimette nelle sue grazie, e gli riacquista i diritti perduti. Ma chi aveva strappato il figlio dalla casa del padre, non si dà pace ora che ve lo vede riammesso. È questa per lui una sconfitta insopportabile, che lo spinge alla rivincita. Occorrono forze raddoppiate per resistere ai suoi assalti. Il Sacerdote procurerà queste forze, somministrandogli un pane che è la fonte delle grazie. Nelle vicinanze di Betsaida Gesù Cristo, mosso a compassione delle turbe che da tre giorni l’avevano seguito, pensa a ristorarle, perché nel ritorno alle loro case, sfinite di forze, non abbiano a venir meno per via. Moltiplicati dei pani che gli furono presentati, « li diede ai suoi discepoli, perché li ponessero davanti alle turbe ». (Marc. VIII, 6). Nell’ultima cena dà incarico ai discepoli di distribuire con le loro mani ai fedeli il Pane eucaristico, perché possano fortificarsi nel combattimento spirituale, e non venir meno sotto gli assalti del demonio, del mondo, della carne. Difatti, « mentre mangiavano Gesù prese del pane, lo benedisse, lo spezzò e lo diede ai suoi discepoli dicendo: — Prendete e mangiate, questo è il mio corpo, (Matt. XXVI, 26) il quale è dato per voi: fate questo in memoria di me » – E i Sacerdoti, seguendo il comando di Gesù Cristo, continuano a rinnovare nella santa Messa la consacrazione eucaristica e a distribuire ai fedeli questo Pane di vita. – Il Beato Giovanni de Brébeuf, martire canadese, si trovava in un villaggio di Uroni, quando all’improvviso giungono gli Irochesi, loro terribili nemici. I capitani presenti fanno uscire dal villaggio le donne e i fanciulli, e pregano il Beato e il suo compagno, padre Gabriele Lalemant a seguire i fuggiaschi. «La vostra presenza — dicono essi — non ci può esser di servizio alcuno. Voi non sapete maneggiare né l’accetta né il fucile». — «C’è qualcosa ch’è più necessaria delle armi, — risponde il de Brébeuf — e sono i Sacramenti che noi soli possiamo amministrare. Il nostro posto è in mezzo a voi». E rimasero infatti ad amministrare i Sacramenti, ricevendo in premio la corona del martirio (Nicola Risi, Gli otto Martiri Canadesi della Compagnia di Gesù. Torino, 1926. p. 63-64). Nessuno può dispensare ai fedeli i tesori spirituali che dispensa il sacerdote. S. Paolo esalta tutta l’importanza del ministero sacerdotale con una semplice frase, chiamandolo ministero circonfuso di gloria. È, dunque, un ministero che merita tutto il nostro rispetto e il nostro interessamento. Ma questo contegno non è, pur troppo, il contegno della maggior parte. Per alcuni il Sacerdote non esiste che per esser bersaglio alle critiche, alle calunnie, alle persecuzioni. I preti, secondo essi, sono la cagione di tutti i malanni che succedono, o che potrebbero succedere. Ci sono i settari, i nemici della Religione, che combattono il Sacerdote per i loro fini. In battaglia si cerca di colpire specialmente gli ufficiali. Tolti di mezzo questi, i battaglioni si disgregano. I nemici della Religione Cattolica cercano di colpire specialmente i Sacerdoti per scristianizzare il popolo. – Altri si interessano del Sacerdote e lo stimano finché fa comodo. Diventa loro insopportabile quando, costretto dal proprio dovere, dà qualche ammonimento o fa qualche osservazione. «Chi vien biasimato o ripreso — nota in proposito il Grisostomo — chiunque egli sia, tralasciando affatto di essere riconoscente, diventa nemico » (In 1 Epist. ad Thess. Hom. 10, 1). E il Cristiano che viene avvisato, ammonito, ripreso dal Sacerdote gli diventa nemico. – Per altri il Sacerdote non esiste. Non gli si fanno critiche, ma neppure si pensa a lui. Lo si lascia stare. È considerato come uno che compie una funzione sociale qualsiasi, e niente di più. Questo non è un tributare l’onore, il rispetto, che s’addicono alla dignità dei ministri del nuovo Testamento. I Sacerdoti siano uomini; avranno anch’essi i loro difetti. Noi dobbiamo, però, considerare la loro dignità e non voler scrutare le loro azioni. «Non mi accada mai — scrive S. Gerolamo — che io dica qualcosa di sfavorevole rispetto a coloro, che, succeduti alla dignità apostolica, con la bocca consacrata ci danno il Corpo di Cristo, e per mezzo dei quali noi siamo Cristiani; e i quali, avendo le chiavi del regno celeste, in certo qual modo giudicano prima del giudizio» (Epist. 14, 8 ad Heliod.). – La nostra deferenza verso i Sacerdoti dobbiamo dimostrala, pure, nell’ascoltar volentieri la parola del Vangelo, da essi predicata, nel mostrarci docili alle loro cure. « Poiché — nota S. Cipriano — le eresie e gli scismi non trassero origine da altro, che dalla disubbidienza al Sacerdote di Dio» (Epist. 13, 5). – Se per mezzo del Sacerdote riceviamo i Sacramenti, partecipiamo ai divini misteri, usufruiamo delle celesti benedizioni, non possiamo disinteressarci di lui. Non basta il rispetto, la docilità alla sua parola. La riconoscenza deve spingerci a pregare per lui. La Chiesa ha stabilito giorni particolari di preghiere e di penitenza pei sacerdoti: le quattro tempora. Il Cristiano, però, non deve limitarsi a pregare pei Sacerdoti che salgono l’altare la prima volta. Deve pregare per i novelli Sacerdoti, deve pregare per quelli che sono incanutiti nel ministero, e deve pregare pei Sacerdoti futuri. Lo comanda Gesù: « La messe è veramente copiosa, ma gli operai sono pochi. Pregate il padrone della messe che mandi gli operai a lavorare nel suo campo (Matt. IX, 37-38). E che gli operai oggi siano pochi lo constatiamo tutti. Concorriamo adunque con la preghiera, e anche con quel contributo materiale che ci è possibile, a mandar nuovi operai nella vigna del Signore. Favorendo le vocazioni al Sacerdozio, faremo opera graditissima a Gesù perché concorreremo a procurargli dei collaboratori; faremo opera di carità squisita al prossimo, concorrendo a procurargli una guida spirituale; faremo il nostro migliore vantaggio perché ci faremo partecipi, in qualche modo, dei meriti che si acquista il Sacerdote nel salvar le anime.

Graduale

Ps XXXIII: 2-3.

Benedícam Dóminum in omni témpore: semper laus ejus in ore meo.

[Benedirò il Signore in ogni tempo: la sua lode sarà sempre sulle mie labbra.]

V. In Dómino laudábitur ánima mea: áudiant mansuéti, et læténtur.

[La mia anima sarà esaltata nel Signore: lo ascoltino i mansueti e siano rallegrati.]

Alleluja

Allelúja, allelúja

Ps LXXXVII: 2

Dómine, Deus salútis meæ, in die clamávi et nocte coram te. Allelúja.

[O Signore Iddio, mia salvezza: ho gridato a Te giorno e notte. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum S. Lucam.

Luc. X: 23-37

“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Beáti óculi, qui vident quæ vos videtis. Dico enim vobis, quod multi prophétæ et reges voluérunt vidére quæ vos videtis, et non vidérunt: et audire quæ audítis, et non audiérunt. Et ecce, quidam legisperítus surréxit, tentans illum, et dicens: Magister, quid faciéndo vitam ætérnam possidébo? At ille dixit ad eum: In lege quid scriptum est? quómodo legis? Ille respóndens, dixit: Díliges Dóminum, Deum tuum, ex toto corde tuo, et ex tota ánima tua, et ex ómnibus víribus tuis; et ex omni mente tua: et próximum tuum sicut teípsum. Dixítque illi: Recte respondísti: hoc fac, et vives. Ille autem volens justificáre seípsum, dixit ad Jesum: Et quis est meus próximus? Suscípiens autem Jesus, dixit: Homo quidam descendébat ab Jerúsalem in Jéricho, et íncidit in latrónes, qui étiam despoliavérunt eum: et plagis impósitis abiérunt, semivívo relícto. Accidit autem, ut sacerdos quidam descénderet eádem via: et viso illo præterívit. Simíliter et levíta, cum esset secus locum et vidéret eum, pertránsiit. Samaritánus autem quidam iter fáciens, venit secus eum: et videns eum, misericórdia motus est. Et apprópians, alligávit vulnera ejus, infúndens óleum et vinum: et impónens illum in juméntum suum, duxit in stábulum, et curam ejus egit. Et áltera die prótulit duos denários et dedit stabulário, et ait: Curam illíus habe: et quodcúmque supererogáveris, ego cum redíero, reddam tibi. Quis horum trium vidétur tibi próximus fuísse illi, qui íncidit in latrónes? At ille dixit: Qui fecit misericórdiam in illum. Et ait illi Jesus: Vade, et tu fac simíliter.”

[“In quel tempo Gesù disse a’ suoi discepoli: Beati gli occhi che veggono quello che voi vedete. Imperocché vi dico, che molti profeti e regi bramarono di vedere quello che voi vedete, e no videro; e udire quello che voi udite, e non l’udirono. Allora alzatosi un certo dottor di legge per tentarlo, gli disse: Maestro, che debbo io fare per possedere la vita eterna? Ma Egli disse a lui: Che è quello che sta scritto nella legge? come leggi tu? Quegli rispose, e disse: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuor tuo, e con tutta l’anima tua, e con tutte le tue forze, o con tutto il tuo spirito; e il prossimo tuo come te stesso. E Gesù gli disse: Bene hai risposto: fa questo e vivrai. Ma quegli volendo giustificare se stesso, disse a Gesù: E chi è mio prossimo? E Gesù prese la parola, e disse: Un uomo andava da Gerusalemme a Gerico, e diede negli assassini, i quali ancor lo spogliarono; e avendogli date delle ferite, se n’andarono, lasciandolo mezzo morto. Or avvenne che passò per la stessa strada un sacerdote, il quale vedutolo passò oltre. Similmente anche un levita, arrivato vicino a quel luogo, e veduto colui, tirò innanzi: ma un Samaritano, che faceva suo viaggio, giunse presso lui; e vedutolo, si mosse a compassione. E se gli accostò, e fasciò le ferite di lui, spargendovi sopra olio e vino; e messolo sul suo giumento, lo condusse all’albergo, ed ebbe cura di esso. E il dì seguente tirò fuori due danari, e li diede all’ostiere, e dissegli: Abbi cura di lui: e tutto quello che spenderai di più te lo restituirò al mio ritorno. Chi di questi tre ti pare egli essere stato prossimo per colui che diede negli assassini? E quegli rispose: Colui che usò ad esso misericordia. E Gesù gli disse: Va’, fa’ anche tu allo stesso modo.”]

OMELIA II

Sopra l’amor del prossimo.

“Diliges proximum tuum sicut te ipsum”. Luc. X

Che convien fare per possedere la vita eterna, chiedeva un giorno un dottor della legge al Salvatore del mondo? Cui Gesù Cristo rispose: ch’è scritto e che leggete nella legge? Voi amerete il Signore vostro Dio, ripigliò il dottore, con tutto il vostro cuore, con tutta la vostr’anima, con tutte le vostre forze, con tutto i1 vostro spirito, ed il vostro prossimo come voi medesimo: Diliges, etc. Voi avete risposto benissimo, soggiunse Gesù Cristo; fate questo e vivrete. Ma il dottore, volendo farsi stimare per uomo dabbene, domandò a Gesù Cristo chi fosse il suo prossimo. Il Salvatore, per istruirlo, gliene fece il ritratto in questa parabola. Un uomo disse, che scendeva da Gerusalemme a Gerico, cadde nelle mani degli assassini, che lo spogliarono, e, caricatolo di colpi, lo lasciarono mezzo morto. Alcuni passeggeri videro l’infelice in quel pessimo stato senza dare il minimo segno di compassione; ma un Samaritano, che faceva viaggio, avendolo veduto, venne a lui: mosso da compassione per quell’uomo, gli benda le piaghe, dopo avervi versato dell’olio e del vino, lo conduce ad un’osteria e prende cura di lui; il giorno dopo dà due monete all’oste e gli raccomanda quello sgraziato sino alla sua intera guarigione, promettendo di rendergli al suo ritorno tutto ciò che avrebbe speso di più. Quale, disse Gesù Cristo, è stato il prossimo di quell’uomo? Egli è, rispose il dottore, colui che l’ha con carità assistito. E Gesù Cristo: Andate, gli disse, e fate lo stesso: Vade, et tu fac similiter. Ecco, fratelli miei, il modello che Gesù Cristo ha voluto proporci, come a quel dottore, per apprendere la carità, che dobbiamo avere per il prossimo. Tale è il modo con cui dobbiamo adempiere questo gran precetto, che ci comanda di amare il nostro prossimo come noi medesimi, cioè di fargli tutto il bene che vorremmo fosse fatto a noi medesimi. Diliges proximum tuum sicut te ipsum. Ma ohimè! quanto questo precetto è al giorno d’oggi mal osservato tra noi! Questo bel fuoco, che Gesù Cristo è venuto ad accendere sulla terra, è quasi interamente estinto dagli odi, dalle vendette, dai disordini che regnare si vedono nelle famiglie, nelle città, nelle Provincie e nei regni. Perché non poss’io, fratelli miei, riaccendere in questo giorno nei vostri cuori questo bel fuoco, che fa il carattere dei discepoli di Gesù Cristo? Si è per questo fine, che io voglio farvi vedere l’obbligazione ed il modo di adempierlo. Voi l’amerete come voi medesimi: sicut te ipsum; eccone la regola, ed il mio secondo punto.

