DOMENICA IX DOPO PENTECOSTE (2020)
(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B.; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)
Semidoppio. • Paramenti verdi.
La liturgia di questo giorno insiste sui castighi terribili che la giustizia di Dio infliggerà a quelli che avranno rinnegato Cristo. Morranno tutti e nessuno entrerà nel regno dei cieli. Coloro invece che in mezzo a tutte le avversità di questa vita saranno rimasti fedeli a Gesù, saranno un giorno strappati alle mani dei loro nemici ed entreranno al suo seguito nel cielo, ove Egli entrò nel giorno della sua Ascensione, che la Chiesa ha celebrato nel Tempo Pasquale. Questi pensieri sulla giustizia divina sono conformi, in questa IX Domenica dopo Pentecoste, colla lettura che la liturgia fa della storia del profeta Elia nel Breviario. – Dopo la morte di Salomone, le dodici tribù di Israele si divisero in due grandi regni: quello di Giuda e quello d’Israele. Il primo formatosi con le due tribù di Giuda e di Beniamino, ebbe per capitale Gerusalemme: il secondo si compose di dieci tribù con capitale Sichem, poi Samaria. A questo secondo regno appartenne il profeta Elia, che abitava il deserto di Galaad in Samaria. Uomo virtuoso e austero, vestiva una tunica di peli di cammello con ai fianchi una cintura di cuoio: « pieno di zelo per il Dio degli eserciti », uscì tre volte dal deserto per minacciare Achab, VII re di Israele, e la regina Iezabele, che avevano trascinato il popolo all’idolatria; per mandare a morte i 450 profeti di Baal che confuse sul Monte Carmelo; e per annunciare al re, impossessatosi della vigna di Naboth, che sarebbe stato ucciso, e alla regina, che era stata il cattivo genio di Achab, che il suo sangue sarebbe scorso ove era scorso il sangue di Naboth e i cani avrebbero divorate le sue carni. Per tutti questi motivi, Elia fu perseguitato dagli Israeliti, da Achab e da lezabele e dovette fuggire sul monte Horeb per scampare alla morte. Quando più tardi Ochozia, figlio di Achab, divenne re, Elia gli fece dire di non consultare Belzebù, il dio di Accaron, come aveva intenzione, ma il Dio d’Israele. Ochozia allora gli mandò un capitano con cinquanta soldati per indurlo a scendere dalla montagna e rendergli conto delle sue parole. Elia rispose al capitano: « Se io sono un uomo di Dio, scenda dal cielo un fuoco che divori te e i tuoi cinquanta », E scese il fuoco e divorò lui e i suoi cinquanta uomini » (Breviario). Più tardi, Elia andò verso il Giordano con Eliseo e allorché ebbero attraversato il fiume, un carro di fuoco con cavalli di fuoco separò l’uno dall’altro ed Elia sali al cielo in un turbine. Eliseo allora si rivestì del mantello che Elia aveva lasciato cadere e ricevette doppiamente il suo spirito. E tutti i discepoli di Elia dissero: «lo spirito di Elia si è posato su Eliseo ». E mentre Eliseo andava verso Bethel, alcuni ragazzi lo schernirono dicendo: « Sali, sali, calvo! ». Ed Eliseo li maledisse nel nome di Dio che essi offendevano: due orsi uscirono dalla foresta e sbranarono 42 di quei fanciulli. — Per tutta la sua vita Elia, con la sua parola di fuoco, difese i diritti di Dio. Più tardi Giovanni Battista, « pieno dello Spirito e della virtù di Elia », si presentò vestito come lui ed abitante come lui nel deserto, e difese allo stesso modo gli stessi diritti di Dio, annunziando la separazione che farà Cristo venturo della paglia dal buon grano »: raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia in un fuoco che non si estinguerà. – « Elia, dice S. Agostino, rappresenta il Salvatore e Signore nostro. Come infatti Elia soffrì persecuzioni da parte dei Giudei; nostro Signore, il vero Elia, fu rigettato e disprezzato dal medesimo popolo. Elia lasciò il paese suo; Cristo abbandonò la sinagoga e accolse i Gentili (2° Nott.). « Dio liberò Elia dai suoi nemici elevandolo al cielo, Dio innalzò Cristo in mezzo ai suoi nemici e lo fece salire il giorno dell’Ascensione in cielo ». « Liberami, o Signore dai miei nemici, dice l’Alleluia, e allontanami da quelli che insorgono contro di me ». Elia, trasportato in un carro di fuoco è, secondo i Padri, la figura di Cristo, che sale al Cielo. Il Graduale è il versetto del Salmo VIII, che la liturgia usa nel giorno dell’Ascensione: «Signore, Dio nostro, come è ammirevole il tuo nome su tutta la terra: poiché la tua magnificenza si solleva al di sopra dei cieli. » E l’Introito aggiunge :« Ecco che Dio viene in mio aiuto e che il Signore accoglie la mia anima. Oh, Dio! salvami nel tuo nome e liberami nella tua potenza ». Questo trionfo di Gesù su quelli che lo odiano, figurato da quello di Elia su coloro che lo disprezzano, sarà anche il nostro se «non tenteremo Cristo», cioè se eviteremo l’idolatria, l’impurità, la mormorazione» (Ep.) rimanendo fedeli alla grazia Poiché « se Gesù continua a immolarsi sui nostri altari per applicarci i frutti della sua redenzione » (Secr.), e se « mangiando la sua carne e bevendo il suo sangue, noi dimoriamo in Lui e Lui in noi » (Com.), si è perché, « uniti a Lui », (Postcom.), osserviamo fedelmente i suoi comandamenti, che sono più dolci del miele » (Off.). S. Paolo ci dice infatti che « Dio, il quale è fedele, non permetterà che noi siamo tentati al di sopra delle nostre forze, ma con la tentazione ci darà anche il mezzo di uscirne affinché possiamo perseverare » (Ep.). Supplichiamo dunque il Signore d’accogliere benignamente le preghiere che noi gli indirizziamo e di fare in modo che gli chiediamo solo quanto gli sia gradito, affinché ci possa sempre esaudire (Oraz.). – Ma la Giustizia divina non si accontenta di proteggere il gìusto contro i suoi nemici e di ricompensarlo per la sua fedeltà; essa punisce anche quelli che fanno il male. Elia minacciò il regno di Israele infedele e fece cadere il fuoco dal cielo sui suoi nemici (Brev.); « Gli Israeliti, che tentarono Iddio con le loro mormorazioni, perirono per mezzo dei serpenti di fuoco » (Ep.), e Gerusalemme sulla quale Gesù pianse, minacciandole castighi perché lo respingeva, fu distrutta dalla guerra e dall’incendio (Vang.). « Ventitremila Ebrei perirono in un sol giorno per la loro idolatria, e molti furono colpiti a morte dall’Angelo sterminatore per le loro mormorazioni ». Ma tutti questi avvenimenti, spiega S. Paolo, furono permessi da Dio, e narrati per servire di nostro ammaestramento » (Ep.). Più di un milione di Giudei perirono nella distruzione di Gerusalemme, perché avevano rifiutato il Messia e il Vangelo (Vedi I Domenica dell’Avvento e XXIV dopo Pentecoste). Gesù ha sempre paragonata questa fine tragica alle catastrofi che segneranno la fine del mondo, quando Dio verrà a giudicare il mondo col fuoco. Allora il Giudice divino opererà la separazioni dei buoni dai cattivi e mentre ricompenserà i primi, allontanerà dal regno di Dio tutti quelli che lo avranno rinnegato per la loro incredulità e i loro peccati, come cacciò dal Tempio, che è la figura della Chiesa terrestre e celeste, tutti i venditori che avevano trasformato la casa di Dio in una spelonca di ladri (Vang.). « Il male ricada sui miei avversari, chiede il Salmista e, fedele alle tue promesse, distruggili, o Dio, mio protettore! » (Intr.). Allora, infatti il tempo della misericordia sarà passato e non vi sarà più che quello della giustizia ». « Frattanto colui che crede di essere in alto guardi di non cadere!», dice l’Apostolo (Ep.).
Incipit
In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.
Introitus
Ps LIII: 6-7.
Ecce, Deus adjuvat me, et Dóminus suscéptor est ánimæ meæ: avérte mala inimícis meis, et in veritáte tua dispérde illos, protéctor meus, Dómine.
[Ecco, Iddio mi aiuta, e il Signore è il sostegno dell’ànima mia: ritorci il male contro i miei nemici, e disperdili nella tua verità, o Signore, mio protettore.]
