VIVA CRISTO RE (18)

CRISTO-RE (18)

TOTH TIHAMER:

Gregor. Ed. in Padova, 1954

Imprim. Jannes Jeremich, Ep. Beris

CAPITOLO XXII

CRISTO, RE DELLA DONNA

All’inizio del quinto secolo dopo la nascita di Nostro Signore Gesù Cristo, Roma stava attraversando giorni luttuosi: dopo essere stata devastata dalle migrazioni di vari popoli, le truppe di Alarico avevano infine depredato la città, un tempo potente, lasciandola nella miseria dei mendicanti. I nobili pagani rimproverarono aspramente i Cristiani. “Voi siete la causa di tutto questo”, dicevano. “Noi? -, disse Sant’Agostino nel suo libro De civitate Dei, “noi, per aver abbattuto gli idoli? Al contrario: è perché ci sono ancora troppi idoli, perché voi credete ancora in essi. Per questo ci è capitata la disgrazia”. – Anche il mondo moderno scricchiola: è perché siamo Cristiani? Al contrario: perché non lo siamo, perché non seguiamo abbastanza Cristo. L’umanità, la società, la famiglia moderna hanno ancora troppi idoli. L’idolatria continua intorno a noi, abbiamo criteri pagani, abbiamo un concetto di vita completamente pagano, idolatriamo i piaceri, alla maniera dei gentili; per questo il mondo sta crollando. Abbiamo già visto nei capitoli precedenti dove andrà a finire l’umanità se si separerà da Cristo. Ora arriviamo ad un argomento nuovo e molto importante. Tratteremo la grande questione della donna, con questo titolo: Cristo, re della donna. – La “questione della donna” è senza dubbio uno dei problemi più banali del nostro tempo: il medico, il politico, il sociologo, il teatro, la letteratura parlano della donna; anche il Sacerdote deve parlare della donna. Esaminiamo il concetto di Gesù Cristo e della sua Chiesa nei confronti della donna. Vorrei chiarire due punti: I. A che punto è arrivata la donna con Cristo e II. Cosa ne sarebbe della donna senza Cristo.