I . Punto. Non solamente nella legge di grazia è stato detto: voi amerete il vostro. prossimo: Diliges proxcimum: questa legge è sì antica, quanto il mondo; essa ha cominciato prima di lui; Dio ne impresse il carattere nel cuore dei nostri primi genitori per trasmetterla alla loro posterità. A misura che gli uomini si moltiplicarono, essa ricevette maggior estensione; e fu per perpetuarla che il Signore volle ancora scolpirla sopra tavole di pietra che diede a Mosè per pubblicarla al suo popolo.  Ma siccome questa legge non aveva ancora la sua perfezione, ed era anche di già cancellata nel cuore della maggior parte degli uomini, Gesù Cristo, che era venuto per compire ciò che le marcava, la rinnovò per via del suo divino Spirito, e le diede l’ultima perfezione. Ed è per questo, che la mette nel numero delle prime massime del suo Vangelo, che la chiama suo comandamento speciale: Hoc est præceptum meum,ut diligatis invicem (Jo. XV). Si è un comandamento nuovo, che io vi do: Mandatum novum; Egli vuole che si osservi in una maniera affatto nuova e con maggior perfezione che nell’antica legge, cioè che gli uomini si amino gli uni cogli altri , come Gesù Cristo li ha amati, che amino anche i loro più crudeli nemici: Mandatum novum do vobis, ut diligatis invicem, sicut dilexi vos (Jo. XIII).Tali sono, fratelli miei, le parole della legge che comanda l’amor del prossimo; legge formale e precisa che non soffre verun equivoco; legge indispensabile, contro cui non si può recare alcuna scusa per esentarsene; legge la più giusta e la più ragionevole, che appoggiata sopra i più sodi fondamenti, voglio dire sopra i rapporti, che  uomini hanno con Dio, e sopra quelli, che hanno tra essi. Noi dobbiamo amare il nostro prossimo; e perché? Perché egli è l’opera e l’immagine di Dio, perché egli è stato riscattato col sangue di un Dio: ecco i rapporti ch’egli ha con Dio. Noi dobbiamo amare  nostro prossimo: e perché? In qualità di uomini noi siamo tutti fratelli, e più ancora in qualità di Cristiani: ecco i rapporti, ch’egli ha con noi medesimi. – L’uomo è l’opera e l’immagine di Dio, del che non possiamo noi dubitare. Allorché Dio stabilì di trarlo dal nulla, facciamo – disse – l’uomo a nostra immagine e somiglianza: Faciamus hominem ad imaginem, et similitudinem nostram (Gen. 1). Egli ne formò il corpo d’un po’ di terra, che animò con un soffio di vita d’una sostanza spirituale, che rappresenta nella sua essenza la Divinità medesima, che l’imita nelle sue operazioni, e che essendo immortale partecipa della sua eternità. Questo uomo formato ad immagine di Dio, è ancora il prezzo del sangue d’un Dio, egli è stato redento e salvato con la morte d’un Dio-uomo, ed in questa qualità egli è figliuolo adottivo di Dio, erede del suo regno, l’oggetto del suo amore e della sua vigilanza veramente paterna. Qual forti motivi di amar questo prossimo! Negargli amore non sarebbe egli negarlo a Dio medesimo, che l’ha creato e redento? Mentre se voi non amate il vostro prossimo che vedete, come amerete Dio che non vedete? dice S. Giovanni. Se voi non amate il vostro prossimo, come potete voi dire che amate Dio? Poiché voi trasgredite uno dei primi comandamenti, e si è dall’osservanza de’ suoi comandamenti che Egli conosce coloro che l’amano e se siamo colpevoli di prevaricazione contro tutti i punti della legge, trasgredendone un solo, come dice s. Giacomo, che sarà trasgredirli, per cosi dire, tutti, non osservando il precetto della carità, che è la pienezza della legge? Non evvi dunque salute alcuna a sperare per coloro che non amano il loro prossimo. Invano, fratelli miei, parlereste il linguaggio degli Angeli; invano avreste una fede sì viva da trasferire i monti, come dice S. Paolo; invano passereste tutti i vostri giorni in orazione; invano abbandonereste il vostro corpo a tutti i rigori del digiuno e della mortificazione: se voi non avete la carità, soggiunge lo stesso Apostolo, tutto questo a nulla vi serve: Si charitatem non habuero , nihil mini prodest (1. Cor. XIII). Bisogna praticarla prima d’ogni altra virtù, dice il principe degli Apostoli: Ante omnia in vobis metipsis mutuam charitatem habentes (2 Pet. IV). Ne conta già, che quell’uomo, quella donna che non amate non meriti il vostro amore, che sia un genio bizzarro con cui non si può vivere, che quell’uomo che la legge vi prescrive di amare come voi medesimo sia soggetto a difetti che lo rendono indegno di vostr’amicizia; ch’egli sia indegno di entrare in alcuna società; che vi abbia anche insultato, oltraggiato, e che abbia sempre mal animo contro di voi. Io voglio credere che quella persona con la sua condotta meriti piuttosto il vostro sdegno che la vostra amicizia: che sia anche soggetta a difetti che la rendono oggetto del dispregio e dell’orrore del genere umano: ma quella persona è l’immagine di Dio, ella è il prezzo del suo sangue; ecco ciò che dovete risguardare in essa. Non sono i suoi vizi, i suoi difetti, i suoi disordini, che Dio vi comanda di amare, non è la sua condotta che vi chiede di approvare; si è la sua somiglianza, si è voi medesimo che convien considerare; chiudete gli occhi su tutto il restante: vi basti di sapere che Dio è rappresentato da quell’uomo che vi dispiace, che vi ha pur anche offeso, per non far conto di qualunque altra ragione, perché si è Dio che dovete amare in quell’uomo, e quell’uomo per Dio: diliges proximum. Che l’immagine del re sia scolpita sul piombo o sull’oro, ella è sempre rispettabile; che l’immagine di Dio sia in un uomo vizioso o virtuoso, ella è sempre in questa qualità degna dei vostri rispetti e del vostro amore. Riguardate questa immagine, o piuttosto riguardate Dio, e gli renderete ciò che domanda da voi; riguardate altresì ciò che il prossimo è a voi medesimi, e vi troverete un altro fondamento della carità che dobbiamo avere gli uni per gli altri. – Si può considerare l’uomo o per quel che è in sé stesso, o per quel che è in qualità di Cristiano. Sotto queste due qualità gli uomini hanno dei rapporti, dei legami gli uni cogli altri che debbono serrare i nodi d’una stretta carità. Ogni uomo è prossimo ad un altro uomo, dice s. Agostino; come uomini, noi siamo tutti usciti dalla medesima origine, abbiamo tutti il medesimo Padre. Affinché non abbiamo tutti che un medesimo cuore , dice il Crisostomo, noi siamo tutti composti della medesima natura, d’un corpo e d’un’anima somiglianti. noi abitiamo la medesima terra, noi siamo alimentati con i medesimi beni che essa produce. Non crediate dunque – dice s. Agostino – perché siete ricchi, ed il vostro prossimo è povero, di essere dispensati dall’amarlo. Perché voi siete ricchi, non avete bisogno di lui, io ne convengo; ma quel povero, quell’indigente, è uomo come voi, egli è vostro simile, non dipendeva che da Dio di arricchirlo, d’innalzarlo come voi, e forse meritato più l’ha egli che voi. Che cosa avete voi fatto a Dio di più di lui per avere dei beni ch’egli non ha? Dio non poteva forse ridurvi nel medesimo stato in cui egli è? Riguardate dunque voi medesimi in quell’uomo, che avete dispregiato, aggiunge s. Agostino: attende te ipsum. Egli è vostro fratello, egli è un altro a voi medesimo, e in questa qualità egli è degno del vostro amore; ma quanto non merita ancora in qualità di Cristiano! – Infatti noi siamo tutti fratelli di Gesù Cristo, ed il legame, che il Cristianesimo produce tra gli uomini è ancora più forte di quello dell’umanità. Come Cristiani, noi siamo tutti rigenerati con lo stesso Battesimo, noi abbiamo tutti lo stesso padre, che è Dio, la stessa madre, ch’è la Chiesa, lo stesso cibo, che sono i Sacramenti, la stessa eredità, che è il cielo; noi siamo i membri d’un medesimo corpo, di cui Gesù Cristo è il capo. Poveri e ricchi, grandi e piccoli, nobili e plebei, re e sudditi sapienti ed ignoranti, tutti appartengono al Corpo mistico di Gesù Cristo; tutti per conseguenza debbono esser uniti coi legami di una stessa carità. Mirate l’unione e la corrispondenza che sono tra le membra del corpo umano. Questo è il paragone di cui servesi il grande Apostolo. Vos estis corpus Christi, et membra de membro (1a Cor. XII). Tutti i suoi membri s’interessano l’uno per l’altro, il dolore dell’uno si comunica a tutti gli altri, e non si tosto è guarito, che ne risentono anch’essi alleviamento. Gli occhi conducono i piedi, le mani difendono il capo; nella distribuzione che si fa degli alimenti, ogni membro conserva solo ciò che gli è necessario, e lascia il restante pel nutrimento degli altri. Se qualcheduno di essi è incomodato o debole, gli altri lo soccorrono e lo sostengono; se il piede cammina su d’una spina e ne sia ferito, quantunque elevati sieno gli occhi, essi si abbassano per cercarla, la mano si mette in istato di cavarla; tutti i membri, in una parola, hanno una tal unione gli uni cogli altri, che i beni e i mali loro sono comuni a tutti. – Tali sono gli effetti che la carità deve produrre tra i Cristiani, che sono i membri d’un medesimo corpo. Tutti questi membri debbono essere talmente uniti insieme, che si rendano reciprocamente tutti gli aiuti di cui hanno bisogno, di modo che gli uni facciano la funzione degli occhi, gli altri quella del piede, come la Scrittura dichiara del Santo Giobbe, quando dice, che egli era l’occhio del cielo, il piede dello zoppo Oculus fui cæco, per claudo (Job. XXIX). Quelli che sono al di sopra degli altri per la loro autorità, e che sono come il capo del corpo, debbono scendere nella miseria dei poveri per dare loro soccorso; quelli che sono sani soccorrere gli infermi, i sapienti istruire gli ignoranti, aiutarli col consiglio. E per seguire il paragone di s. Paolo, per rapporto ai membri che sono inferiori agli altri, i piedi del corpo umano, benché molto inferiori al corpo, non portano invidia alcuna; così ì Cristiani che sono nella povertà e nell’abbassamento non debbono invidiare la sorte di coloro che sono più fortunati. Benché un membro sia incurabile, e con i suoi dolori faccia soffrire gli altri, niuno tuttavia si sdegna contro di lui; tutti al contrario lo compatiscono e non sono consentire a separarsi. Così dobbiamo soffrire dagli altri, dai nostri più crudeli nemici, ancora che mettono la nostra pazienza alla prova. Nulla deve estinguere la carità, che deve unir insieme i membri di Gesù Cristo. Chiunque è separato dal suo fratello per inimicizia contro di lui non appartiene a questo Corpo mistico, di cui Gesù Cristo è il capo; egli è un membro guasto, che trovasi in uno stato di morte: Qui non diligit, manet in morte (1 Jo. III); perché egli non ha quello spirito di carità, che è il segno a cui Gesù Cristo ha voluto che si riconoscessero i suoi discepoli: Si quis spirìtum Christi non habet, hic non est eius (Rom. VIII). – Con tutto ciò, fratelli miei, dove si trova questa carità cristiana, che deve tessere il legame dei cuori? Niun si veggono al contrario tra i Cristiani, che inimicizie, che divisioni, che dissapori, che gelosie, che ingiustizie. L’uno cerca di distrugger l’altro con vessazioni o con inganni ed artifici. Questi s’impadronisce ingiustamente d’un bene che non gli appartiene; quegli lacera crudelmente la riputazione del suo fratello: i grandi opprimono i piccoli; i piccoli portano invidia ai grandi; gli uguali non possono soffrirsi; di modo che si può dire, che tra le creature l’uomo non trova alcun più crudele nemico che l’uomo medesimo. Non v’è più fedeltà tra gli amici; non si sa più, dicesi, di chi fidarsi; il commercio degli uomini diventa insopportabile; e non si trova, per cosi dire, tranquillità che nel loro allontanamento; quei medesimi che sono i più prossimi, per i vincoli della carne e del sangue, sono talvolta i più grandi nemici; si trova sovente più di soccorso presso d’uno straniero che presso d’un congiunto. Testimonio quell’uomo dell’odierno Vangelo, che fu abbandonato da’ suoi vicini, e sollevato da un Samaritano, che era straniero alla sua nazione. Spesse volte, dirollo? voi vedrete persone che fanno, professione di pietà, le quali si lasciano trasportare da antipatie, da avversioni contro quelli che hanno la disgrazia di loro dispiacere, che essi non possono mirar di buon occhio, ed a cui danno al più al più alcuni segni esteriori di carità finta, che serve di mantello ad un rancore raffinato, ad una colpevole freddezza; voi le vedete nulladimeno accostarsi ai sacramenti, fare molte buone opere, osservare esattamente certe pratiche di divozione, le quali non essendo animate dallo spirito di carità, non possono essere gradite a Dio né meritar da Lui ricompensa. Oh carità dei primi Cristiani, che li univa sì intimamente che non facevano tutti che un cuore ed un’anima sola, purché non regni tu ancora nello spirito e nel cuore dei Cristiani dei nostri giorni? Possiate, fratelli miei, riaccendere in voi quel bel fuoco che animava il Cristianesimo nascente! Possiamo noi veder rivivere questa carità fraterna, che fa il carattere dei discepoli di Gesù Cristo? Bisogna mostrarvene la pratica: sicut te ipsum.

