LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (8)

LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (8)

LA GRAN BESTIA SVELATA AI GIOVANI

dal Padre F. MARTINENGO (Prete delle Missioni)

SESTA EDIZIONE – TORINO I88O

Tip. E Libr. SALESIANA

XV.

IL MODELLO DELL’UOMO E DEL CRISTIANO.

Povero Gesù! fu dunque l’umano rispetto che l’uccise! Questo tutti sanno o dovrebber sapere: ma più ancora saper dovrebbero e meditare sovente le dottrine e gli esempi che l’Uomo-Dio ci ha lasciati per francarci dalla viltà e dalla paura e farci veri uomini col renderci veri Cristiani. V0i ho già sopra ricordato, cari giovani, quelle belle parole: — Non temete coloro che uccidono il corpo; ma Colui solo temete, che l’anima e il corpo può dannare ai tormenti dell’inferno. — E avete veduto come sapessero farne lor prò in ogni tempo i martiri e i perfetti Cristiani. Oh avessimo cuore d’imitarli! Ora poi vo’ ricordarvi di Cristo quell’altra sentenza: — Guardatevi dal fare il vostro bene davanti agli uomini, per esser veduti da loro. Quei che fanno il bene a questo fine, hanno già ricevuto la loro mercede: cioè, hanno cercato il piacere, gli applausi del mondo; il mondo li paghi, non io. E segue confortandoci ad operare il bene sotto quell’occhio che sempre amoroso ci guarda, l’occhio, dico, del gran Padre che sta nei cieli, il quale, fedele alle sue promesse, ce ne serberà intatta la ricompensa; sì, foss’anche un bicchier d’acqua dato in suo nome, ce ne darà la ricompensa. Ma in suo nome, notate! Non in nome e per rispetto dell’uomo. E questo è il primo passo a cui dovete attentamente guardarvi, o cari giovani; perché d’ordinario va così: s’incomincia dal far il bene per rispetto dell’uomo, poi, per lo stesso rispetto, il bene, o si fa di nascosto vergognando, o si smezza, o dirittura s’intralascia; da ultimo, sempre per umano rispetto, sì giunge a commettere il male. E che male!… L’abbiamo veduto e basta. – Per umano rispetto erano usi d’operare i Farisei, e Cristo non poté mai aver pace con essi.  A loro i rimproveri più acerbi, le minacce più spaventose, a loro l’ira e la maledizione di Dio, per loro l’agnello mansuetissimo diventa leone furioso e rugge: Væ vobis! Væ vobis! E quel che disse colla parola, ce l’insegnò ancor più efficacemente coll’esempio. Venuto al mondo per salvarci, due cose ebbe costantemente presenti al pensiero: la volontà del Padre e la nostra salvezza; e per la volontà del suo Divin Padre, e per la salvezza delle anime, non isbigottì, non s’arretrò davanti ad alcun sacrificio, neppure innanzi a quello della fama e dell’onore. — Visse povero e sconosciuto fin dai primi anni; poi quando venne l’istante di farsi conoscere, volle assoggettarsi agli scherni, alle persecuzioni, alle calunnie degli uomini ingrati; da ultimo mori nudo sopra una croce fra due ladri, come il più infame tra loro, e pur morendo confitto al durissimo legno sostenne in pace da’ suoi nemici orribili scherni. – Giovani miei, siete voi Cristiani?… Se siete, levate un tratto gli occhi della fede a Gesù crocifisso fatto obbrobrio e maledizione per noi, e dite: si può essere Cristiani e aver paura degli obbrobri e delle maledizioni del mondo? Aver vergogna di Lui, che tanta vergogna sostenne per salvarci? Oh Dio! un discepolo vanta di buon maestro, il servo si gloria del suo padrone, il soldato va fiero della sua divisa e dell’armi, fiero e superbo delle insegne del suo re: e solo il Cristiano avrà vergogna di Colui, che è ad un tempo suo maestro, suo Signore, suo re? che per salvarlo abbracciò volontario l’infamia della croce?.. Maledizione al vigliacco! maledizione! E qual maledizione? sentitela dalla bocca istessa di Gesù Cristo. — Se alcuno avrà avuto vergogna di me dinanzi agli uomini, ed Io avrò vergogna di lui al cospetto del mio Padre celeste; dirò loro: andate, non vi conosco. E Cristo ha ragione. Si, viva Cristo, il nemico eterno dei vigliacchi! Viva Cristo, l’amico dei generosi e dei forti! Viva Cristo nostro capitano e nostro re!… Quanto a noi, vogliam seguitarlo a fronte alta, santamente superbi d’appartenergli e di servirlo. Dietro ai suoi passi, ci slanceremo animosi alla battaglia, gridando cogli Apostoli: eamus et moriamur cum eo. Animo, figliuoli! non che gli scherni e il disprezzo del mondo, la morte stessa soffriremo per Colui che ci amò fino a morire infamato sopra una croce.