Ps LIII: 3
Deus, in nómine tuo salvum me fac: et in virtúte tua libera me.
[O Dio, salvami nel tuo nome: e líberami per la tua potenza.]
Ecce, Deus adjuvat me, et Dóminus suscéptor est ánimæ meæ: avérte mala inimícis meis, et in veritáte tua dispérde illos, protéctor meus, Dómine.
[Ecco, Iddio mi aiuta, e il Signore è il sostegno dell’ànima mia: ritorci il male contro i miei nemici, e disperdili nella tua verità, o Signore, mio protettore.]
Oratio
Orémus.
Páteant aures misericórdiæ tuæ, Dómine, précibus supplicántium: et, ut peténtibus desideráta concédas; fac eos quæ tibi sunt plácita, postuláre.
[Porgi pietoso orecchio, o Signore, alle preghiere di chi Ti supplica, e, al fine di poter concedere loro quanto desiderano, fa che Ti chiedano quanto Ti piace.]
Lectio
Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corinthios.
1 Cor X: 6-13
Fatres: Non simus concupiscéntes malórum, sicut et illi concupiérunt. Neque idolólatræ efficiámini, sicut quidam ex ipsis: quemádmodum scriptum est: Sedit pópulus manducáre et bíbere, et surrexérunt lúdere. Neque fornicémur, sicut quidam ex ipsis fornicáti sunt, et cecidérunt una die vigínti tria mília. Neque tentémus Christum, sicut quidam eórum tentavérunt, et a serpéntibus periérunt. Neque murmuravéritis, sicut quidam eórum murmuravérunt, et periérunt ab exterminatóre. Hæc autem ómnia in figúra contingébant illis: scripta sunt autem ad correptiónem nostram, in quos fines sæculórum devenérunt. Itaque qui se exístimat stare, vídeat ne cadat. Tentátio vos non apprehéndat, nisi humána: fidélis autem Deus est, qui non patiétur vos tentári supra id, quod potéstis, sed fáciet étiam cum tentatióne provéntum, ut póssitis sustinére.
[“Fratelli: Non desideriamo cose cattive, come le desiderarono quelli. Non diventate idolatri, come furono alcuni di loro, secondo sta scritto: «Il popolo si sedette a mangiare e bere; poi si alzarono a tripudiare. Né fornichiamo, come fornicarono alcuni di loro, e caddero in un giorno 23 mila. Né tentiamo Cristo come lo tentarono alcuni di loro, e furono uccisi dai serpenti. Né mormorate come mormorarono alcuni di loro, ed ebbero morte dallo sterminatore. Or tutte queste cose accadevano loro in figura, e sono state scritte per ammaestramento di noi, che viviamo alla fine dei tempi. Colui, pertanto che si crede di stare in piedi, badi di non cadere. Nessuna tentazione vi ha sorpreso se non umana. Dio, poi, che è fedele, non permetterà che siate tentati sopra le vostre forze: ma con la tentazione preparerà anche lo scampo, dandovi il potere di sostenerla”. (I Cor. X, 6-13).]
Omelia I
[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia, 1921]
IL TIMOR DI DIO
Essere Cristiani non vuol dire essere esenti dalla vigilanza, e da una attenta vigilanza. Nell’Epistola della Domenica di Settuagesima abbiam visto come l’Apostolo per incoraggiare i Corinti alla perseveranza, oltre il proprio esempio, portò l’esempio dei Giudei, i quali, quantunque usciti in gran numero dall’Egitto, dopo aver ricevuto grandi benefici dal Signore, solamente in numero di due poterono entrare nella terra promessa. L’Epistola di quest’oggi continua quel brano. Vi sono enumerate alcune prevaricazioni degli Ebrei e i castighi, che ne seguirono, e si esortano i Corinti a non imitarne l’esempio; poiché quanto avvenne agli Israeliti sarà figura di quanto avverrà a noi Cristiani, se abuseremo delle grazie del Signore. – E noi non abuseremo certamente delle grazie del Signore, se avremo il timor di Dio, il quale:
1 Ci fa evitare il peccato,
2 Ci rende diffidenti di noi,
3 Ci lascia calmi e fiduciosi in Dio, durante le prove.
1.
Le prevaricazioni degli Ebrei, dopo la loro uscita dall’Egitto, ebbero da parte di Dio la meritata punizione. La storia di questa punizione e dei conseguenti castighi, deve servire di esperienza, perché tutte queste cose accadevano loro in figura, e sono state scritte per ammaestramento di noi. Dunque, le punizioni di Dio, prefigurate in ciò che accadde agli Ebrei, devono attendere anche i Cristiani che, invece di mostrarsi grati a Dio per i benefici ricevuti e che ricevono quotidianamente, lo offendono con i peccati. – E lo offendono, perché non temono il Signore. «Il timor di Dio fa odiare il male» (Prov. VIII, 13). L’uomo che ha tanto paura di commettere cosa che possa offendere il suo simile, mortale come lui, ludibrio degli eventi; oggi forte, domani debole; oggi stimato, domani disprezzato, abbandonato; come potrebbe indursi a commettere il male sotto gli occhi di Dio, se pensasse che quel Dio che lo vede, lo giudicherà? Non si pensa a Dio, e si opera come se Dio non esistesse. E da questo errore ne consegue un altro: si fa il male senza badare alle sue conseguenze. Si pecca, ma non si tien conto che «Agli empi e ai peccatori Dio renderà il loro castigo» (Eccli. XII, 4). I servi non osano commettere mancanze alla presenza del loro padrone. Se avvengono degli alterchi, avvengono quando e dove il padrone non li sente: «Noi invece — dice il Crisostomo — tutto osiamo in faccia a Dio, che vede e che sente. Essi hanno sempre davanti agli occhi il timor del padrone; noi, il timor di Dio non l’abbiamo mai» (In 1. Epist. ad Thim. Hom. 16, 2).« Chi teme Dio rientra in se stesso» (Eccli XXI, 7). Può egli continuare a vivere in peccato, se da un momento all’altro può capitare nelle mani del suo Giudice? Il peccatore può mettersi a letto pieno di sanità e di vita, e prima dello spuntar del giorno trovarsi davanti al tribunale di Dio. Può alzarsi la mattina, e prima di sera esser già giudicato. Ma il pericolo di ricevere una condanna egli può evitarlo. Se teme il castigo ne tolga la causa. Faccia penitenza dei suoi peccati, e cominci una vita nuova. Chi teme Dio non dice: Dio è buono, dunque non mi punirà. Se Dio è buono devi amarlo, invece di offenderlo. Tu offendi Dio perché è buono. «Questa è dunque la retribuzione che rendi al Signore?… Non è Egli il tuo Padre, che ti ha posseduto, che ti ha fatto, che ti ha creato?» (Deut. XXXII, 6). – Egli è buono, immensamente buono, ma è anche giusto; la sua bontà non può andar scompagnata dalla sua giustizia. «Presso Dio non vi è pietà senza giustizia, né giustizia senza pietà» (S. Pier Crisos. Serm. 145). – Se tutti gli uomini avessero il timore di Dio e non solo il timore delle leggi umane, nessuno commetterebbe il male, neppur per breve tempo.
2.
Nessuno può tenersi sicuro di poter perseverare sino alla fine nello stato di grazia e di tenersi conseguentemente certo della propria salvezza. Nessuno può esser sicuro di questo, senza una speciale rivelazione. Pertanto, chi si crede di stare in piedi, badi di non cadere. Caddero gli Angeli che si trovavano in cielo; caddero i nostri progenitori che si trovavano nel paradiso terrestre; noi soli vogliam presumere di andar esenti da cadute? La Sacra Scrittura ci pone davanti agli occhi abbondante materia di seria riflessione su questo punto. Essa ci fa passare innanzi re, giudici, sapienti, sacerdoti, profeti, Apostoli, che precipitarono dalla loro altezza nell’abisso del peccato. Dopo simili esempi, nessuno troverà esagerata l’ammonizione dell’Apostolo: Pertanto chi si crede di stare in piedi, badi di non cadere. Quando la nebbia è fitta, il viandante cammina con la più grande precauzione. Le nostre passioni sono come una nebbia fitta, che non ci lascia ben distinguere ove mette fine il nostro cammino. Abbiamo bisogno di essere illuminati, guidati. Il santo timor di Dio è il lume che ci guida. «Non voler essere saggio ai tuoi propri occhi; — dice Salomone — temi Dio e allontanati dal male» (Prov. III, 7). – Il timor di Dio ci insegna ad allontanarci dal male. Ci dice ove è il pericolo; ove bisogna far sacrificio d’una nostra tendenza; ove c’è una passione incipiente da estirpare, ove c’è un’occasione da evitare. Chi disprezza la voce del timor di Dio, un momento o l’altro si trova trascinato là ove non avrebbe né creduto né voluto. Chi non teme, non si guarda; chi non si guarda, si perde. – Non contano le battaglie spirituali vinte altre volte. Il cavaliere che ha vinto cento corse, che ha saltato migliaia di ostacoli, sempre saldo in sella, in un momento di distrazione o di troppo fiducia è sbalzato a terra. Il navigante che ha passato e ripassato i mari, superando furiose tempeste, affonda con la nave per un imprevisto incidente qualsiasi. L’aviatore che ha valicato catene di monti e attraversato mari tra le bufere, e sempre felicemente, precipita col velivolo quando, sicuro di sé, non vede davanti agli occhi che gli onori che coroneranno le sue imprese. A questo mondo non si è mai al sicuro dalle sorprese; e il Cristiano non è mai al sicuro dalle sorprese delle passioni, del demonio, del mondo. Nulla trascuri per mettersi al riparo contro di esse: «Chi teme Dio non trascura cosa veruna» (Eccle. VII, 19).