II. Punto. Allorché Dio ci ha fatto comandamento di amare il nostro prossimo, Egli prevedeva tutti i falsi pretesti, di cui servirebbesi l’amor proprio per eludere la forza di questa legge; Egli proscriveva per conseguenza di già anticipatamente quelle amicizie finte ed apparenti, sterili ed inefficaci, quelle amicizie politiche, le quali finiscono in alcune parole cortesi, in alcune offerte di servigi; amicizia apparente che non è nel cuore, amicizia sterile che è senza effetto. E perciò Dio ci ha comandato di amar il nostro prossimo come noi medesimi: Diliges sicut te ipsum; perché l’amore che abbiamo per noi medesimi è un amor sincero ed efficace. Tal deve essere altresì il nostro amore per il prossimo; deve essere un amor sincero che sia nel cuore, opposto alle amicizie apparenti, le quali non ne hanno che la scorza: deve essere un amor efficace, che si manifesti con le opere, opposto alle amicizie sterili, che sono senza effetto. Ma perché l’amore, che abbiamo per noi medesimi, benché sincero sia ed efficace, non è sempre ben regolato, non è sempre animato da un buon motivo, ed è sovente vizioso, mondano, carnale, interessato, Gesù Cristo ha voluto ancora purificare il nostro amore pel prossimo, proponendoci per modello quel che Egli ha per noi medesimi: Sicut dilexi vos (Jo. III). Laonde, per riassumere tutte le qualità e tutte te regole, che deve avere la carità fraterna, ella deve essere sincera nel suo principio, efficace nelle sue opere, pura nei suoi motivi. Tale fu quella del Samaritano, di cui Gesù Cristo ci propone l’esempio. Sincero. Noi ci amiamo con un amore sincero, e si può dire che in ciò non c’inganniamo; non solamente non ci vogliamo alcun male, ma ci desideriamo ancora tutti i beni, che ci sono necessari, utili e dilettevoli. Osservate dunque, dice s. Agostino, quanto vi amate voi medesimi, per amare nello stesso modo il vostro prossimo: Attende quantum te diligis, sic dilige proximum. Riguardate il vostro prossimo come un altro voi medesimo, per non desiderargli né fargli del male più che a voi medesimi, per desiderargli e fargli tutto il bene che gradireste fatto a voi. Ecco la regola della carità cristiana. Perché  amate voi medesimi, voi non vorreste che altri s’impadronisse ingiustamente dei vostri beni, che denigrasse la vostra riputazione con nere calunnie, che v’insultasse con amari motteggi: perché dunque non vi diportate così a riguardo del vostro prossimo? Perché amate voi medesimi, voi vi desiderate tutto il bene che vi è necessario per preservarvi dai mali della vita; dovete avere i medesimi sentimenti per il vostro prossimo. Non crediate dunque di soddisfare al dovere della carità vivendo in uno stato d’indifferenza a suo riguardo. Il precetto dell’amore domanda il vostro cuore, ricusarglielo si è mancar al precetto. Mirate il Samaritano del Vangelo, che Gesù Cristo vi propone a modello: alla vista di quel povero ferito, che ritrova mezzo morto sulla strada, sente toccarsi il cuore di compassione, misericordia motus; si mette in luogo di quel meschino per rendergli tutti i servigi che la carità gl’inspira. Si è dal cuore, si è da un amor sincero che partono tutti i passi, ch’egli fa per soccorrerlo, misericordia motus. Gran soggetto d’istruzione, fratelli miei, e nello stesso tempo di confusione per quei cuori duri ed insensibili alle miserie del prossimo, i quali sono indifferenti sulle altrui avversità, e si contentano al più di dare alcuni segni esteriori di compassione, ove il cuore non ha alcuna parte! Se voi foste nell’afflizione, oppressi da malattia, da sinistri accidenti, non gradireste voi che gli altri avessero di voi compassione, ed entrassero a parte dei vostri dolori? Invano dunque vi lusingate di amare il vostro prossimo se voi non avete per lui i medesimi sentimenti che vorreste egli avesse per voi medesimi: Diliges etc. – Perché voi vi amate con un amore sincero, volete che si sopportino i vostri difetti, che si abbia dell’indulgenza per voi; e voi sopportate similmente i difetti altrui, abbiate per gli altri la medesima indulgenza, che vorreste si avesse per voi, ed adempirete la legge di Gesù-Cristo: Alter alterius onera portate, et sic adimplebitis legem Christi (Gal. VI). Ecco qui, fratelli miei, un punto notabile per la pratica della carità. Noi abbiamo tutti dei difetti e delle debolezze, che ci espongono ad essere offesi gli uni dagli altri; siamo nulladimeno obbligati a vivere insieme; bisogna dunque, per rendere la società sopportabile, perdonali l’un l’altro, sopportare le nostre debolezze, altrimenti converrebbe rompere ogni commercio cogli uomini; nel che consiste la sapienza ammirabile del nostro Dio, che ci ha comandato di amarci gli uni con gli altri come noi medesimi, perché, amandoci in tal modo, noi vicendevolmente ci perdoniamo. Dio, che comanda a noi di sopportar gli altri, comanda loro di sopportar noi. Se ciascuno adempie al suo dovere, la pace non sarà giammai alterata, come è pur troppo dalle dissensioni, dalle guerre intestine, che desolano le famiglie: quale n’è la cagione? La mancanza di carità a sopportare i difetti del suo prossimo. Quanti ve ne sono che vogliono essere scusati e sopportati in ogni cosa, e nulla sanno sopportar negli altri? Domandano che si abbia dell’indulgenza per essi, mentre trattano gli altri con arroganza, li insultano, li dispregiano a cagione dei loro difetti. Ed è questo forse amar il suo prossimo come se stesso? No, senza dubbio, la carità cristiana segue la stessa regola pel prossimo che per sé. Ma quanto è mai raro ritrovare questa carità che soffre tutto, che perdona tutto, che desidera del bene a tutti! Credono essi di soddisfare al dovere della carità con alcune dimostrazioni di amicizia, che danno al prossimo; ma sotto queste belle apparenze non hanno alcun amore vero e sincero, ne volete la prova? Accada al prossimo qualche sinistro affare, qualche disgrazia, qualche perdita di beni: ne provano un piacere segreto, che hanno cura di nascondere sotto finte proteste di cordoglio che sentono dell’altrui avversità; al contrario si affliggono della sua prosperità, mentre esteriormente sembrano rallegrarsene, prova certissima che non l’amano come se stessi con un amor sincero, perché, per amarlo in tal modo, bisogna entrar a parte delle sue disgrazie e delle sue prosperità, come delle nostre proprie. No, no. fratelli miei, non è già nelle parole che consiste la carità, ma bensì nel cuore; e quando essa è nel cuore, si fa vedere con gli effetti: Non diligamus verbo, sed opere veritate (1. Jo. XIII). – Ma, torno a dire, qual è l’amore, che noi abbiamo per noi medesimi? Non solamente non ci desideriamo del bene, ma usiamo ancora tutti i mezzi di procurarcene e di trovare allievamento nei nostri bisogni. Siamo noi nell’indigenza? Cerchiamo i mezzi di pervenire ad una miglior fortuna. Siamo infermi? ricorriamo ai medici. Siamo nell’afflizione? cerchiamo la consolazione presso di un amico. In una parola, l’amore ingegnoso che abbiamo per noi medesimi, ci fa mettere in uso ogni mezzo per trovare tutto ciò che ci è necessario. Si è in tal modo che un amor sincero ed efficace dee diportarsi verso del suo prossimo. Perciocché contentarsi di semplici desideri senza venirne all’effetto è egli forse, fratelli miei, un adempiere i doveri della carità? Si è imitar quei viandanti, che videro quell’uomo ferito sulla strada di Gerico, e che si contentarono di avere per lui alcuni sentimenti di compassione senza dargli verun soccorso. Perché non imitiamo noi al contrario la condotta del pietoso Samaritano, che, seguendo i movimenti della sua compassione, gli diede tutte le prove d’una carità che previene, senza aspettare che quel povero ferito gli chiedesse aiuto? Egli si accosta a lui, molto diverso da quegli uomini duri, che nulla cotanto temono quanto l’aspetto dei miserabili, e da cui nulla si può ottenere se non a forza d’importunità: egli è premuroso di apportar rimedio ai mali di lui, versa dell’olio e del vino sopra le sue piaghe, lo porta alla vicina osteria, e con generosa carità si obbliga di pagar la spesa, che per quell’uomo farà d’uopo sino alla sua perfetta guarigione. Ecco, dice Gesù Cristo, il modello che dovete seguire: Vade, et tu fac similiter! Per venirne alla pratica fa d’uopo studiare tutti i bisogni del corpo e dell’anima, cui è ridotto il vostro prossimo, per dargli tutti gli aiuti che da noi dipendono. Il vostro fratello è egli nell’indigenza, abbattuto dagli infortuni, dalle miserie dei tempi? Porgetegli una mano pietosa per aiutarlo a rialzarsi col vostro danaro, col vostro credito, con la vostr’opera e con tutti i servigi che dipendono da voi. È egli stimolato dalla fame, divorato dalla sete, mancante di vestimenta? Dategli da mangiare, da bere, e di che vestirsi: prevenite anche i suoi bisogni, senz’aspettare che con sollecitazioni importune egli cavi da voi una limosina, che perde molto pel ritardo o la cattiva grazia con cui vien fatta; prevenitelo ad esempio di Abramo, il quale andava incontro ai pellegrini per indurli ad alloggiare in casa sua. Quell’altro è egli confinato nel letto da malattia o detenuto nelle prigioni per debiti o delitti? Visitatelo; procurate di sollevare quell’infermo, di liberare, o per lo meno soccorrere quel prigioniero; l’uno e l’altro meritano tanto più la vostra carità, quanto che non possono uscire come gli altri indigenti per cercare soccorso alle loro miserie. In una parola, rendete al vostro prossimo miserabile tutti i servigi che vorreste fossero renduti a voi medesimi: Vade, et tu fac similiter. – Ma quanto è mai raro trovare uomini abbastanza sensibili alle altrui miserie, per spargere nel loro cuore la carità benefica! Quanti cuori di bronzo lasciano languir miserabili che mancano di tutto, senza dar loro il minimo soccorso, mentre essi mancar non vogliono di cosa alcuna! Quanti che li trattano con disdegno e dispregi insultanti, aggiungendo nuovo peso alle loro miserie! Se si risolvono a far lor qualche limosina, non è che per liberarsi dalle loro importunità, ed è molto modica e comprata a molto caro prezzo per le maniere scortesi che l’accompagnano. Donde viene dunque, fratelli miei, questa durezza, questa insensibilità, che si ha per le miserie altrui? Da uno spirito d’interesse, che signoreggia la maggior parte degli uomini. La carità, dice s. Paolo, non cerca il suo interesse: Non quærit, quae sua sunt. Ma quasi tutti gli uomini lo ricercano questo interesse, dice il medesimo Apostolo: Omnes quæ sua sunt quærunt. Ecco ciò che distrugge la carità tra essi. La carità ama di comunicarsi; ma lo spirito d’interesse si ristringe in se stesso; egli riferisce tutto a se stesso, come a suo centro, ama solo se stesso e non ha che della durezza per gli altri. Questo spirito d’interesse rende non solamente gli uomini insensibili alle miserie del loro prossimo, egli mette ancora la divisione tra quei medesimi, che dovrebbero essere i più uniti: egli separa gli amici, i parenti, il figliuolo dal padre, il fratello dalla sorella, mette in scompiglio tutta la società. Donde viene che i primi Cristiani non facevano che un cuore ed un’anima sola? Si è perché non avevano alcun interesse a divider fra loro; tutti i loro beni erano comuni, ed essi facevano a gara a beneficarsi l’un l’altro: laddove l’interesse divide i Cristiani d’oggi giorno, e ne fa tanti cuori differenti, quanti sono i soggetti che compongono la società. Bisogna dunque, per essere caritatevole, staccarsi e spogliarsi del suo interesse, far parte agli altri de’ suoi beni, secondo i loro bisogni e la propria facoltà; di modo che chi ha molto dia molto, e chi ha poco dia poco, come diceva Tobia al suo figliuolo. – Ma non ci fermiamo solamente a provarvi che i bisogni del corpo del vostro prossimo debbono esser l’oggetto della carità; vi sono beni più nobili, quelli vale a dire dell’anima. Questa materia chiederebbe una istruzione particolare di cui non faccio che indicarvi in poche parole i capi principali: il vostro prossimo è nell’afflizione? Voi dovete consolarlo: è questo un esercizio di carità, che conviene a tutti, non v’è alcuno che non possa compierlo. Quante occasioni non se ne trovano negli avvenimenti funesti, che attraversano la vita degli uomini? Una parola di consolazione detta a proposito ad un infermo, ad un afflitto, calma l’amarezza dei suoi dolori. Il vostro prossimo è nell’ignoranza, o caduto a qualche disordine? Istruitelo, correggetelo. Quanti poveri ignoranti si trovano, che hanno bisogno d’istruzione, che per mancanza di essa si allontanano dalle vie della salute! Quanti peccatori, che si perdono nelle vie dell’iniquità per mancanza di una correzione salutevole, di un avviso prudente che li farebbe rientrar nel dovere! La più grande carità, che si possa dunque fare, è il faticare alla conversione dei peccatori, cooperare alla salute dell’anima del suo prossimo, sia con ammonizioni fatte a proposito, sia con i buoni esempi, i quali sono ancora più efficaci che le parole. Se voi vedeste una bestia da soma cader in un fosso, voi la rialzereste per carità verso colui cui essa appartiene, voi vedete un vostro fratello che i disordini conducono al precipizio, che è vicino a cader nell’inferno, e non farete alcuno sforzo per rattenerlo? Ov’è la vostra carità’? Ov’è il vostro zelo per la gloria di Dio? Ma qual crudeltà sarebbe la vostra se con malvagi consigli, con esempi perniciosi acceleraste la sua caduta? Iddio vi domanderebbe un conto terribile della perdita dell’anima di lui. – Finiamo. La carità deve essere pura nel suo motivo; ella sarà tale se noi ameremo il nostro prossimo, come Gesù-Cristo ci ha amati. È questo il modello che Egli ci propone: sicut dilexi vos. In qual modo Gesù-Cristo ci ha Egli amati, fratelli miei? Ci ha amati senza alcun merito dal canto nostro e senza alcun interesse dal suo. Egli ci amò fino a sacrificar i suoi beni, il suo riposo, la sua vita per nostra salute. Ecco la regola che propone alla nostra carità, Egli deve esserne il fine. Non è dunque né la nobiltà dell’origine, né  lo splendore delle ricchezze , né le qualità personali del corpo e dello spirito, che fissar devono il nostro amore per il prossimo, molto meno ancora la passione deve esserne il principio. Poiché amarsi per la colpa è un amarsi per l’inferno, dice il Crisostomo; l’amor cieco e profano non deve avere alcun luogo nell’ordine della carità cristiana. Voi potete bensì avere un affetto particolare per i parenti, gli amici, le persone che lo meritano per le loro buone qualità, per i loro benefizi, ma questo affetto deve sempre riferirsi a Dio come a suo primo oggetto. Perciocché, se voi non amate il vostro prossimo che per mire umane, solamente perché vi appartiene pei vincoli del sangue o per qualche attrattiva particolare che vi piace, se non gli rendete servigio che per l’utile che ne sperate, o per una inclinazione puramente naturale, che fate voi di più che i pagani? La vostra carità, non essendo soprannaturale come deve essere, sarà senza ricompensa presso di Dio. L’esempio del Samaritano del Vangelo vi confonderà ancora in questo punto. Che poteva egli sperare da quell’uomo cui gli assassini avevano tolto tutto quel che possedeva? Non era dunque in vista dell’interesse che gli rendette sì buoni uffizi, ma per solo principio della carità, che l’animava. Ah! quanto è rara una carità cosi disinteressata! Si ama, si coltiva l’amicizia di certe persone, o perché  hanno del credito, o per la speranza di certi vantaggi che se ne aspettano: si amano coloro che sono nella prosperità ed in istato di far del bene, ma dacché non si trova più il proprio interesse, dacché la fortuna ha cangiato, non avvi più amicizia. Prova certissima che Dio non n’è il principio ed il fine. Volete voi conoscere, fratelli miei, se la vostra carità viene da Dio e se ella si riferisce a Dio? Lo conoscerete quando essa non cangerà, malgrado i sinistri accidenti del vostro prossimo, malgrado i cattivi servigi che esso vi renderà; perché questa carità, trovando in Dio un motivo sempre costante, non deve giammai variare.

Pratiche. Non considerate che Dio in tutte le cose; amate il vostro prossimo in Dio, per Dio e come Dio vi ha amati, e voi lo amerete cristianamente. Volete voi sapere se avete questa carità? Riconoscetela ai segni che ce ne dà il grande Apostolo, i quali ne contengono la pratica. La carità, dice egli, è paziente e piena di bontà: Charitas patiens est, benigna est; ella è paziente per soffrire dai nostri fratelli gli affronti, le ingiurie, i dispregi; piena di bontà per far loro del bene. Essa non è invidiosa: Non æmulatur; perché, non attaccandosi alle cose di quaggiù, e non desiderando che i beni del cielo, essa non conosce quell’invidia maligna, che si affligge del bene altrui. Essa non si gonfia, non è ambiziosa: Non inflatur, non est ambitiosa; perché non crede meritar cosa alcuna, e, ben lungi dal dispregiar gli altri, non ha che umili sentimenti di sé medesima. Essa non s’irrita, perché non cerca il suo interesse: Non irritatur, non quærit, quæ sua sunt. Ella non pensa né giudica male di alcuno; non si rallegra del male, ma piuttosto del bene e della verità: non cogitat malum, congaudet veritati. Ella crede tutto, soffre tutto, spera tutto: Omnia credit, omnia sperat, omnia sustinet. Faccia il cielo, fratelli miei, che la vostra sia tale, e che, dopo essere stati uniti sopra la terra coi legami di una stretta carità, lo siate un giorno nell’eternità beata. Cosi sia.

CREDO…

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/12/il-credo/

Offertorium

Orémus
Exod XXXII: 11;13;14

Precátus est Moyses in conspéctu Dómini, Dei sui, et dixit: Quare, Dómine, irascéris in pópulo tuo? Parce iræ ánimæ tuæ: meménto Abraham, Isaac et Jacob, quibus jurásti dare terram fluéntem lac et mel. Et placátus factus est Dóminus de malignitáte, quam dixit fácere pópulo suo. [Mosè pregò in presenza del Signore Dio suo, e disse: Perché, o Signore, sei adirato col tuo popolo? Calma la tua ira, ricordati di Abramo, Isacco e Giacobbe, ai quali hai giurato di dare la terra ove scorre latte e miele. E, placato, il Signore si astenne dai castighi che aveva minacciato al popolo suo.]

Secreta

Hóstias, quǽsumus, Dómine, propítius inténde, quas sacris altáribus exhibémus: ut, nobis indulgéntiam largiéndo, tuo nómini dent honórem. [O Signore, Te ne preghiamo, guarda propizio alle oblazioni che Ti presentiamo sul sacro altare, affinché a noi ottengano il tuo perdono, e al tuo nome diano gloria.]

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/comunione-spirituale/

Communio

Ps CIII: 13; 14-15

De fructu óperum tuórum, Dómine, satiábitur terra: ut edúcas panem de terra, et vinum lætíficet cor hóminis: ut exhílaret fáciem in oleo, et panis cor hóminis confírmet.

[Mediante la tua potenza, impingua, o Signore, la terra, affinché produca il pane, e il vino che rallegra il cuore dell’uomo: cosí che abbia olio con che ungersi la faccia e pane che sostenti il suo vigore.]

 Postcommunio

Orémus.
Vivíficet nos, quǽsumus, Dómine, hujus participátio sancta mystérii: et páriter nobis expiatiónem tríbuat et múnimen.

[O Signore, Te ne preghiamo, fa che la santa partecipazione di questo mistero ci vivifichi, e al tempo stesso ci perdoni e protegga.]

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/preghiere-leonine-dopo-la-messa/

https://www.exsurgatdeus.org/2018/09/14/ringraziamento-dopo-la-comunione-2/

https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/

ESERCIZIO DEVOTO IN ONORE DELLA BEATISSIMA SEMPRE VERGINE MADRE DI DIO: MARIA.

UN ESERCIZIO DEVOTO IN ONORE DELLA BEATISSIMA SEMPRE VERGINE MADRE DI DIO

MARIA

CONCEPITA SENZA PECCATO ORIGINALE DAGLI SCRITTI DI SAN BONAVENTURA

Il seguente pio esercizio in onore della Gloriosa e sempre Vergine Madre di nostro Signore è raccolto in gran parte dalle opere del serafico Dottore, San Bonaventura; e fu stampato a Roma nel I860. Le pie e ferventi aspirazioni che esso contiene sono concepite nello spirito e secondo il modello dei Salmi di Davide che sono il fondamento del Divino Ufficio ed il culto quotidiano della Chiesa Cattolica.

INDULGENZE

Papa Pio IX., in un Breve in data 9 Dic. 1856, ha concesso in eterno le seguenti indulgenze ai fedeli che con cuore contrito recitino nella settimana sotto forma di supplica in onore della sempre Beatissima Vergine, ogni giorno:

1. Sette anni e sette quarantene per ogni giorno.

2. Un’indulgenza plenaria nella festa dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine, oppure entro l’ottava; nella festa di San Giuseppe, in quella di San Bonaventura, il 14 luglio; ed in un giorno del mese di maggio a scelta di ognuno, a chi hanno recitato per un intero mese questa devozione ogni giorno, con Confessione sacramentale e Comunione eucaristica, con visita ad una chiesa o ad pubblico oratorio e preghiera secondo le intenzioni del Sovrano Pontefice. Queste Indulgenze possono essere applicate alle anime del Purgatorio.

Qual grande profitto trarrà chi offrirà ogni giorno questo tributo di preghiere alla sempre Beatissima Vergine, non solo ottenendo queste Indulgenze, ma ancor più se otterrà la grazia desiderabilissima di una vita santa, e di una morte tranquilla e felice in Nostro Signore.

Christe, cum sit hinc exire, Da per Matrem me venire ad palmam victoriæ

.

PRÆPARATIO QUOTIDIANA.

1. Humiliabis te in fide ante conspectum Dei.

[Ti umilierai con fede al cospetto di Dio]

2. Putabis te moribundum in lecto, et habentem ante oculos tuos Jesum Christum Crucifixum in Monte Calvario, et juxta Crucem Ejus SS. Virginem doloris gladio transifixam.

[Ti considererai moribondo nel letto avendo davanti agli occhi Gesù Cristo moribondoCrocifisso sul monte Calvario, e presso la sua Croce la SS. Vergine trapassata dalla spada del dolore].

3. Ante Psalmos sequentes preces recitabis.

[Prima dei Salmi reciterai le seguenti preghiere]

ORATIO.

Domine Jesu Christe Crucifixe, per infinitam tuam misericordiam, ac per merita et intercessionem Beatissimæ V. Matris tuæ, adjuva nos, licet indignos, ut in unione totius Curiæ cœlestis, eandem SS. Virginem,  omnibus diebus vitæ nostræ laudare valeamus, et has preces persolvere, ut sancte vivere, ac feliciter mori in tuo amore mereamur. Amen.

AVE MARIA, etc.

V. Illumina oculos meos, ne unquam obdormiam in morte.

R. Ne quando dicat inimicus meus: prævalui adversus eum.

V. Deus in adjutorium meum intende.

R. Domine, ad adjuvandum me festina.

Gloria, etc.

HYMNUS.

Memento, rerum Conditor,

Nostri quod olim corporis

Sacrata ab alvo Virginis

Nascendo formam sumpseris.

Maria Mater gratiæ,

Dulcis Parens dementia,

Tu nos ab hoste protege,

Et mortis hora suscipe.

Jesu Tibi sit gloria,

Qui natus es de Virgine,

Cum Patre, et almo Spiritu

In sempiterna sæcula. Amen.

DIE DOMINICA.

Ad Plagas Jesu, petes gratiam bene disponendi domui tuæ

et sanctificandi tota vita tua Nomen Patris Cœlestis.

Ant. I Conforta Virgo.

PSALM. I.

Beatus vir, qui diligit nomen tuum, Maria

Virgo: gratia tua animam ejus confortabit.

Tanquam lignum aquarum fontibus irrigatum

uberrime: in eo fructum justitiæ propagabis.

Benedicta tu inter mulieres: propter humilitatem

et credulitaten cordis sancti tui.

