QUARESIMALE (IV)

QUARESIMALE (IV)
DI FULVIO FONTANA


Sacerdote e Missionario
DELLA COMPAGNIA DI GESÙ

Venezia, 1711. – Imprim. Michel ANGELUS Præp. Gen. S. J. – Roma 23 Aprile 1709)

IN VENEZIA, MDCCXI (1711)

PREDICA QUARTA


Nella Domenica prima di Quaresima.

Convien fuggire l’occasione pericolosa perché quando alla tentazione s’unisca l’occasione, le cadute sono quasi inevitabili.

Ductus est Jesus in Desertum a Spiritu ut tentaretur a Diabolo.
San Matteo cap. IV.

S’alza colà nel Mar del Brasile una rocca tutta d’una intera, e preziosa pietra, tutta un perfettissimo smeraldo, a cui acutissimi scogli fan siepe d’intorno come spine in corona d’un fiore e rompono la rabbia all’Oceano, che più furioso l’assalisce, dove la rocca più robusta resiste. Sorge ella sopra di quegli scogli, sopra di quei mari coronata delle sue proprie ricchezze, e vibrando per ogni parte un riso di lumi, par che si burli del vano sforzo delle onde, e de’ loro continui naufragi. Tal fortezza non diede a te natura o uomo, per renderti incontrastabile all’Oceano di tentazioni, con cui il demonio t’assalisce. È vero, gli assalti di questo comune inimico non possono fuggirsi; è vero, egli è indefesso nel replicare continue batterie alle anime nostre con fiere tentazioni, ma non per questo disperereste gloriose vittorie, quando voi vi contentate dare orecchio alle mie parole in questo giorno, con le quali vi lascerò per ricordo che fuggiate l’occasioni di peccare. Giacché è certissimo e sarà l’assunto del mio discorso, che quanto è debole il demonio con le sue tentazioni, quando queste sono disarmate dalle occasioni, altrettanto è vero non avere il demonio forza maggiore di quella che esperimenta allorché alle sue tentazioni s’unisce l’occasione. – Odo sul bel principio dall’eremo di Chiaravalle quel Santo Abbate Bernardo, il quale dopo averci ricordato esser noi attorniati da tentazioni di modo che la nostra vita merita più tosto nome di tentazione che di vita. Ut non immerito vita nostra ipsa tentatio debeat appellari, conclude con universale avviso a quanti vivono, hoc præmunitos vos esse volo neminem super terram absque tentatione victurum. Non v’è nessuno esclama il Santo Abbate, non v’è nessuno in questa vita che non sia combattuto da tentazioni. O là intendetela, il demonio fiero nemico dell’uomo non porta rispetto a Mitre, non cura Porpore, non stima Corone, sprezza Scettri, vilipende Sogli, assale Triregni, egli si ride della virtù, schernisce la Religione, e disprezza la bontà, tutti, tutti insomma d’ogni età, d’ogni sesso, d’ogni condizione sono dal demonio combattuti, e tentati. Neminem super terram absque tentatione victurum. Siamo dunque tentati, è vero, e bisogna duellare con quel serpente così terribile, che al primo fischio che diede, impresse un mortale contagio anco nel Cielo; con tutto ciò assicuratevi che queste tentazioni disarmate dalla occasione, poco o nulla ci possono nuocere. La tentazione senza l’occasione è a guisa d’un’aquila senza rostro e senza unghie; d’un leone senza denti, e senza furore; d’un soldato senza forze e senza armi, basta, che l’occasione non le dia lena e poi non temete: lo volete vedere? Penetrate meco col pensiero la foresta più abbandonata della Siria, e ivi conoscerete quanto poco possano le tentazioni disarmate dalla occasione; quel solitario Sacerdote, che ivi vedete, egli è San Girolamo; udite come, angustiato dalle tentazioni, parla, piangendo. Ah che lontano da Roma, pur vivo presente a’ teatri più vani di Roma, son pur compagno di fiere e di serpenti e pure odo suoni di giubilo, e vedo danze festose di romane donzelle; quantunque condannato al silenzio, al digiuno, al cilizio, ad ogni