I

Che cosa deve la donna a Cristo? Basta guardare la sua sorte prima che il Verbo si facesse carne: che vita umiliante aveva persino nella colta società greca! È noto che la maggior parte degli abitanti della Grecia era costituita da schiavi. Poiché agli schiavi era generalmente vietato sposarsi, ciò significava che la maggior parte delle giovani greche non poteva sposarsi. Pertanto, ciò che le aspettava era uno spaventoso degrado morale. E se una schiava si sposava, il suo matrimonio poteva essere sciolto a piacimento del padrone. La condizione delle donne delle classi superiori non era migliore. Il giovane greco era arricchito da tutta la cultura spirituale del suo tempo, mentre le ragazze sapevano solo ballare e cantare. Data questa grande differenza spirituale, non era possibile per l’uomo e la donna avere un rapporto ed un’unione perfetta, quella completa armonia senza la quale non è possibile una vita coniugale felice. Non è possibile una convivenza coniugale felice. Soprattutto se consideriamo che non è stato il giovane a scegliere la moglie, ma il padre. – E la situazione della donna nel matrimonio? Aveva un alloggio separato in casa e non poteva lasciare la dipendenza dalle donne, se non per le pratiche religiose; c’erano guardie speciali perché la donna non potesse mai uscire di casa. Quando il marito voleva divorziare, era libero dalla moglie. La moglie non poteva stipulare contratti d’affari, non poteva comprare, non poteva servire come testimone. Quando rimaneva vedova, il figlio maggiore era il suo tutore. Trovava almeno la sua gioia nei figli? Nemmeno in loro. Il padre aveva il diritto di decidere, il quinto giorno dopo la nascita del bambino, se voleva accettarlo o se preferiva mandarlo via a morire di fame. E quando il bambino era malato o il neonato era una femmina, non era difficile per il padre prendere una decisione in merito. Oggi è più difficile per la casalinga scegliere quale gattino tenere tra quelli appena nati. È spaventoso, ma è così che era. La donna greca non aveva dignità, non aveva libertà, non era amata e veniva privata di ogni tipo di diritto. Che il popolo greco, all’apice della sua cultura, sia rimasto indietro in termini di umanità e di elevazione morale, non lo attribuiamo al popolo stesso, ma alla meschinità umana, che vacilla nelle tenebre se non è illuminata dalla luce di Cristo. – E se questa era la sorte delle donne presso i popoli più civilizzati dell’antichità, cosa possiamo aspettarci dai popoli barbari? Possiamo meravigliarci che gli uomini si comprassero le mogli a vicenda e che il padre vendesse la figlia al pretendente? Che fosse in voga la poligamia? Che tutto il peso del lavoro fosse scaricato sulle donne? Buia, molto buia era la notte della donna prima di Cristo! E questa notte buia viene improvvisamente illuminata dalla debole luce della stella di Betlemme. Cristo sta arrivando; gioite, tutti voi oppressi, tutti voi peccatori, i poveri, i bambini, le donne…; gioite! Che cosa deve la donna a Cristo? In primo luogo, che l’uomo si sia degnato di parlarle come ad una persona di pari livello. Questa proposta non deve sorprendere nessuno. Agli scribi e ai dottori giudei era vietato parlare con una donna, anche se era loro sorella. Nostro Signore Gesù Cristo ha infranto questa regola umiliante. Cosa ci dice la Sacra Scrittura nel descrivere la scena in cui Gesù Cristo parla con la Samaritana? Quando i discepoli tornano dalla città e trovano il Signore che parla con la Samaritana al pozzo di Giacobbe, la Sacra Scrittura dice: “I suoi discepoli si stupirono che egli parlasse con quella donna” (Gv IV, 27). Ma il Signore non ne fu turbato e questo fu un passo decisivo a favore della valorizzazione e dell’emancipazione della donna. Ci sono, inoltre, le bellissime parabole del Signore, in cui ricorda così spesso in tono affettuoso i dolori, le sofferenze e le fatiche della donna. Socrate, il grande saggio, quando iniziava a parlare di filosofia, faceva uscire le donne dalla stanza, perché non disturbassero la saggezza degli uomini; invece Cristo, la luce del mondo, salutava con gentilezza le donne del suo pubblico. Cristo, la luce del mondo, ha salutato con benevolenza le donne del suo pubblico, le madri, dando così l’impressione che anche loro hanno un’anima immortale di valore pari a quella degli uomini. Cristo è davvero il Re delle donne. E devo ricordare altre azioni del Signore, e devo sottolineare ancora di più il cuore amorevole di Cristo? Guardiamolo, allora, quando risuscita il figlio della povera vedova di Naim; quale compassione deve aver provato per quella madre piangente! Guardiamolo quando, sotto il fuoco degli sguardi scandalizzati dei farisei, parla amorevolmente alla Maddalena pentita, così vergognosa delle sue colpe; quale compassione deve aver provato per lei! Ascoltiamo come confonde l’orgoglio dei farisei mentre trascinano la donna peccatrice in piedi per essere lapidata; con quale amore perdonante le parla! E guardiamolo quando, portando la croce e coperto di sangue, nel momento in cui avrebbe avuto più bisogno di conforto, dimentica se stesso e consola le donne che piangono. Oh, dobbiamo ancora insistere su ciò che le donne devono a Cristo, che le scelse, quelle che erano andate a visitarlo al sepolcro, per essere le prime a sapere che era risorto e per portare tale lieta novella agli Apostoli? – E come Cristo ha rispettato le donne, così ha fatto la Chiesa, il Cristo mistico che continua a vivere in mezzo a noi. È impossibile enumerare la ricchezza delle benedizioni che scaturiscono dall’atteggiamento della Chiesa nei confronti delle donne. Già nei primi secoli del Cristianesimo la Chiesa si servì delle donne, che Dio aveva dotato di qualità meravigliose, per esercitare ovunque la carità cristiana in tutte le sue manifestazioni; inoltre, nel Medioevo permise loro di entrare nelle accademie. Pertanto, l’educazione spirituale, l’istruzione e l’elevazione delle donne non è un’opera dei tempi nuovi, ma del Medioevo cattolico, al quale viene dato l’ironico appellativo di “oscuro”. Abbiamo dati che lo dimostrano. Ne abbiamo la prova da quanto Rousseau scriveva a D’Alembert e gli diceva che le donne non possono avere né talento né senso dell’arte; quando Kant proclamava ai quattro venti che a una donna basta sapere che al mondo ci sono altri universi e altre bellezze oltre a lei; già allora, e anche molto prima, nel XII secolo, la Chiesa aveva promosso le donne a cattedre nelle Università di Salerno, Bologna e Padova. – È stato Gesù Cristo a mostrare per primo la bellezza dell’anima femminile, ed è grazie a Cristo che la donna è diventata ciò che è oggi: una compagna dell’uomo, una consorte di pari grado con lui. Solo il Cristianesimo ha riconosciuto come nessun altro la bellezza dell’anima femminile – la Vergine Maria ne è il massimo esempio – e le straordinarie qualità di cui Dio le ha dotate: grande cuore, tenerezza, bellezza, capacità di dedizione e di sacrificio, delicatezza d’animo, fine sensibilità per la cura delle persone, soprattutto dei più piccoli e dei più deboli, ecc.