3.
Dio, poi, che è fedele non permetterà che siate tentati sopra le vostre forze; ma con la tentazione preparerà anche lo scampo, dandovi il potere di sostenerla. Diffidare di noi stessi, temere la nostra debolezza, non vuol dire avvilirsi e perdersi di coraggio nelle umiliazioni, nelle tentazioni, nelle prove della vita. Noi siamo fragili, ma Dio è potente. Lasciarsi abbattere, mormorare nelle difficoltà, è un dubitare della bontà, sapienza e potenza di Dio. Egli non comanda mai cose impossibili, e non nega mai la sua grazia a quelli che a Lui ricorrono fiduciosi. Con la sua grazia potremo resistere a tutte le tentazioni e superar tutte le prove, uscendone vittoriosi, ornati di meriti, rassodati nel bene. Chi teme Dio accetta, calmo e fiducioso nell’aiuto di Lui, tutte le prove che Egli gli manda. – Il timor di Dio non consiste nel prostrarsi innanzi a Lui tremanti, nell’esser presi dallo sgomento. « Il timor del Signore — dice lo Spirito Santo — ha corona di sapienza e di piena pace e di frutti di salute» (Eccli. I, 22). Il timor di Dio consiste nel non far nulla di quanto a Dio dispiace, nel chiedergli la grazia di fare ciò che Egli comanda, nel non ribellarci quando la sua mano ci sottopone alle prove. Il timor di Dio non turba la pace, anzi ne è la salvaguardia. Chi teme Dio è da Lui protetto e difeso. Egli può ripetere con tutta verità le parole del Salmista: «Ecco, Dio è colui che mi aiuta, e il Signore è il sostegno dell’anima mia» (Salm. LIII; 6. – Introito). – « I suoi precetti sono più dolci del miele e di ciò che stilla dai favi» (Salm. XVIII, 11 – Offertorio). Perciò li osserva, e nell’osservarli ha grande ricompensa; arricchisce la sua corona di frutti di salute. Il timore e l’amore sono gli sproni della vita: non solamente della vita materiale, ma anche, e più, della vita spirituale. Il timore e l’amore spingono l’uomo a risorgere dal peccato, e a ritornare al più amante dei padri. Se il peccatore dovesse guardare solamente ai propri demeriti, come potrebbe innalzare la fronte a Dio, e dirgli: «Perdona?» Ma egli sa con chi ha da fare; egli può rivolgersi a Lui e ricordargli con tutta fiducia: «So che tu sei un Dio clemente, e misericordioso e paziente, e molto compassionevole e che perdoni il mal fare» (Gion. IV, 2). – Chi ben si guarda, scudo si rende. Questa norma fu dimenticata da Sansone, il forte d’Israele, che, fidando troppo in sé stesso, si prese gioco del pericolo, e finì con perdere la libertà, la vista, la forza prodigiosa; finì col perdere Dio, che si allontanò da lui. Ma nel misero stato in cui è ridotto non si dimentica che Dio è clemente, misericordioso, paziente, molto compassionevole, e si rivolge a Lui con umiltà, fede e fiducia : «Signore Iddio, ricordati di me» (Giud. XVI, 28). E Dio ascolta l’umile e fiduciosa preghiera del pentito Giudice d’Israele. Chissà quante volte abbiamo imitato Sansone nello scherzare con le occasioni, con la conseguenza di rimanerne vittima! Imitiamolo anche nel ricorrere con fiducia a Dio per rialzarci dalle nostre cadute. Il timor di Dio, senza la fiducia nella sua misericordia non è un timore buono. «Tu lo placherai, se speri nella sua misericordia» (En. In Ps. CXLVI), dice S. Agostino. Sperando nella sua misericordia, risorgiamo, dunque, e subito. «Risorgiamo, o cari, sebben tardi, e stiamo saldamente in piedi» (S. Giov. Cris. In Epist. I ad Cor. Hom. 23, 4).
Graduale
Ps VIII: 2
Dómine, Dóminus noster, quam admirábile est nomen tuum in universa terra!
[Signore, Signore nostro, quanto ammirabile è il tuo nome su tutta la terra!]
V. Quóniam eleváta est magnificéntia tua super cœlos. Allelúja, allelúja
[Poiché la tua magnificenza sorpassa i cieli. Allelúia, allelúia]
Alleluja
Ps LVIII: 2
Alleluja, Alleluja
Eripe me de inimícis meis, Deus meus: et ab insurgéntibus in me líbera me. Allelúja.
[Allontànami dai miei nemici, o mio Dio: e líberami da coloro che insorgono contro di me. Allelúia.]
Evangelium
Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Lucam.
Luc XIX: 41-47
“In illo témpore: Cum appropinquáret Jesus Jerúsalem, videns civitátem, flevit super illam, dicens: Quia si cognovísses et tu, et quidem in hac die tua, quæ ad pacem tibi, nunc autem abscóndita sunt ab óculis tuis. Quia vénient dies in te: et circúmdabunt te inimíci tui vallo, et circúmdabunt te: et coangustábunt te úndique: et ad terram prostérnent te, et fílios tuos, qui in te sunt, et non relínquent in te lápidem super lápidem: eo quod non cognóveris tempus visitatiónis tuæ. Et ingréssus in templum, coepit ejícere vendéntes in illo et eméntes, dicens illis: Scriptum est: Quia domus mea domus oratiónis est. Vos autem fecístis illam speluncam latrónum. Et erat docens cotídie in templo”.
[“In quel tempo avvicinandosi Gesù a Gerusalemme, rimirandola, pianse sopra di lei, e disse: Oh? se conoscessi anche tu, e in questo tuo giorno, quello che importa al tuo bene! ma ora questo è a’ tuoi occhi celato. Conciossiachè verrà per te il tempo, quando i tuoi nemici ti circonderanno di trincea, e ti serreranno all’intorno, e ti stringeranno per ogni parte. E ti cacceranno per terra te e i tuoi figliuoli con te, e non lasceranno in te pietra sopra pietra; perché non hai conosciuto il tempo della visita a te fatta. Ed entrato nel tempio, cominciò a scacciare coloro che in esso vendevano e comperavano, dicendo loro: Sta scritto: La casa mia è casa di orazione; e voi l’avete cangiata in spelonca di ladri. E insegnava ogni giorno nel tempio”.
Omelia II
– Sopra il santo Sacrifizio della Messa.-
Domus mea, domus orationis est; vos autem fecistis illam speluncam latronum.