modo il demonio mi travaglia con musiche, conviti e pompe; lapido, è vero con dure pietre il mio petto in vendetta dell’anima oltraggiata dal corpo, ma pure l’Inimico Infernale rappresenta agl’occhi miei volti adorni, e petti ingiojellati, in somma … Ille ego scorpionum tantum, serarum socius, sæpe choreis intersum puellarum pallebant hora jejuniis et mens desideriis estuabat. Ma ditemi ÚU.con tutto l’assalto fiero di tante tentazioni, cadde, peccò questo penitente? appunto, mercè, che la tentazione non ha forza d’abbattere, disarmata, ch’ella sia dalla occasione. – Per maggiormente confermarvi in questa verità, passate pure dalla foresta della Siria alla spelonca dell’Umbria ed ivi vedrete quel Giglio di Paradiso Francesco d’Assisi, che nudo tra le nevi raffrena gl’ardori nemici, l’assalirono i demonj, ma per questo lo vinsero? Non già; ogni tentazione è debole, lontana dalla occasione, si supera facilmente. Basta fare come l’ape, allorché in tempo di verno esce dall’alveare; ella se punto è agitata dal vento, per non essere trasportata s’attacca subito ad un sassolino. Tanto dovete far voi in tempo di tentazione, subito, che sente qualche turbine molesto che v’agita il cuore, con la mente ricorrete a’ Santi, alla Vergine, a Dio, e non dubitate, che supererete facilmente la tentazione, purché ella sia disarmata dalla occasione. Si scateni pure a danni del grand’Antonio l’inferno tutto, prenda in prestito dalle più orribili fiere i disagi più mostruosi; lo assedi, lo strazi, non per questo canterà vittorie; basta un solo uomo à resistere a tutti i demoni insieme, dice
Atanasio, si virium aliquid baberetis sufficeret unus ad prælium: la tentazione in somma poco, o nulla può, priva d’occasione. Ma o quanto è difficile resistere alla tentazione, quando è unita all’occasione. Ecco, che Zoé la sfrenata, vestita da povera contadina, sul farsi notte in tempo piovoso chiede dal povero romito Martiniano, un cantone per ritirarsi; le cede egli una delle sue stanzioline, e si ritira nell’altra, passando tutta la notte in orazione pregando Dio con David: viam iniquitatis amove a me. Ai primi albori del giorno licenzia in pace colei che con la sua sola vicinanza gli faceva guerra; ma che, doppo essersi con mille ringraziamenti partita, se la vide di nuovo innanzi in abito altrettanto pomposo quanto lascivo. S’accorge il poverello del gran pericolo; esce dalla cella per scoprire s’alcuno là si accostasse; mira il Cielo; e par che gli dica, così mi giocherai per un momentaneo diletto? ricordati con quanti rigori mi compraste? Dà un’occhiata alla spelonca, e quella stessa gli dice, per un capriccio dunque perderai il merito di tanti anni di penitenza, di tante orazioni, di tanti digiuni? Così sentiva parlarsi Martiniano, agitato dalla tentazione unita con l’occasione. Quando interiormente compunto, tratto dal più profondo del petto un sospiro, raccolse quanti più poté sarmenti, v’accese il fuoco, e al calor di quelle vampe estinse ogni fiamma maligna. Ma se poté, miei U.U. Martiniano numerare tra’ miracoli della grazia l’aver potuto resistere alla tentazione armata dalla occasione, non così poté gloriarsi quell’incauto romito colà ne’ contorni d’Arsinoe; Interrogate un poco quelle solitudini e domandate loro quanto di forza abbia la tentazione unita alla occasione, e sentirete rispondervi con le cadute di quell’incauto solitario, il quale quantunque veterano nella cristiana milizia incontratosi una sol volta in una maledetta occasione, disonorò con intemperanza di giovine la sua vecchiaia, e perdé quelle corone e quelle palme acquistate in tant’altre battaglie. Interrogate le arene dell’Egitto, e sentirete rispondervi con