II

Ma a questo punto del nostro ragionamento ci viene in mente un’altra importante domanda: questo altissimo concetto di donna vive nella coscienza dell’uomo moderno, e soprattutto nella coscienza della donna stessa? Ed è con dolore che notiamo che l’alto concetto cristiano, spesso per colpa delle donne stesse, sta perdendo sempre più il suo contenuto e suona sempre più come una frase vuota di giorno in giorno. Un filosofo disse una volta che una frase altisonante è come una nocciola svuotata; cioè è un guscio senza nocciolo, un nido senza uccello, un guscio di lumaca, una casa senza abitante. Con dolore dobbiamo constatare che anche l’ideale di “donna” rischia di non essere altro che una di queste frasi vuote. Nel mondo cristiano la donna significava qualcosa di sublime; oggi ha perso molto del suo antico significato e del suo pieno contenuto. Sono in voga tre concezioni della donna: una è fondamentalmente umiliante; l’altra, superficiale; la terza è la concezione seria, cristiana. La prima – la più umiliante – è la concezione che ancora rimane dell’antico mondo pagano. Voglio solo citare un esempio molto tipico. Lo Scià di Persia si recava spesso a Karlsbad, per godere delle magnifiche terme, ed era ovvio che, all’arrivo, le sue numerosissime mogli venissero portate in auto chiuse dalla stazione all’albergo, vi rimanessero chiuse per tutto il tempo e, al momento della partenza, venissero nuovamente portate in auto chiuse alla stazione. Una vita per le donne peggiore di quella dei segugi. A cosa arriverà la donna senza Cristo! Perché una concezione così vergognosa della donna non è purtroppo un’esclusiva dello Scià di Persia o degli sceicchi musulmani. Molti uomini, che si definiscono moderni, vedono nella donna nient’altro che un oggetto di piacere, una deliziosa bambola da intrattenimento; qualcosa da usare e da buttare, come è evidente dal gran numero di madri nubili nella società, vilmente ingannate da uomini che dicevano di amarle; o è evidente dal gran numero di divorzi che hanno luogo, in cui l’uomo spesso ripudia la moglie perché ha perso l’attrattiva che aveva da giovane. – Qual è il criterio del Cristianesimo in questa materia? Esaminiamolo con attenzione; vediamo cosa contiene l’Antico Testamento riguardo all’uomo e alla donna. Dopo la caduta dei nostri primi genitori, abbiamo sentito le parole del Signore: “Poiché hai obbedito alla voce di tua moglie e hai mangiato dell’albero di cui ti avevo proibito di mangiare, sia maledetto il suolo per causa tua: con grande fatica ne trarrai cibo per tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi produrrà per te…. Mangerai il pane con il sudore della tua fronte, finché non ritornerai al suolo… perché polvere sei e in polvere ritornerai” (Genesi III, 17-19). Questa è la missione dell’uomo, secondo il comando di Dio. Noi uomini dobbiamo scavare la terra, lavorare duramente. Scaviamo il ferro e il carbone dal fondo delle miniere; gestiamo la vita industriale e di fabbrica; seminiamo e raccogliamo il raccolto; estraiamo la pietra e costruiamo le case; costruiamo ponti sui fiumi potenti, perforiamo le rocce per formare gallerie, scaviamo la terra per fare il canale…. Vedete qui: secondo la volontà di Dio, l’uomo è l’operaio del mondo. E la donna? Ascoltiamo le parole del Signore: “Non è bene che l’uomo sia solo: gli farò un aiuto adatto” (Gen, III-18). E Dio creò la prima donna, ricavandola dalla costola dell’uomo. E l’Eterno continua, dopo la caduta: “Farò in modo che le tue fatiche siano tante quante sono le tue gravidanze: partorirai figli con dolore. Sarai attratta da tuo marito ed egli dominerà su di te” (Gen. III, 16). Questa, ovviamente, non era la volontà di Dio; questi sono i frutti del peccato, cioè dell’egoismo. Che cosa dobbiamo pensare della donna? Dobbiamo chiederlo a Colui che l’ha creata. “Le darò un aiuto adeguato”. La donna, dunque, è l’aiuto e la compagna dell’uomo. Come può aiutare l’uomo? Soprattutto utilizzando le qualità che Dio le ha dato per svolgere determinati compiti, attraverso la sua funzione di madre e di educatrice dei figli. È responsabile soprattutto della cura della casa, della cura dei bambini, della cura dei malati. Il lavoro duro è compito dell’uomo; per la donna è soprattutto la cura dei figli e i lavori domestici. Può dunque esserci uguaglianza tra uomini e donne? Sì; davanti a Dio, la donna e l’uomo sono completamente uguali in dignità: entrambi hanno un’unica anima e un unico fine eterno, ricevono gli stessi Sacramenti, anche se in parte hanno qualità diverse. – L’uguaglianza non consiste nel fatto che la donna cerchi di imitare in tutto ciò che fa l’uomo. No, no, questa non è l’uguaglianza voluta da Dio! Come faccio a saperlo? Lo so perché Dio è il Dio dell’ordine; e non ci sarà ordine finché non ne comanderà uno solo. Non ci possono essere due teste in casa. Pertanto, la donna – non per merito suo, ma per volontà di Dio – è l’aiutante dell’uomo e, in quanto tale, è al secondo posto nell’ordine sociale. L’Antico Testamento ci insegna questo. –  E cosa ci dice il Nuovo Testamento? Innanzitutto, insegna che la donna ha la stessa dignità umana dell’uomo. “Perché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. E non c’è più distinzione tra Giudeo e Greco, tra libero e schiavo, tra maschio e femmina. Perché “… tutti voi siete uno in Gesù Cristo” (Gal. III, 27-28). Ma lo stesso SAN PAOLO sottolinea in un altro passo il primato dell’uomo: “Cristo è il capo di ogni uomo, come l’uomo è il capo della donna” (Cor XI, 3). “Non permetto alla donna di essere maestra nella Chiesa, né di prendere autorità sul marito, ma di tacere, poiché prima fu formato Adamo e poi Eva” (I Timoteo, II, 12-13). E per essere più convinti di questo, basta contemplare la vita della Santa Famiglia di Nazareth. Umanamente parlando, chi doveva essere il primo? Cristo, poi la Vergine Maria e infine San Giuseppe. Eppure, vediamo che il primo era San Giuseppe; la Vergine Maria, il secondo; Gesù Cristo, il terzo. Un esempio sublime di vita familiare ben ordinata! Si può parlare più chiaramente? L’uomo è il capo; e non è forse il capo a guidare? La donna… è l’aiutante. Così è scritto. E se un movimento di protesta vuole trasformarsi in un’autorità per governare quello che dovrebbe essere un aiuto, anche se questo si chiama emancipazione della donna, non è conforme al piano di Dio Creatore. Una donna può lavorare fuori casa, se vuole o se ne ha bisogno a causa del basso reddito della famiglia, ma non è il suo compito principale, che è in casa.