Universas enim fœminas vincis pulcritudine

carnis: superas Angelos et Arcangelos

excellentia sanctitatis.

Misericordia tua et gratia ubique predicatur:

Deus operibus manum tuarum benedixit.

Gloria, etc.

Ant. 1. Conforta, Virgo Maria, animam ejus, qui invocat nomen tuum: quia misericordia tua et gratia ubique prædicatur.

Ant. 2. Protegat nos.

PSALM. II.

Quare fremuerunt inimici nostri: et adversum

nos meditati sunt inania?

Protegat nos dextera tua, Mater Dei: ut

acies terribilis confundens, et destruens eos.

Venite ad eam, omnes qui laboratis, et tribulati estis:

et dabit refrigerium animabus vestris.

Accedite ad earn in tentationibus vestris:

et stabiliet vos serenitas vultus ejus.

Benedicite illam in toto corde vestro:

misericordia enim illius plena est terra.

Gloria, etc.

Ant. 2: Protegat nos dextera tua, Mater

Dei: et da refrigerium, et solatium animabus

nostris.

Ant. 3: Deduc me.

PSALM. III.

Domina, quid multiplicati sunt, qui tribulant me?

In potentia tua persequeris, et dissipabis eos.

Dissolve colligationes impietatis nostræ:

tolle fasciculos peccatorum nostrorum.

Miserere mei, Domina, et sana infirmitatem

meam: tolle dolorem, et angustiam cordis mei.

Ne tradas me manibus inimicorum meorum: et in die mortis meæ conforta animam meam.

Deduc me ad portum salutis: et spiritum

meum redde Factori, et Creatori meo.

Gloria, etc.

Ant. 3: Deduc me, Domina, ad portum salutis:

et in die mortis meæ conforta animam meam.

Ant. 4: Ne projicias.

PSALM. XIX.

Exaudias nos, Domina, in die tribulationis:

et precibus nostris converte clementem faciem tuam.

Ne projicias nos in tempore mortis nostræ:

sed succurre animæ, cum deseruerit corpus suum.

Mitte Angelum in occursum ejus: per

quem ab hostibus defendatur.

Ostende ei serenissimum Judicem sæculorum:

qui ob tui gratiam veniam ei largiatur.

Sentiat in pœnis refrigerium tuum: et

concede ei locum inter electos Dei.

Gloria, etc.

Ant. 4: Ne projicias nos, Domina, in tempore

mortis nostræ: sed succurre animæ, cum deseruerit corpus suum.

Ant. V Esto Domina.

PSALM. XXIV.

Ad te, Domina, levavi animam meam:

in judicio Dei tuis precibus non erubescam.

Neque illudant mihi adversarii mei:

et enim in te praesumentes de Te roborantur.

Non pnevaleant adversum me laquei mor

tis : et castra malignantium non impediant

gressus meos.

Collide impetum eorum in virtute tna : et

cum mansuetudine occure animae meae.

Ductrix mea esto ad patriam: et me ccetui

angelorum digheris aggregare. Gloria, etc.

Ant. Esto, Domina, ductrix mea ad patri

am : et in die mortis meae, occurre cum

mansuetudine animas meæ.

PRECES.

V. Maria Mater gratiæ, Mater misericordiæ.

R. Tu nos ab. hoste protege, et hora mortis suscipe.

V. Illumina oculos meos, ne unquam obdormia in morte.

R. Ne quando dicat ihimicus meus, prævalui adversus eum.

V. Salva me ex ore leonis.

R. Et de manu canis unicam meam.

V. Salvum me fac in tua misericordia.

R. Domina, non confundar, quoniam invocavi te.

V. Ora pro nobis peccatoribus.

R. Nunc et in hora mortis nostra.

Amen.

V. – Domina exaudi orationem meam.

R. Et Clamor meus ad te veniat.

OREMUS.

Propter terrores illius commotionis, qua

cor tuum contremuit, Virgo Beatissima, quando

audisti Filium tuum dilectissimum ab

impiis captum, ligatum, et ad supplicia tractum

et traditum ; adjuva nos, ut cor nostrum

nunc pro delictis nostris terreatur et moveatur

ad poenitentiam, ne mortis in hora ad

occursum adversarii paveat, aut ad aspectum

tremendi Judicis, accusante conscientia,

contremiscat, sed potius faciem Ejus videntes

in jubilo delectemur, ineffabiliterque laete

mur. Preestante eodem Domino nostro Jesii

Christo Filio tuo, qui cum Patre, et Spirit!

Sancto vivit et regnat in saecula saeculo

rum. Amen.

V. Ora pro nobis Sancta Dei Genitrix.

R. Ut digni efficiamur promissionibus

Christi.

V. Requiescamus in pace. B. Amen.

Canticum S. Bonaventuræ, Te Matrem Dei laudamus, etc.

CANTICUM S. BONAVENTURAE.

Considerabis gloriosum transitum et Assumptionem B. M. V. eamque cum Angelis laudabis, orans, ut cum Jesu et S. Joseph tibi assistat in morte.

Te Matrem Dei laudamus:

Te Mariam Virginem profitemur.

Te Æterni Patris Filiam: omnis terra veneratur.

Tibi omnes Angeli, et Arcangeli: Tibi Throni, et Principatus fideliter deserviunt.

Tibi omnes Potestates, et omnes Virtutes Cœlorum: et universaæ Dominationes obediunt.

Tibi omnes Chori: Tibi Cherubim, et Seraphim exultantes assistunt.

Tibi omnis Angelica creatura: incessabili voce proclamat.

Sancta, Sancta, Sancta: Maria Dei Genitrix, et Mater, et Virgo.

Pleni sunt Coeli, et Terra: Majestatis gloriæ Fructus ventris Tui.

Te gloriosus Apostolorum Chorus: Sui

Creatoris Matrem collaudat.

Te Beatorum Martyrum cœtus Candidatus:

Christi Genetricem glorificat.

Te Gloriosus Confessorum exercitus Trinitatis

Templum appellat.

Te Sanctarum Virginum chorea amabilis:

Virginitatis, et humiliatis exemplum pradicat.

Te tota Cœlestis Curia: Reginam honorat.

Te per universum Orbem: Ecclesia invocando

concelebrat.

Matrem: Divinæ Majestatis.

Venerandam Te veram: Regis Cœlestis puerperam.

Sanctam quoque: dulcem et piam.

Tu Angelorum Domina: Tu Paradisi janua.

Tu Scala Regni Cœlestis et gloriæ.

Tu Thalamus: Tu Arca pietatis, et gratiæ.

Tu vena Misericordias: Tu Sponsa, et

Mater Regis æterni.

Tu templum, et Sacrarium Spiritus Sancti:

totius Beatissimæ Trinitatis nobile triclinium.

Tu mediatrix Dei, et hominum: amatrix

mortalium, Cœlestis illuminatrix.

Tu agonizatrix pugnantium, advocata pauperum:

miseratrix, et refugium peccatorum.

Tu erogatrix munerum; Superatrix, ac

Terror Demonum et superborum.

Tu mundi Domina, Cœli Regina: post

Deum sola Spes nostra.

Tu salus Te invocantium, Portus naufragrantium:

miserorum solatium, pereuntium refugium.

Tu Mater omnium Beatorum, Gaudium

Plenum post Deum: omnium supernorum

Civium Solatium.

Tu Promotrix justorum, Congregatrix errantium:

Promissio Patriarcharum.

Tu Veritas Prophetarum, Præconium, et

Doctrix Apostolorum: Magistra Evangelistarum.

Tu fortitudo Martyrum, Exemplar Confessorum:

Honor, et Festivitas Virginum.

Tu ad liberandum exulem hominem:

Filium Dei sucepisti in uterum.

Per Te, expugnato hoste antiquo: sunt

aperta fidelibus Regna Cœlorum.

Tu cum Filio Tuo sedes:

ad dexteram Patris.

Tu Ipsum pro nobis roga, Virgo Maria:

Quem nos ad judicandum credimus esse venturum.

Te ergo poscimus nobis Tuis famulis subveni:

qui pretioso Sanguine Filii Tui redempti

sumus.

Æterna fac, pia Virgo:

cum Sanctis Tuis nos gloria numerari.

Salvum fac populum Tuum, Domina: ut

simus participes hæreditatis Filii Tui.

Et rege nos: et custodi nos in æternum.

Per singulos dies: O Pia, Te salutamus.

Et laudare Te cupimus:

usque in æternum mente et voce.

Dignare, dulcis Maria: nunc, et semper

nos sine delicto conservare.

Miserere, Pia nobis: miserere nobis.

Fiat misericordia Tua magna nobiscum:

quia in Te, Virgo Maria, confidimus.

In Te, dulcis Maria, speramus:

nos defendas in Æternum.

Te decet laus, Te decet imperium: Tibi

virtus, et gloria in sæcula sæculorum. Amen.

PRECES AD USUM QUOTIDIANUM.

PRO DOMINICA.

Oratio S. Mariae Virgini ex D. Augustino deprompta.

Memorare, O piissima Virgo Maria, non

esse auditum a sæculo, quemquam ad Tua

currentem præsidia, Tua implorantem auxilia.

Tua petentem suffragia a Te esse derelictum,

Ego tali animatus confidentia ad Te, Virgo

Virginum Mater, curro, ad Te venio, coram

Te gemens precator assisto. Noli, Mater

Verbi, verba mea despicere; sed audi propitia,

et exaudi. Amen.

FERIA SECUNDA

Ad Plagas Jesu, petes Regnum Dei in te; et post mortem statim possidere Regnum Cælorum.

[Alle piaghe di Gesù, chiederai il regno di Dio in te, e dopo morte di possedere il Regno dei Cieli]

Præp. quotid. — Ave Maria.

V. Illumina oculos, ut supra.

Ant. 1: In manus Tuas.

SALMO XXX.

In Te, Domina, speravi, non confundar in

æternum: in gratia Tua suscipe me.

Inclina ad me aurem Tuam:

et in mœrore meo lætifica me.

Tu es fortitudo mea, et refugium meum:

consolatio mea, et protectio mea.

Ad Te Domina clamavi,

dum tribularetur cor meum:

et exaudisti me de vertice collium æternorum.

In manus Tuas, Domina, commendo spiritum meum:

totam vitam meam, et die ultimum meum.

Gloria, etc.

Ant.1: In manus Tuas, Domina, commendo spiritum meum; totam vitam meam, et diem ultimum meum.

Ant. 2 :Miserere mei.

PSALM. XXXVIII.

Dixi, custodiam vias meas, O Domina:

cum per Te gratia Christi fuerit mihi data.

Liquore Tuo liquefactum est cor meum:

amore Tuo inflammata sunt viscera mea.

Exaudi orationem meam, Domina,

et contabescant adversarii mei.

Miserere mei de Cœlis, et de altitudine throni Tui:

et ne permittas me in valle miseriæ conturbari.

Custodi pedem meum, ne labatur:

et in fine meo sit præsens gratia Tua.

Gloria, etc.

Ant. 2: Miserere mei de Cœlis, Domina, et

in fine meo sit præsens gratia Tua.

Ant. 3: Sanctæ preces.

PSALM. XLII.

Judica me, Domina, et discerne causam

meam de gente perversa: a Serpente maligno,

et dracone pestifero libera me.

Sancta fæconditas Tua disperdat eum:

beata Virginitas Tua conterat caput ejus.

Sanctas preces tuae corroborent nos contra eum:

sancta merita tua exinaniant virtutem ejus.

Persecutorem animre mere mitte in abyssuni:

puteus infernalis deglutiat eum viventem.

Ego autem, et anima mea in terra captivitatis

mere benedicam nomen Tuum: et glorificabo

Te in sæcula sæculorum.

Gloria, etc.

Ant. 3: Sanctæ preces Tuæ, Domina, corroborent me

contra persecutorem animæ meæ:

et in die mortis meæ a Serpente maligno

libera me.

Ant: 4: Ego autem, Domina.

PSALM. LIV.

Exaudi, Domina, orationem meam:

et ne contemnas deprecationem meam.

Contristatus sum in cogitatione mea: quia

judicia Dei perterruerunt me.

Tenebræ mortis venerunt super me:

et pavor inferni invasit me.

Ego autem in solitudine expecto consolationem Tuam:

et in cubili meo attendo misericordiam tuam.

Glorifica manum, et dexterum brachium

Tuum: ut posternatur a nobis inimici nostri.

Gloria, etc.

Ant. 4: Ego autem, Domina, attendo in cu

bili meo misericordiam Tuam; quia tenebra

mortis venerunt super me.

Ant. 5: Impetra nobis.

PSALM. LXIII.

Exaudi, Domina, orationem meam, cum deprecor:

a pavore crudeli libera animam meam.

Impetra nobis servulis tuis pacem et securitatem:  

in tremendo judicio.

Benedicta Tu super omnes mulieres:

et benedictus fructus ventris Tui.

Illumina Domina, oculos meos: et illustra

cœcitatem meam.

Da mihi in Te confidentiam bonam; et in

vita et in fine meo.

Gloria, etc.

Ant. 5: Impetra nobis, Domina, paceni et

salutem in die novissimo; et da mihi confidentiam

bonam in Te, in vita et in fine meo.

Preces, ut supra.

OREMUS.

Propter gemitus et lacrymas, quibus afficie baris, Virgo dulcissima, quando vidisti Filium tuum dulcissimum judici prasentari, acriter flagellari, variis illusionibus et opprobriis affici; impetra nobis dolorem pro peccatis nostris, et lacrymas salutiferas contritionis; et adjuva nos, ne nobis possit inimicus illudere, neque diversis pro libitu suo tentationibus flagellare, devictosque statuere terribli Judici; sed magis ipsi accusemus, et judicemus nos metipsos de excessibus nostris, et veræ pænitentiæ disciplinis flagellemus, ut veniam et gratiam in tempore necessitatis, tribulationis et angustiæ inveniamus. Præstante eodem Domino nostro Jesu Christo Filio Tuo, etc.

Amen.

V. Ora pro nobis Sancta Dei Genitrix.

R. Ut digni efficiamur promissionibus Christi.

V. Requiescamus in pace. R. Amen.

Canticum S. Bonaventuræ:

Te Matrem Dei laudamus, etc.

PRO FERIA II.

Oratio S. Francisci in Opuscul.fol. 29.

Absorbeat, quæso, Domine mentem meam

ab omnibus, quae sub Cœlo sunt, ignita, et

melliflua vis amoris Tui; ut amore amoris

Tui moriar, qui amore amoris mei dignatus

es mori. Per temetipsum Dei Filium; Qui

cum Patre, etc. Amen.

FERIA TERTIA

Præparibis te ad ultimam Confessionem; et ad plag. Jesu petes donum perfectæ contritionis, et semper faciendi Dei voluntatem.

Præp. quotid. — Ave Maria.

V. Illumina oculos, ut supra.

Ant. 1: Protegat me.

PSALM. LXVI.

Deus misereatur nostri et benedicat nobis:

per illam, quæ Eum genuit.

Miserere nostri, Domina, et ora pro nobis

in sanctam lastitiam converte mæstitiam nostram.

Illumina me, Stella maris: clarifica me

Virgo clarissima.

Extingue ardorem cordis mei:

refrigera me gratia Tua.

Protegat me semper gratia Tua: præsentia

Tua illustret finem meum.

Gloria, etc.

Ant. 1: Protegat me, Domina, gratia Tua semper;

et præsentia Tua illustret finem meum.

Ant. 2: Assiste, Domina.

PSALM. LXXII.

Quam bonus Israel Deus: his, qui Matrem Suam colunt et venerantur.

Ipsa enim est solatium nostrum: in laborious subventio optima.

Obtexit caligine animam meam hostis:

In visceribus meis, Domina, lucem fac oriri.

Avertatur a me ira Dei per Te : placa

Eum meritis, et precibus Tuis.

In Judicio pro me assiste : coram eo suscipe

causam meam, et mea, sis advocata.

Gloria, etc.

Ant. 2:  Assiste, Domina, pro me judicio:

coram Deo est advocata mea, et suscipe causam meam.

Ant. 3: Erige, Domina.

PSALM. LXXVI.

Vocem mea ad Dominam clamavi:

et sua gratia intendit mihi.

Abstulit a corde meo mæstitiam, et mœrorem:

et suavitate sua cor meum dulcoravit.

Formidinem meam erexit in confidentiam bonam:

et suo aspectu mellifluo mentem meam serenavit.

Adjutorio sancto Tuo evasi pericula mor

tis : et de manu crudeli subterfugi.

Gratias Deo, et Tibi, Mater pia, de omni

bus, quae assequutus sum: pietate, et Misericordia Tua.

Gloria, etc.

Ant. 3: Erige, Domina; formidinem meam in

confidentiam bonam: et fac, ut adjutorio

sancto Tuo evadam pericula mortis.

Ant. 4: Expergiscere.

PSALM. LXXIX.

Qui Regis Israel, intende ad me: fac me

digne Matrem Tuam collaudare.

Expergiscere de pulvere, anima mea: perge

in occursum Reginæ Cœli.

Solve vincula colli tui, paupercula anima

mea : et gloriosis laudibus accipc illam.

Odor vitae de ilia progreditur: et omnis

salus de corde illius scaturizat.

Charismatum Suorum fragrantia suavi: animæ

mortuæ suscitantur.

Gloria, etc.

Ant. 4: Expergiscere de pulvere, anima mea;

perge in occursum Reginæ Cœli.

Ant. 5: Ne derelinquas.

