CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA: MARZO 2023

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA, DEL MESE DI MARZO 2023

MARZO è il mese che la Chiesa dedica a SAN GIUSEPPE, dichiarato da Pio IX l’8 Dic. 1870 Patrono della Chiesa!

S. Teresa e S. Giuseppe.

Ecco quanto dice: « Invoco S. Giuseppe come patrono e protettore e non cesso di raccomandarmi a lui: il suo soccorso si manifesta in modo visibilissimo. Questo tenero protettore dell’anima mia, questo amabilissimo padre, si degnò di trarmi dallo stato in cui languiva il mio corpo e di liberarmi da pericoli assai più gravi che minacciavano il mio onore e la mia salvezza eterna. In più, mi ha esaudita sempre, più di quanto sperassi e di quanto chiedessi. Non ricordo di avergli chiesto qualcosa e che non me l’abbia accordato. Quale ampio quadro io potrei esporre, se mi fosse accordato di conoscere tutte le grazie di cui Iddio m’ha colmata e i pericoli, sia dell’anima che del corpo, da cui m’ha liberata per intercessione di questo amabilissimo Santo! L’Altissimo dona ai santi quelle grazie che servono per aiutarci in certe circostanze; il glorioso S. Giuseppe – e lo dico per esperienza – estende il suo potere su tutto. Con questo, il Signore vuole mostrarci che, come un giorno fu sottomesso all’autorità di Giuseppe, suo padre putativo, così ancora in cielo, si degna di accettare la sua volontà, esaudendo i suoi desideri. Come me, l’hanno costatato per esperienza, quelle persone alle quali ho consigliato di raccomandarsi a questo incomparabile protettore; il numero delle anime che lo onorano cresce di giorno in giorno, e i felici successi della sua mediazione confermano la verità delle mie parole ». Per soddisfare questi desideri e per venire incontro alla devozione del popolo cristiano, il 10 settembre 1847, Pio IX estese alla Chiesa universale la festa del Patrocinio di S. Giuseppe che fino allora era celebrata soltanto dai Carmelitani e da qualche chiesa. In seguito, S. Pio X aumentò il valore di questa festa, onorandola di una Ottava e Pio XII, volendo dare un particolare patrono a tutti gli operai del mondo, ha istituito una nuova festività da celebrarsi il Primo Maggio; per questo motivo, venne soppressa quella del secondo mercoledì dopo Pasqua, e la festa del 19 marzo ricorda S. Giuseppe quale Sposo della Vergine e Patrono della Chiesa universale. (Dom Gueranger: L’Anno liturgico. Vol. I, Ed. Paoline – Alba,1956)

Queste sono le feste del mese di Marzo 2023

1 Marzo Feria Quarta Quattuor Temporum Quadragesimæ – Simplex

2 Marzo Feria Quinta infra Hebd I in Quadr. – Simplex

3 Marzo Feria Sexta Quattuor Temporum Quadragesimæ – Simplex

4 Marzo Sabbato Quattuor Temporum Quadragesimæ– Simplex

             S. Casimiri Confessoris- Semiduplex *L1*

5 Marzo Dominica II in Quadr. – Semiduplex I. classis

6 Marzo Ss. Perpetuæ et Felicitatis Martyrum   Duplex

7 Marzo S. Thomæ de Aquino Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

8 Marzo S. Joannis de Deo Confessoris – Duplex

9 Marzo S. Franciscæ Romanæ Viduæ – Duplex

10 Marzo Ss. Quadraginta Martyrum – Semiduplex

12 Marzo Dominica III in Quadr. – Semiduplex I. classis

            S. Gregorii Papæ Confessoris et Ecclesiæ Doctoris -Duplex

17 Marzo S. Patricii Episcopi et Confessoris – Duplex

18 Marzo S. Cyrilli Episcopi Hierosolymitani Confessoris et Ecclesiæ Doctoris – Duplex

19 Marzo Dominica IV in Quadr. – Semiduplex I. classis

20 Marzo S. Joseph Sponsi B.M.V. Confessoris – Duplex I. classis *L1* (transfer)

21 Marzo S. Benedicti Abbatis – Duplex majus *L1*

24 Marzo S. Gabrielis Archangeli    Duplex majus *L1*

25 Marzo In Annuntiatione Beatæ Mariæ Virginis – Duplex I. classis *L1*

27 Marzo S. Joannis Damasceni Confessoris – Duplex m.t.v. *L1*

29 Marzo S. Joannis a Capistrano Confessoris – Semiduplex m.t.v.

31 Marzo Septem Dolorum Beatæ Mariæ Virginis – Duplex majus

*****

Sette Dolori ed Allegrezze di S. Giuseppe.

I. Sposo purissimo di Maria, glorioso s. Giuseppe siccome fu grande il travaglio e l’angustia del vostro cuore nella perplessità di abbandonare la vostra illibatissima Sposa; così fu inesplicabile l’allegrezza, quando dall’Angelo vi fu rivelato il Mistero sovrano dell’Incarnazione. — Per questo vostro dolore, e per questa vostra allegrezza preghiamo di consolar ora e negli estremi dolori l’anima nostra coll’allegrezza di una buona vita e di una santa morte somigliante alla vostra in mezzo di Gesù e di Maria. Pater, Ave e Gloria.

II. Felicissimo Patriarca, glorioso S. Giuseppe, che trascelto foste all’ufficio di Padre putativo del Verbo umanato, il dolore che sentiste nel veder nascere con tanta povertà il Bambino Gesù, vi si cambiò subito in giubilo celeste nell’udire l’armonia angelica, e nel vedere le glorie di quella splendentissima notte, — Per questo vostro dolore, per questa vostra allegrezza vi supplico di impetrarci, che dopo il cammino di questa vita ce ne passiamo ad udir le lodi angeliche, ed a godere gli splendori della celeste gloria. Pater, Ave, Gloria.

III. Esecutore obbedientissimo delle divine leggi, glorioso S. Giuseppe, il Sangue preziosissimo che sparse nella Circoncisione il Bambino Redentore vi trafisse il cuore, ma il Nome di Gesù ve lo ravvivò riempiendolo di contento. — Per questo vostro dolore e per questa vostra allegrezza otteneteci, che tolto da noi ogni vizio in vita col Nome santissimo di Gesù nel cuore e nella bocca giubilando spiriamo. Pater, Ave, Gloria.

IV. O fedelissimo Santo, che a parte foste dei Misteri della nostra Redenzione, glorioso S. Giuseppe, se la profezia di Simeone di ciò che Gesù e Maria erano per patire, vi cagionò spasimo di morte, vi ricolmò ancora di un beato godimento per la salute e gloriosa risurrezione, che insieme predisse dover seguire di innumerabili anime. — Per questo vostro dolore e per questa vostra allegrezza, impetrateci che noi siamo nel numero di quelli, che pei meriti di Gesù, e ad intercessione della Vergine Madre hanno gloriosamente a sorgere. Pater, Ave e Gloria.

V. O vigilantissimo Custode, famigliare intrinseco dell’Incarnato Piglio di Dio, glorioso S. Giuseppe, quanto penaste in sostentare e servire il Figlio dell’Altissimo, particolarmente nella fuga, che doveste fare in Egitto: ma quanto ancora gioieste avendo sempre con voi lo stesso Dio, e vedendo cadere a terra gli idoli Egiziani. — Per questo vostro dolore e per questa vostra allegrezza impetrateci, che tenendo da noi lontano il tiranno infernale, specialmente con la fuga delle occasioni pericolose, cada dal nostro cuore ogni idolo di affetto terreno: e tutti impiegati nella servitù di Gesù e di Maria, per loro solamente da noi si viva e felicemente si muoja. Pater, Ave e Gloria.