orrore, che hanno veduto rinegar Cristo da un discepolo del gran Pacomio; e fu allora che fidatosi di sé  Atesso uscì con sicurezza dal Monastero, e s’incontrò con l’occasione. Interrogate i sassi della Palestina, quali furono testimoni per tanti anni delle fervorose orazioni, delle rigorose penitenze, delle sovraumane meraviglie di quel tanto nominato Giacomo, e pure un giorno lo piansero, di trionfante di tutto l’inferno, trofeo vergognoso di vittoriosa occasione, e giunto a segno di togliere, dopo l’onore, anche la vita à colei da cui poco prima aveva cacciato un demonio. Non occorre altro; dalla occasione di peccare al peccato non v’è più d’un brevissimo passo; dica pure ognuno con Cipriano, che … lubrica spes est, quæ inter sementa peccati salvare se sperat. Or che avete sentito che per salvarsi dalle tentazioni alle quali è unita l’occasione, non bastano, né le solitudini d’Arsinoe, né gli Eremi d’Egitto, né le spelonche della Palestina; vi dirò di più, che la tentazione unita con l’occasione arrivò a far prevaricare ancora nel Paradiso terrestre. Eva, come sapete, si pose a dare orecchio al serpente infernale, allorché gli disse, nequaquam moriemini, eritis sicut dii. Ecco, che Eva s’accosta all’albero: Eva, gl’avrei io detto, non v’accostate, avvertite la morte sta nascosta tra quelle fronde. Io non voglio, mi risponde, che vederlo per conoscerlo, e fuggirlo come veleno; Dio ha comandato, che non si mangi, non che non si miri; ma che! giunge all’albero, ne vagheggia il frutto, pulchrum visu, sta per un poco perplessa se debba staccarne un pomo, giacché à se stessa diceva, per obbedire basta non cibarsene; lo spicca dunque, l’odora, e perché alla vista gli pare che debba esser gustoso a mangiare, ad vescendum suave, determina di volerlo gustare; ma il precetto Divino, dico io eh, che questo sento, rispondermi, consiste tutto in non cibarmene, troverò ben io modo di gustarlo senza mangiarlo, ne addenterò un boccone, lo masticherò con fretta, e poi subito getterollo dalla bocca. Così risolve, lo mastica, lo gusta; ma che? L’appetito lo dimanda, la gola lo vuole, lo stomaco lo riceve, sicchè quel boccone trangugiato, à sé e al mondo tutto portò la morte. O andate à fidarvi dell’occasione mentre Eva non fu sicura nel Paradiso Terrestre. – uomini, donne, benché avanzati nell’età, non vi mettete nelle occasioni; non basta dire è ormai gelato il sangue nelle vene, son canutii capelli: se non resisté quel romito, benché vecchio, quantunque orasse, digiunasse, e facesse aspre penitenze, quanto più cadrete voi, che col cuore tutto nel mondo a mala pena vi segnate la mattina, e abborrite ogni sorte di penitenza: Cadrete vi dico se vi metterete nell’occasione… Religiosi non vi fidate di porvi nell’occasione, cadde un discepolo di Pacomio, che passava l’ore in orazione e i giorni in astinenze, quanto più cadrete voi, che quasi mai orate, che vi portate a quell’Altare senza preparazione, che vi state con pena, che per fretta non proferite le parole, che non fate ringraziamento, che tutto dì discorrete d’inezie, che dite quell’Offizio tanto strapazzatamente, e che finalmente, se avete qualche apparenza di Religioso nell’abito, certo non l’avete ne’ costumi, mentre talora ardite idolatrar volti, e prestare ossequi viziosi a dame; cadrete ancor voi; se pur finora non avete mancato a Dio con la castità perduta, e il voto conculcato. Niuno si fidi per uomo, di donna da bene che sia, perché se cadde Giacomo tanto timorato di Dio, come presumete di non cader voi, che temete più l’ombra d’un principe che l’ira di Dio: se starete in quelle case, a quei giochi, a quelle feste, ove fono ridotti d’uomini e di donne, di dame, e