PSALM. LXXXIII.

Quam dilecta tabernacula Tua, Domina, virtutum:

quam amabilia tentoria requietionis Tuæ.

Honorate illam, peccatores: et impetrabit

vobis gratiam, et salutem.

Super thus, et balsamum, oratio ejus: incensum

preces Ejus non revertentur vacuæ, nec inanes.

Intercede pro me, Domina, apud Christum

Tuum: nec derelinquas me in vita,

neque in morte.

Benignus est enim spiritus Tuus: gratia

Tua replet orbem terrarum.

Gloria etc.

Ant. 5: Ne derelinquas me, Domina, in vita, neque in morte,

sed intercede pro me apud Christum Tuum.

Preces, ut supra.

OREMUS.

Propter angustias, et cruciatus, quos cor

Tuum sustinuit, Virgo Beatissima, quando

audisti Filium Tuum dilectissimum adjudicatum

morti et Crucis supplicio: succure nobis tempore infirmitatis nostræ,

quando corpus nostrum dolore infirmitatis cruciabitur;

et spiritus noster, hinc propter insidias dæmonum,

illinc propter terrorem districti judicii angustiabitur:

subveni, inquam, nobis, Domina, tunc, ne damnationis æternæ

contra nos proferatur sententia ; aut ne flammis gehennalibus

tradamur æternaliter cruciandi. Præstante

eodem Domino nostro Jesu Christo,

etc. Amen.

V. Ora pro nobis Sancta Dei Genitrix.

R. Ut digni efficiamur promissionibus Christi.

V. Requiescamus in pace. B. Amen.

Canticum S. Bonaventuræ,  Te Matrem Dei laudamus, etc.

PRO FERIA III.

Oratio S. Francisci in Offic. Passionis.

Sancta Maria Virgo, non est Tibi similis

nata in mundo in mulieribus, Filia, et Ancilla

Altissimi Regis Patris Ccelestis ; Mater Sanctissima

Domini nostri Jesu Christi, Sponsa

Spiritus Sancti ; or’a pro nobis cum S. Michæle

Arcangelo et omnibus Sanctis Tuum Sanctissimum

Filium dilectissimum Dominum

nostrum, et Magistrum. Amen.

FERIA QUARTA

Præparabis te ad SS. Viaticum; et ad Plagas Jesu petes hunc Panem quotidianum, nec non fidei, spei et charitatis avgmentum.

[Ti preparerai al SS. Viatico; ed alle piaghe di Gesù chiederai il pane quotidiano non senza un aumento di fede, speranza e carità]

Præp. quotid. — A te Maria.

V. Illumina oculos, ut supra

Ant. 1: Fac, Domina.

PSALM. LXXXVI

Fundamenta vitæ in anima justi: perseverare

in charitate Tua usque in finem.

Gratia Tua relevat pauperem in adversitate:

et invocatio Tui nominis imittit ei confidentiam bonam.

Miserationibus Tuis repletur Paradisus:

et a terrore Tuo hostis confunditur infernalis.

Qui sperat in Te, inveniet thesauros pacis:

et qui Te non invocat in hac vita

non perveniet ad Regnum Dei.

Fac, Domina, ut vivamus in gratia Spiritus Sancti:

et perduc animas nostras ad sanctum finem.

Gloria, etc.

Ant. 1: Fac, Domina, ut vivamus in gratia

Spiritus Sancti; et perduc animas nostras ad

sanctum finem.

Ant. 2: Gratiosus vultus.

PSALM. LXXXVIII

Misericordias Tua Domina: in sempiternum decantabo.

Unguento pietatis Tuæ medere contritis corde:

et oleo misericordiæ Tuæ refove dolores nostras.

Gratiosus vultus Tuus mihi appareat in ex

tremis: et formositas faciei Tua? lætificet

egredientem spiritum meum.

Excita spiritum meum ad amandum bonitatem

Tuam: excita mentam meam ad extollendam

nobilitatem, et pretiositatem Tuam.

Libera me ab omni tribulatione mala: et ab

omni peccato custodi animam meam.

Gloria.

Ant. 2: Gratiosus vultus Tuus mihi appareat

in extremis; et formositas faciei Tua: lætificet

egredientem spiritum meum.

Ant. 3: Qui speraverit.

PSALM. XC.

Qui habitat in adjutorio Matris Dei: in

protectione ipsius commorabitur.

Concursus hostis non nocebit ei:

sagitta volans non tanget eum.

Quoniam liberabit eum de laqueo insidiantis:

et sub pennis suis proteget eum.

Clamate ad illam in periculis vestris:

et flagellum non appropinquabit

tabernaculo vestro.

Fructus gratiæ inveniet, qui speravit in

Illa: porta Paradisi reserabitur ei.

Gloria, etc.

Ant. 3: Qui speraverit in Te, Domina, inveniet fructus gratiæ:

et porta Paradisi reserabitur ei.

Ant. 4: Suscipe.

PSALM. XCIV.

Venite exultemus Dominae nostræ: jubilemus

salutiferæ Mariæ Reginæ nostræ.

Praeocupemus faciem ejus in jubilatione:

et in canticis collaudemus Eam.

Venite adoremus, et procidamus ante Eam:

confiteamur Illi cum fletibus peccata nostra.

Impetra nobis, Domina, indulgentiam plenam

: assiste pro nobis ante Tribunal Dei.

Suscipe, Domina, in fine animas nostras:

et introduc nos in requiem æternam.

Gloria.

Ant. 4: Suscipe, Domina, in fine animas nos

tras ; et introduc nos in requiem feternam.

Ant. 5: Succurre.

PSALM. XCIX.

Jubilate Dominæ nostra, omnes homines

terræ: servite Illi in lætitia, et jucunditate.

In toto animo vestro accedite ad illam:

et in omni virtute vestra conservate vias ejus.

Investigate Illam, et manifestabitur vobis:

estote mundi corde, et apprehendetis Eam.

Quibus auxiliata fueris, Domina, erit refrigerium

pacis : et a quibus averteris vultum

Tuum, non erit spes ad salutem.

Recordare nostri, Domina; et non appre

hendent nos mala: succurre nobis in fine,

ut veniamus ad vitam æternam.

Gloria, etc.

Ant. 5: Succure nobis, Domina, in fine ; et

non apprehendent nos mala, sed inveniemus

vitam æternam.

Preces, ut supra.

OREMUS.

Propter doloris gladium, qui pertransivit

animam Tuam, Virgo dulcissima, quando Filium

Tuum dilectissimum cernebas nudum in

Cruce levatum, clavis perforatum; ac per om

nia laceratum, plagis ac verberibus, nec non

et vulneribus; adjuva nos, ut et cor nostrum

nunc compassionis et compunctionis gladius

per fodiat, divinique amoris lancea vulneret,           

ita ut omnis peccali sanguis effluat a pectore

nostro, et a noxiis vitiis emundemur, virtutum

indumentis decoremur, semperque mente ac

corpore de hac valle miserias levemur ad cœ

lestia, quo tandem cum promissus dies advenerit,

pervenire spiritu et corpore mereamur.

Praestante eodem Domino nostro Jesu Christo

Filio Tuo, etc. Amen.

V. Ora pro nobis Sancta Dei Genitrix.

R. Ut digni efficiamur promissionibus Christi.

V. Requiescamus in pace. R. Amen.

Canticum S. Bonaventuræ, Te Matrem Dei laudamus, etc.

PRO FERIA IV.

Oratio S. D. Bonaventurae in Psalt. B. M. V.

Omnipotens sempiterne Deus, qui pro no

bis de Castissima Virgine Maria nasci dignatus

es ; fac nos Tibi casto corpore servire et humili

mente placare. Qui vivis et regnas, etc.

Amen.

FERIA QUINTA.

Præparabis te ad Extremam Unctionem et Indulgentias; et ad Plagas Jesu petes remissionum omnium debitorum Tuorum, remittendo debitoribus tuis.

Præp. quotid. — Ave Maria.

V. Illumina oculos, ut supra.

Ant. 1: Conforta Domina.

PSALM. C.

Misericordiam, et judicium cantabo Tibi,

Domina: psallam Tibi in exultatione cordis

cum lætificaveris animam meam.

Laudabo Nomen Tuum, et gloriam Tuam:

et præstabis refrigerium animæ meæ.

Zelatus sum amorem, et honorem Tuum:

ideo defendas causam meam

ante Judicem Sæculorum.

Allectus sum gratia, et bonitate Tua: oro

ne frauder a spe, et confidentia bona.

Conforta animam meam in novissimis :

et in came ista fac me conspicere Salvatorem.

Gloria, etc.

Ant. 1: Conforta, Domina, animam meam in

novissimis: et defende causam meam ante

Judicem Sæculorum.

Ant. 2: Da, Domina.

PSALM. CIII

Benedic anima mea Virgini Mariæ: honor

et magnificentia Ejus in perpetuum.

Formositatem, et pulchritudinem induisti:

amicta es, Domina, fulgenti vestimento.

De Te procedit peccatorum medela: et

pacis disciplina ac fervor charitatis.

Imple nos servos Tuos virtutibus Sanctis:

et ira Dei non appropinquet nobis.

Jucunditatem æternam da servis Tuis: et

noli eos oblivisci in certamine mortis.

Gloria, etc.

Ant. 2: Da, Domina, servis Tuis jucundititem

aeternam, et noli eos oblivisci in certamine

mortis.

Ant. 3: Non expavescent.

PSALM. CX.

Confitebor Tibi, Domina, in toto animo

meo: glorificabo Te in tota mente mea.

Opera gratiæ Tuæ commemorabuntur: et

testamentum misericordiæ Tuæ

ante Thronum Dei.

Per Te missa est redemptio a Deo:

populus pœnitens habebit spem salutis.

Intellectus bonus omnibus honorantibus

Te : et sors illorum erit inter Angelos pads.

Gloriosum, et admirabile est Nomen Tuum

: qui illud in corde retinent,

non expavescent in puncto mortis.

Gloria, etc.

Ant. 3: Non expavescent, Domina, in punc

to mortis, qui invocant nomen Tuum: et

sors illorum erit inter Angelos pacis.

Ant. 4:  In exitu.

PSALM. CXIII.

In exitu animæ meæ de hoc mundo:

Occurre illi, Domina, et suscipe eam.

Consolare eam vultu sancto Tuo:

aspectus Dæmonis non conturbet illam.

Esto illi scala ad Regnum Cœlorum: et

iter rectum ad Paradisum Dei.

Impetra ei a Patre indulgentiam pacis; et

sedem lucis inter servos Dei.

Sustine devotos ante Tribunal Christi:

suscipe causam eorum in manibus Tuis.

Gloria, etc.

Ant. 4: In exitu animæ meæ de hoc mundo:

occurre illi, Domina, et suscipe eam.

Ant. 5: Circumdederunt.

PSALM. CXIV

Dilexi Matrem Dei Domini mei: et lux

miserationum Ejus infblsit mihi.

Circumdederunt me dolores mortis:

et visitation Mariæ lætificavit me.

Dolorem et periculum incurri: et recreatus

sum gratia Illius.

Nomen Ejus, et memoriale Illius

sit in medio cordis nostri:

et non nocebit nobis ictus malignantis.

Convertere, anima mea, in laudem ipsius :

et invenies refrigerium in novissimis Tuis.

Gloria, etc.

Ant. 5: Circumdederunt me dolores mortis;

et visitatio Mariæ lætificavit me.

Preces ut supra.

OREMUS.

Propter gravamen, et tormentum quo torquebatur

spiritus Tuus, Virgo sanctissima,

quando juxta Crucem Filium Tuum præ doloribus

voce magna clamantem, Te Matrem

dilectam Joanni commendantem, in manusque

Dei Patris spiritum tradentem attendebas:

succurre nobis in fine vitæ nostræ, et maxime

tunc, quando lingua nostra nequiverit se ad

Te invocandem movere; cum oculi nostri lumine

privabuntur, aures surdescent et obturabuntur,

omnesque vires sensuum nostrorum

deficient. Memento, piisima Domina, tunc,

quod nunc fundimus preces ad aures Tuae

pietatis et clementiæ; et subveni nobis in

ilia hora extremæ necessitatis, ac Filio Tuo

dilectissimo commenda spiritum nostrum, per

Quem Tuo interventu a tormentis, et terroribus

omnibus eruamur, et ad desideratam Cœlestis

patriae requiem perducamur. Præstante

eodem Domino nostro Jesu Christo Filio

Tuo, etc. Amen.

V. Ora pro nobis Sancta Dei Genitrix.

R. Ut digni efficiamur promissionibus

Christi.

V. Requiescamus in pace. R. Amen.

Canticum S. Bonaventuræ, Te Matrem Dei laudamus, etc.

PRO FERIA V.

Alia Oratio ejusdem S. D. in eodem loco.

Oramus etiam Te, piissima Virgo Maria,

mundi Regina, et Angelorum Domina, ut iis,

quos in Purgatorio ignis examinat, impetres

refrigerium, peccatoribus indulgentiam, et

justis perseverantiam in bono: nos quoque

fragiles ab omnibus instantibus defende periculis.

Per Christum, etc. Amen.

FERIA SEXTA

Praeparabis te ad commendationem animæ; et ad Plagas Jesu petes semper vigilare et orare, ut vincas omnes tentationes et bonam mortem consequaris.

[Ti preparerai a commendare l’anima; ed alle piaghe di Gesù chiederai di vigilare e pregare sempre per vincere ogni tentazione e conseguire la buona morte]

Præp. quotid. — Ave Mabia.

V. Illumina oculos, ut supra.

Ant. 1: In die mortis.

PSALM. CXIX.

Ad Dominam cum tribularer, clamavi;

et exaudivit me.

Domina, libera nos ab omni malo:

cunctis diebus vitæ nostræ.

Contere caput inimicorum nostrorum:

pede insuperabilis virtutis Tux.

Ut exultavit spiritus Tuus in Deo salutari Tuo:

sic veram digneris infundere

lætitiam corde meo.

Ad Dominum accede rogatura pro nobis:

ut per Te nostra peccata deleantur.

Gloria, etc.

Ant. 1: In die mortis nostras infunde nobis

Domina, veram laetitiam: sicut exultavit

spiritus Tuus in Deo salutari Tuo.

Ant. 2: Impetra nobis.

PSALM. CXXI.

Lætatus sum in Te, Regina Cœli: quia

Te duce, in domum Domini ibimus.

Hierusalem Cælestis civitas: ad Te, Maria

previa, veniamus.

Pacem, et indulgentiam, Virgo, nobis impetra:

et palmam de hostibus ac triumphum.

Conforta, et consolare cor nostrum;

Tuæ dulcedine pietatis.

Sic Domina nobis Tuam infunde clementiam:

ut devote in Domino moriamur.

Gloria, etc.

Ant. 2: Impetra nobis, Domina, pacem, et

indulgentiam, ut devote in Domino moriamur.

Ant. 3: Releva, Domina.

Qui confidunt in Te, Mater Dei:

non timebunt a facie inimici.

Gaudete et exultate omnes, qui diligitis

eam: quia adjuvabit vos in die tribulationis

vestræ.

Reminiscere miserationum Tuarum Domina:

et releva peregrinationem incolatus nostri.

Convene amabilem vultum Tuum super

nos : confunde, et destrue omnes inimicos

nostras.

Benedicta sint omnia opera manum Tuarum,

Domina: benedicta sint omnia sancta

miracula Tua. Gloria, etc.

Ant. 3: Releva, Domina, peregrinationem in

colatus nostri; et adjuva nos

in die tribulationis.

Ant. 4: Fac, Domina.

PSALM. CXXVIII.

Sæpe expugnaverunt me a juventute mea

inimici mei: libera me Domina,

et vindica me ab ipsis.

Ne des illis potestatem in animam meam:

custodi omnia interiora, et exteriora mea.

Obtine nobis veniam peccatorum: et per

Te Sancti Spiritus gratia nobis detur.

Fac nos digne et laudabilliter pcenitere:

ut beato fine ad Deum veniamus.

Placatum tunc, et serenissimum: nobis

ostende gloriosum fructum ventris Tui. Gloria,

Ant. 4: Fac Domina, ut beato fine ad Deum

veniamus; et ostende nobis tunc placatum

gloriosum fructum ventris Tui.

Ant. 5. Deduc me.

PSALM. CXXIX.

De profundis clamavi ad Te Domina:

Domina, exaudi vocem meam.

Fiant aures Tuæ intendentes: in vocem

laudis, et glorificationis Tuæ.

Libera me de manu adversariorum meorum:

confunde ingenia, et conatus eorum

contra me.

Erue me in die mala: et in die mortis ne

obliviscaris animæ meæ.

Deduc me ad portum salutis: et inter

justos scribatur nomen meum.

Gloria, etc.

Ant. 5: Deduc me, Domina, ad portum salutis:

et in die mortis Tie obliviscaris animae

meæ.

Preces, ut supra.

OREMUS.

Propter planctum acerbi ejulatus,

quem profundo pectoris fonte

manantem abscondere non valebas,

Virgo castissima, quando (ut pie creditur)

in amplexus ruebas exanimum

corpus Filii Tui de cruce depositum, cujus

genas ante nitentes, et ora rutilantia mortis

conspiciebas perfundi palloribus, ipsumque

totum concussum cemebas lividum livoribus,

ac concisum vulnere super vulnus; auxilliare

nobis, ut nunc sic nostra plangamus facinora,

et emplastris pœnitentia peccatorum curemus

vulnera, ut dum corpus nostrum morte deformatur,

nostra tunc utilet anima candore innocentiæ;

quatenus digni simus frui mellifluis

osculis, constringamurque amorosis amplexibus

super omnia dulcissimi Filii Tui Domini

nostri Jesu Christi; qui cum Patre, et Spiritu

Sancto vivit, etc. Amen.