VI. O Angelo della terra glorioso S. Giuseppe, che ai vostri cenni ammiraste soggetto il Re del Cielo, se la consolazione vostra, nel ricondurre dall’Egitto intorbidossi col timore di Archelao; assicurato nondimeno dall’Angelo, lieto con Gesù e Maria dimoraste in Nazaret. — Per questo vostro dolore e per questa vostra allegrezza impetrateci, che da timori nocivi sgombrato il cuore, godiamo pace di coscienza, e sicuri viviamo con Gesù e Maria e fra loro ancora moriamo. Pater, Ave, Gloria.

VII. O esemplare di ogni santità glorioso San Giuseppe, smarrito che aveste senza vostra colpa il fanciullo Gesù, per maggior dolore tre giorni lo cercaste, finché con sommo giubilo godeste della vostra Vita ritrovata nel tempio fra i Dottori. — Per questo vostro dolore e per questa vostra allegrezza vi supplichiamo col cuore sulle labbra ad interporvi, onde non ci avvenga mai di perdere con colpa grave Gesù; ma se per somma disgrada lo perdessimo, tanto con indefesso dolore lo ricerchiamo, finché favorevole lo ritroviamo, particolarmente nella nostra morte, per passare a goderlo in Cielo, ed ivi con voi in eterno cantare le sue divine misericordie. Pater, Ave e Gloria

Antiph. Ipse Jesus erat incipiens quasi annorum triginta, ut putabatur Filius Joseph.

V. Ora prò nobis Sancte Joseph.

R. Ut digni efficiamur promissionibus Christi.

OREMUS.

Deus, qui ineffabili providentia Beatum Joseph sanctisimæ Genitricis tuæ sponsum eligere dignatus es: presta quæsumus, ut quem Protectorem veneramur in terris, intercessorem habere mereamur in cœlis. Qui vivis et regnas in sæcula sæculorum. Amen.

INDULGENZE PER LE 7 ALLEGREZZE ED I 7 DOLORI E PER LE DOMENICHE DI S. GIUSEPPE.

A sempre più infervorare i fedeli nella divozione a S. Giuseppe, a chiunque pratica il suesposto esercizio dei suoi sette Dolori ed Allegrezze, Pio VII il 9 dic. 1819 accordò l’Ind. Di 100 giorni una volta al giorno, e di 300 in ogni Mercoledì nonché in tutti i nove giorni precedenti così la sua festa, 19 Marzo, come quella del suo Patrocinio nella III Dom., dopo Pasqua, oltre la Plen. in dette due feste, ricevendo i SS. Sacramenti. Più ancora Indulg. Plen. a coloro che l’avranno praticato per un mese intero in un giorno a scelta, confessandosi e comunicandosi. — Inoltre Gregorio XVI, 22 Gen. 1836, concesse a chi lo praticherà per 7 continue domeniche fra l’anno, da scegliersi ad arbitrio, Indulg. Di 300 giorni in ciascuna delle prime 6 domeniche e la Plen. nella settima Confess. e Comunic. — Pio IX in seguito, l Febbr. 1817, confermò le sudd. Indulg. E vi aggiunse indulg. Plen. in ciascuna delle 7 domeniche purché, premesso il sudd. Esercizio, e ricevuti i SS. Sacramenti si visiti una chiesa, pregandovi secondo la mente di S. Santità. La quale ultima concessione lo stesso Pont. 22 Marzo 1847, la estese a favore anche di coloro, che non sapendo leggere reciteranno solamente i 7 Pater, Ave e Gloria, adempiendo però le surriferite condizioni. [Manuale di Filotea del sac. G. Riva, XXX ed. Milano, 1888]

Ench. Indulg. N. 469:

Ai fedeli che davanti ad un’immagine di San Giuseppe, reciteranno devotamente un Pater, Ave, e Gloria con l’invocazione: Sancte Joseph, ora pro nobis, si concede:

Indulgentia trecentorum dierum:

Indulgentia Plenaria s. c. a coloro che avranno piamente perseverato nella recita, ogni giorno per un intero mese (S. Pænit. Ap., 12 oct. 1936).

Ench. Indulg. N. 466:

Ai fedeli che nel mese di MARZO, o per giusto impedimento in altro mese dell’anno, praticheranno devotamente in pubblico, un pio esercizio in onore di San Giuseppe, Sposo della B. V. M., si concede:

Indulgentia di sette anni per ogni giorno del mese;

Indelgentia Plenaria, se praticato per almeno 10 volte nel mese, se confessati e comunicati pregheranno per le intenzioni del Sommo Pontefice.

Se poi nel mese di marzo, sarà praticata privatamente una preghiera o altra opera di pietà in ossequio a San Giuseppe Sposo della B. M. V., si concede:

Indulgentia di 5 anni ogni volta in ogni giorno del mese;

Indulgentia Plenaria, s. c. se si pratica per un mese (S. C. Indulg. 27 Apr. 1865; S. Pæn. Ap., 21 Nov. 1933)

Ench. Indulg. N. 467

Ai fedeli che praticheranno pubblicamente il pio esercizio della novena in suo onore, prima della festa di San Giuseppe, Sposo di B. M. V. si concede:

Indulgentia sette anni per ogni giorno della novena;

Indulgentia Plenaria, se confessati sacramentalmente, comunicati e pregando per le intenzioni del Sommo Pontefice, sarà praticato per almeno cinque durante la novena. Se praticato privatamente, si concede:

Indulgentia di cinque anni per ogni giorno della novena;

Indulgentia Plenaria, suet. cond. al termine della novena, a chi sia legittimamente impedito al pubblico esercizio.  (S. C. Ind. 26 nov. 1876; S. Pænit. Ap., 4 Mart. 1935).

Fac nos innocuam, Ioseph, decurrere vitam,

Sitque tuo semper tuta patrocinio.

(ex Missali Rom.).

Indulgentia trecentorum (300) dierum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, invocation quotidie per integrum mensem pie recitata (S. C. Indulg.,

18 mart. 1882; S. Pæn. Ap., 13 maii 1933).

HYMNI

463

Te, Ioseph, celebrent agmina Caelitum

Te cuncti rèsonent Christiadum chori,

Qui, clarus meritis, iunctus es inclytae

Casto fœdere Virgini.

Almo cum tumidam germine coniugem

Admirans, dubio tangeris anxius,

Afflatu superi Flaminis, Angelus

Conceptum puerum docet.

Tu natum Dominum stringis, ad exteras

Aegypti profugum tu sequeris plagas;

Amissum Solymis quæris et invenis,

Miscens gaudia fletibus.

Post mortem reliquos sors pia consecrat,

Palmamque emeritos gloria suscipit:

Tu vivens, Superis par, frueris Deo,

Mira sorte beatior.

Nobis, summa Trias, parce precantibus,

Da Ioseph meritis sidera scandere:

Ut tandem liceat nos tibi perpetim

Gratum promere canticum. Amen.

(ex Brev. Rom.).

Indulgentia trium (3) annorum.

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, quotidiana

hymni recitatione in integrum mensem producta (S. Pæn. Ap., 9 febr. 1922 et 13 iul. 1932).

– 464 –

Salve, Ioseph, Gustos pie

Sponse Virginis Mariae

Educator optime.

Tua prece salus data

Sit et culpa condonata

Peccatricis animae.