cavalieri, cadrete. Eh, che son pazzie pretendere di trattar con famigliarità con uomini e donne, e non peccare, almeno con compiacenza, e con brame indegne. In medio mulieris noli commorari, de vestimentis enim procedit Tinea, a muliere iniquitas viri, non vi trattenete, dice lo Spirito Santo, ove son donne, perché quanto è facile, che dal panno nasca la tignola, tanto è facile che dalla donna nasca l’iniquità dell’uomo. Niuno insomma si fidi, giacché ha veduto, che anche Eva posta in occasione col serpente, cadde nel Paradiso terrestre, e nel medesimo cadde pure Adamo, perché non seppe, come dice Sant’Agostino, star faldo all’occasione che gliene diede la consorte, Nolut eam contristare. Or io dico s’Adamo uomo sì prudente, uscito allora dalle mani di Dio, colmo d’ogni tesoro di grazia, arricchito dall’abituale, avvalorato dall’attuale, con le passioni si moderate; con tutto ciò, perché si trovò nell’occasione cadde; come non cadranno quei giovani, quelle giovani fragilissime con le passioni indomite, tentati per ogni verso? Se l’uomo non ha saputo resistere all’amor pazzo nel Paradiso terrestre fra tanta pace, come potrà resistere in campo aperto con tanta guerra? Fuggite l’occasioni, perché è tanto difficile non peccare a chi sta nelle occasioni, quanto vivere in un’aria contagiosa e non ne contrar la peste; e se mai vi ci trovate per vostra disgrazia, bisogna assolutamente, quando non poteste fuggire, come Giuseppe, o che gridiate come Susanna, o che percotiate come Giuditta. Già v’ho mostrato che cade nella occasione anche chi è vissuto santamente, molto più chi vive con libertà di trattare. Or vi dico, che sono più che certi di cadute quei, che soliti a cadere si mettono nelle occasioni. Certi alberi ontuosi in tempo d’estate troppo calda, agitati da vento caldo si sono talora accesi da se stessi, e sono iti in cenere or che avrebbero fatto, se taluno avesse apprestato fuoco alle loro piante. Che può mai avvenire ai giovani, uomini e donne, che nel bollor del sangue dopo esser caduti si ripongono nelle occasioni, se non incenerirsi? Che s’à dunque da fare, torno a dirvi, come Giuseppe colà nell’Egitto con l’impudica padrona, Fuga usus pro armis, le sue armi, dice San Basilio di Seleucia, furono il fuggire; bisogna levarsi dalla occasione; altrimenti cadrà il corpo, si dannerà l’anima. Voi vedete, che ogni volta che andate in quel circolo mormorate, che vi portate a quel gioco spergiurate, che andate in quella bettola bestemmiate, statene lontani. Ogni volta, che con lei entra in quella casa pecca, se passa per quella strada, consente a quei pensieracci, fuggite, fuggite. – Bisogna fuggire l’occasione, se volete assicurarvi dalle nuove cadute. Trochilo favorito Discepolo di Platone, trovandosi in alto mare, fu sorpreso da una orrenda burrasca, fremevano i venti, incalzavano l’onde, a tal segno, che squarciate le vele, spezzati gl’alberi, e tutto il timone, già si tenevan per perduti quanti in quel legno si trovavan racchiusi. A gran forte si salvò Trochilo, e giunto a casa pien d’affanno, e colmo di spavento, diede subito ordine, che si murassero due finestre di sala, benché allegrissime, per che eran voltate al mare, per timore, come egli diceva, che rimirando qualche volta placido il mare, non gli venisse tentazione di porsi nuovamente in acqua. Volete assicurarvi dalle tempeste delle tentazioni, chiudete quegli sguardi, ancora, che talora vi paressero innocenti, quelli scherzi, che vi paressero geniali, levatevi dalle occasioni; non balli, non veglie, non tresche. Non fate come coloro i quali scappati dal mare, tutti zuppi d’acqua, ove fono stati con pericolo di morte, si mettono nella spiaggia a raccogliere gli