V. Ora pro nobis Sancta Dei Genitrix.

R. Ut digni efficiamur promissionibus

Christi.

V. Requiescamus in pace. R. Amen.

Canticum S. Bonaventuræ, Te Matrem Dei laudamus, etc.

PRO FERIA VI.

Oratio ex Devotionario B. V.

O Domina mea Sancta Maria, me in

Tuam benedictam fidem, ac singularem custodiam,

et in sinum misericordias Tuae hodie et

quotidie, et hora exitus mei, animam meam

et corpus meum Tibi commendo, omnem

spem meam, et consolationem meam, omnes

angustias et miserias meas, vitam et finem vitæ meæ

Tibi committo: ut per Tuam sanctissimam

intercessionem et per Tua merita,

omnia mea dirigantur, et disponantur opera

secundum Tuam, Tuique Filii voluntatem.

Amen.

SABBATO.

Prœparabis te ad Judicium et Præmium servi boni et fidelis; et ad Plagas Jesu propones taliter vivere usque ad mortem, ac petes esse liber a malo omnis peccati et perditionis æternæ.

Praep. quotid. — Ave Maria.

V. Illumina oculos, ut supra.

Ant. 1 Conforta nos.

PSALM. CXXX

Domina non est exaltatum cor meum: ne

que sublimati sunt oculi mei.

Benedixit Te Dominus in virtute Sua:

qui per Te ad nihilum redegit inimicus nostras.

Benedictus sit qui Te a peccato originali

præservavit: et mundam de Matris utero Te

produxit.

Benedictus sit qui Te obumbravit:

et sua gratia Te fæcundavit.

Benedic nos, Domina, et conforta nos in

gratia Tua: ut per Te ante conspectum

Domini præsentemur.

Gloria, etc.

Ant. 1:  Conforta nos, Domina, indie mortis,

ut per Te ante conspectum Domini præsentemur.

Ant. 2: Respiremus.

PSALM. CXXXIV

Laudate nomen Domini: benedicite nomen

Mariæ Matris Ejus.

Mariæ precamina frequentate:

et suscita

bit vobis voluptates sempiternas.

In anima contrita veniamus ad illam : et

non stimulabit nos cupiditas peccati.

Qui cogitat de Ilia in tranquillitate mentis :

inveniet dulcorem, et requiem pacis.

Respiremus ad Illam in omni actione nostra:

et reserabit nobis atria triumphantium.

Gloria, etc.

Ant. 2: Respiremus ad Mariam in die mortis nostra:

et reserabit nobis atria triumphantium.

Ant. 3: In quacumque.

PSALM. CXXXVII

Confitebor Tibi, Domina, in toto corde meo:

quia per Te expertus sum clementiam Jesu Christi.

Audi, Domina, verba mea, et preces meas:

et in conspectu Angelorum cantabo Tibi

laudes.

In quacumque die invocavero Te, exaudi

me: et multiplica virtutem in anima mea.

Confiteantur Tibi omnes tribus, et linguæ:

quia per Te salus restituta est nobis.

Ab omni perturbatione libera servos Tuos:

et fac eos vivere sub pace, et protection Tua.

Gloria, etc.

Ant. 3: In quacumque die invocavero Te,

Domina, exaudi me; et multiplica

virtutem in anima mea.

Ant. 4: Hostis meus.

PSALM. CXLI.

Voce mea ad Dominam clamavi: Ipsamque

humiliter deprecatus sum.

Effudi in conspectu Ejus lacrymam meam:

dolorem meum Ipsi exposui.

Insidiatur hostis calcaneo meo:

Extendit contra me rete suum.

Adjuva me, Domina, ne corruam coram eo:

fac ut conteratur sub pedibus meis.

Educ de carcere animam meam, et confiteatur

Tibi: et psallat Deo forti in perpetuum.

Gloria, etc.

Ant. 4: Hostis meus insidiatur calcaneo meo :

adjuva me Domina, ne corruam coram eo.

Ant. 5:  Cum exierit.

PSALM. CXLV.

Lauda, anima mea, Dominam: glorificabo

Eam quamdiu vixero.

Nolite cessare a laudibus ejus: et per

singula momenta recogitate Illam.

Cum exierit spiritus meus, Domina,

sit Tibi commendatus: et in terra ignota

præsta illi ducatum.

Non conturbent eum culpæ prius commissi:

nec inquietent ipsum concursus malignantis.

Perduc eum ad portum salutarem: ibi

præstoletur secure adventum Redemptoris.

Gloria, etc.

Ant. 5: Cum exierit, Domina, spiritus meus,

sit Tibi commendatus, et in terra ignota præsta

illi ducatum.

Preces ut supra.

OREMUS.

Propter singultus, et suspira, indicibiliaque

lamenta, quibus affligebantur intima Tua,

Virgo Gloriosissima, quando Filium Tuum

Unigenitum animæ Tuæ solatium Tibi sublatum

et sepultum videbas: ad nos exules filios Evæ

ad Te clamantes,  et suspirantes in hac

valle lacrymarum illos Tuos misericordes oculos

converte, et Jesum benedictum fructum

ventris Tui nobis post hoc exilium ostende,

Tuisque suffragantibus meritis, Ecclesiasticis

fac Sacramentis muniri, et fine beato consumari,

et æterno Judici tandem misericorditer

presentari. Prestante eodem Domino nostra

Jesu Christo Filio Tuo, qui cum Patre, etc.

Amen.

V. Ora pro nobis Sancta Dei Genitrix.

R. Ut digni efficiamur promissionibus

Christi.

V. Requiescamus in pace. R. Amen.

CANTICUM S. BONAVENTURÆ

Considerabis gloriosum transitum et Assumptionem B. M. V. eamque cum Angelis laudabis, orans, ut cum Jesu et S. Joseph tibi assistat in morte.

Te Matrem Dei laudamus: Te Mariam

Virginem profitemur.

Te Æterni Patris Filiam: omnis terra veneratur.

Tibi omnes Angeli, et Arcangeli: Tibi

Throni, et Principatus fideliter deserviunt.

Tibi omnes Potestates, et omnes Virtutes

Cœlorum: et universal Dominationes obediunt.

Tibi omnes Chori: Tibi Cherubim, et

Seraphim exultantes assistunt.

Tibi omnis Angelica creatura: incessabili

voce proclamat.

Sancta, Sancta, Sancta : Maria Dei Genitrix,

et Mater, et Virgo.

Pleni sunt Coeli, et Terra: Majestatis

gloriae Fructus ventris Tui.

Te gloriosus Apostolorum Chorus: Sui

Creatoris Matrem collaudat.

Te Beatorum Martyrum ccetus Candidatus:

Christi Genetricem glorificat.

Te Gloriosus Confessorum exercitus Trinitatis

Templum appellat.

Te Sanctarum Virginum chorea amabilis:

Virginitatis, et humiliatis exemplum pradicat.

Te tota Cœlestis Curia: Reginam honorat.

Te per universum Orbem:

Ixclesia invocando concelebrat.

Matrem: Divinæ Majestatis.

Venerandam Te veram:

Regis Cœlestis puerperam.

Sanctam quoque: dulcem et piam.

Tu Angelorum Domina: Tu Paradisi janua.

Tu Scala Regni Cœlestis et gloriæ.

Tu Thalamus: Tu Arca pietatis, et gratiæ.

Tu vena Misericordiæ: Tu Sponsa, et

Mater Regis æterni.

Tu templum, et Sacrarium Spiritus Sancti:

totius Beatissimae Trinitatis nobile triclinium.

Tu mediatrix Dei, et hominum: amatrix

mortalium, Cœlestis illuminatrix.

Tu agonizatrix pugnantium, advocata pauperum

: miseratrix, et refugium peccatorum.

Tu erogatrix munerum; Superatrix, ac

Terror Demonum et superborum.

Tu mundi Domina, Cœli Regina: post

Deum sola Spes nostra.

Tu salus Te invocantium,

Portus naufragrantium:

miserorum solatium, pereuntiumrefugium.

Tu Mater omnium Beatorum, Gaudium

Plenum post Deum: omnium supernorum

Civium Solatium.

Tu Promotrix justorum, Congregatrix errantium:

Promissio Patriarcharum.

Tu Veritas Prophetarum, Praeconium, et

Doctrix Apostolorum: Magistra Evangelistarum.

Tu fortitudo Martyrum,Exemplar Confessorum:

Honor, et Festivitas Virginum.

Tu ad liberandum exulem hominem: Filium

Dei sucepisti in uterum.

Per Te, expugnato hoste antiquo: sunt

aperta fidelibus Regna Cœlorum.

Tu cum Filio Tuo sedes: ad dexteram

Patris.

Tu Ipsum pro nobis roga, Virgo Maria:

Quem nos ad judicandum credimus esse venturum.

Te ergo poscimus nobis Tuis famulis subveni:

qui pretioso Sanguine Filii Tui

redempti sumus.

Æterna fac, pia Virgo: cum Sanctis Tuis

nos gloria numerari.

Salvum fac populum Tuum, Domina: ut

simus participes hæreditatis Filii Tui.

Et rege nos: et custodi nos in æternum.

Per singulos dies: O Pia, Te salutamus.

Et laudare Te cupimus: usque in æternum

mente et voce.

Dignare, dulcis Maria: nunc, et semper

nos sine delicto conservare.

Miserere, Pia nobis: miserere nobis.

Fiat misericordia Tua magna nobiscum:

quia in Te, Virgo Maria, confidimus.

In Te, dulcis Maria, speramus: nos defendas

in Æternum.

Te decet laus, Te decet imperium: Tibi

virtus, et gloria in sæcula sæculorum. Amen.

PRO SABBATO.

Oratio ex eodem Officio.

O Maria Dei Genitrix, et Virgo gratiosa,

omnium desolatorum ad Te clamantium consolatrix

vera, per illud magnum gaudium, quo

consolata es, quando cognovisti Dominum

Jesum die tertia a mortuis impassibilem resurrexisse;

sis consolatrix animae meae, et

apud eundem Tuum, et Dei natum Unigenitum

in die novissimo, quando cum anima et

corpore ero resurrecturus, et de singulis meis

factis rationem redditurus, medigneris juvare,

ut perpetuae damnationis sententiam per Te,

pia Mater et Virgo, valeam evadere, et cum

electis Dei omnibus ad eeterna gaudia feliciter

pervenire. Amen.

* * *

ORATIO S. AUGUSTINI.

Domine Jesu Christe, qui pro redemptione

mundi nasci voluisti, circumcidi, a Judaeis reprobari,

a Juda traditore osculo tradi, vinculis

alligari, sicut agnus innocens ad victimam

duci, atque conspectibus Annas, Caiphæ, Pilati

et Herodis indecenter offerri; a falsis testibus

accusari, flagellis et opprobriis vexari, sputis

conspui. spinis coronorari, colaphis credi,

arundine percuti facie velari, vestibus exui,

Cruci clavis affigi, in Cruce levari, inter latrones

deputari, felle, et aceto potari, et lancea

vulnari. Tu Domine, per has sanctisssmas

poenas Tuas, quas ego indignus recolo, et per

sanctam Crucem, et mortem Tuam, libera

me et omnes animas pretioso Sanguine Tuo

redemptas a poenis inferni: et omnes perducere

digneris quo perduxisti Latronem Tecum

crucifixum. Qui cum Patre, spiritu et Sancto

vivis, et regnas in sæcula sæculorum.

Amen.

Centum dies indulgentiæ quotiescumque sequens oratio

jaculatoria corde contrito devote recitabitur.

Dulcissimum Cor Mariæ sis mihi salus.

Benedicta sit Sancta et Immaculata Conceptio

Beatæ Mariæ Virginis.

V. In Conceptione Tua, Virgo Maria

Immaculata es.

R. Ora pro nobis Deum, cujus Filium

Jesum, conceptum de Spiritu Saneto genuisti.

Ad B. V. Mariam gladio doloris transfixam.

Scribe, Domina, Vulnera Tua in cor meum,

ut in eis legam dolorem et amorem; dolorem

ad sustinendum pro Te omnem dolorem;

amorem ad contendum pro Te omnem

amorem.

Ante SS. Communionem vel pro Communione Spirituali.

O Jesu vivens in Maria

Veni et vive in Famulo Tuo

In spiritus Sanctitatis Tuæ

In plenitudine Virtutis Tuus

In perfectione Viarium Tuarum

Tu veritate Virtutum Tuarum

In communione Mysteriorum Tuorum

Dominare omni adversae potestati in Spiritu

Tuo ad gloriam Patris. Amen.

Post SS. Eucharistiam, e diur. Sac. Ord. Præd.

O Serenissima et Inclyta Mater Domini

nostri Jesu Christi, Virgo Maria, Regina

Mundi, qui eundem creatorem omnium creaturarum

Tuo sanctissimo utero fuisti digna

portare, cujus idem Sacratissimum corpus ct

sanguinem sumpsi, ad ipsum pro me, misero

peccatori intercedere digneris ut quidquid in

hoc ineffabili Sacramento, ignoranter negligenter,

irreverenter et accidentaliter, omisso

vel commisso Tuis precibus sanctissimis milii

indulgere dignetur; Qui vivit et regnat in

sæcula sæculorum. Amen.

Pretiuncula Orationem claudens.

Suscipe, clementissime Deus precibus et

meritis Beatre Marias semper Virginis, et

omnium Sanctorum, officiura servitutis nostras,

et si quid dignum laude egimus, propitius

respice et quod negligenter actum est, clementer

ignosce, qui in Trinitate et unitate

perfecta vivis et regnas in sæcula.

V. Nos cum prole pia,

R. Benedicat Virgo Maria.

Fiant Domine ut complaceant eloquia mea

et meditatio cordis mei in conspectu Tuo semper.

Et Fidelium animæ, per misericordiam Dei

requiescant in pace. Amen.

22 Agosto: FESTA DEL CUORE IMMACOLATO DELLA VERGINE MARIA MADRE DI DIO (2020)

FESTA DEL CUORE IMMACOLATO DELLA VERGINE MARIA (2020)

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

 Hebr IV: 16.
Adeámus cum fidúcia ad thronum grátiæ, ut misericórdiam consequámur, et grátiam inveniámus in auxílio opportúno.
[Accostiamoci al trono delle grazie con piena e sicura fiducia, per avere misericordia e trovare grazia che ci soccorrano al tempo opportuno]

XLIV: 2
Eructávit cor meum verbum bonum: dico ego ópera mea regi.
Adeámus cum fidúcia ad thronum grátiæ, ut misericórdiam consequámur, et grátiam inveniámus in auxílio opportúno.

[Vibra nel mio cuore un ispirato pensiero, mentre al Sovrano canto il mio poema].

Adeámus cum fidúcia ad thronum grátiæ, ut misericórdiam consequámur, et grátiam inveniámus in auxílio opportúno.

[Accostiamoci al trono delle grazie con piena e sicura fiducia, per avere misericordia e trovare grazia che ci soccorrano al tempo opportuno]

Oratio

Orémus.

Omnípotens sempitérne Deus, qui in Corde beátæ Maríæ Vírginis dignum Spíritus Sancti habitáculum præparásti: concéde propítius; ut ejúsdem immaculáti Cordis festivitátem devóta mente recoléntes, secúndum cor tuum vívere valeámus.

[O Dio onnipotente ed eterno, che nel cuore della beata Vergine Maria hai preparato una degna dimora allo Spirito Santo: concedi a noi di celebrare con spirito devoto la festa del suo cuore immacolato e di vivere come piace al tuo cuore].

Lectio

Léctio libri Sapiéntiæ.
Eccli 24:23-31
Ego quasi vitis fructificávi suavitátem odóris: et flores mei, fructus honóris et honestátis. Ego mater pulchræ dilectiónis, et timóris, et agnitiónis, et sanctæ spei. In me grátia omnis viæ et veritátis: in me omnis spes vitæ, et virtútis. Transíte ad me omnes qui concupíscitis me, et a generatiónibus meis implémini. Spíritus enim meus super mel dulcis, et heréditas mea super mel et favum. Memória mea in generatiónes sæculórum. Qui edunt me, adhuc esúrient: et qui bibunt me, adhuc sítient. Qui audit me, non confundétur: et qui operántur in me, non peccábunt. Qui elúcidant me, vitam ætérnam habébunt.
[Come una vite, io produssi pàmpini di odore soave, e i miei fiori diedero frutti di gloria e di ricchezza. Io sono la madre del bell’amore, del timore, della conoscenza e della santa speranza. In me si trova ogni grazia di dottrina e di verità, in me ogni speranza di vita e di virtù. Venite a me, voi tutti che mi desiderate, e dei miei frutti saziatevi. Poiché il mio spirito è più dolce del miele, e la mia eredità più dolce di un favo di miele. Il mio ricordo rimarrà per volger di secoli. Chi mangia di me, avrà ancor fame; chi beve di me, avrà ancor sete. Chi mi ascolta, non patirà vergogna; chi agisce con me, non peccherà; chi mi fa conoscere, avrà la vita eterna].