Luc. XIX
Bisognava, fratelli miei, che il tempio di Gerosolima fosse di grande rispetto, poiché il Salvatore del mondo, che era la stessa mansuetudine, usò tanta severità contro coloro che lo profanavano con commerci indegni della santità di quel luogo: severità, che lo portò a riprendere, non solamente come lo fa nell’odierno Vangelo, quei sacrileghi profanatori, ma ancora a scacciarli a colpi di sferza, a rovesciare le tavole su cui erano le loro mercanzie, come narrasi altrove nel Vangelo. Che avrebbe dunque fatto Gesù Cristo, e che farebbe Egli al giorno d’oggi contro i profanatori delle nostre chiese, infinitamente più rispettabili, che il tempio di Gerusalemme? Delle nostre chiese, dico, che contengono la realtà di ciò che non era che in figura nel tempio di Salomone. In questo che cosa eravi mai? Le tavole della legge, un po’ di manna data miracolosamente agl’Israeliti nel deserto; ma nei nostri tempi noi possediamo l’Autore medesimo della legge, il vero pane sceso dal cielo, Gesù Cristo, il Figliuolo di Dio che risiede in Persona nei nostri sacri tabernacoli. Ciò che rendeva ancora il tempio di Gerusalemme degno di venerazione, erano i sacrifici che si offrivano a Dio, era questo il solo luogo destinato ad offrirglieli. Ma che cosa erano mai questi sacrifici? Erano sacrifici di animali che si scannavano, il sangue di tori, di capretti che vi si spargeva; laddove nelle nostre chiese si presenta a Dio il Sacrificio dell’Agnello immacolato. Si è nelle nostre sole chiese che si può offrire l’adorabile Sacrificio dei nostri altari, ove Gesù Cristo si offre a Dio suo Padre per le mani dei Sacerdoti, ed ecco, dice s. Agostino, ciò che rende le nostre chiese sì rispettabili, ciò che deve farcele riguardare come case consacrate a Dio, come case di orazione; perché si è nel Sacrificio della Messa, che si rende a Dio più gloria, e che possiamo pregarlo con una maniera più efficace che in qualunque altro luogo. Di questo divin Sacrificio, fratelli miei, che è l’azione più santa della nostra Religione, voglio io in quest’oggi intertenervi per ispirarvi i sentimenti di pietà, che vi dovete recare, e per rianimare altresì il vostro rispetto pel luogo santo, ove egli è offerto. Per riempiere il mio disegno, noi riguarderemo il Sacrificio della Messa per i rapporti che ha con Dio e per quelli che ha con noi medesimi. La gloria che esso procura a Dio, ed i vantaggi che attira agli uomini, sono le due proprietà del Sacrifizio, che io trovo indicate nelle parole del reale profeta, ove dice ch’egli offrirà a Dio un sacrificio di lode, e che invocherà il suo santo Nome: Ubi sacrìficabo hostiam laudis, et nomen Domini invocabo (Ps. CXV). Di tutti i sacrifici quello della Messa è il più glorioso a Dio: Ubi sacrificabo hostiam laudis; primo punto. Di tutti i sacrifici quello della Messa è il più salutevole agli uomini, e dove possono essi più efficacemente invocare il Nome del Signore: et nomen Domini invocabo; secondo punto.
Da questo io tiro due conseguenze pratiche: se il Sacrificio della Messa è glorioso a Dio, convien dunque assistervi per glorificar Dio con i nostri omaggi e rispetti. Se egli è sì utile agli uomini, convien dunque assistervi con confidenza per domandare le grazie di cui abbiamo bisogno; il che richiede tutta la vostra attenzione.
I . Punto. Il sacrifizio, secondo la definizione che ne danno i teologi dopo s. Tommaso, è un atto di religione con cui si offre a Dio una cosa che, nell’oblazione che se ne fa, è distrutta o cangiata, per riconoscere il supremo dominio di Dio sopra le creature. Il sacrifizio è si necessario alla religione, che non si può senza di esso rendere a Dio un culto perfetto, come lo merita. Imperciocché per rendere a Dio questo culto perfetto, bisogna che la creatura ragionevole gli faccia una protesta della sua dipendenza, che lo riconosca per l’Autore del suo essere e della sua vita; ed è ciò che fassi nel sacrificio, ove la vittima è distrutta o cangiata, per dimostrar con questo, che Dio è il padrone della vita e della morte di ciascheduno di noi. Ed è per questo che si offrivano a Dio nell’antica legge sacrifici, che si chiamavano olocausti, ove la vittima era interamente distrutta. Questi erano animali che si scannavano e si facevano in appresso consumare col fuoco, in segno del potere assoluto che Dio ha sopra la vita degli uomini. Si offrivano ancora vittime pacifiche, sia in riconoscenza dei beni che gli uomini ricevevano dalla bontà di Dio, sia per ottener nuove grazie. Finalmente si offrivano sacrifici di propiziazione, per calmare l’ira di Dio irritata dai peccati degli uomini. Ma tutti questi sacrifici erano incapaci di render a Dio il culto che merita; non avevano essi virtù se non se in quanto erano uniti per la fede di coloro che gli offrivano, al Sacrificio del Redentore, di cui erano essi la figura. Che però questi sacrifici son passati per dar luogo al più grande, al più eccellente di tutti, che è quello dei nostri altari. Sacrifizio che rinchiude non solo, ma che supera tutto il valore ed il merito degli altri; perché ci somministra il mezzo più eccellente di adempiere tutte le nostre obbligazioni verso Dio. Che cosa dobbiamo noi a Dio, fratelli miei? Noi dobbiamo glorificare la grandezza del suo essere, riconoscerlo per il supremo Signore da cui noi dipendiamo in tutte le cose, ringraziarlo come l’Autore di tutti i nostri beni. Dio merita gli omaggi per se stesso, ed a cagione delle sue infinite perfezioni; Egli merita la nostra riconoscenza a cagione dei benefizi che ci ha fatti. Ora il santo Sacrificio della Messa è il più glorioso omaggio che noi possiamo rendere alla grandezza di Dio, perché è il più perfetto olocausto, che gli sia stato offerto giammai. Il Sacrifizio della Messa è il più giusto compenso, che noi possiamo dare a Dio per tutti i beni che ne abbiamo ricevuti. E perciò chiamasi eucaristico, cioè di ringraziamento: due proprietà del Sacrificio che provano quanto sia glorioso a Dio. Seguitemi ed ascoltate quanto sono per dirvi sulla eccellenza di tal Sacrificio. – Noi possiamo, è vero, glorificar Dio con tutti gli atti delle virtù che praticar possiamo, come sono l’orazione, la limosina, il digiuno e gli altri esercizi di religione. Ma qualunque gloria l’uomo possa rendere a Dio con le sue virtù, questa gloria sarà sempre infinitamente inferiore a quel che Dio merita. Non evvi che Dio che possa glorificarsi in una maniera degna di Lui. Ora nel Sacrificio della Messa noi troviamo il mezzo eccellente di rendere a Dio tutti gli onori che merita. Come mai ciò, fratelli miei? Nel Sacrificio della Messa noi gli offriamo un Dio, e per conseguenza una vittima d’un prezzo infinito, o per meglio dire, si è il Figliuolo di Dio medesimo, che si offre a suo Padre, che è nell’istesso tempo e sacerdote e vittima, e che si offre in olocausto per rendere al Padre suo a nome di tutte le creature gli omaggi che sono alla sua grandezza dovuti. – Procuriamo di sviluppare questo mistero della nostra santa Religione, che rinchiude sì grandi meraviglie. Di già, fratelli miei, il Figliuolo di Dio erasi offerto a suo Padre come un’ostia di soavità, dice l’Apostolo, col sacrificio che gli fece della sua vita rivestendosi della nostra natura, e che consumò sulla croce colla morte, che vi patì; sacrificio che riparò abbondantemente l’ingiuria, che il peccato aveva fatta a Dio, e gli rendette infinitamente più di gloria che tutte le creature non gliene potrebbero procurare. Ma siccome questo Sacrificio non si è offerto che una sola volta, ed in un sol luogo del mondo, e nulla di meno era necessaria a Dio una vittima pura e senza macchia, la quale, secondo la predizione d’un profeta, rendesse gloria alla grandezza del suo Nome in lutti i luoghi del mondo, perciò il Figliuolo adorabile, per una meravigliosa disposizione della sua sapienza, ha trovato il mezzo di perpetuare sino al fine dei secoli il Sacrificio, ch’Egli offrì sopra la croce alla gloria di suo Padre. Qual è questo mezzo, fratelli miei? L’adorabile Sacrificio dei nostri altari, che è non solamente un memoriale, ma ancora un rinnovamento del Sacrificio del Calvario. Per convincercene, richiamiamoci per un momento la sua intenzione, e consideriamo il modo con cui Gesù Cristo si offra in questo divin Sacrifizio, per