avanzi delle loro vele, e a racconciarle per mettersi di nuovo in acqua, benché sappiano l’infedeltà di quell’onde. – Sentitemi bene, o voi vi stimate deboli, o vi tenete per forti; se conoscete la vostra fragilità, che pazzia è mai questa mettervi in un tanto pericolo. Voi meritate un severo castigo per questo stesso che conoscendo la vostra debolezza, tanto vi volete cimentare. Qual è quel pilota sì sciocco che sapendo d’avere un legno fragile e debole voglia con esso porsi in alto mare alla furia de’ venti, e delle tempeste? Se voi conoscete la vostra fragilità, e che ogni volta, che siete nell’occasione cadete, perché non fuggite? La lepre, perché si conosce debole non si pone a guardare i cacciatori, a scherzar con cani, ma fugge; così avete da far voi se vi stimate deboli: se poi vi stimate forti, né pur dovete esporvi alla occasione, mentre avete l’esperienza, che con tutta la vostra fortezza, siete caduti. Sovvengavi della bella riflessione di Plinio sopra del ferro, non v’è cosa, dice egli, né più dura, né più forte del ferro, questo sfascia baluardi, abbatte edifici, atterra città, tuttavia anche egli s’umana, e si lascia vincere da un sasso fosco di colore, vile di forma, e per migliaia d’anni reputato senza virtù. È  questo la calamita che mostra genio sì superiore al ferro che lo muove ed  agita ove gli piace, e lo necessita quantunque pesante, a slanciarsi per aria, a sé lo tira, quid ferri duritie tenacius, trabitur tamen a magnate lapide; non vi fidate della vostra fortezza, la forza, che ha la calamita nel ferro, l’ha l’amor della donna verso dell’uomo. Non me lo credete, ve lo confermi il seguente caso. S’amavano con amore diabolico un perfido giovine, ed una sfacciata donna, quando finalmente dopo una lunga tresca fu la femmina posta in un letto inferma, e perché la malattia fu di più mesi, ebbe la donna comodità di rientrare in se stessa, e parve del tutto mutata; Si confessò con molte lacrime e seguitò a detestare con replicati sospiri le colpe passate, finché il confessore, e la donna stessa pensarono di poter fare un passo, per verità troppo arrischiato, e fu di poter dare l’ultimo addio a quel suo padrone, nelle di cui mani era indegnamente vissuta, non con altro titolo però, che d’esortarlo a mutare anche esso vita, mentre vedeva à qual stato era ella ridotta , e a quello doversi anche lui ridurre; prescrisse dunque il Confessore le parole che doveva proferire la femmina alla presenza del giovine, e come doveva correggerlo; e per esser più sicuro dell’ottima riuscita, volle egli stesso introdurlo, e trovarsi presente al discorso. Ah Dio, che non bisogna stimarsi talmente forti, che si possa resistere alla occasione. Udite quanto diversamente riuscì il fatto dal concertato. Appena la femmina si vide colui presente, che risvegliati nel cuore gl’antichi affetti, si dimenticò totalmente di quella predica, che aveva sì ben premeditata a compungere il cieco amante, e fattane un’altra del tutto diversa, così parlò piena d’un empio furore con le braccia stese verso di lui: amico io v’ho sempre amato di cuore, ed ora convien che vi dica, che in questo ultimo v’amo più che mai; vedo che per voi me ne vado all’inferno, ma non m’importa, e voi siete la cagione, che io non temo l’eternità di quelle pene; e senza potere aggiungere altro di più, parte per l’estrema fiacchezza, parte per l’agitazione di quegl’affetti sì impetuosi, cadde supina sul letto, sopra di cui s’era alzata, e vi spirò l’anima con tanto orrore del confessore e del giovine che senza saper formar parola partirono più morti che vivi. Che dite, vi fiderete di porvi nelle occasioni sani, con dire: non cadrò, mentre i cadaveri stessi posti