Per te cuncti liberemur

Omni poena quam meremur

Nostris prò criminibus.

Per te nobis impertita

Omnis gratia expetita

Sit, et salus animae.

Te precante vita functi

Simus Angelis coniuncti

In cadesti patria.

Sint et omnes tribulati

Te precante liberati

Cunctis ab angustiis.

Omnes populi laetentur,

Aegrotantes et sanentur,

Te rogante Dominum.

Ioseph, Fili David Regis,

Recordare Christi gregis

In die iudicii.

Salvatorem deprecare,

Ut nos velit liberare

Nostrae mortis tempore.

Tu nos vivos hic tuere

Inde mortuos gaudere

Fac cadesti gloria. Amen.

Indulgentia trium (3) annorum (S. Pæn. Ap., 28 apr.1934).

– 473 –  

Virginum custos et Pater, sancte Ioseph, cuius

fideli custodiæ ipsa Innocentia, Christus Iesus,

et Virgo virginum Maria commissa fuit, te per

hoc utrumque carissimum pignus Iesum et Mariani

obsecro et obtestor, ut me ab omni immunditia

præservatum, mente incontaminata, puro

corde et casto corpore Iesu et Mariæ semper

facias castissime famulari. Amen.

(Indulgentia trium (3) annorum.

Indulgentia septem (7) annorum singulis mensis marti:

diebus necnon qualibet anni feria quarta.

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, oratione quotidie per integrum mensem pia mente iterata (S. C. Indulg., 4 febr. 1877; S. Paen. Ap., 18 maii 1936 et 10 mart. 1941)

-475-

Memento nostri, beate Ioseph, et tuæ orationis

suffragio apud tuum putativum Filium intercede;

sed et beatissimam Virginem Sponsam

tuam nobis propitiam redde, quae Mater est

Eius, qui cum Patre et Spiritu Sancto vivit et

regnat per infinita saecula saeculorum. Amen.

(S. Bernardinus Senensis).

Indulgentia trium annorum.

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodo quotidie per integrum mensem oratio devote recitata fuerit

(S. C. Indulg., 14 dee. 1889; S. Paen. Ap., 13 iun.1936).

– 476 –

Ad te, beate Ioseph, in tribulatione nostra

confugimus, atque, implorato Sponsæ tuæ

sanctissimæ auxilio, patrocinium quoque tuum fidenter

exposcimus. Per eam, quæsumus, quae

te cum immaculata Virgine Dei Genitrice coniunxit,

caritatem, perque paternum, quo Puerum

Iesum amplexus es, amorem, supplices deprecamur,

ut ad hereditatem, quam Iesus Christus

acquisivit Sanguine suo, benignius respicias,

ac necessitatibus nostris tua virtute et ope

succurras. Tuere, o Custos providentissime divinae

Familiae, Iesu Christi sobolem electam;

prohibe a nobis, amantissime Pater, omnem errorum

ac corruptelarum luem; propitius nobis,

sospitator noster fortissime, in hoc cum potestate

tenebrarum certamine e caelo adesto; et

sicut olim Puerum Iesum e summo eripuisti vitae

discrimine, ita nunc Ecclesiam sanctam Dei

ab hostilibus insidiis atque ab omni adversitate

defende: nosque singulos perpetuo tege patrocinio,

ut ad tui exemplar et ope tua suffulti, sancte

vivere, pie emori, sempìternamque in cœlis

beatitudinem assequi possimus. Amen.

Indulgentia trium (3) annorum.

Indulgentia septem (7) annorum per mensem octobrem, post recitationem sacratissimi Rosarii, necnon qualibet anni feria quarta.

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, si quotidiana

orationis recitatio in integrum mensem producta fueri:

(Leo XIII Epist. Encycl. 15 aug. 1889; S. C. Indulg., 21 sept. 1889; S. Paen. Ap., 17 maii 1927, 13 dee. 1935 et 10 mart. 1941).

477

O Ioseph, virgo Pater Iesu, purissime Sponse

Virginis Mariae, quotidie deprecare prò nobis

ipsum Iesum Filium Dei, ut, armis suae gratiae

muniti, legitime certantes in vita, ab eodem coronemur

in morte.

Indulgentia quingentorum (500) dierum (Pius X, Rescr. Manu

Propr., 11 oct. 1906, exhib. 26 nov. 1906; S. Paen. Ap.

23 maii 1931).

LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (14)

LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (14)

LA GRAN BESTIA SVELATA AI GIOVANI

dal Padre F. MARTINENGO (Prete delle Missioni

SESTA EDIZIONE – TORINO I88O

Tip. E Libr. SALESIANA

IX.

LE TROMBE DEL CIARLATANO E PRIMA I GIORNALI.