rinnovare la memoria della morte e la morte medesima ch’Egli soffrì sopra la croce. Fu, come sapete, il giorno avanti la sua passione che il Salvatore del mondo, per fare la funzione di Sacerdote secondo l’ordine di Melchisedeck, preso del pane e del vino, li benedì e li cangiò nel suo vero corpo e sangue; con questo Egli fece due cose: istituì la santa Eucaristia come Sacramento, in quanto ci diede il suo corpo ed il suo sangue per essere l’alimento delle nostre anime; come Sacrificio, in quanto volle che questa consacrazione del pane e del vino nel suo corpo e nel suo sangue fosse una rappresentazione del sacrificio che Egli era per offrire sopra la croce. Per la qual cosa raccomandò a’ suoi Apostoli che ogni qualvolta farebbero lo stesso, essi annunzierebbero la sua morte agli uomini. Fu altresì per perpetuare questo Sacrificio, che questo Dio salvatore diede agli Apostoli ed ai Sacerdoti loro successori il potere di fare quel ch’Egli aveva fatto; perché dovendo ritornare al cielo, non poteva Egli fare sopra la terra in una maniera visibile le funzioni di sacerdote eterno: Hoc quotiescumque feceritis, in mei memoriam facietis. Si è dunque questo potere ammirabile, che i Sacerdoti esercitano nella Messa, che noi chiamiamo e dobbiamo riconoscere come un memoriale della morte di Gesù Cristo; si è per questo potere, che essi continuano sopra la terra in una maniera visibile il sacerdozio di Gesù Cristo secondo l’ordine di Melchisedeck; potere che non consiste in benedir del pane e del vino, come il sommo sacerdote dell’antica legge; mentre, se ciò fosse, qual privilegio avremmo noi di più nella legge di grazia, che nell’antica? ma potere che consiste in cangiare, come fece Gesù Cristo, il pane ed il vino nel suo vero corpo e nel suo vero sangue. – Or in questo cangiamento, in questa consacrazione consiste il Sacrificio sì glorioso a Dio. E come questo? Io l’ho detto; ed è, che questo Sacrificio non solo è una memoria, ma anco una rinnovazione di quello della croce. Si è la medesima Vittima, che vien offerta a Dio; questo è il mio corpo, che sarà dato per voi, dicono a nome di G. C. i sacerdoti che celebrano; questo è il mio sangue, che sarà sparso per voi. Or questo corpo e questo sangue sono uniti alla divinità; Egli è dunque un Dio, che offriamo nel Sacrificio della Messa alla maestà di Dio, Egli è altresì un Dio che è sacrificatore. G. C., l’uomo-Dio, lo stesso che si è offerto sopra la croce, si offre ancora sopra l’altare; i Sacerdoti ne sono i ministri; essi operano a Nome suo, rappresentano la sua Persona; che però non dicono già: Questo è il corpo di G. C., questo è il sangue di G. C, ma; Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue. Si è dunque Gesù Cristo che si offre in olocausto per le mani dei Sacerdoti, in quanto che si sacrifica e muore tra le loro mani con una morte mistica, come morì sulla croce con una morte sanguinosa. – Gesù Cristo morì sulla croce con una morte reale per la separazione del suo sangue dal suo corpo; il che si rinnova io un senso nel Sacrificio della Messa, perché, in virtù delle parole della consacrazione, non vi è precisamente che il corpo di Gesù Cristo sotto le apparenze del pane, ed il sangue sotto le apparenze del vino: non già che effettivamente il corpo ed il sangue siano separati l’uno dall’altro, perché sono per sempre riuniti per la risurrezione del Salvatore; ma se potessero essere separati, le parole sacramentali, come una spada misteriosa, li dividerebbero l’uno dall’altro, li produrrebbero l’uno senza l’altro: ed in questo senso si dice con tutta verità che il Sacrificio della Messa rappresentata il Sacrificio della croce; perché la morte mistica di G. C., nel Sacrificio rappresenta la sua morte reale e sanguinosa sopra la croce. Si dice dunque con verità che Gesù Cristo si offre in olocausto a Dio suo Padre, poiché si mette in uno stato di morte per rendergli la gloria che è dovuta alla sua grandezza. Quel che devesi ancora osservare si è, che Gesù Cristo nel Sacrificio della Messa perde nella comunione del Sacerdote l’essere sacramentale, che aveva ricevuto nella consacrazione; in quanto che, distrutte le specie, Gesù Cristo cessa di esservi, e perde un modo di esistere che prima aveva. Egli è non solo sepolto nel petto del Sacerdote, come nella tomba, ma il suo corpo non vi è più, tosto che le specie sono consumate; il che si può dire, morir di una mistica maniera. Così, o fratelli miei, questo adorabile Salvatore ha saputo perpetuare, per onorar suo Padre, il sacrificio che gli ha offerto sopra la croce. Siccome non poteva più fare del suo corpo una vittima sanguinosa, a cagion dello stato glorioso ed impassibile di cui gode, Egli ha trovato il segreto di offrirsi in una maniera affatto misteriosa alla gloria di suo Padre, per supplire alla impotenza in cui sono gli uomini di rendergli quella che merita. Qual eccesso di bontà del nostro Dio salvatore! E quali felici conseguenze possiamo noi trarre da questo mistero ineffabile. – Non sono più dunque vittime materiali ed imperfette, come si offrivano nell’antica legge, non è più il sangue degli animali, che noi offriamo a Dio; ma è una vittima di un prezzo infinito, è il sangue medesimo di G. C, l’Agnello immacolato, che si sparge sui nostri altari, e che manda al cielo un più grato odore, che il fumo visibile che s’innalzava dagli antichi sacrifici. Egli è per conseguenza il più glorioso olocausto, che noi possiamo offrire a Dio per riconoscere la sua grandezza ed il dominio supremo che Egli ha sopra la sua creatura. Se Dio merita una gloria infinita a cagione della sovranità del suo essere, non è forse rendergli questa gloria, l’offrirgli il suo caro Figliuolo in cui Egli ha poste le sue compiacenze„ che è uguale in tutto a suo Padre, e che si mette in uno stato di morte e di annientamento per glorificare questo Padre celeste in una maniera degna di Lui? – Mi sembra, fratelli miei, udire questo Figliuolo adorabile, nell’augusto Sacrificio della Messa, tener a suo Padre il medesimo linguaggio che il profeta gli fa tenere nel suo ingresso nel mondo: Padre santo, che siete infinitamente adorabile, ma che non ricevevate gli omaggi, che vi erano dovuti per le vittime che vi si sacrificavano, voi avete rigettate queste vittime, come incapaci di rendervi un culto degno della vostra grandezza, sia per difetto di ragione e di libertà negli animali, sia per difetto di santità negli uomini: holocaustum prò peccato non postulasti (Ps. IL). Ma eccomi, invece di quelle vittime imperfette, che vi glorifico per le vostre creature, che mi sacrifico per esse alla gloria del vostro nome, che voglio rendervi per esse tutti gli omaggi che meritate: dixi: Ecce venio (Ibid.). Tale è, fratelli miei, il motivo che fa scendere invisibilmente G. C. sopra i nostri altari e che lo fa nascere una seconda volta, e che lo fa morire con una morte mistica tra le mani dei Sacerdoti; si è a fine di glorificar suo Padre: ecce honorifico Patrem. Si è per adempiere pienamente tutti gli obblighi di rispetto, di onore, di adorazione che dobbiamo alla sua suprema Maestà. – Quindi torno a dire, qual felice conseguenza per noi! Mentre da tutto ciò che abbiam detto che ne segue? Ne segue, che Dio è tanto glorificato con una sola Messa quanto merita di esserlo, che una sola Messa rende più gloria a Dio che tutti gli uomini e gli Angeli ancora riuniti insieme non potrebbero procurargliene con le azioni più sante e più eroiche; che questa Messa è di maggiore prezzo avanti a Dio e gli è più gradita che tutti i patimenti dei martiri, tutte le penitenze degli anacoreti, tutte le virtù dei santi; che una sola Messa è più che bastante a riparare tutti gli oltraggi che Dio riceve dai peccatori, perché la dignità della vittima che vi è offerta, sorpassa tutta la malizia degli uomini che offendono il Signore. Qual forte motivo per voi d’intervenire assidui a questo santo Sacrificio, poiché vi trovate un mezzo si eccellente di glorificar Dio come vostro supremo Signore e di ringraziarlo dei beni che ne avete ricevuti! – Noi abbiamo tutto ricevuto, fratelli miei, dalla bontà del nostro Dio, noi siamo attorniati da’ suoi benefizi e dai suoi favori; benefizi di cui Egli ci ha ricolmi in sì gran copia nell’ordine della natura ed in quello