nelle occasioni non sanno resistere? O Dio, che le tornate per quella strada sotto qualsivoglia pretesto, ancorché santo, ricadrete; ah Dio, che se parlerete con colei sotto colore d’altro fine, di nuovo vi romperete il collo. Qual è dunque il rimedio per voi miserabili, che soliti a cadere, vi mettete nelle occasioni, non altro che seguire il consiglio di Dio nella legge vecchia: Recedite, dice Egli per Isaja, recedite nolite tangere, uscite fuori, ritiratevi dalle occasioni, e nell’uscire state attenti di non slungare neppure l’estremità d’un dito, perché vi resterete. Tali erano gl’ordini di Dio nella legge antica; più severi però sono nella nuova, ove intima ogni rigore per fuggire l’occasioni. Attenti alle parole di Dio per San Matteo: Si manus tua, vel pes tuus scandalizat te abscide, projice abs te; si oculus tuus scandalizat te, erue eum, et projice abs te. So che questo precetto non è litterale, ma metaforico, in modo che, come spiega Lirano: Per manum auxiliator pes pedem cursor, per oculum consiliarius intelligitur, cioè a dire, non solo devi lasciare colei, non solo la sua casa, il suo ritratto, quei nastri, quelle lettere, ma anche devi cacciar via da te colui che t’accompagna di notte, colei che ogn’ora porta le tue imbasciate. Abscide, projice abs te. Intendetela, dice Iddio, se l’occhio v’è occasione di peccare, io non voglio che si chiuda ma che si svelli dalla fronte. Se la mano, e il piede v’è d’inciampo ad offendermi, io non voglio che solamente si leghino, ma che si tronchino … Abscide … erue . –  Dunque, chi dice tratterò, converserò, ma non peccherò, questa è legge nata nel vostro cervello, allorché stabiliste praticarla, ma non è legge di Dio, che vuole che si tronchi tutto. Notate inoltre una cosa più spaventosa: non dice solamente Iddio levati l’occhio, tagliati il piede, la mano; ma dice dopo che ti sei levato l’occhio, e tagliato la mano, il piede buttali via projice, projice. E perché, mi dirà qualcheduno, volete che io venga a tanto, mi caverò bensì l’occhio, che mi fu occasione di peccato; ma perché svelto dalla fronte più non vede, lo serberò chiuso in uno scrigno; mi taglierò quella mano, e quei piedi che mi diedero motivo a peccare; ma mentre divisi da me non hanno più modo da precipitarmi in peccati, li terrò in rimembranza de’ miei falli. No, no, veniamo a noi; terrò quella donna, dice taluno, non però più in casa propria, ma d’un amico, non vi andrò, non gli parlerò, gli scriverò bensì qualche lettera per creanza, non per malizia; se la manderò a salutare, lo farò, perché la gente non mormori, e perché la meschina trovandosi abbandonata affatto da me, non si getti al male. Olà, son diabolici i vostri pretesti. Erue, et projice, abscide, projice; lasciate colei tanto da lungi da voi, che non ne sappiate più nuova: non basta tagliare, bisogna gettar via da sé. – Racconta il Mattiolo d’un contadino, che segando un prato, tagliò con la sua falce per mezzo una vipera, e compiacendosi di sì bel colpo, pigliò in mano il tronco palpitante di quella serpe per insultarla; ma ben presto si accorse della sua temerità, perché ricevuto un morso, da quella bestia, morì sì subito che morì prima di lei. Tagliò costui Abscidit, ma non gettò via da sé, non projecit, e così se ne morì miseramente, e morì anche non compatito. Così appunto ha da intervenire a quel giovine; a quella giovine, i quali dopo aver troncata l’amicizia, la mala pratica, non sequestrano affatto ogni commercio di lettere, d’ambasciate, d’occhiate, hanno da rimaner morsicati sì malamente da questa vipera d’inferno del peccato mortale, che così non fosse, han da finire la vita con la dannazione dell’anima: Dio non la voglia.