Voi dunque dovete guardarvi dalle dottrine che spaccia il gran ciarlatano il mondo: e. ciò non solo nei punti, che ho toccato del suicidio e del duello, ma in tutto che dice ed insegna, perché il mondo, per vostra regola, oltr’essere, un gran ciarlatano, è anche un gran pazzo: non basta; ma di ciarlatani e di pazzi ai suoi servigi ne mantiene una baraonda senza fine, che d’ogni parte vi assiepano, vi circonvengono, vi stordiscono, v’intronano … Carro vuoto (dice bene quel proverbio) fu maggior fracasso. E col fracasso appunto, col vociare alto e sonoro, col piglio di gran baccalari, e’ s’ingegnano supplire alla buona ragione che lor manca. Chi ha la ragione dalla sua non ha mestieri di gridar tanto alto: pur pure in mezzo a questo gran buscherio che ci fanno d’attorno, non disdirà anche a noi alzar un tantino la voce, come si fa in una conversazione, quando un qualche trombone ci assorda; che se vogliamo farci intendere, ci è forza anche noi, date le spalle a monna creanza, alzar un tantino il corista. E di tromboni e di trombe il gran ciarlatano ne ha a dovizia, dalle qual v’è d’uopo guardarvi, se no, ne avreste sì intronate le orecchie, che vi ne verrebbe il capogiro. – Prima tromba, cari giovani, sono i giornali; parlo de’ cattivi, s’intende cioè, per nostra disgrazia, dei più e vi domando; lo sapete voi che di venti e più anni questi sono un flagello, una piaga del nostro bel paese, peggiore di tutte insieme le dieci piaghe d’Egitto? Oh potessi dirvi l’un cento del male che fanno a furia di ciarlatanesche strombazzate. –  Platone che dalla sua repubblica volea cacciati i poeti, fu tacciato di soverchio rigore; ma se i poeti d’allora erano come i nostri giornalisti d’adesso, credo che ogni onesto gli batterebbe le mani. A ogni modo togliete pur via i giornali, e statevi tranquilli, che la repubblica letteraria non avrà a patirne detrimento. Ora frattanto, mentre che ci sono, e’ bisogna guardarcene come dal contagio, e voi, miei giovani, se ascoltate il mio consiglio, non li leggerete, non li guarderete nemmeno. Ei vi pervertirebbero in poco d’ora le idee, il giudizio, il buon senso, le idee, il giudizio, il buon gusto … Sì, anche il buon gusto. E che avreste a impararci, in grazia, da quello scrivere contorto, smanioso, barbaresco che fanno i più dei giornalisti, che hanno sempre Italia sulla punta della penna, e non sanno rabberciare a garbo un periodo, esprimere italianamente un concetto, e questo dolcissimo idioma che Dio ci ha dato, che pare un’emanazione del nostro bel cielo, lo sformano, lo snaturano, l’imbrattano a tutto pasto, infarcendolo di solecismi e di barbarismi da spiritarne cani? O povera nostra, lingua; a che mani ci sei venuta! – Per carità, giovani cari, se punto vi cale de’ vostri studi, del buon giudizio, del buon gusto, e sapere scrivere due righe d’italiano, leggete, non osa sì, che fate bene; ma! intendiamoci; buoni libri, si: giornalacci, poi, no, no mai! – E questo che ho detto, notate, è che non ancora il men male. Se dalla lingua passiamo al pensiero, dallo stile ai concetti, dalla scorza al midollo, Dio mio! che idee stravolte! che granchi! che bestialità!… E non è mica sempre facile, ad un giovane specialmente, di accorgersene; perchè in difetto d’altre cose, questi, cosiffatti. Scribacchini hanno sì bene appresa l’arte di falsar le idee, le parole, i nomi stessi delle cose, che uno più non ci si raccappezza. Togliete ad esempio Libertà; chi ne capisce più nulla?… Tolleranza; la levano a cielo, ma poi guai a chi non pensa e dice e fa come loro. Indipendenza; ed essi per primi si danno devotissimi servi alla GRAN BESTIA, e non restano dal lisciarle, la coda.; Amor di patria; eh via! L’udimmo tanto menare e rimenare da certe bocche questo nome così sacro, che ormai un uomo one non osa più proferirlo. – Che se poi, non paghi alla politica, e’ t’entrano, come suol dirsi, in sacrestia, apriti cielo!. spacciano di quelle che non hanno vabbo nè mamma. — Ma e chi son dunque costoro, che ci appestano l’aria? Italiani? Che volete vi risponda?.., In Italia, almeno la maggior parte, sì, pur troppo! ci son nati: ma italiani non oserei dirli davvero; anzi né italiani né Cristiani, che si putono di barbaro e di volteriano a mille miglia. Giovani, il più, di primo pelo, teste intronate che suonano a fesso come le campane rotte, saggiati appena i primi studi, odorato alla larga un po’ d’enciclopedia alla moderna, letto un buon dato di robaccia forestiera, imparati certi paroloni e frasi sonanti da tener a bada il popolino, ecco che s’impancano a maestri d’Italia, anzi di tutto quanto il genere umano: essi gli organi della pubblica opinione, essi gli educatori delle plebi; questo, se nol sapete, il loro apostolato, questa la loro missione. Boom!.. E chi glie ne diede, in grazia? Il gatto ?…. E così, con sì bei titoli e santissimi fini, s’accomodano coraggiosamente nascosti dietro il nome d’un paltoniere qualunque a frecciare non visti il terzo ed il quarto, lanciar la pietra e nasconder la mano, gettare del loro fango su tutto e su tutti…. Giù lo maschera, vigliacchi! Uscite dalla macchia e combattete a viso aperto, se ne avete il cuore!…. Oh quante vergogne di meno, se ci calasse dal cielo un buon governo che avesse coscienza e coraggio di intimar loro: — Volete parlare al pubblico? E voi mostrategli il viso. Ciarlatani,. pazienza; ma ciarlatani camuffati da eroi, non ne vogliamo, non ne vogliamo. — Recatomi un giorno da un amico e non trovatolo in casa, mentre stava aspettandolo, mi misi, così per far ora, a leggere su un giornaluzzo che trovai li, quello che chiamano elegantemente, l’articolo di fondo. Lo scrittore parla solla gravità d’un Catone in Utica, in persona prima plurale, come i grandi personaggi fanno, e trinciava a dritto ed a rovescio, non sol di politica, ma e di filosofia, di teologia; di storia, e di non so quante altre cose: strafalcioni che Dio vel dica! Tornato l’amico: – chi è (l’inchiesi) che scrive di queste babbuassaggini? — Il tal di tale, mi risponde. Non potei tener le risa. Era il più gran lasagnone di questa terra, un giovinastro sciupato che io, anni avanti, aveva avuto scolaro, e so quanto pesava! Ché senza fargli torto, è sempre stato il più asino tra gli asini. Oh vedete, giovani miei, come anche gli asini in questa nostra felicissima età, possono impennar l’ali e volarsene alle stelle! Tant’è; Sic itur ad astra. E mi sovvenne la nota favoletta d’Esopo. —L’asino, coperto d’una pelle di leone, andava attorno spaventando eli animali: e veduta la volpe, volle provarsi a farle una grossa paura anche a lei. Ma la volpe che è volpe: — ti conosco al raglio — e se ne rise, Or di cosiffatti asini, vo? sappiate, miei cari giovani, che ce n’ha un buon dato. Ma io mi starò contento a dirvi di uno che conosco assai bene, camuffato, non da leone, ma da cittadino; il quale, udito ch’era uscito il libretto della Gran Bestia, tratto senza dubbio da simpatia di razza, volle vederlo; ma trovatovi cose che forse non pensava, cioè, che della BESTIA ne dico corna ad ogni pagina, volle pigliarne una sua vendetta. — O quale? Sentite. Mi stampò contro un articoluzzo di poche righe, intitolandolo: Risum teneatis, che vuol dire: si tenga dal ridere chi può. E fece bene a darne avviso al lettore, perché davvero son tutti da ridere gli argomenti che mi sfodera contro. Ne volete sentire?… Sì, ve li copierò tali e quali: è bene che pigliate un’idea della sodezza con che ragionano certi giornali. Attenti.

Argomento. Mi chiama un tal reverendo, non sappiam bene, aggiunge (ehi, sentite plurale? Cavatevi la berretta e zitti!) non sappiamo bene se prete o frate … Balordo! Bastava leggere il frontespizio per saperlo.

Argomento. — Ignoriamo (bravo! È proprio il verbo dell’asino, e messo così al plurale, ha certa maestà!) ignoriamo se il rev. Autore abbia relazione col rev. anonimo che propaga lunari e libri ascetici editi da una società di corvi e gufi per istruire il popolo. — Non vi spaventate, cari giovani, di quei corvi e gufi: son parole e non più; parole d’effetto magico… pei gonzi. Quanto alla sostanza; lo ‘scrittore ignora. Ebbene io gli lascerò la sua ignoranza che gli sta tanto bene, e gli dirò: — Confutate il libro, se vi basta la vista, poi parleremo delle relazioni e dell’anonimo.

Argomento. — Dice che riporta un brano dell’opuscoletto (ahi! Perché sbranarmelo così il poverino!) come prezioso saggio dell’istruzione fornita dagli affigliati (eleganza di moda) della società di s. Vincenzo. — Brrrr!…. libera nos Domine! Ma come il sa egli che sono affigliato, se ignora persino chi io mi sia?

Argomento. — Reca quel tratto o brano del capo XIII, dove: mostro colla Scrittura, coi Padri e cogli interpreti alla mano; che la colpa di Adamo fu in gran parte effetto della stolta condiscendenza d’Adamo alla donna; per indi dedurre che non piccola parte ebbe in essa, e nelle miserie che ne conseguitarono, l’umano rispetto; e finite quelle mie parole, conchiude secco secco così: — O sei un gran pazzo, o un gran citrullo: punto e basta. E grazie del complimento! Che ne dite, cari giovani? Non son proprio le carezze dell’asino? E così avete un’idea delle valide ragioni, o meglio dei raglioni sonori, con cui, in prima persona plurale, con pochi paroloni di civiltà moderna, e con meno fatica, si può confutare, nel secolo decimonono, un buon libro qualunque. Che ne pensate? C’è egli da spaventarsi o da ridere? … Per me, questa volta almeno, do tutte le ragioni alla volpe.