* * *

Non molto tempo fa, un giornale francese si è interrogato sul seguente fenomeno: perché nelle carceri ci sono più uomini che donne? E come soluzione il pubblico ha dato la seguente risposta: “Ci sono più uomini che donne nelle carceri, perché ci sono più donne che uomini nelle Chiese”. E se continuiamo a chiedere: perché ci sono più donne che uomini nelle Chiese? Perché Dio le ha dotate di una maggiore sensibilità per lo spirituale. Ecco perché le donne si danneggiano se rinunciano alla loro religiosità: senza Cristo, le donne diventano schiave degli uomini, completamente soggette ai loro capricci! È una terribile disgrazia perdere la fede; ma per nessuno tanto quanto per una donna. Se l’irreligiosità si vendica su qualcuno, è innanzitutto sulla donna. Perché a Cristo deve la sua dignità, la sua vera emancipazione, la sua libertà. – Povere donne, voi che ingoiate le ideologie alla moda, pensate un po’: che ne sarà di voi se queste teorie trionfano! Che ne sarà di voi se trionfa la completa uguaglianza dei diritti, se trionfa il matrimonio contratto per un certo periodo di tempo, se trionfa lo scioglimento del matrimonio! Esaminate un po’ cosa succederà. La donna che non ha fede, che non ha Religione, che non ha Cristo come suo Re, sarà soggetta alla tirannia della moda, dei suoi capricci, della sua frivolezza, della sua vanità, della sua malizia? D’altra parte, quanto è grande la donna quando è immersa nella grazia di Gesù Cristo! Pensiamo a Santa Giovanna d’Arco, a Santa Teresa di Lisieux, a Santa Teresa di Gesù?