Graduale

Ps XII: 6
Exsultábit cor meum in salutári tuo: cantábo Dómino, qui bona tríbuit mihi: et psallam nómini Dómini altíssimi.

[Il mio cuore esulta nella tua salvezza. Canterò al Signore perché mi ha beneficato,Inneggerò al nome del Signore, l’Altissimo.]

Ps XLIV: 18
Mémores erunt nóminis tui in omni generatióne et generatiónem: proptérea pópuli confitebúntur tibi in ætérnum. Allelúja, allelúja.

[Ricorderanno il tuo nome di generazione in generazione, e i popoli ti loderanno nei secoli per sempre. Alleluia, alleluia].

Luc 1:46; 1:47

Magníficat ánima mea Dóminum: et exsultávit spíritus meus in Deo salutári meo. Allelúja.

[L’anima mia magnifica il Signore, e si allieta il mio spirito in Dio, mio Salvatore. Alleluia].

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Joánnem.
Joann XIX: 25-27
In illo témpore: Stabant juxta crucem Jesu mater ejus, et soror matris ejus María Cléophæ, et María Magdaléne. Cum vidísset ergo Jesus matrem, et discípulum stantem, quem diligébat, dicit matri suæ: Múlier, ecce fílius tuus. Deinde dicit discípulo: Ecce mater tua. Et ex illa hora accépit eam discípulus in sua.

[In quel tempo, stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa, e Maria Maddalena. Gesù, dunque, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che amava, disse a sua madre: «Donna, ecco tuo figlio». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre». E da quell’ora il discepolo la prese con sé.]

OMELIA

[P. V. STOCCHI, S. J.: “DISCORSI SACRI”, Tipogr. Befani, ROMA, 1884]

DISCORSO XXIV.

SANTISSIMO CUORE DI MARIA

Qui me invenerit, inveniet vitam.

PROV. VIII, 35.

Fino da quando da chi mi tiene il luogo di Dio mi fu posto sopra le spalle il carico alla natura poco soave, di predicare la parola di Dio in tanta iniquità di tempi, il mio cuore e i miei occhi si conversero subito alla stella benedetta del mare, alla Madre immacolata di Dio e Madre nostra Maria, e posi incontanente le mie povere fatiche sotto gli auspici e sotto il patrocinio di Lei, alla quale fino dagli anni primi della mia vita ho dedicato tutte le cose mie e me medesimo. Da Lei madre di grazia, di luce, di fortezza e di verità sperai forza e vigore, da Lei grazia e virtù, da Lei efficacia e dono per condurre le anime a Gesù Cristo, da Lei insomma ogni cosa, e se nulla hanno operato le povere mie fatiche, se qualche frutto ha secondato il sudore e il travaglio della parola di Dio seminata da me, tutto il inerito è stato sempre di Maria della quale la misericordia e il patrocinio e nel corpo e nell’anima tocco tutto giorno con mano. Essendo così, è naturale che io ardentemente desideri di fare alcuna cosa che sia cara a questa Vergine gloriosa per attestarle la mia gratitudine; e fra le altre è mio costume di argomentarmi di tirare a Lei i cuori di tutti persuadendo a tutti che trovata Maria, troveranno la vita conforme a quello: qui me invenerit inveniet vitam. E per riuscire in questo intento soavissimo io ho per costume di non lasciare che trascorra alcun corso di predicazione, nella quale io abbia parte, senza favellare del Cuore benedetto di Maria, additandolo a tutti come porto unico e soavissimo di pace, di sicurezza, di misericordia. Tale io ho trovato il Cuore di Maria per me, tale l’ho sempre mostrato agli altri, tale a voi, se mi udirete, lo mostrerò stamattina signori miei. Vi parlerò del cuore di Maria pianamente e devotamente, quanto mi sarà possibile, cercando di innamorarne tutti e specialmente i poveri tribolati, gli afflitti e i peccatori, e beato me se riuscirò nell’intento. Innamorarsi del Cuore di Maria è come far suo quel Cuore benedetto; chi ha fatto suo il cuore di chi che sia è padrone di tutto l’uomo. E che bramerà di vantaggio chi abbia fatto suo il Cuor di Maria?

1. È cosa che si ripete ogni giorno nella santa Chiesa cattolica, e che mille volte ridetta torna sempre gradita come se nuova fosse al popolo cristiano, che nulla è più amabile più soave più salutare del pensiero, del nome, della memoria della Madre di Dio. Maria! Basta pronunziare questo nome perché palpiti ogni cuore, perché sorrida ogni labbro, perché ogni tristezza si dilegui, perché ogni petto si riempia di giubilo. Come, se dando luogo i nembi, la stella del mattino scintilla tremula nell’azzurro del firmamento, o come se dopo la pioggia si colori tra le nubi la variopinta gloria dell’iride, così dice Bernardo, tra le tenebre di questa terra sgombrano le nuvole, riede il sereno, chetano i turbini e fiorisce la pace, quando s’invoca Maria: Maria nella quale tutto innamora, il nome, il grado, la grazia, la gloria, la dignità. Tutto questo è verissimo e io mi glorio di predicarlo, né tacerò le glorie e le misericordie di tanta Madre, finché il cuore nel petto mi palpita, e si snoda alla parola la lingua. Con tutto ciò dilettissimi dopo avere detto Maria, provatevi a dire Cuore di Maria, voi sentite subito di avere detto qualche cosa di più caro, di più tenero, di più soave che dicendo semplicemente Maria. Accade a noi o Madre benedetta quando menzioniamo il tuo Cuore quello che ci accade quando menzioniamo il Cuore del tuo Figliuolo. Io dico Gesù, e il nome di Gesù è miele alle labbra, melodia alle orecchie, giubilo al cuore, ma se dopo avere detto Gesù passo innanzi e dico Cuore di Gesù, sento l’anima mia essere percossa di affetti insoliti verso il mio Redentore e me ne rendo questa ragione. Quando io dico Gesù, mi si rappresenta al pensiero nella pienezza della sua magnificenza della sua potestà il Verbo incarnato. Lo vedo quindi non solamente uomo ma Dio, non solamente amico e fratello, ma Pontefice e Re, non solamente Padre ma Giudice. Non così quando dico Cuore di Gesù. Il cuore è simbolo dell’amore, è sede dell’amore, è organo dell’amore. Chi dice Cuore dice amore, chi vede il cuore vede l’amore, e quando nomino il Cuore di Gesù, sparisce il giudice, il re, l’onnipotente a cui ogni ginocchio si curva in Cielo ed in terra, e vedo solo l’amante delle anime, il Pastor buono, il vero padre ed amico dell’uman genere morto in croce per me. E anche in questo o Madre benedetta voi vi rassomigliate al vostro Figliuolo. Io dico Maria, e nominandovi vedo Voi tutta quanta. Non vedo solamente la più amabile e misericordiosa creatura che abbia fatto il Signore, ma vedo ancora la augusta Regina della terra e del Cielo, l’innalzata al consorzio della Trinità sacrosanta, la piena e soprappiena di santità. E allora sento di amarvi, ma all’amore si mesce la riverenza, e per alta ammirazione la mia fronte si curva davanti a Voi. Eppure noi abbiamo bisogno di accostarci a Maria con fidanza filiale. E però passiamo avanti e diciamo Cuore di Maria. Ed ecco alla menzione del cuore sparisce la grande, la Regina, la sublime, la tutta santa, e altro più non vediamo fuorché la Madre piena di misericordia e di amore. Vengono quindi al dolce richiamo del tuo cuore vengono gli uomini al tuo cospetto o Maria e ti raccontano i loro dolori e ti partecipano le gioie, ti svelano le proprie miserie e ti chiedono le tue ricchezze, i nostri peccati, i nostri peccati medesimi non ci sgomentano vedendo il tuo cuore, e scoprendoli a te, sentiamo rilevarsi l’anima e speriamo la misericordia e il perdono. E questo è il motivo perché in questi miseri tempi Maria ha svelato straordinariamente il suo cuore. Ha voluto alla nostra generazione pervertita dalla empietà offrire un’esca dolcissima e un porto di salute e di pace. E gli uomini hanno inteso quest’arte di amore, e veduto il Cuor di Maria come trovato avessero un centro di attrazione invincibile, a quello sono corsi e in quello hanno trovato vita, salute, grazia, ogni bene: e più facile sarebbe contare le stelle del cielo e le arene del mare che le misericordie e le grazie d’ ogni maniera, che la devozione al suo cuore ha espugnato a Maria. No, quando si fa capo al suo cuore, Maria non resiste.

2. Ma entriamo alquanto più addentro e scandagliamo la ragione intima di tanta forza di attraimento che esercita sugli uomini il Cuore benedetto di Maria e la troveremo, per cosi dire, naturale nell’ordine soprannaturale della grazia. Mi aiuti Maria Perché il concetto della mente esprima adeguatamente la lingua. Uno degli spettacoli più misteriosi e più teneri che la natura appresenti è l’amore dei figliuoli verso la madre, e viceversa l’amore della madre verso i figliuoli. Ferì questo spettacolo la mente e gli occhi del divino Crisostomo, e lo espresse con viva eloquenza così. Mostra a un pargoletto lattante ancora e ignaro di tutto una regina coronata di gemme e vestita di oro dall’una parte, dall’altra mostragli la sua madre avvolta nei cenci e coperta di povertà e di squallore e vedrai. Nulla intende quel piccioletto nulla conosce, ma con tutto ciò non cura la regina, la sprezza, la sdegna, la risospinge, ma non così colla madre. Si ravviva tutto vedendola, brilla, sorride, e protendendo verso di essa con l’animo la persona, si scaglia e quasi si avventa per abbracciarla. Che è mai questa attrattiva, questo impeto e questa foga che rapisce quell’animo inconsapevole verso la madre? Che sia, non domandare che io non lo so, so che è cosa verissima e potentissima ed è un senso, un istinto ideato dalla mente divina e dalla divina mano inserito nell’anima, che stabilisce, corrobora, illeggiadrisce le relazioni naturali tra figlio e madre, tra madre e figlio. Essendo così, qual luogo tiene Maria nell’ordine mirabile della redenzione e della grazia? Tiene il luogo di madre. Mirabil cosa. Gesù Cristo è venuto in terra per stabilire tra gli uomini una famiglia collegata coi vincoli dell’amore e della fede, la quale in terra si inizi, e si consumi e perfezioni nel Cielo. In questa famiglia è un Padre ed è Pio, un primogenito ed è Gesù Cristo, fratelli moltissimi di ogni popolo, d’ogni tribù, di ogni lingua. Ma alla buona economia della casa è richiesto che ogni famiglia abbia una madre, che divida col padre l’autorità, che vegli con occhio amoroso la prole, e sopraintenda agli uffici più intimi e più delicati di casa. Ora Dio non ha voluto che a questa gran famiglia della sua Chiesa una madre mancasse, ed ottima di tutte le madri le ha dato Maria. E Madre la saluta la Chiesa, e il vocabolo col quale ogni Cristiano appella Maria è il dolce nome di Madre. Né questa è squisitezza o esagerazione mistica, ma verissima dottrina cattolica: e i Padri di tutti i secoli con consenso pienissimo insegnano che come Gesù Cristo è il nuovo Adamo miglior dell’antico, capo del genere umano rigenerato, così è Maria l’Eva novella madre per grazia di tutti quelli che Gesù Cristo rigenerò alla salute; e sono celebri i paralleli che tra Eva e Maria tessono Ireneo, Epifanio, Agostino e Bernardo. Voleva quindi ogni ragione che come nell’ordine della natura Dio inserisce nei figli un attraimento arcano verso la madre per cui anche il pargoletto inconsapevole la discerne tra mille e a lei corre e in lei si abbandona; cosi nell’ordine della grazia un affetto arcano, una propensione quasi istintiva fosse inserita verso Maria. E questo affetto questa propensione lo Spirito Santo medesimo inserisce nei petti cristiani sino da allora che nel santo Battesimo muoiono all’antico Adamo e rinascono al nuovo Adamo che è Gesù Cristo. In quelle acque sacrosante nelle quali veniamo rigenerati, insieme colla grazia santificante e cogli abiti delle virtù soprannaturali che ci si infondono, ci si infonde ancora l’abito dell’amore a Maria. E per negare che questo affetto ce lo troviamo quasi inserito nel cuore bisogna chiudere gli occhi alla luce, bisogna negare quello che ci dice ragionando altamente nel nostro cuore l’intimo senso. Pigliare quel pargoletto e quella pargoletta che pendono ancora dal seno materno, mostrate loro la immagine di Maria. Vedrete un’arcana simpatia, una tenerezza, una propensione, un attraimento di quell’anima innocente verso la benedetta fra le donne. Insegnategli a giungere le tenere mani e a balbettare con labbro infantile Maria, e vedrete con quanta facilità con quanto diletto quel dolce nome si stampa in quella memoria e in quel cuore, e dal cuore viene sul labbro, e sarete costretti a dire che lo Spirito Santo diffuso nei loro cuori generi questo affetto, generato lo nutrisca, nutrito lo perfeziona. Quindi è che questo affetto, se il peccato e l’iniquità non lo spengono, insieme colla fede cresce cogli anni e ci appresenta quello spettacolo che tutto giorno e agli altri porgiamo noi stessi, e noi stessi ammiriamo negli altri. Se ci stringe un pericolo, chi invochiamo per soccorso? Maria. Se ci rallegra insolazione chi ringraziamo per gratitudine? Maria. Se un ci preme, chi invochiamo per refrigerio? Maria. Se ci assedia una necessità a chi ci volgiamo per sovvenimento? A Maria. Si vede, o si vede e si tocca con mano in questa gran famiglia cristiana quello che si vede in ogni ben composta famiglia, e come in quella in ogni necessità, in ogni pena, in ogni consolazione, i figli fanno capo alla madre e tratti quasi da una dolce necessità ne la chiamano a parte; così anche in questa. E come nella famiglia un figlio che non ama la madre, che la disconosce e le fa villania si ha in conto di mostro snaturato e maledetto dagli uomini e da Dio; così fra i Cristiani quelli che non amano, che non curano, che hanno alieno e avverso l’animo da Maria, sono pochi perché sono mostri, e i mostri non sono mai un gran numero. Anche fra i Cristiani di vita prodigata e perduta troverete di rado alcuno che non serbi nel petto qualche scintilla di amore a Maria, e questo è pegno di salute e ancora di misericordia, e basta perché non se ne debba disperare la conversione. Ma se qualcuno se ne trova o Dio guai a lui; fa orrore, mette spavento appunto come un mostro, e fra i segni di riprovazione non ce n’è alcuno che sia più terribile di una non so quale alienazione e avversione di animo da Maria. Questa avversione questo allenamento si è sempre visto negli eresiarchi più atroci e più empì, e Lutero diceva, siccome è noto, tutta l’anima mia si ribella e non posso patire in pace che mi si dica che la mia speranza è Maria. Infelice, cui il demonio invasava il petto del veleno e dell’odio che lo consuma contro la sua nemica. Quest’odio vediamo rinnovellato ai dì nostri nei settari che si sono venduti alle congreghe d’inferno, e fanno guerra a Maria ne bestemmiano il nome, ne distruggono il culto e le immagini, anime reprobe e destinate all’inferno. Da questi infuori regna in tutti i cuori cattolici l’amore, la tenerezza e una propensione filiale verso Maria. Ma che dico solo tra i Cattolici? Domandate donde trae suo principio la conversione degli eretici alla Chiesa Cattolica e sentirete che il primo passo fu un pio affetto che sentirono nascersi in petto verso Maria. Interrogate il missionario che si aggira per le barbare spiagge dell’Australia e della Polinesia come fa ad attrarre a sé quei barbari e di bestie farli uomini e di uomini Cristiani? Sotto un padiglione di verzura adorna di veli e di fiori che dà il paese, campeggia una cara immagine di Maria. Il selvaggio dal folto dei macchioni e dal cupo degli antri dove si intana vede quella cara sembianza e si accosta, e attonito domanda chi sia quella matrona sì augusta e sì amabile? Ode che è la Madre di Dio, e tirato e vinto quasi da catena amorosa dal nome di Maria è condotto a Gesù Cristo e alla Chiesa. Non vi faccia meraviglia. L’anima, disse sapientemente Tertulliano, è naturalmente cristiana, e avendo col Cristianesimo proporzione sì grande, non può non avere propensione naturale verso chi è la Madre di Gesù Cristo e del Cristianesimo, delle membra e del capo. Ma se Maria è la Madre universale andate al suo cuore. La madre più che altro si governa col cuore, e se volete espugnarla ragionate poco e date opera di guadagnarle il cuore: guadagnato il cuore è già vinta. Maria è madre andiamo al suo cuore, preghiamola pel suo cuore, espugniamo il suo cuore: la impresa è facile, ed otterremo ogni cosa.