QUARESIMALE (VI)

QUARESIMALE (VI)

DI FULVIO FONTANA
Sacerdote e Missionario
DELLA COMPAGNIA DI GESÙ

Venezia, 1711. – Imprim. Michel ANGELUS Præp. Gen. S. J. – Roma 23 Aprile 1709)

IN VENEZIA, MDCCXI (1711)

PREDICA SESTA

Nella Feria terza della Domenica prima.

Esser necessaria una ferma vigilanza per guardarsi dalle piccole cadute,
che per lo più fanno strada a gran precipizj.


Cathedras vendentium Columbas evertit.
S. Matt. cap. XXI

Sarà sempre degno d’encomj colui che con invenzione non mai abbastanza lodata, fabbricò con tale artifizio, nella gran sala di Dionigi in Siracusa, un meraviglioso orecchio di Saffo, da cui per lunghe ritorte, e piccolissime strade giungeva all’udito del Monarca, assiso nel suo proprio gabinetto, quanto dagl’incauti cortigiani si proferiva. Di questa corte sì, con verità poteva asserirsi ciò che d’altre figuratamente si dice, non v’esser muro che non osservi, angolo che non parli, né trave, né pietra che non accusi, mentre ogni sillaba articolata, ogni accento proferito passava al prodigioso orecchio di Saffo, e da questo saliva all’ orecchio curioso del Re; or sappiate, e non ve ne ha dubbio, che per impedire l’effetto d’opera sì degna, nulla di più vi voleva che tramezzarsi a quelle piccolissime vie un minutissimo grano di frumento. Quanto fu degna l’invenzione di costui nella fabbrica dell’orecchio di Saffo, altrettanto è dannosa l’astuzia del demonio, che con le diaboliche sue invenzioni ha trovato modo con cui render di Saffo l’orecchio dell’uomo alle voci di Dio; e quel che deve deplosarsi a lacrime di sangue è che per impedire questa corrispondenza della voce di Dio all’orecchio dell’uomo, si serve di cose minutissime, di piccoli errori, di cose che tal volta si stimerà vestire innocenza di colombe. No, no, anche queste vuol Cristo che si sbandiscano da noi, perché queste, benché piccole, a poco a poco fan la strada alle maggiori, le quali poi induriscono talmente il cuor del peccatore, che è quasi, dissi, impossibile, che più si ammollisca alle voci Divine. – Piaccia a Dio che le mie fatiche per più d’uno, non siano buttate al vento, griderò, suderò, strepiterò su questo pulpito; ma con qual frutto: vi saranno tra i miei UU. così non fosse, di quelli talmente induriti nel peccato, che per quanto io schiamazzi, ad ogni modo non si arrenderanno alla ragione, non si ammolliranno alle minacce, non si atterriranno ai castighi; finché si potrà dire esser caduta sopra di loro quella spaventosa maledizione, induratum est cor eorum, quasi incus Malleatoris, è divenuto il loro cuore a guisa d’una incudine, che quanto più è percossa, tanto più s’indura; hanno, i meschini, chiuso il cuore alla pietà, l’occhio al Cielo l’orecchio a Dio, a tal segno che, se le chiamate di Dio, o con le interne ispirazioni, o per mezzo di ministri evangelici, durassero cento anni, altrettanti persisterebbero nel rifiutarle. Bisognerà dunque rassomigliare costoro a quelli infelici i quali, quantunque udissero le voci di Dio per mezzo di Noè nel lavoro dell’Arca, ad ogni modo niuno di loro dava un minimo segno di pentimento. Vedevano, è vero, in ogni monte in ogni piano affrettarsi la grande opera, cader selve, atterrate a forza di braccia, sonar sotto il ferro querce di più secoli, ogni bosco della terra trasportarsi in uso d’acqua, intimando lacrime, e pianto quasi ogni selva dicesse, pænitentiam agite, penitenza, o popoli penitenza; ma essi eran sordi. Miravano, è vero, Noè che in età di sei secoli operava con robustezza da giovine, intenta la mano al lavoro, gli occhi al pianto, e, tacendo la lingua, ogni colpo di martello pareva dicesse, pænitentiam agite, penitenza, o popoli, penitenza; ma gli empi seguivano a peccare, peccando in faccia all’arca, prendendo per argomento d’impunità ciò, che doveva esser motivo di penitenza. Voi vi crederete, miei UU. che gli scellerati dopo d’essere stati chiamati da Dio per un secolo intero a penitenza, aprissero finalmente le orecchie per udire, per eseguire? Appunto: v’ingannate; sordi più che mai quelli indegni, non curarono il proprio bene, e vollero piùttosto esser sepolti dalle acque d’un diluvio, che pentirsi. Già m’avvedo, miei UU. che voi dentro del vostro cuore alzate tribunale di giustizia, per condannare costoro a perpetue fiamme, perché, chiamati per cento anni, non si convertirono: Ma piano, non correte alla sentenza, che forse potreste pronunziarla a vostro favore. Quanti anni sono, che Dio vi chiama? Non son cento, perché tanti non ne contate, non saranno cento, perché tanti non ne conterete; quanti dunque, sono venti, sono trenta, cinquanta, sessanta? E in tutti questi anni non vi ha Iddio chiamati con le ispirazioni interne, e con le voci de’ suoi ministri? Quante volte vi siete sentiti dire al cuore, ecce ancillam, non sta bene colei in casa; Quante volte avete udito da’ predicatori, che conviene lasciare tante vanità superflue, immodeste, che bisogna aver più cura de’ figli. Quante volte v’ha detto il confessore, quel compagno non è buono, quel gioco è la vostra rovina, in quel circolo, in quella bettola e si mormora, e si bestemmia, non vi andate: ah Dio, sono anni ed anni, che avete sempre ripugnato à queste batterie, né mai vi sete voluti arrendere; sì, dunque voi siete rei di quelle stesse fiamme, delle quali giudicavi meritevoli coloro che, chiamati da Dio, non vollero salvarsi nell’arca. Se bene dissi poco, allorché pretesi uguagliare il cuore di certi peccatori a quello di costoro; mentre senza taccia posso afferirlo più duro delle pietre. Uditemi, e vi farò toccar con mano quanto vi dico. – Stava l’empio Jeroboamo sacrificando con mano indegna sopra d’un altare di pietra, e già svenava vittime in culto di false deità, e offriva incenso a quelli idoli da se stesso temerariamente fabbricati. Giunse il fetore dell’incenso, e la voce della vittima al Cielo; finché Dio sdegnato ordina con severo comando al Profeta, che si porti al luogo del sacrificio, e ne rimproveri l’ardire. Arrivato colà l’Uomo di Dio, e trovato nell’atto nefando di sacrificare il re, ben conobbe, che il suo cuore alle voci di Dio si sarebbe mostrato più duro delle pietre; acceso per tanto di zelo, rivolto all’altare con volto adirato, e con voce di chi severamente minaccia gridò, Altare, Altare; ah Altare, ah pietre, ah sassi. Olà con chi l’avete, o buon Profeta? rispondete al Boccadoro che v’interroga, con chi ve la prendete, con le pietre, con i sassi? E da quando in qua hanno le pierre orecchio da udire, e voci da rispondere i sassi? Eh sgridate a chi vi può sentire, sgridate Jeroboamo, quid cum Lapide verba facis; Sì, sì, risponde il Profeta, parlo con pietre, perché dalle pietre impari il re ad obbedire alle voci Divine, ut Rex lapidis exemplo sanior fieret; e, o mirabil cosa, sentite, e