QUARESIMALE (I)

QUARESIMALE (1)

Nel Giorno delle Ceneri.

(QUARESIMALE DI FULVIO FONTANA

Sacerdote e Missionario
DELLA COMPAGNIA DI GESÙ; Venezia, 1711. – Imprim. Michel ANGELUS Præp. Gen. S. J. – Roma 23 Aprile 1709)

IN VENEZIA, MDCCXI (1711)


PREDICA PRIMA

Si mostra quanto sia stolto l’Uomo, che pecca, mentre sa indubitatamente, che si muore; che si può morire in ogni momento di nostra vita; e che quanti sono i peccati che si commettono, tante sono le citazioni che affrettano la morte a buttarci nel Sepolcro.

Memento homo, quia pulvis es, et in pulverem reverteris

Si muore, e pur si pecca: Si può morire in ogni momento di nostra vita, e pur si offende Iddio. Quanti sono i peccati, che si commettono, tante sono le citazioni, che affrettano la Morte a buttarci nel Sepolcro; e pure si oltraggia la Divinità. Tale è la Pazzia di non pochi Cristiani, che con estremo mio cordoglio m’accingo a deplorare questa mattina. Ma ahi, che sento voci terribili al mio cuore, le quali mi asseriscono, che se i peccatori non si riscuoteranno da’ vizj, quantunque da me ripresi nel corso Quaresimale: tutto dovrà attribuirsi alla debolezza del mio spirito, alla tepidità del mio zelo. Voi dunque, Abitatori Celesti; impetrate (vi supplico) fervore al mio spirito, fiamme al mio zelo. Voi Spiriti tutelari di questa Città: Voi Santi, che ne siete vigilantissimi Protettori; voi Angeli, che sedere Custodi al lato de’ miei. R. A: Voi beati, che giacete sepolti in questo nobil Tempio, correte, vi prego, al Trono di Dio, e unitamente con la Vergine Santissima, vera Madre del Verbo, impetratemi, che io proferisca la Divina parola con la riverenza dovuta: sicche non resti adulterata con facezie, né contaminata con formule vane, ma pura la tramandi nel cuore de’ miei UU., acciò non perda la sua efficacia, benché proferita da me peccatore, mentre io assolutamente mi protesto, che non avrò altra mira nel corso Quaresimale, salvo, che liberare i peccatori dalle mani di satanasso, e porli nel seno di Dio. Intimo, dunque, guerra al demonio; v’apro le porte del Cielo: mi pongo a quelle dell’Inferno, per tenerne indietro quel peccatore, che ostinato nei suoi vizi, volesse a forza di peccati entrarvi. Si muore; né vi è, a mio credere, alcuno tra i miei A A. che temerario ardisca sfacciatamente negare, che si muore .. Sola la Morte tra i quattro Novissimi, è restata intatta dal dente maligno della eresia. V’è chi ha negato con orribile bestemmia il Divino Giudizio l’Inferno ai rei, il Paradiso ai Giusti; ma non giammai la Morte; essendo sicuri, che il mondo tutto con Aristotele, negando ciò, che l’esperienza insegna, gli avrebbe spacciati per matti, suadentes contra experientiam contemptibiles sunt. Bisogna dunque morire; e sino dalla nascita principiò la morte ad intimarci una breve vita, homo natus de muliere brevi vivens tempora, e ogni elemento di continuo ci avvisa il nostro finire; la terra, con tante parole, quanti sono della sua polvere gli atomi ricorda ad ognuno, Pulvis es, in pulverem reverteris. L’acqua col continuo mormorio delle onde sue fugaci, ci avvisa, che omnes morimur, quasi aqua dilabimur. L’aria col soffio de venti, ci fa intendere, che Ventus est vita hominis; e il fuoco con lingue di fiamme dice ad ognuno, Cinis es, et in cinerem reverteris, sei composto di cenere, e in cenere devi ridurti. Così è, così è, date d’occhio à quanti vi precederono. Dove sono le Monarchie degli Assiri, de’ Medi, de’ Persi, de’ Greci, de Romani? le cercò David ad una ad una con occhio Profetico, ma non ne trovò vestigio, quæsivi, et non est inventus locus ejus, cenere, cenere. Dove sono i Socrati, Platoni, gli Aristoteli, che con la loro Dottrina si resero illustri per tutto il mondo? Cenere, cenere. Dove quei Savj della Grecia, benché sapientissimi? Cenere, cenere. Dove quelle bellezze mondane in tante Elene, in tante Cleopatre, in tante Penelopi, che nel loro primo Oriente furono adorate, come il Sole, tra’ Persiani? Cenere, cenere, cenere. Mira, deh mira, esclama S. Bernardo dalle solitudini dell’eremo, scrivendo ad Eugenio Papa, mira tutti i tuoi predecessori dal primo padre Adamo! Dove sono