3. Ma Dio tanto amore ha infuso e propensioni affettuose così mirabili nel cuore del popolo cristiano verso Maria, avrà poi lasciato imperfetta l’opera sua, e non avrà acceso una fiamma di amore corrispondente nel cuore di tanta Madre? Voi intendete bene che questa mia domanda significa questo. Se ci ama Maria, e il nostro cuore ha risposto a quest’ora, se ci ama Maria? E non è il medesimo dire Maria e dire la più tenera e amorosa di tutte le madri? Le opere di Dio sono perfette nell’ordine della natura, ma nell’ordine della grazia sono perfette infinitamente di più. Ora la natura con la sua mano innesta nel petto dei figli l’amore verso la madre, ma nel cuore delle madri inserisce un amore molto più veemente molto più tenero, molto più sviscerato e costante. Vedrete quindi moltissimi figli disamorati delle loro madri, ma madri che non amino i figli le troverete rarissime, e appena qualcuna che vi metterà come snaturata sdegno e ribrezzo. Ora volendo Dio dare in Maria al mondo una madre, inserì nel cuore degli uomini un grande amore di Lei, ma nel cuore di Lei accese verso di noi un amore che non ha paragone altro che coll’amore che per noi arde nel cuore di Gesù. E per questo affetto cominciò il signore l’opera sua fino da quando questa futura Madre di Dio e degli uomini fu concetta, e le collocò in petto un cuore somigliante a quello che da Lei preso avrebbe Gesù, perché Maria, dice sapientemente S. Efrem Siro, è un’opera fatta solamente pel Verbo incarnato, di forma tale che se il Verbo non si fosse dovuto incarnare Maria non sarebbe stata nel mondo introdotta. A questo cuore poi lavorato apposta per amare gli uomini, Gesù medesimo che creato lo aveva, dette colla sua mano stessa la perfezione e la tempera, e lo empié del suo amore medesimo e lo scaldò della sua medesima fiamma. E chi ne può dubitare? Gesù prese carne dei sangui purissimi sgorgati dal Cuore di Maria, Gesù albergò nove mesi nel santuario verginale dell’utero di Maria, e quei due cuori palpitarono di un medesimo palpito e vissero di una medesima vita. Che faceva quei nove mesi che tenne compresso il claustro delle viscere materne, che faceva dico, il Cuore di Gesù? Ardeva di amore smisurato ed ineffabile verso i figliuoli degli uomini. Come dunque non doveva accendere il cuore di Maria del suo medesimo ardore e temperarlo alla fucina delle fiamme che consumavano il suo? Ma che sarà stato poi durante quei trentatré anni che Ella dimorò con Gesù pellegrina celeste sopra la terra? Ci dice il Vangelo che questa Verginella prudente teneva sempre gli occhi in quel modello divino e tutto esaminava notava tutto, e quello che Gesù faceva e quel che diceva, e le comunicazioni mirabili col Padre, e le predilezioni verso i figliuoli degli uomini, e le propensioni, e i desideri e gli affetti, e nulla le sfuggiva e faceva tesoro di tutto, e tutto conservava dentro al suo cuore e tutto ponderava, tutto pensava, tutto seco medesima conferiva con diligenza celeste. Conservabat omnia verba hæc in corde suo. (Luc. II, 51) Avete udito? Teneva assiduamente il suo cuore alla scuola del Cuore di Gesù e lo formava su quel modello divino con sollecitudine tenera, gelosa, assidua, squisita. Conservàbat omnia verba hæc in corde suo. E che altro da quel Cuore poteva imparare il tuocuore o Maria fuor che ad amare quantunque immeritevoli, quantunqueingrati i figliuoli degli uomini? Ma che fa mestieri procedereper argomenti a mostrare l’amore di Maria verso gli uomini?Basta aver occhi per vedere com’Ella tutti mirabilmenteforniscegli uffici di ottima madre. A che prove conoscete se unamadre ama veramente i figliuoli? Alle opere. Vedete non vive altroche per la sua famiglia, altro non cerca, di altro non si briga,non pensa ad altro. Ora in ogni famiglia ben ordinata, chi guardibene vedrà che essendoci una madre e un padre sono tra questoquasi domestico magistrato compartiti gli uffici. L’autorità paterna èun’autorità grave e robusta, la materna, amorosa e soave,il padre sopraintende ai negozi che escono fuori delle pareti domestiche,e regola le relazioni esterne della famiglia, la madre èuna autorità casalinga a cui appartengono le cure tenui ed interne.Alle cure grandi e rilevanti attende il padre, la madre dàopera alle incombenze minute. Però la madre si tiene davanti damane a sera la sua famigliuola e vede tutto, tutto procura, nullale sfugge. Al modo medesimo passano le cose in questa gran famigliadella Chiesa, dice Bernardo. Ci è Dio nostro padre e GesùCristo nostro fratello e da loro scende ogni bone. Ma ci è ancheuna madre a cui appartiene il governo e l’economia domestica di questa famiglia ed essa è Maria. Si tiene Ella però davantitutti i figli della santa Chiesa Cattolica, e tutti ci vede, ci conoscetutti, tutti ci custodisca, tutti ci veglia, vede tutte le nostronecessità, indaga i bisogni e atutti e pensa e provvede. E questopovero figlio è peccatore, è peccatrice questa povera figlia: equesto è tribolato, quest’altra èafflitta: e quale è infermo e qualein pericolo: a questo tende insidie il demonio, quest’altro ilmondo lusinga: questa sta per cedere a un seduttore, quell’altroincatenano i lacci di una occasione: vede Maria vede, il cuorematerno incenerisce, l’amore la sollecita e non ha pace. Si volgeal Figlio, si appresenta al trono della Trinità sacrosanta, e supplicae implora a questo la conversione, la salute a quell’altro,a chi la forza e la grazia, a chi la speranza, a chi la consolazione,a chi lo scampo e la vita, a chi la vittoria contro il malignoin vita e in morte. Però è sempre attorno pel Paradiso, ei santi Padri leggiadramente la chiamano del Paradiso la faccendiera.però come nella famiglia i figlioletti chiamano più la madre che i l padre, così nella Chiesa cattolica si chiama Maria continuamente,Maria Maria. Non udite? Maria si grida dal mare seminaccia procella, e se l’onda è tranquilla le si insegna a salutarla stella del mare: Maria si invoca dalla terra o volgono prosperie felici i successi o corrono torbidi e avversi. Dai letti deldolore si chiama Maria, nelle angustie e nelle distrette Maria s’invoca.Ed Ella? Ed Ella come colei che tota suavis est ac plena misericordiae, che tutta è soave e piena di misericordia, omnibus sese exorabilem, dice Bernardo, omnibus clementissimam præbet, omnium necessitatibus amplissimo quodam miseratur affectu. Con quel suo cuore buono, largo, benfatto, generoso, benefico,a tutti si porge esorabile, clementissima a tutti, e conamplissimo affetto s’intenerisce alle necessità di tutti. Però ognitempio, ogni lido, ogni terra, ogni spiaggia è piena dei monumentie dei voti che attestano, che cuore sia quello di Maria, equei monumeni e quei voti gridano in loro linguaggio, Maria haun cuore grande, tenero, gentile, benefico: chi fa capo a quelcuore non patisce ripulsa: omnium necessitatibus amplissimo quodam miseratur affectu.

4. E perché Maria fosse tale Dio volle esercitare e perfezionare col dolore il cuor suo immacolato, verginale, santissimo, innocentissimo. Avrete sentito dire che Maria dal momento che divenne Madre di Dio divenne madre ancor di dolore, e portò sempre infitta nel mezzo al cuore una spada. È verissimo e cosi fu, e così conveniva che fosse. Perché osservate. Una madre buona e degna di questo nome ama tutti egualmente i figliuoli suoi: non ha parzialità per nessuno: sono tutti frutti delle sue viscere, li ama tutti ad un modo. Ma se tra i figli alcuno ne sia pel quale sperimenti più tenerezza qual’è ? È quello per cui ha molto patito. Il cuore di ogni madre è fatto così, il dolore patito genera amore, e il figliuolo delle lacrime e del dolore è il figliuolo prediletto. Essendo così, Dio che ci ha dato per figli a Maria, e ha costituito Lei nostra madre perché tutti ci avesse in grado di prediletti ha voluto che tutti fossimo per Lei figli di dolore. Già fin da quando aperse le sue viscere al Verbo di Dio intese che quel figliuolo destinato ad essere vittima del genere umano sarebbe per lei figliuolo di lacrime: ma lo intese anche meglio poco di poi. Aveva appena da quaranta giorni partorito Gesù e madre fortunata e incomparabile portava al tempio il frutto delle sue viscere, quando torbido e rabbuffato le si fece incontro un vegliardo per nome Simeone e presole di tra le braccia il bambino, questo bambolo, esclamò, è posto in ruina e in resurrezione di molti, e in bersaglio di contradizione: e tu donna preparati perché per conto di Lui una spada ti trapasserà il cuore da parte a parte. Intese allora Maria tutto il mistero e capi che quel figlio all’età di trentatré anni le morirebbe crocifisso. Povero cuore da quel giorno in poi non ebbe più lieta un’ora, e come Gesù dal presepio al calvario ebbe sempre nel cuore la croce, così tu o Maria avesti sempre nel cuore la spada. Cresceva Gesù, crescendo in età sempre diveniva più vezzoso, più giocondo, più bello, lo irraggiava la sapienza, lo infiorava la grazia, Dio e gli uomini si compiacevano in esso, le spose e le madri di Sion ti predicavano beata, e tu tacevi: ma chi ti avesse letto nel cuore avrebbe letto le parole della desolata Noemi: non mi chiamate felice ma amara perché il Signore mi ha ripiena di amaritudine: e il significato di queste parole si sarebbe inteso quel giorno che ti sarebbe conferito il grado di madre degli uomini. Orsù dilettissimi, rispondete: quando e dove Maria veramente ci partorì e diventò madre noi? Nel gran giorno del dolore là sul Calvario. Stabat iuxta crucem Iesu Mater Eius. (Ioan. XIX, 25.) Pendeva Gesù dalla croce sanguinolento olocausto: ai piedi della croce stava Maria. Presso Maria, rappresentante nostro, stava Giovanni. Maria trambasciava di dolore, Gesù la vide, e additandole Giovanni le disse: ecco il tuo figliuolo, e a Giovanni: ecco la madre tua. Allora divenne Maria madre nostra, e in Giovanni tutti quanti ci accettò per figliuoli, e Gesù consumò l’opera gettandole in petto una parte di quella fiamma che nel suo Cuore allora ardeva per noi. Coraggio o carissimi, coraggio: Maria ci ama, siamo suoi figli e non figli in qualunque modo, ma figli del suo dolore, e però prediletti, e quando ci vede ricordandosi quel che ha patito s’intenerisce, il suo cuore non regge più e dimentica tutto e solo sente le voci dell’amore. Tutta la terra è piena delle misericordie di Maria verso i figliuoli degli uomini che si cantano in ogni lingua, si magnificano da ogni labbro. Come mai in tal Regina tanto amore verso una generazione scortese, ingrata, villana? Non vi stupite gli uomini sono figliuoli del suo dolore. Nessuno dunque abbia temenza di accostarsi a Maria. Ogni temenza sarebbe irragionevole. Andate pure e sappiate che quando un figliuolo la supplica, il cuor suo non resiste. Guardatela ha il cuore in mano e par che vi dica son io sì, son io, son vostra madre, accostatevi e vedrete che cuore è questo.

5. E però è che la anta Chiesa tutti invita, tutti sprona a rifuggire al Cuor di Maria: ma di preferenza appresenta quel cuore ai peccatori, che pei peccatori sembra che sia aperto principalmente in questi tempi novissimi, onde la devozione al Cuore di Maria è ordinata principalmente alla conversione dei peccatori. Intendo, intendo. Datemi una madre tenera, sviscerata quanto volete dei suoi figliuoli, datemela a vostro talento imparziale verso tutti i frutti delle sue viscere, vedrete con tutto ciò, che se uno dei suoi figliuoli o le cade infermo e il morbo si aggrava, o geme prigioniero, o vaga tribolato e ramingo sembra che questa madre muti natura. Non sembra più imparziale né eguale con tutti i figli: sembra invece che dimentichi tutti gli altri, che non li curi: tutte le sollecitudini sembrano essere pel figliuolo che tribola e che patisce, sembra che in lui si concentri tutto l’affetto. La vedete quindi o assisa di dì e di notte alla sponda del letto molcere le angosce e alleviare i dolori del caro infermo: o sollecita di sapere le novelle del prigioniero diletto, e dell’amato ramingo, di altro non favella se parla, ad altro non pensa se tace, non ode volentieri che si parli di altri fuorché di loro. Sono tribolati, hanno ragioni sovrane sul cuor materno. Ora chi sono in questa gran famiglia che Dio ha dato a Maria i poveri peccatori? Sono figli prigionieri, sono figli raminghi, son figli infermi. Infermi della pessima malattia del peccato, raminghi ed esuli dalla casa del Padre, prigionieri del diavolo già condannati all’inferno. Li vede Maria e ne sa la miseria incomparabile, e il suo Cuore materno si strugge e si consuma di dolore e di amore. Poveri figli non sanno quello che fanno, sono ciechi, sono travolti da infelicissimo errore: si perdono e non intendono il loro male. Ah! il Cuor di Maria non ha pace, grida mercé al suo Figlio, li cerca, li scuote, li sollecita, li invita, li alletta, e con tenere voci da mane a sera li chiama, e poiché non ascoltano si volge ai figli fedeli, e voi, dice, voi aiutatemi, se mi amate, aggiungete la vostra voce alla mia, e uniti insieme riconduciamo al Padre questi profughi sconsigliati e cari. Peccatori, sentite a quando a quando quelle voci al cuore, quelle grida della coscienza lacerata, quegli impeti, quegli impulsi a tornare al Padre? Sono le voci di Maria che vi chiama, ah! se avete cuore umano nel petto consolate il dolore e rasserenate il cuore di questa Madre. Su rispondete, parlate. Quem fructum habuistis in quibus nunc erubescitis? (Rom. VI, 21) Vi è messo conto a partirvi dalla casa del Padre? A mettervi per le vie tribolate dell’iniquità? A cambiare il giogo di Gesù colla catena del diavolo? O cari anni della vostra innocenza! O giorni felici della coscienza serena! Allora passavano i dì tranquilli, allora correvano placide e dolci le notti, allora guardavate il cielo con lieto sembiante, allora invocavate con dolce affetto i nomi di Gesù e Maria, il presente era giocondo, non vi atterriva il futuro, la pace del cuore si dipingeva nell’occhio sereno e nel volto. E ora? E ora non ci è più pace. Torbidi i giorni, tetre le notti, la coscienza s’indraga siccome un serpe, pochi momenti di briaca voluttà e poi tempesta e fremito nel cuore, e il tumulto e la rabbia del cuore vi si dipinge negli occhi torvi, nel volto arroncigliato, nelle parole rabbiose, nei modi protervi. Su dunque sorgete, poveri assetati di pace, tornate al Padre. Ma vi manca la lena, il giogo del peccato vi grava verso la terra, vi stringe i piedi la catena inveterata di satana. Ecco vi si apre in buon punto il Cuor di Maria. Alzate gli occhi: guardate quella benedetta sembianza, contemplate quegli occhi, quel cuore, quel dolce atto d’invito e poi non confidate se vi riesce. O sì, sì confidiamo, confidiamo tutti o Maria. Il tuo nome infonde fiducia, rincuora la tua sembianza, ma se contempliamo il tuo Cuore, forza è che ci diamo per vinti, perché esercita un’attrattiva che ci trascina. Trahe nosdunque trahe nos Maria. Mostraci mostraci cotesto Cuore. In odorerm curremus unguentorum, (Cant. IV, 10) correremo all’odore dei tuoi profumi, e riconciliati con Dio e salvi con Te e per Te, cominceremo nel Tempo e continueremo nella eternità a cantare o clemens, o dulcis, Virgo Maria.

CREDO…

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/12/il-credo/

Offertorium

Orémus
Luc. 1: 46; 1: 49
Exsultávit spíritus meus in Deo salutári meo; quia fecit mihi magna qui potens est, et sanctum nomen ejus.

[L’anima mia esulta perché Dio è mio Salvatore, perché il Potente ha operato per me grandi cose e il Nome di Lui è Santo.]

Secreta

Majestáti tuæ, Dómine, Agnum immaculátum offeréntes, quǽsumus: ut corda nostra ignis ille divínus accéndat, cui Cor beátæ Maríæ Vírginis ineffabíliter inflammávit.

[Offrendo alla tua maestà l’Agnello immacolato, noi ti preghiamo, o Signore: accenda i nostri cuori quel fuoco divino che ha infiammato misteriosamente il cuore della beata Vergine Maria.]

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/comunione-spirituale/

Communio

Joann XIX: 27
Dixit Jesus matri suæ: Múlier, ecce fílius tuus: deinde dixit discípulo: Ecce mater tua. Et ex illa hora accépit eam discípulus in sua.

[Gesù disse a sua Madre: «Donna, ecco il Figlio tuo». Poi al discepolo disse: «Ecco la Madre tua». E da quell’ora il discepolo la prese con sé.]

Postcommunio

Orémus.
Divínis refécti munéribus te, Dómine, supplíciter exorámus: ut beátæ Maríæ Vírginis intercessióne, cujus immaculáti Cordis solémnia venerándo égimus, a præséntibus perículis liberáti, ætérnæ vitæ gáudia consequámur.

[Nutriti dai doni divini, ti supplichiamo, o Signore, a noi che abbiamo celebrato devotamente la festa del suo Cuore Immacolato, concedi, per l’intercessione della beata Vergine Maria: di essere liberati dai pericoli di questa vita e di ottenere la gioia della vita eterna.]

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/preghiere-leonine-dopo-la-messa/

https://www.exsurgatdeus.org/2018/09/14/ringraziamento-dopo-la-comunione-2/

https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/