inorridite, audivit lapis, distractus est, victimam effudit, homo ille non audivit; l’Altare subito si spezzò, si sparsero per terra le ceneri, la pietra sentì la voce di Dio ma non la sentì Jeroboamo. Piacesse a Dio, che qui non vi fosse qualche cuore così duro; ma so bene, che se Mosè tornasse a percuotere con la sua verga le pietre, ne vedremmo scaturire acque larghissime. So bene che, se l’Apostolo San Pietro stendesse nuovamente la mano, sorgerebbero fonti d’acque abbondantissime; ma, se i ministri di Dio batteranno con voci di tuono il cuore d’alcuni, non vi è pericolo che neppure ottengano una stilla di compunzione. Perdonatemi Zaccaria, voi diceste poco, quando parlando della durezza di questi tali, asseriste che: aures suas aggravaverunt, ne audirent, et cor suum posuerunt ut adamantem, ne audirent legem Dei; dovevi assolutamente dire, super adamantem, perché io vedo che vi sarà peccatore che supererà di durezza, non solo il diamante, che è la pietra più forte, ma la stessa durezza. Così è, così è; vi farà, così non fosse, tra i miei UU. chi sarà arrivato a questo segno; e perciò vestitosi della proprietà delle cose più dure, avrà ributtato dardi, verso di chi li lanciò. Scoccate saette su l’elefante, e vedrete, che invece di ferirlo, gli cadranno morte ai piedi, tanto egli è duro di pelle; ma, se le scoccherete in un feudo di bronzo concependo questo nella durezza del metallo un nuovo impeto, risalteranno contro la mano che le avvento’. Or dovete sapere, che il cuore di certi peccatori arriva a questo segno di durezza, che non solo resiste alla bontà di Dio, ma di più gli si rivolta contro, peccando tanto più fieramente quanto più Dio gli aspetta a pentirsi. V’ha Iddio prosperato con l’abbondanza de’ beni temporali, e voi, invece d’impiegare il danaro a ricomprarvi dalla servitù del demonio con limosine, con opere pie, in che l’impiegate? In giochi, in feste, in balli, sarebbe poco; l’adoperate in raddoppiar le vostre catene, giacché ve ne servite per vestirvi più sfacciatamente, e per tirare all’inferno con la vostra, l’anima di tanti incauti; l’impiegate in mantener quella mala pratica; l’impiegate in donativi, insidiando alla altrui onestà, e se Iddio, Medico pietoso muterà modi, per usarli tutti ad effetto di curarvi, e perciò permetterà che vi si susciti contro una fiera lite, che v’assalisca una febbre acuta, non per questo si ammollirà il vostro cuore; ma invece di baciare la mano Divina, la morderete fieramente, come frenetici, bestemmiando il Nome Sacrosanto del Redentore, e v’inoltrerete a tacciare la provvidenza d’un Dio; in somma per voi gli antidoti diverranno veleni, e le occasioni di ravvedervi si cambieranno in motivi di perdervi, e vi perderete, così non fosse, se non corrispondete alle chiamate divine. Come appunto si perdé quell’infelice nobile nella città di Toledo, al quale, perché era sempre stato sordo alle voci di Dio, Iddio turatesi, visibilmente staccate le mani da’ chiodi, le orecchie, gli disse con voce spaventosa alla presenza di molta nobiltà, vocavi, renuisti, ego quoque in interitu tuo ridebo; e quella voce, fu un fulmine, che appena uscita da quella immagine cacciò l’anima infelice da quel corpo scellerato, e fulminatala la seppellì nell’inferno. Cari miei UU. se voi non sfangate sollecitamente da quei vizi, se voi di proposito non date orecchio a quanto vi dico a nome di Dio, voi diverrete sempre più duri, con timore ben fondato, che neppur in punto di morte vi ammolliate, ritorniate a Dio. – Confesso il vero, che se piango la disgrazia di chi vive sì duro alle divine chiamate; m’inorridisco altresì alla riflessione dell’origine d’un tanto male. Sappiate miei R. A. che questo fiume sì spietato di colpe, annidato nel cuore di questi scellerati, non sboccò già dall’oceano; né vi crediate che per cagionare un diluvio sì spaventoso si aprissero le cataratte del cielo; v’ingannate se vi credete che per inondare l’anima con tante iniquità d’un peccatore duro di cuore si rompessero gli argini de’ fiumi, ed i lidi del mare; appunto. Tenuissimi furono i principii che a poco a poco hanno condotta quell’anima miserabile ad esser sorda e dura di cuore alle divine chiamate; fu un occhio non custodito, un guardo piuttosto curioso che immodesto; fu una piccola parolina non tollerata, un risentimento non represso, un poco d’ambizione, un piccolo interesse, un vil guadagno: questi furono i principii della durezza sì eccessiva di tali peccatori; bisogna dunque guardarsi di non cadere in piccoli mancamenti, perché questi fan la strada a precipizj orrendi. Vediamo di grazia questa verità in un singolarissimo esempio delle Divine Scritture. Le tribù ebree avevano richiesto a Dio qualche re che, invece di giudici, assistesse al governo loro: condiscese Dio alle istanze, e gli concesse Saul, il quale, quanto era vile di nascita, tanto era ricco di virtù. Samuele fu quello che l’unse, e lo pubblicò per re; e doppo gli disse: va’ in Galgala, dove arrivato m’aspetterai per sette giorni, dentro i quali io verrò per sacrificare, Septem diebus expectabis, donec veniam ad te. Obbedisce Saul, l’aspetta, ma già correva il settimo giorno, e Samuele non si vedeva: stavasene Saul tutto sopra pensiero, né sapeva a qual partito apprendersi; voleva aspettar di vantaggio, ma l’esercito nemico lo sfidava a battaglia e le vittime eran pronte per immolarle. Si risolve dunque Saul, giacche è vicina la sera del dì prefisso, d’offerire egli stesso il sacrificio, come pure venivali permesso dalla legge in assenza del Sacerdote: ma che, appena egli ebbe involate le vittime, ed ecco giunge Samuele, e rivolto à Saul: ah sfortunato, gli dice, che hai fatto? quid fecisti, non mi hai aspettato? lo vi ho aspettato, ripigliò Saul, più che ho potuto; ma non potevo più trattenermi, merceché i Soldati nostri chiedevano la Battaglia, ed i Nemici la minacciavano; e perché stimai scelleratezza uscire in campo prima d’aver placato il Volto Divino, per questo sacrificai. Sì eh, misero te, stulte egisti; or sappi che, per non avermi tu pazientemente aspettato, Iddio non vuol perpetuare il tuo scettro sopra del suo popolo, come avrebbe fatto, se tu m’avessi aspettato. Ed è pur vero, miei UU. che Saul per questa azione non solo perde’ il Regno, ma la virtù, la grazia, l’anima, il Paradiso; non precisamente per questa azione scusata da molti per colpa grave, ma per questa azione, che lo dispose alla perdizione. Or, se la rovina di Saulle dipende da una cosa, che per sé stessa era buona, che sarà di quelle occhiate? Guardatevi dunque da’ piccoli principii. Quali furono quelli principii, che han condotto quella donna a non si vergognare di comparir per le strade come madre, mentre mai fu sposa? Un’occhiata, un saluto, una veglia. Quali principii condussero quella donna ad esser corriera di lettere, segretaria di biglietti, mezzana a prostituire l’innocenza? Un saluto, un fiore portato a quella donzella. Chi ha condotto quella maritata a mancar di fede, quella vedova al male? Quella libertà di scherzar con gli uomini che pareva innocente; chi ha condotto quel miserabile a segno che scordato de’ figli, della consorte, vive