XVI.

I CANI CHE ABBAIANO.

Tante cose vi ho detto della gran bestia dell’umano rispetto, che ormai ne dovete essere e stomacati ed atterriti; e non dubito che più volte in cuor vostro avrete detto: — Oh io non voglio che tal bestia mi metta gli unghioni addosso mai: è troppo sozza e crudele. Non voglio imbrancarmi coi vigliacchi: son già tanti al mondo! Sarò uomo, uomo vero, sarò franco e libero Cristiano. Dio vi benedica, cari giovani, di sì bella risoluzione; ma come altro è risolvere, altro mettere in pratica, permettetemi che prima di finire vi suggerisca qualche mezzo a facilitarvi l’adempimento de’ vostri buoni desideri. – E innanzi tutto, incominciate fin d’ora; incominciate, dico, ad operar francamente pel bene, senza seconde intenzioni, senza darvi pensiero della lode o del biasimo altrui, dicendo con s. Paolo: Qui judicat me Dominus est. Che mi fa a me delle chiacchere altrui? A me basta tenermi in buona regola con Colui che deve giudicarmi. Vivete voi in famiglia? Penso nonvi sarà difficile il farvi uomo. Vi ci aiuteranno i vostri buoni parenti, che null’altro meglio desiderano. Almeno, mi piace sperare. Che se per disgrazia i parenti vostri… Oh Dio! mi fa male il pensarlo, eppure è un caso che si dà, bisogna parlarne. Se dunque i vostri stessi genitori divenissero nemici della vostra virtù, vi raccomando, giovani miei di meditare ed imitare, occorrendo, la condotta che tenne l’angelico s. Luigi col padre suo il duca Ferrante Gonzaga, che volle attraversargli la strada della Religione, cui sentivasi supernamente chiamato. Sempre docile, sempre rispettoso e tranquillo, sostenne più d’un anno l’ira e i castighi di lui, finché la mansuetudine la vinse sull’ira, e il padre riconobbe piangendo, insieme col suo fallo, le sante ragioni del figliuolo. Tanto è vero, che i mansueti, come dice Cristo, possidebunt terram; finiscono sempre col diventar padroni del campo. – Che se non dai parenti, potrete talvolta aver noia da parte de’ fratelli (dalle sorelle non suppongo: son tanto dolci e buone !). Pur troppo l’invidia e la gelosia han facile presa ne’ giovanetti cuori; testimonio l’antiche storie d’ Abele e di Giuseppe. Voi guardatene bene i vostri cuori; e se per caso, alcuno dei fratelli vostri animato a sì biechi sentimenti, s’attentasse di mettere in deriso la vostra virtù, vince in bono malum, e in mezzo alla tribolazione che dovrete sostenere vi stia sempre davanti al pensiero l’esempio de’ due giusti che ho nominati. – Se poi vivete in collegio, troverete forse difficoltà maggiori, ma insieme occasioni più frequenti e più acconce a formarvi un carattere fermo e virile. Qui vi sarà forza convivere con ogni maniera di giovani, fra quali, è quasi certo. non mancheranno gli schernitori e i maligni. Ragazzacci di poca testa e men cuore, non han forza nè coraggio di primeggiare nel bene, guardano biechi a qualunque sale più alto, e si vendicano della sua superiorità collo schizzargli addosso il veleno onde han gonfio il cuore. Per questi miserabili vi consiglio gran compassione, e trattarli con bontà, e dissimulare la malignità di loro parole. Ma compassione non meritano quegli altri, che non contenti al veleno dello scherno, cercano schizzarvi addosso anche quello della corruzione. A costoro, se ardissero tentare la vostra virtù, mostrate i denti.; e responde stulto iuxta stultitiam suam. Li vedrete avvilirsi e tacere a misura che alzerete la testa e li guarderete in faccia. Fanciullo ancora, ricordo d’una gran paura che avevo dei cani. Un dì che tornavo dalla campagna con mio padre in sul far della sera, eccoti, nel passar vicino a una cascina, sbucarci incontro, non uno, ma tre di cotesti importuni animali, e con le fauci spalancate e grandi abbaiamenti, come sogliono far atto di volerci azzannare. Oh Dio! sento ancora lo spavento di quell’assalto. Fuor di me per la paura, mi svincolai dalla man di mio padre che mi teneva, saltai il fosso della strada, e corsi fuggendo e urlando pei campi; e i cani sempre dietro, abbaiando più forte, e addentandomi a volte fin la falda dell’abito; tantoché io mi tenevo già per bello e divorato: quando, alle