quei grandi che già fiorirono in dignità, in potenza, in ricchezze in sapienza? Interroga di loro e che troverai? Appena una sterile memoria. Dove sono quel fiore d’uomini di ogni umana grandezza riguardevoli? Dove sono quei capi del popolo e magistrati? Dove quegli oratori d’insuperabile fecondia? Dove quei consiglieri di insuperabile sapere? Dove quei tanti regi, quei tanti imperatori, quei tanti Pontefici? Ah, che tutti sono un mucchio di cenere, che non può distinguersi dalle ceneri, dalle ossa di mendici. Della loro grandezza che cosa è rimasto se non l’ombra; delle glorie, se non il fumo, della fama se non il nome: finalmente Memoria rerum in quam paucis ossibus continetur. Ipsi te prædecessoris tui, tuæ certissimæ, ac citissimæ mortis àdmonent. Quel Mondo insomma, e di Principi, e di sudditi, e di nobili, e di plebei, che vi precede, tutto è ridotto in polvere, e cenere. E voi peccatori non vi atterrite a catastrofe sì luttuosa; non v’atterrite alla riflessione, che anche con voi ha da girare per queste strade. Bara funesta, hanno da trar fuori della cassa, per la vostra morte, da’ vostri congiunti gli abiti di lutto, e si hanno da trascinare veli di gramaglia. Come è ordunque possibile, che una tal memoria non ponga freno al vivere licenzioso? Ah Dio, R. A; intendiamola una volta. Quello stesso Dio, che a caratteri, quanto meno veduti, tanto più intesi, prescrisse su le arene de’ lidi ad ogni onda, qual precetto: huc usque venies, et nox procedes amplius, hic confringes tumentes fludus tuos, quello stesso Dio, dico, dice a voi, dice a me, additandoci il sepolcro, huc usque venies, presto arriverai alla tomba, non procedes amplius, e non vivrai più, hic confringes tumentes fluctus tuos, qui finiranno le vostre ricchezze, qui si stracceranno tutte le polize di cambio: qui si lacereranno tutte le Patenti d’onore: qui svaniranno in fumo tutti i titoli, tutti i vostri giardini, tutte le vostre delizie, tutti i vostri palazzi faranno quattro palmi di terra, hic confringes, huc usque venies, et non procedes amplius. Convien morire, non accadde altro. Se voi o Padre non siete qui per altro, che per avvisarci della nostra morte, voi perdete il tempo, quis est homo qui vivet, et non videbit mortem? già sappiamo, che dobbiam morire; dunque sapete d’aver a morire e peccate? O questa sì, che non l’intendo; sapete di avere a morire, e non licenziate colei di casa? o questa sì, che non la capisco; sapete d’avere a morire, e covate gli odj nel cuore. Sapete d’aver à morire e insidiate alla robba, all’opere, ed alla vita del prossimo? e non sapete indurvi a restituir l’usurpato? Io son fuori di me. Se voi m’aveste detto, che non sapevi d’aver a morire, onde facilmente cadevi ne’ peccati, respirerei; ma saper d’avere a morire, e peccare, o questa sì, che non l’intendo. Molto meno però intendo, che sapendo voi d’avere a morire, e che potete morire di momento in momento, tanto offendete Dio; scuotetevi, o disgraziati peccatori al tuono di queste parole: Voi potete morire in ogni momento di vostra vita, e con questa verità ben capita, vi basterà l’animo di stare un momento in peccato? Che voi potiate morire in ogni momento di vostra vita, la Fede ce l’insegna, la ragione ce lo dimostra, l’esperienza ce ne assicura. Rivoltate, leggete le sacre carte, e forse non troverete Articolo di Santa Fede nei quattro Evangelisti replicato più spesso di questo: vigilate, c’intima San Matteo, quia nescitis diem, neque horam; state in veglia, perché non sapete né il dì, né l’ora. Vigilate, grida San Marco, nescitis enim quando Dominus veniet an sera, an media nocte, an mane; vegliate, perché non sapete quando il Signore verrà per voi se la sera, se la mezza notte, se sul far del giorno, se al matutino della gioventù, se al meriggio della virilità, se alla sera della vecchiaja. Replica San Luca: estote parati, quia qua hora non putatis Filius hominis veniet, state apparecchiati, per che quando meno ve l’aspettate sarete citati dal Giudice; finalmente San Giovanni ci rinnova l’avviso: Veniam ad te tanquam fur, et nescis qua hora veniam. Verrò d’improvviso, come il ladro, né saprai l’ora in