della grazia,che ci ritroviamo nell’impossibilità di rendergliene il contraccambio. Ma grazie vi siano per sempre rese, o mio adorabile Salvatore, che ci avete somministrato nell’augusto Sacrificio dei nostri altari, onde soddisfare pienamente per le nostre obbligazioni verso il vostro divin Padre. Noi non saremo più in pena sul tributo della nostra riconoscenza, che gli dobbiamo. Se cerchiamo il mezzo, come il reale profeta: quid retribuam Domino? noi lo ritroveremo, come lui nel calice della salute; calìcem salutaris accipiam ( P$. CXV). Questo calice ci è presentato nel sacrificio della Messa, egli è a nostra disposizione, per offrirlo a Dio in riconoscenza dei suoi benefizi; ed offrendoglielo noi siamo certi, che facciamo a Dio un dono degno di Lui; dono che uguaglia non solamente tutti i beni che Dio ci ha dati, ma li supera ancora, alla riserva di quello, per cui ci ha dato il suo Figliuolo, poiché questo dono non è altro che quel Figliuolo adorabile, che si è dato a noi per liberarci pienamente da tutti i nostri obblighi verso Dio. Quando io vi offro dunque, o mio Dio, questa preziosa Vittima, posso dire che io ho verso di voi tutta la riconoscenza, che mi domandate, che la mia riconoscenza uguaglia i vostri benefizi, per numerosi che possano essere, e che li sopravanza ancora, poiché io vi offro una Vittima d’un prezzo infinito, che vale più di tutti i beni, di tutti gli imperi del mondo. – Possiate voi, fratelli miei, servirvi sempre d’un mezzo così eccellente per rendere a Dio quanto gli dovete, per glorificarlo come vostro supremo Signore, per ringraziarlo come vostro benefattore; ma bisogna per questo unirvi a quel divin sacrificio col rispetto che dovete recarvi, con la riconoscenza da cui dovete essere penetrati. Qual cosa più capace d’inspirarvi questi sentimenti di rispetto, che la grandezza e la maestà d’un Dio, cui viene offerto un Sacrificio e gli abbassamenti d’un Dio, che sacrifica sé stesso? Ah! se fossimo ben penetrati da questo pensiero che ad un Dio, un Dio medesimo si sacrifica; che questo Sacrificio è l’azione più santa, più augusta della nostra Religione; che i cieli e la terra tremano alla vista di ciò che accade tra le mani del Sacerdote, con qual rispetto non assisteremmo a questo terribile mistero? Or in che consiste questo rispetto con cui dobbiamo presentarci a questo santo Sacrificio? Questo rispetto consiste a non comparirvi giammai che con un esteriore decente e coi sentimenti dell’umiltà più profonda. Essendo l’uomo composto di corpo e d’anima, Dio vuole essere onorato con queste due parti di noi medesimi; con un esteriore decente noi gli facciamo il sacrificio dei nostri corpi, e con l’umiltà gli offriamo il sacrificio dei nostri spiriti. Questa modestia del corpo deve ritenere i nostri sensi in ischiavitù, affinché non si perdano sopra oggetti capaci di cagionarci distrazioni. Questo esteriore del corpo deve essere accompagnato dall’umiltà dello spirito, che ci faccia scendere nel nostro nulla, c’ispiri del dispregio per noi medesimi per rendere omaggio all’umiltà d’un Dio, che si abbassa per noi. Senza questa, benché perfetto sia il Sacrificio dalla parte della vittima che è offerta, egli sarà imperfetto dal canto nostro e di nessun vantaggio per noi. – Umiliamoci dunque con Dio che si umilia, prostriamoci avanti alla sua infinita maestà: Venite, procidamus. Ringraziamo il Signore per tutti i beni ricevuti, come la Chiesa ci invita con la voce del sacerdote: Gratias agamus Domino Deo nostro. Ma si comparisce forse al giorno d’oggi al santo Sacrificio con quel rispetto, quell’umiltà, quella riconoscenza, che si deve recarvi? Non vi si tengono forse discorsi profani, che interrompono il silenzio dei sacri misteri? Non si dà forse ogni sorta di libertà ai sensi, che si lasciano errare d’oggetto in oggetto, invece di cattivarli sotto il giogo della modestia e dell’umiltà? Quanti trasportare si lasciano a distrazioni volontarie, incompatibili con l’attenzione, che si deve al santo Sacrificio? Non ve ne ha ancora di quelli che, trovando il tempo troppo lungo, portano l’empietà sino al segno di uscir dalla chiesa nel tempo medesimo, che un Dio si sacrifica per essi? Ed è questo, fratelli miei, ditemi di grazia, entrare nei disegni di Gesù Cristo che, facendosi vittima per noi, ha voluto che noi fossimo vittima con Lui? Non è forse al contrario disonorar Dio nell’azione medesima che deve più onorarlo? Del che si duole Gesù Cristo medesimo, come faceva altre volte contro i Giudei: mentre Io rendo gloria a mio Padre con le mie umiliazioni, voi m’insultate nel modo più oltraggiatile: Et vos inhonorastis me (Jo. VIII). Mentre le celesti intelligenze per cui il Sacrificio non è offerto, lodano ed adorano il Signore, mentre gli Angeli, i Troni e le Dominazioni stanno in un santo tremore alla vista delle umiliazioni d’un Dio, perfidi peccatori per cui si sacrifica si innalzano sfacciatamente contro di Lui, lo dispregiano e l’oltraggiano. Non è questo forse fare andar del pari la più nera ingratitudine col beneficio più segnalato? Ah! non sia così di voi, fratelli miei, assistete sempre ai santi misteri con un santo tremore, con un profondo rispetto, con una viva riconoscenza, che vi renderanno salutevole questo sacrificio, come sono per insegnarvi nel secondo punto.
II. Punto. Non solamente per rendere gloria a Dio suo Padre ha istituito Gesù Cristo l’augusto sacrificio dei nostri altari, ma ancora per lo vantaggio e la salute degli uomini. Questo sacrifizio è nell’istesso tempo propiziatorio ed impetratorio, ma in una maniera molto più eccellente che quelli dell’ antica legge. Esso è propiziatorio per calmare l’ira di Dio irritato per i peccati degli uomini; è impetratorio per ottener loro tutte le grazie di cui essi hanno bisogno. Due qualità assai atte ad inspirare una fermi confidenza a tutti coloro che hanno il vantaggio di assistervi, sia per domandar il perdono dei loro peccati, sia per ottenere le grazie che loro sono necessarie. – Qual mezzo infatti più proprio e più efficace per piegare l’ira di Dio, e per ottenere il perdono de’ suoi peccati, che un sacrificio in cui si offre a Dio la vittima, che ha cancellati tutti i peccati del mondo? Se il sangue dei tori e degli altri animali, che si sacrificavano nell’antica legge era capace di purificare, come dice l’Apostolo, coloro che avevano contratto qualche macchia legale, con quanto più forte ragione, soggiunge il santo Apostolo, il sangue di Gesù Cristo potrà purificare le nostre coscienze, lavandole da tutte le iniquità? Sangue prezioso, che essendo d’un valore infinito, e più che bastante per espiare i peccati di mille mondi ancora più colpevoli di questo. Or si è il valore di questo sangue prezioso, che ci è applicato nel sacrificio dalla Messa: esso è versato sull’altare per lavarci dalle nostra colpe; esso è offerto per nostre riconciliazione da Gesù Cristo medesimo, che si mette invece degli uomini peccatori e dice a suo Padre su l’altare, come gli disse sulla croce: Perdonate, o Signore, a quegli uomini scellerati, che hanno meritato il peso delle vostro vendette, Io vi dimando grazia per essi, Io mi santifico per essi: Ego prò eìs sanctifico me ipsum (Jo. XVII). Sono degni, è vero, di subire tutto il rigore delle sentenze che avete fulminato contro di essi; ma ecco qui il medesimo sangue, ecco la medesima vittima, che ha già disarmato il vostro braccio vendicatore, che ha tolto il fulmine dalle vostre mani; non ascoltate più dunque la voce delle iniquità, che s’innalza sino a voi, ma più tosto la voce del vostro Figliuolo, che implora la vostra misericordia per i peccatori: Ego prò eis sanctifico me ipsum. Iddio, fratelli miei, può Egli forse esser insensibile alla voce sì amabile d’un Figliuolo, che è l’oggetto delle sue compiacenze? Potrebbe egli vibrare i suoi fulmini sopra gli infelici bagnati del sangue di questo Figliuolo adorabile? Se la morte, che questo Figliuolo ha sofferta sopra la croce ha fatto cancellare, come dice l’Apostolo, il decreto di morte eterna pronunciato contro gli uomini, il sacrificio della Messa, che è un memoriale ed una rappresentazione di quella morte, non avrà Egli la virtù medesima? Si, fratelli miei, la virtù di questo sacrificio è così grande, che senza di Lui il mondo sarebbe