in braccio alle lupe? uno sguardo, un saluto … Quali principii hanno avuto quelle bestemmie che si vomitano nelle bettole, ne’ giochi, nelle strade? da piccoli giuramenti: così è, così è! Le spine dell’istrice, da principio sono come peli; ma col tempo diventano dure al pari degli strali. Non occorre altro, basta una piccola goccia d’acqua che dal tetto grondi in cala, perché, trascurata, atterrerà le fabbriche che resistono a’ fulmini; basta una piccola scintilla a destar la morte addormentata sotto le polveri di munizione. Abramo trovato che ebbe Iddio, inesorabile al perdono del fuoco, nella provincia di Pentapoli, si portò nel giorno seguente in luogo discosto per rimirare l’esecuzione del divino castigo, e argomento’ il principio di quella orribile tragedia da una favilla, che dalla terra vide salire in aria, intuitus est Sodoma, et Gomorram, et universam terram regionis illius, viditque ascendentem favillam de terra . Non vi meravigliate, dice San Girolamo, che da una scintilla arguisse un sì grande incendio; ed è vero, che, scintilla parva res est; ma si fomitem comprenderit mænia, urbs, regionesque comburit. Considerate di grazia quella scintilla che risalga subito da una selce percossa dal fucile, e riflettete che il suo essere consiste in un briciolo di fuoco, che appena nato muore; e che altro non ha per misura della sua nascita, della sua vita, della sua morte e sepoltura, se non un istante. Or io vi dico, alzare un poco con gli astrologi la natività a quella piccola scintilla, e siate sicuri di trovar cose grandi: Incontri questa favilla alimento da pascersi, ed ecco che ingrandisce con la morte di quanto gli si oppone; cresciuta poi, si rende formidabile, incenerendo selve, distruggendo città, mœnia Urbs, regionesque comburit. Ecco dove è giunta quella scintilla, quel parto, di cui il mondo non ha più piccolo. Ario, Ario, e dove mai ti portò quella piccola scintilla d’ambizione? Ella ci condusse a divenire, di figlio, parricida crudele della Chiesa Romana, a por la bocca temeraria in Cielo, negando la Divinità del Verbo Incarnato; questa tua piccola ambizione tolse dalle bandiere di Cristo tanti popoli e li portò ad arrolarsi sotto quelle di lucifero. Questa insomma fece sì gran male che basterà dire con San Girolamo, che: ingemiscens Orbis terrarum, se Arianum esse miratus est; ah, che il mondo tutto dirottamente pianse, nel mirarsi infettato da peste ariana, e nel vedere ormai incenerita la Fede Cattolica da un eretico incendio; onde concluse il santo Dottore: Arrius in Alexandria una scintilla fuit, sed quia non statim oppressa ejus favilla, depopulata est totum Orbem. Non occorre altro, bisogna guardarsi dalle piccole cose; per atterrar quel gran colosso di Babilonia nulla più vi volle d’un piccolo sassolino. Sovvengavi di quella gran statua di Nabucco che figureggiava con capo d’oro, con braccia d’argento, con petto
di bronzo tutta nobile, forte e robusta; Chi l’atterrerà? Chi la rovinerà? Si stacca un piccolo sassolino dal monte, percuote i piedi, che erano di creta, ecco a terra la statua, ecco confuso il tutto. Ahi quanto spesso avviene; chi ha denigrato lo splendore di quell’oro in quel cavaliere tanto stimato? un piccolo genio che troppo s’inoltrò. Chi quella dama? E non mi state dunque a dire: che male è guardare? O dire una parola uomini, donne, quanti siete, che così parlate, io vi rispondo che, se tutto il male si ferma in quel guardare, in quel parlare io vi rispondo e replico, che non ho che dire; ma il male è, che non si ferma qui, e se comincerete in questa forma, con questa piccola libertà, intendetela, non vi fermerete qui, si passerà alla amicizia, s’inoltrerà la domestichezza, s’arriverà à perdere tutto il candore, e lustro della innocenza e pudicizia; intendiamola, non bisogna dire che cosa è, che male è guardare, parlare; ditemi, che cosa è l’ovo d’un aspide, certo, che non si muove, non morde, non avvelena; è vero, e se rimanesse sempre ovo non farebbe mal niuno; ma, se un poco di caldo lo fomenta, voi vedrete, che da quell’uovo bianco nella sua scorza, freddo di sua natura, senza denti, senza veleno, ne nascerà un serpente sì pestifero, che avvelenerà quanti toccherà. Se quell’uomo sarà troppo libero nel trattare, nel guardare, nel parlare, scorgerete ben presto come queste piccole cose produrranno aspidi mortiferi, micidiali per l’anima. – Tornate ora a dire, che cosa è un piccolo principio, mentre porta seco tante rovine? Non si creda alcuno di poter principiare, e poi porre una colonna stabile, e dire: non plus ultra. La rovina di Sansone da che ebbe principio? Egli si lasciò uscir dagli occhi un sguardo, vidi mulierem de filiabus Philistinorum; voi qui mi replicate, e che male è una occhiata? Ma udite, appena disse “vidi”, che subito soggiunse: placuit oculis meis; una piccola occhiata concepì un grande amore, e dall’amore d’una Filistea nacque l’odio de’ Filistei, e la morte di Sansone. Chiede da voi il demonio un cantoncino … am mettete, vi dice, quel pensieruccio che passa per la mente volando. Avvertite di non vi lasciare ingannare dalla picciolezza, poiché entrato che sia il pensiero, crescerà in concupiscenza, si avanzerà in desiderio, verrà all’opera, si passerà alla consuetudine, all’abito, alla ostinazione, e questa caccerà dal vostro cuore tutta l’osservanza della Legge Divina e l’indurerà di modo che sarà quasi dissi, impossibile l’ammollirlo. Nolite, nolite, grida l’Apostolo, locum dare diabolo, perché, come commenta il Crisostomo, enim introjerit, cuncta dilatat, amplificat sibi; guardate, dice l’Apostolo Paolo di non dare luogo, benché piccolo, nel vostro cuore, al demonio, perché, vi assicura il Boccadoro, che, entrato, non uscirà, e, se non esce, siete perduti in eterno.
LIMOSINA
Vi raccomando la limosina; credetemi, UU. che con Dio v’è un bel trattare onde cercate pure quanti banchi mai volete, niuno è più fruttuoso, né  più fedele della limosina, feneratur Domino, qui mieretur pauperis: mi dirà taluno, io non vedo questi guadagni; è vero, voi non li vedete, perché Dio ha vari modi da donare il suo, senza che neppure se ne accorga chi lo riceve; talora in premio della limosina fatta, vi conserverà la sanità; vi farà vincere quella lite, leverà di mente al vostro avversario di suscitarvela, spingerà altrove una nuvola gravida di tempeste, che volava a desertar le vostre possessioni; farà che vi avvediate dalle insidie de’ nemici …