cui verrò, e pure una verità sì chiara, un articolo di Fede si ripetuto sì poco si teme; e si vive in peccato, quantunque Iddio ci intuoni, che di momento in momento si può morire: ma lasciate da parte la fede, voglio convincervi con la ragione, e farvi vedere, che di momento in momento potete uscir di vita. Ditemi, qual vetro è più fragile della vostra vita, soggetta à tanti accidenti: Non basta una goccia, che vi precipiti sul cuore, una vena che vi si apra nel petto, un catarro, che vi soffoghi la respirazione? e questi casi non possono venire di momento in momento? Anzi, che dissi? ogni creatura, benché piccola è sufficiente à torvi la vita di momento in momento: Non si ricercano fulmini dal Cielo, né precipizį della terra. Una sola spina di pesce bastò à levar la vita a Tarquinio Romano. Un sol capello bevuto nel latte, e attraversato alla gola strangolò Fabio Senatore. Un granello di uva passa soffocò Anacleonte poeta. Da una puntura leggerissima d’ago si vide ridotta à morte Lucia Larina. Per un moschino ingojato nell’acqua perde la vita Adriano Quarto Pontefice. Aprite dunque gli occhi miei U. U., ed intendete, che ogni creatura è sufficiente a togliervi di momento in momento la vita. Ma su via voglio che quella morte, che può venirvi ad ogni momento dalle creature, possiate, se non sfuggirla, almeno allontanarla da voi. Non così però potrete fare di quella che nasce dentro di voi. Come il ferro genera la sua ruggine, come il legno il suo tarlo, come il panno la sua tignola, così l’uomo si genera pur da se stesso la sua morte. Sappiamo pure, che di continuo dentro le nostre viscere, duellano a nostri danni tra di loro gli umori; che la stessa intemperie di nostra complessione ci fabbrica continuamente ordigni mortali; che lo stesso cibo, che prendiamo per alimento di vita ci va ben spesso con le sue contrarie qualità disponendo ad una morte improvvisa. Come è dunque possibile, peccare, mentre la ragione ci insegna, che di momento in momento possiamo morire? Ah stolti che siete! giacché né alla fede, né alla ragione v’arrendete; restate almeno convinti dalla esperienza quotidiana, che avete tutt’ora davanti, fino all’evidenza degli occhi. Quanti de’ vostri amici più sani di voi, o di complessione più robusta, sono restati estinti, quando il vigore prometteva loro più lunga la vita? Quanti de’ vostri compagni nel fiore della età fono svaniti all’improvviso, mentre avevano in capo alti disegni di future imprese? Quante volte è venuta alla vostra casa la croce della morte? avete pur chiusi gli occhi al fratello; accompagnato alla sepoltura l’amico; vestito a duolo per il parente; e ciò quando meno lo pensavi. Tant’è si può morire in ogni momento di nostra vita. Con testimonio d’orrore vi confermi questa verità la gran Città di Lione di Francia, abbondante di vivere, ricca di traffichi, copiosa di merci, e sontuosa per gli edifizj. Ella, ella, ò miei UU. al lume del suo grande incendio vi farà capire, che di momento in momento si può morire. Questa, tutto altro pensando gli abitatori, andati al riposo per levarsi la mattina al negozio, in pochissime ore fu del tutto distrutta, finché il sole nascendo la mattina cercò, ma non vide più quella gran Metropoli, che la sera antecedente aveva lasciata colà, ove la Senna col tributo delle acque accresce il Rodano, e ben poteva cercarla, ma indarno, poiché il fuoco l’aveva mandata in fumo, ed il vento ne spargeva le ceneri: e ciò in si breve spazio, che nox interfuit inter Urbem maximam, et nullam. Intendetela; si muore e quel, che più rilieva si può morire di momento in momento. – Non vi fidate di robustezza; non vi fidate di gioventù, poiché questo momento vi può toglier di vita, quando vi stimate di doverla avere, e più lunga, e più prospera, e più felice. Onde io dirò a voi, per farvi aprir gli occhi, ciò che Seneca disse dei legni ridotti in porto, ove non possono aver maggior sicurezza; e pure anche ivi rimangono assorbiti. Eccovi le parole di Seneca: Momento mare vertitur, vertitur et eodem die, ubi luserunt navigia, forbentur. Legni, infelici i quali dopo lunga navigazione ritornati con sì lungo tempo dalle