mie grida i contadini, richiamarono, ammansirono i cani, ed io, quetata quella grande paura, ripresi il cammino a’ fianchi del babbo. – Il quale, quando mi vide tranquillo, incominciò a favellarmi così: Sai Cecchino mio, perché quei cani ti corsero tanto dietro? Perché ti sei dato a fuggire. – Anzi (osservai alla mia volta) e’ mi pare ch’io son fuggito, perché e’ mi venivano dietro. – Sì, ma se appena ci comparvero a fare il saluto, tu non la davi a gambe con tanto gridare, come hai fatto, avrebbero abbaiato un poco e poi t’avrebbero lasciato in pace. Guarda me, che mi rimasi tranquillo sulla strada. Vedendomi, i cani han pensato: costui è un galantuomo, e non mi han dato il menomo fastidio; ma veduto te a fuggire: questo è il ladro, dissero, e: dagli al ladro, dagli al ladro! ti son corsi addosso con tanta rabbia, che per poco non ti addentarono per le gambe. — Queste parole di mio padre, così fanciullo com’io era, mi fecero grande impressione, e mi persuasi che la cosa stesse proprio così, com’e’ mi diceva. Intanto, cammina, cammina, si giunse a passare da un’altra cascina; già sentivansi i cani ad abbaiare, e il cuore mi martellava forte, ma avvinghiandomi stretto alla mano del babbo: — Ora non voglio più fuggire, dissi; e mantenni la parola. Giunsero i cani, salta di qua, abbaia di là: quando videro che né io né il babbo ce ne davamo per intesi, continuandoci alla nostra via, senza neppure voltarci, se ne tornarono colla coda bassa al loro covo. Non saprei dire quanto piacere presi allora di quella vittoria riportata sulla mia paura. — Vedi, vedi (mi diceva il buon babbo): que’ cani ti han veduto andartene tranquillo alla tua via, e han detto: costui è un buon figliuolo; andiamocene a dormire. — E di li a un poco in tono solenne aggiungeva: — Impara, Cecchino mio, ad andartene sempre diritto per la buona strada. Troverai dei cani d’altra razza che ti abbaieranno incontro; e tu fa’ con loro come con questi. T’assicuro che in breve si acquieteranno, e tu non n’avrai danno di sorta. Tanto vale saper vincere la paura. — Allora (ricordo) a capire bene questa. cosiffatta moralità, mi ci vollero non poche dimande mie, ed altrettante risposte del babbo. Ma per voi, cari giovani, non abbaia d’altra spiegazione; la moralità è chiara abbastanza. – Tornando a bomba, aggiungerò ancora una cosa. Peggio assai che in famiglia, peggio che in convitto, potrà accadervi all’Università, se vi toccherà un giorno l’andarvi. Ma se all’Università possono trovarsi cani arrabbiati più che altrove, vo’ dire giovani più perversi, parmi anche debba riuscirvi più facile il cansarli. All’Università si è più al largo, più al largo che in famiglia, più al largo che in un convitto. Fra la turba di due, tre, quattrocento giovani di ogni risma e d’ogni colore, uno facilmente ci si perde e ci si nasconde. Chi vi obbliga a far relazioni? Chi vi impedisce, terminata la lezione, di svignarvela destramente e andarvene pe’ fatti vostri? – Io conosco un bravo giovane già mio scolaro (ora è prete e mi fa la barba a me), il quale, prima d’entrare nella carriera ecclesiastica, studiò tutto il corso di legge, ebbe la laurea, ed uscì dall’università pio, innocente, come eravi entrato. Eppure viveva in una grande città, lontano da’ parenti od amici che potessero sorvegliarlo. Avendolo domandato un giorno, che vita ei menasse colà: — Studiavo molto (mi rispose) studiavo davvero, non per mostra, come fanno i più. I primi mesi m’astenni da qualunque relazione co’ compagni: credo che la maggior parte non sapessero pure chi io mi fossi. Mi guardavano, passandomi vicino, come si guarda a una cosa nuova, e io guardava loro senza dir nulla. Una volta li sentii rider tra loro e darmi del selvatico: io feci orecchie di mercante, e via. Ma in capo a qualche mese incominciai a sentirmi troppo solo. Oh un amico! pensava. E incominciai a por mente ai più studiosi e ai più riservati tra i compagni, finché, scortone due che mi piacevano, mi accostai loro, e così ci legammo a poco a poco di così pura e dolce amicizia, che ne ringrazierò Dio finché campo.

LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (9)