già perito per l’eccesso delle scelleratezze ond’è inondato; sarebbe esso diventato secondo la predizione d’un profetacome Sodoma e Gomorra, che furono consumate dal fuoco del cielo. Egli è sì efficace questo divin sacrificio, che del peccatore più acciecato ed ostinato può fare un gran santo, se esso vi assiste con pietà e profitta delle grazie che vi sono annesse. Non è già che il sacrificio della Messa rimetta immediatamente da sé medesimo il peccato, come i Sacramenti, che sono instituiti per questo effetto; ma esso ottiene, come dice il santo concilio di Trento, ai peccatori grazie di conversione sì grandi ed in sì gran numero, che, per un po’ di sforzo che vogliono essi fare dal canto loro, è loro facile di entrare in grazia con Dio. – Finalmente questo Sacrificio è propiziatorio in quanto che cancella e rimette la pena temporale dovuta ai peccati, ed è questo, secondo la dottrina del medesimo Concilio, uno de’ suoi effetti particolari. Pena temporale che è rimessa sin da questa vita a quelli per cui egli è offerto e che si rimette anche nel purgatorio alle sante anime, che espiano i loro peccati con tormenti incredibili. Ed è perciò che queste anime pazienti desiderano e domandano con tanto ardore ai fedeli che sono sopra la terra, di far scendere sulle fiamme che le divorano il sangue di Gesù Cristo con l’applicazione del sacrificio della Messa, a fine di estinguere quelle fiamme e abbreviare i loro tormenti. – O voi dunque, che siete carichi del grave peso dei vostri peccati, che gemete sotto il grave peso delle vostre catene, accostatevi al liberatore che può spezzarle. Venite, infermi, venite ad immergervi in questa piscina, salutevole ove il sangue di Gesù Cristo scorre in abbondanza per lavarvi. Voi non potete già dire come quel paralitico del Vangelo, che non avete alcun uomo per introdurvi in essa, poiché voi trovate in tutti i luoghi del mondo, in tutte le chiese dei sacrificatori che offrono la preziosa vittima della salute per l’espiazione dei vostri peccati. Accostatevi, torno a dirvi, al santo monte ove l’agnello senza macchia è immolato: una sola gocciola del sangue che Egli sparge, è capace di purificarvi da tutte le colpe che avete commesse per numerose, enormi che possano essere. Ma per ottenere il perdono, bisogna che al sacrificio dell’uomo-Dio, voi uniate quello d’ un cuor contrito ed umiliato; questo è il sacrificio che domanda da voi e che vi farà trovar grazia presso di lui: Sacrificium Deo spiritus contribulatus; cor contritum et humiliatum Deus, non despicies (Ps. L). In vano Gesù Cristo si offrirà per voi a Dio suo Padre per calmarne lo sdegno; se voi non mescolate le vostre lagrime col sangue che Egli sparge, se non prendete in mano la spada della penitenza per immolare le vostre passioni, i vostri abiti, per sacrificare quell’oggetto, che occupa il vostro cuore, voi non otterrete giammai il perdono. L’evangelista ci riferisce, che alla morte di Gesù Cristo le rupi si spaccarono, il velo del tempio si squarciò, e che molti di coloro che furono testimoni di questi prodigi se ne ritornavano percuotendosi il petto: revertebantur percutientes pectora sua. (Luc. XXV). – Tali debbono essere, fratelli miei, le vostre disposizioni quando assistete ai santi misteri, ove fassi memoria della morte di Gesù Cristo; convien comparirvi coi sentimenti del povero pubblicano, che non osava alzar gli occhi verso il cielo, percuotevasi il petto supplicando il Signore di essergli propizio: Deus, propitius esto mihi peccatori (Luc. XVIII). Signore, dovete voi dire com’esso, siate propizio ad un povera peccatore qual sono io. Non riguardate le iniquità che ho commesso, ma rimirate la faccia del vostro Figliuolo, che vi chiede grazia per me: respice in faciem Christi tui (Ps.LXXXIII). Il dolore che sento di avervi offeso mi farà, come la Maddalena ai piedi della croce, mescolar le mie lagrime col sangue di questo vostro dilettissimo Figliuolo per attirarne su di me alcune gocce, che mi lavino dalle mie iniquità» Questo dolore mi farà prendere la sincera risoluzione di non più separarmi da voi col peccato » di attaccarmi inviolabilmente al vostro servizio. Tali sono, fratelli miei, i sentimenti da cui dovete essere penetrati assistendo alla santa Messa. Quale sarebbe stato il vostro dolore, la vostra pietà, se foste stati presenti al sacrificio del Calvario, se aveste veduto Gesù Cristo spirante sulla croce per vostro amore? Egli è questo il medesimo sacrificio; bisogna dunque assistervi con le medesime disposizioni con cui sareste allora stati presenti. Da quale sdegno non sareste allora stati presi contro i crudeli Carnefici, che confissero Gesù Cristo sulla croce, e contro i Giudei che lo insultavano in quello stato, dicendogli: Se tu sei il Figliuolo di Dio, discendi dalla croce: Si filius Dèi es, descende de cruce (Matth.XXVII). Questi sono, peccatori, gli oltraggi che voi rinnovate contro Gesù Cristo allorché, in vece di comparire al santo sacrificio della Messa, con sentimenti e attitudine di penitenti, col cuore spezzato dal dolore, vi comparite in positure indecenti, allorché appena piegate un ginocchio nel tempo, che un Dio si sacrifica per noi. Voi rinnovate con questo l’empio saluto, che gli facevano i Giudei allorché, mettendo un ginocchio in terra, gli dicevano per derisione: Ave rex Judàeorum. Questi sono, torno a dirvi, quegli oltraggi che voi rinnovate, allorché venite al sacrificio per cercarvi l’oggetto della vostra passione, allorché il vostro cuore non è tutto occupato, in vece di spezzarlo col dolore dei vostri peccati, in vece di sacrificarlo con un intero distacco dalle creature. Questo confronto della vostra condotta con quella dei Giudei vi fa senza dubbio orrore; ma ella deve servire a farvi rientrare in voi medesimi, per armarvi, come dice l’Apostolo s. Pietro, dello stesso pensiero, dei medesimi sentimenti, ch’ebbe Gesù Cristo quando soffrì per voi; Christo passo in carne, et vos eadem cogitatione armamini (1 Petr. 4). Sarebbe egli giusto che avendo fatto il Figliuolo innocente dal canto suo ciò che non era obbligato di fare per calmar l’ira di suo Padre, il colpevole nulla facesse per soddisfar alla giustizia di Dio e per applicarsi i meriti che hanno espiati i suoi mancamenti? Si è nel sacrificio della Messa che questi meriti vi sono particolarmente applicati; ma a condizione che il dolore e la penitenza faccia su di voi quest’applicazione. Con questo, fratelli miei, il sacrificio vi sarà propiziatorio per ottenervi il perdono, sarà ancora impetratorio per procurarvi tutti gli aiuti e tutte le grazie di cui avete bisogno. Nulla infatti evvi, fratelli miei, che non possiate domandare ed ottenere per i meriti della vittima che si offre per voi nella santa Messa. Se giudicar possiamo dall’esito delle nostre domande dal credito delle persone che le appoggiano presso di coloro cui le indirizziamo, che non dobbiamo noi sperare dalla mediazione di Gesù Cristo, il Figliuolo di Dio, che è stato esaudito, come dice l’Apostolo, in quel che ha domandato a suo Padre, a cagion della riverenza, che gli è dovuta? Exauditus est prò sua reverentia (Heb. V)? Si è il medesimo mediatore, che intercede per noi su l’altare e nel cielo, ove Egli presenta incessantemente a Dio i suoi meriti per far scendere su di noi i tesori celesti: sempér vivens ad interpellandum prò nobis (Heb.VII). Può forse Iddio ricusar cosa alcuna ad un mediatore cosi potente? E se è cosi, quali non saranno le nostre speranze? Perciò la Chiesa; ben persuasa del gran potere « e dell’efficacia del credito di Gesù Cristo presso del Padre suo, in tutte le orazioni che essa indirizza a Dio nel santo sacrificio della Messa, impiega continuamente il nome di Gesù Cristo: per Dominum nostrum Jesum Christum, come se dicesse a Dio: Signore, in tutto ciò ch’io vi domando, vi offro, per averlo, il sangue, la vita, i meriti del vostro caro Figliuolo; si è una moneta, mi si permetta questa espressione, d’un prezzo infinito di cui io mi servo per comprar tutto quello, che posso desiderare. Qualunque cosa io possa chiedere è di molto inferiore a quel, ch’io presento per ottenerla: qual sicurezza non ho io dunque di essere esaudito nelle mie domande? Non è forse questo, fratelli miei, un motivo molto capace di animar la vostra