LIMOSINA
Uno de’ gravissimi errori, che siano al mondo è a mio credere, l’opinione fortissima, che molti hanno d’essere assoluti padroni del loro, finché possano spendere, spandere, e farne quel che loro piace, e anche a somiglianza di quei filofosi antichi gettarlo in mare per fasto. Non è così, ne sono padroni, ma con riserva, con obbligazione di ripartir tra poveri ciò che gl’avanzi, all’onesta sostentazione del proprio stato. Come è questo Padre, non potiamo far limosina, non è vero, perché volete più del vostro gatto: non mi fate dire, ma fate una larga limosina.

SECONDA PARTE

Tommaso Moro gran Cancelliere d’Inghilterra, avvisato una mattina per tempo che i carcerati, rotto il muro della prigione s’erano tutti fuggiti; rispose gentilmente al Bargello da cui era chiesto con ansietà di provvedimento. Farai così, cerca con ogni sollecitudine mastri e muratori, e fa chiudere ben presto quella apertura della muraglia per cui sono usciti, affinché non venisse voglia ad alcuno de’ fuggiti di ritornarsene dentro, motteggiando così gentilmente sopra d’un caso che non ammetteva rimedio. Questa risposta che in bocca di quel grand’uomo sommamente ingegnoso in certe ironie proprie d’un cuor magnanimo, fu uno scherzo. Questa dico, è presso di me il più serio ricordo che io possa dare a chi brama viver bene. Se voi con la divina grazia avete rotta la carcere, in cui vi teneva chiusi il demonio, siete usciti da quella casa, avete abbandonata quella conversazione sì pestilente, chiudete, chiudete quelle porte, per le quali siete felicemente usciti; non più in quel luogo, non più a quella veglia, non più con quella persona… fuggite. – Una delle occasioni maggiori di peccare sono i cattivi compagni. Quelli sono il precipizio di tant’anime innocenti; le loro parole son punte che uccidono. Eglino dicono che certi peccati sono il minore de’ mali, che Iddio compatisce: il Paradiso è per noi, e così fanno cadere. Guai però a questi che così parlano, perché certo sarà per loro quell’inferno, al quale incamminano gl’altri. Colà nell’Indie v’è una serpe nemicissima dell’elefante, la quale per vincerlo usa questo stratagemma: se gli attortiglia alle gambe, a prima che egli possa strigarsene, lo ferisce mortalmente nel petto. La frode però torna come sempre accade, in danno di chi l’ordì, poiché l’elefante ferito lasciandosi cadere in terra, col suo peso schiaccia il capo alla Serpe e l’uccide. Questo è un vero ritratto de’ cattivi compagni, i quali muoiono sotto la medesima rovina cagionata ad altri, e dopo d’aver così mandate molte anime all’Inferno, seguono ancor loro. – Racconta Tomaso Cantipratense, come un suo discepolo dapprima buono, e poi sedotto da un cattivo compagno, morì senza confessione, e morì con queste precise parole in bocca: Io me ne vado all’Inferno; ma guai a colui che mi tirò a peccare: Væ autem illi, qui me seduxit, e se disse così morendo, arguite cosa dovette dire morto, quando all’entrar che egli fece all’inferno, rimirò quei demoni sì spaventosi, sentì quelle fiere, sperimentò quelle fiamme, e vide chiudersi dietro quelle porte, che chiuse ad un tratto, non gli dovevano essere aperte mai più per tutti i secoli. –  Che s’ha dunque da fare? lasciare i cattivi compagni che ci sono d’occasione per peccare: la pratica di quel giovine è la tua rovina, perché quando sei con lui, sempre discorri di laidezze, sempre stabilisci laide determinazioni; quando sei con quella compagna sempre tratti d’amori, sempre pecchi o con pensieri o con parole, o con opere. Lontani dunque da tutte le occasioni che vi portano al peccato: Ed a voi rivolto, cattivi compagni, e iniqui pervertitori de’ buoni, fò sapere, che siccome tra tutte le opere divine è divinissima il procurar la salute delle anime divinorum divinissimum est cooperari Deo in salutem animarum. Così il pervertire un’anima doverà stimarsi tra tutte l’opere diaboliche, la diabolicissima. Come è possibile, che non capiate questo gran peccato; voi togliete compagni agl’Angeli, compagni a’ Santi, alle Sante Anime, a Cristo, e non tremate? Rubare a Cristo un’anima, che gli costa Sangue, Croce, Vita, per darla al diavolo, si può far di peggio? Dio immortale, se voi in un dì solenne vedeste entrare in questa Chiesa un uomo talmente sfacciato, il quale portandosi ardito all’Altare maggiore, allorché è più riccamente addobbato, lo saccheggiasse e perciò si mettesse a trinciar veli, e paliotti, a romper patene, e calici, non correreste a gridare: trattenete quel sacrilego, dategli, dategli? Lo vorreste calpestar co’ vostri piedi. Or sentite me, andate pure, levate a Cristo quanti arredi più splendidi ha ne’ suoi Altari, incendiateli, inceneritili, e poi sappiate che meno infinitamente d’oltraggio gli sarete, di quel che gli facciate à levargli un’anima, allorché la volete complice ne’ vostri peccati. Pensate dunque a’ casi vostri. Che vuol dire che tanti sono in occasione prossima di peccato, e pure non se ne levano? (Perdonatemi sacri confessori) tutto il male vien da voi. Deh non dispensate il Sangue di Cristo nel Santissimo Sacramento della Penitenza, trattenete quella mano sacerdotale, non assolvete chi non leva l’occasione prossima del peccato, potendo; altrimenti si rinnoveranno in voi le miserie di quel confessore che facile ad assolvere chi non levava l’occasione prossima, insieme con lui si dannò.

QUARESIMALE (V)

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.