SECONDA PARTE

Per conferma di quanto vi ho detto, voglio parlarvi con la nobile riflessione nata nell’ingegno fecondo di Sant’Isidoro, da cui conoscerete che , sì il precipizio d’un’anima, come la salute della medesima, dipende, come in radice, da piccolissime cose. Supponete dice egli, che io voglia far buono uno di voi; non vi crediate già, che io sia subito per dirvi, portatevi da quello ammalato, e succhiatene, a similitudine d’un Saverio, la marcia dalle sue posteme, no; ma vi esorterò à visitare tal volta i pubblici spedali, e, con compatire gli infermi, benedire Dio, che vi liberò a tanto male. Io non vi dirò, che ritirati subitamente da’ parenti, ed amici, abbandoniate le case, e vi mettiate con lo Stilita sopra d’una colonna, per ivi alle intemperie dell’aria purgare i delitti della vostra vita passata, o questo no; ma bensì vi esorterò à ritirarvi per breve ora una volta fra il giorno, per pensare all’altra vita, all’anima vostra, che è il maggiore interesse che abbiate. Certo, che, se io volessi farvi Santi, non pretenderei farlo subito; e perciò non ricorrerei alla vita per strapparvi di dosso l’abito, e vestirvi d’un sacco, ad imitazione di Francesco d’Assisi; ma solo vi mostrerei i Poverelli, immagini di Cristo, e vi esorterei a dispensar qualche limosina, insomma comincierei ad animarvi alla pratica di cose piccole perché passo passo voi poi arrivaste ad eguagliare i gran Santi. Volete vedere, che da piccoli principii ne dipenda talora una gran santità; contentatevi, che io vi porti quel bello avvenimento descritto da Sant’Agostino. Si tratteneva, dice il Santo, l’Imperatore Teodosio nella città di Treveri a rimirare i famosi giochi del Circo; Quando due cortigiani si appartarono da quello spettacolo, e non sapendo ciò che fare, s’incamminarono unitamente fuori della mura per godere la vita innocente della campagna, passarono d’una in un’altra strada, d’un ragionamento in un altro, finché giunsero spensierati in una boscaglia, dove sotto ruvida casuccia abitavano alcuni penitenti romiti. Entrarono per curiosità in quel tugurio, mentre come suol farsi, ammiravano le angustie della abitazione, e la scarsezza de mobili; videro un libro assai lacero sopra d’un tavolino. Uno di loro il piglia, l’apre, e si avvede contenersi in esso le azioni del grande Antonio; legge prima per curiosità e poi per diletto, e indi sente infiammarsi alla imitazione. Quando all’improvviso avvampando nel cuore d’un amor santo, e nel volto di un vergognoso rossore, proruppe in un sospiro e disse al compagno: poveri noi, che seguitiamo una strada sì diversa, che pretendiamo noi con tanti servizi, con tanti corteggi, e umiliazioni, nulla di più potiamo sperare, che d’essere in grazia del principe, e quando ancor v’arrivassimo, che avremo noi fatto? avremo cambiata servitù con servitù, non ci mancheranno odj, invidie, persecuzioni, e calunnie. Ed è pur vero, che per divenir amico di Dio, basta il volerlo, niuno potrà mai torcelo, amicus autem Dei, si voluero, ecce nunc fio, e tornato a fissar gli occhi sul libro, quasi come fuori di sé, batté la mano sopra la tavola, e rivolto al compagno, amico disse, io ho stabilito di non partir di qui, per qui consacrarmi del tutto a Dio, se voi non mi volete seguire, almeno non mi sturbate. Come, ripigliò l’altro commosso da tale esempio, no, no, che non voglio a voi lasciare il Cielo, e per me prender la terra; o ambedue alla reggia, o ambedue in questo tugurio. Così dissero, e risoluti di non tornare all’Imperatore, dentro d’un foglio gli mandarono l’avvio della loro determinazione, e deposti subito gli abiti del secolo, e gli ornamenti di cavalieri, si copersero di sacco, si cinsero di fune, si racchiusero in una cella e ivi sconosciuti al mondo trionfarono del mondo e conquistarono il Paradiso. Or ditemi, questa santa risoluzione, quella vita condotta sì santamente, colma di tante opere buone, da che ebbe principio? Non da altro, che dall’essersi ritirati da uno spettacolo, se non si partivano da quello spettacolo, non giungevano a quel romitaggio, non leggevan quel libro, non lasciavano il mondo. La vostra salute può dipendere appunto dal non intervenire ad una comedia, ad una veglia, ad un ballo ove, se v’anderete, quantunque forse potiate farlo senza colpa, può esser che sia principio di vostra perdizione. – Così è, cosi è; perché dovete sapere, che quanto io farei per farvi Santi, e rendervi perfetti, altrettanto pratica il demonio per farvi reprobi: egli vi vuol condurre alla perdizione a poco a poco vuol che cominciate la vostra dannazione con leggeri mancamenti, perché con questi è sicuro di farsi scala agli altri. Sa bene il demonio, che molti di voi non han per anco perduto affatto il timor di Dio; e perciò portate qualche rispetto alla vostra coscienza. Onde è che astuto, non vi stimola sul bel principio alle laidezze più nefande, ai sacrilegi più orribili, agli omicidi più detestabili, perché sa, che, forse in solo udire una tal proposta vi inorridireste; ma che fa? Vi consiglia ad amoreggiare, vi induce a quella irriverenza alle Chiese, a risentirvi di quel leggero affronto, cose, che a voi non pajano niente; ma infatti sono l’avanguardia dei misfatti più enormi. Non vi condurrà già il demonio su l’altezza d’un scoglio, alla riva del mare, dicendovi gettativi giù, precipitativi in quelle acque, perché sa, che inorriditi ributterete le sue indegne proposte; ma, perché voi un giorno v’immergiate in quel mare d’iniquità, che egli disegna, farà che un compagno vi conduca ad un ballo, ad una conversazione, vi suggerisca l’usar un poco più di vanità nel vestire; tanto gli basta, per potervi poi avere ad ogni più libera dissolutezza. Queste sono le astuzie del demonio, con queste precipita le anime; state attenti miei UU. e guardatevi accuratamente da piccoli principii. Il buon pilota non aspetta il furor della tempesta per mettersi in ordine a resistere; ma gli basta di vedere i primi principii, o nel salto de’ delfini, o nel fumar de monti, perché in questi ben riconosce le agitazioni mortali del suo legno per i bollori del mare adirato. Cristiano, saresti senza cervello, se tu solo ti ritirassi dalla tempesta quando a Cielo aperto precipita in terra, e non quando te la minacciano i tuoni, e quando te ne portano certi indizi, quei lampi di sguardi, quei nuvoli d’affetti: se tu scherzi, se tu burli, se tu non smorzi il fuoco quando con poche lingue gridando ti sveglia, ma aspetti superarlo quando per i tetti volerà infuriato, tu vi resterai incenerito. Intendetela; se non vi farete scrupolo di certe amicizie, se discorrerete domesticamente, v’ingolferete ne vizj con poca o quasi niuna speranza d’uscirne. O quanti, o quanti pagano con morte eterna i primi trastulli di quell’amore che credevano innocente, quanti ardono nelle fiamme, perché non ripresero quelli sdegni nascenti, che non stimavano nulla; quanti piangono con lacrime di dannati i piccoli errori della lingua. Quante femmine ora bruciano nell’inferno per le loro vanità scandalose, che non ebbero altra origine d’un trattenersi allo specchio. Tacete, o Cristiani, non vi lusingate con dir più, e che cosa è dare uno sguardo dir una parola, andare a veglie, ecc.? Son principii, che pajono innocenti, ma portano à rovine; aprite gli occhi, e correte pronti ai primi rumori, acciocché il demonio scacciato subito, non abbia ardire di più molestarvi, e vi salviate.

QUARESIMALE (VII)