confidenza per chiedere a Dio nella santa Messa tutte le grazie di cui avete bisogno? Quel Dio di bontà, che ci ha dato il suo caro Figliuolo, che l’ha, per così dire, abbandonato alla nostra disposizione, ci ricuserà egli qualche altra cosa? Al contrario non ci darà Egli tutti gli altri beni con Lui, dice l’Apostolo: Quomodo non etiam cum illo omnia nobis donavit (Rom.VIII). Ah! se noi siamo nella miseria e nell’indigenza, lo meritiamo, poiché abbiamo nel santo sacrificio un tesoro inesausto, una sorgente perenne di tatti i beni, donde possiamo cavare ogni ricchezza pel tempo e per l’eternità. Volete voi dunque, fratelli miei, uscir dallo stato di povertà, a cui siete ridotti, per arricchirvi dei tesori celesti della grazia? Venite alle fontane del vostro Salvatore che scorrono sull’altare, ad attinger quell’acqua salutevole che zampilla per la vita eterna. Gli Israeliti che bevettero dell’acqua, che Mosè aveva fatto uscir dalla rupe, non lasciarono di perire. Ma chi berrà dell’acqua di questa rupe misteriosa non avrà mai sete, e sarà preservato dalla morte eterna. O voi dunque, che siete arsi dalla sete mortale, che eccita in voi il fuoco delle passioni, venite a bere di quest’acqua, che vi guarirà dalla vostra sete e vi darà la vita! Peccatori che gemete sotto la schiavitù del peccato, e sotto il peso degli abiti cattivi; che vi tiranneggiano, domandate la vostra conversione. Giusti che temete di perdere il dono della grazia, che vi assicura dell’amicizia del vostro Dio, domandate quello della perseveranza, domandate la vittoria delle tentazioni per la virtù di questo sacrificio, che vi otterrà aiuti abbondanti per superarle; domandate una fede viva, una carità ardente, un’umiltà profonda, una purezza inviolabile, una pazienza alla prova di tutte le afflizioni da cui siete circondati; domandate principalmente la grazia d’una santa morte, in questo divin sacrificio che ci richiama alla memoria la morte di Gesù Cristo. Il tempo più acconcio per chiedere una buona morte si è l’intervallo tra le due elevazioni. – Mentre allora è che Gesù Cristo muore con una morte mistica tra le mani del sacerdote, pregatelo allora di farvi morire tra le braccia della sua croce. Voi potete ancora, fratelli miei, alzare le vostre speranze nel sacrificio della Messa sino a domandare i beni temporali che vi sono necessari, come il ristabilimento della vostra sanità l’esito di un affare che v’interessa, la conservazione dei vostri beni; ma questo sia sempre secondo la volontà di Dio, ed in vista della salute della vostr’anima, e non già per contentar passioni malvage, per cui non si deve impiegar un mezzo così prezioso come l’adorabile sacrificio. Voi potete finalmente, fratelli miei, pregare nel santo sacrificio, non solamente per i vostri bisogni, ma ancora per i bisogni di coloro che vi appartengono. – Padri e madri, pregate per i vostri figliuoli; consorti, pei vostri mariti; padroni e padrone, per i vostri servi. Ma per rendere le vostre preghiere gradite a Dio ed efficaci per voi medesimi, bisogna assistere a quel divin sacrificio con le disposizioni, che Dio da voi richiede e che vi prego di tener a memoria.
Pratiche. Due cose sono assolutamente necessarie per ben udire la santa Messa: la modestia del corpo e l’attenzione dello spirito. La modestia del corpo, come ho già detto, consiste non solo nell’esser presente di corpo e di spirito al sacrificio dal principio sino al fine, ma ancora nel tenersi in una positura decente; la più convenevole è di star in ginocchio, non guardare qua e là, né tener discorsi profani, ed osservare, per quanto si può, quel che si fa sull’altare. Ma poco sarebbe l’esser presenti col corpo al sacrificio, se non vi fossimo presenti con lo spirito. Perciocché, siccome sarebbe grave peccato mancare una parte notabile della Messa, sarebbe pure peccato grave l’esservi volontariamente distratto durante un tempo considerabile. Or uno dei migliori mezzi per avere quest’attenzione, si è di pensare durante la Messa alla passione, e alla morte di Gesù Cristo, di cui ella ci richiama la memoria. Questa è una pratica, che non ecceda la capacità di alcuno, avendocela facilitata la Chiesa per via della cura, che ha avuta di rappresentare con le differenti cerimonie della Messa le circostanze della passione e della morte del Salvatore. Perciò quando voi vedete il Sacerdote a pie dell’altare prostrato, e che fa la confessione dei suoi peccati, rappresentatevi Gesù Cristo, che prega nel giardino degli ulivi, carico dei peccati degli uomini; domandate allora perdono dei vostri peccati, con un atto di contrizione e con l’umile confessione che ne farete. Quando il sacerdote va ai differenti lati dell’altare, rappresentatevi Gesù Cristo condotto nei differenti tribunali; domandategli perdono di tutti i passi che avete fatti nelle vie dell’iniquità, recitato il Credo col sacerdote. – L’elevazione dell’ostia e del calice è un memoriale di Gesù Cristo elevato sulla croce, ove sparse il suo sangue per la vostra salute; fate allora un atto di fede sopra la presenza reale di Lui nel santissimo Sacramento; ringraziatelo d’aver data la sua vita per voi. La Comunione del Sacerdote vi rammemora la sepoltura di Gesù Cristo; se non vi comunicate alla Messa, egli è bene di fare allora la comunione spirituale con un desiderio ardente di ricevere Gesù Cristo. Negli altri tempi della Messa potete far altre preghiere: coloro che sanno leggere, hanno il vantaggio di trovarne sopra i libri di pietà; gli altri possono recitar la corona, che si può interrompere per far attenzione alle azioni principali della Messa nel modo che vi ho spiegato. Conviene usar attenzione, specialmente fin dal principio, d’offrire il santo sacrificio per i fini che Gesù Cristo l’ha istituito; cioè per glorificar Dio, per ringraziarlo dei beni che ci ha fatti, per chiedergli perdono delle nostre colpe, e per le altre grazie che ci sono necessarie. – Rinnovate di tempo in tempo questa offerta con un atto di contrizione, quand’anche non si facesse questo che durante la Messa, egli è un modo eccellente d’ascoltarla ed una pratica, che gl’ignoranti medesimi sono capaci d’adempiere. Servitevene, fratelli miei, per soddisfare ad un obbligo, il cui adempimento procura tanta gloria a Dio e sì grandi vantaggi a voi medesimi. Assistete, il più sovente che vi sarà possibile, al sacrificio della Messa, anco nei giorni che non sono di precetto: quando noi potete, udendo suonare la campana, unitevi all’intenzione del Sacerdote e degli assistenti. Venite al sacrificio della Messa con uno spirito di sacrificio, che faccia morir in voi il peccato, le vostre passioni, le vostre inclinazioni sregolate, che vi consacri interamente a Gesù Cristo, per vivere e per regnare con Lui nei secoli dei secoli. Così sia.
Credo …
https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/12/il-credo/
Offertorium
Orémus
Ps XVIII: 9-12
Justítiæ Dómini rectæ, lætificántes corda, et judícia ejus dulcióra super mel et favum: nam et servus tuus custódit ea.
[La legge del Signore è retta e rallegra i cuori, i suoi giudizii sono piú dolci del miele e del favo: e il servo li custodisce.]
Secreta
Concéde nobis, quǽsumus, Dómine, hæc digne frequentáre mystéria: quia, quóties hujus hóstiæ commemorátio celebrátur, opus nostræ redemptiónis exercétur.
[Concedici, o Signore, Te ne preghiamo, di frequentare degnamente questi misteri, perché quante volte si celebra la commemorazione di questo sacrificio, altrettante si compie l’opera della nostra redenzione.]
https://www.exsurgatdeus.org/2019/04/02/la-comunione-spirituale-2/
Communio
Joann VI: 57
Qui mandúcat meam carnem et bibit meum sánguinem, in me manet et ego in eo, dicit Dóminus.
[Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, rimane in me, ed io in lui, dice il Signore.]
Postcommunio
Orémus.
Tui nobis, quǽsumus, Dómine, commúnio sacraménti, et purificatiónem cónferat, et tríbuat unitátem.
[O Signore, Te ne preghiamo, la partecipazione del tuo sacramento serva a purificarci e a creare in noi un’unione perfetta.]
https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/preghiere-leonine-dopo-la-messa/
https://www.exsurgatdeus.org/2018/09/14/ringraziamento-dopo-la-comunione-2/
https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/