Indie per arricchire l’Europa, d’incensi, d’ebani, d’avori, d’oro, e di gemme, appena scaricati, quando nel porto si credevano sicuri, e a suono di trombe con rimbombo d’eco giulivo raccontavano i passati pericoli di scogli sfuggiti, di tempeste superate, all’improvviso si vedono fieramente sbattuti dall’onde ed inghiottiti da vortici. Negate, che di momento in momento non si possa morire; e quel che a me preme: notate quelle parole eodem die; in quello stesso dì, che più stavano allegri. E se questo momento ti prende eodem die, in quell’istessa sera, che stai in quella veglia; in quell’istesso giorno che ti trattieni con colei, in quello stesso circolo, ove mormori; in quell’istessa bettola, in quell’istesso gioco, ove bestemmj; in quell’istesso tempo, che trami vendette, eodem die! Svegliatevi dal vostro sonno o peccatori. Volete conoscere la vostra miseria? eccovela espressa in Elia. Chi vi avesse detto, che Elia, allorché era perseguitato a morte dalla Regina Jezabelle , da quella Regina così potente, e che si era protestata di volerlo nelle sue mani, si fosse posto a dormire all’aperto della campagna, projecit se ebdormivit, voi non li avreste potuto credere, e l’avreste rimproverato, dicendoli: che fai Elia? e non ti ricordi, che Jezabelle ti vuol morto? Non è tempo di dormire, svegliati, sta attento; tu sai il pericolo che corri di perder la vita. Io però punto non mi meraviglio, che Elia perseguitato a morte dormisse quietamente; perché alla fine era Santo, se perdeva la vita del corpo, non perdeva l’eternità dell’anima. Stupisco bensì alla riflessione che possano dormire coloro i quali pieni dello sdegno del Signore, plene indignatione Domini, vivono tra le crapule, tra gli odj; e quantunque sappiano che la morte li può corre di momento in momento, a guisa di Sansoni, dormono tra le disonestà. – O voi sconsigliati, che scuotete questo timore dal vostro cuore, come se fosse timor vano, e non ben fondato. Se v’è uomo al mondo, il quale debba temere di morire di momento in momento, lo deve temer colui che sta in peccato mortale. – Volete sapere perché? Ecco, che ve lo dico: San Paolo si protesta nella quinta ai Romani, che la morte è vera figlia del peccato, propter peccatum Mors, la Morte è venuta al mondo per il peccato, e il peccato è quello che sempre le ha fatto fretta, e che ne ha accelerata la venuta Peccate allegramente; non pagate mercedi; non sodisfate legati pii; trafficate pure con usure, con frodi, con inganni; Ma sappiate che questi vostri peccati sono tante voci che chiamano la Morte ad affrettarsi, per togliervi la vita; tendete pure insidie all’onore di quella maritata, al decoro di quella vedova, alla onestà di quella fanciulla; ma siate certi che invitate la Morte a buttarvi dentro del sepolcro: Fremete pure contro del vostro nemico, macchinate alla di lui vita, alla roba, alla riputazione; scrivete contro di lui lettere cieche, memoriali indegni; ma poi dite, e direte il vero: queste mie operazioni indegne sono tante intimazioni alla Morte, che venga presto a togliervi di vita. E non sentite l’Apostolo, che nuovamente ve lo conferma? Stimulus autem Mortis peccatum est. Voi vi date a credere, che la morte debba venire à trovarvi su di quel cavallo tutto magro, e smunto, su di cui fu veduta da Giovanni l’Evangelista! Non sarà così; perché  quando ella ha lo stimolo delle vostre iniquità se ne serve di sprone acutissimo, per farlo volare, nonché correre, e uccidervi. Stimulus autem Mortis peccatum est. Crapule; se erano irriverenti nelle Chiesa dite, e direte il vero: son morti di morte immatura, perché non vivevano giusta la legge di Dio, anni impiorum breviabuntur, gli anni delli empj si abbrevieranno, si scorderanno. Giovane, se seguiti in quella pratica, Anni tui breviabuntur; e perché? Perché stimulus mortis peccatum, perché lo sperone, che affretta la Morte, è il peccato, sono le frodi, sono le oppressioni, sono le confessioni sacrileghe: queste, queste iniquità affrettano la Morte. Intendetela. Iddio con i peccatori fa per appunto, come si fa con i legni di bosco. Si porta l’artefice al bosco, e se deve provvedersi di legno o per lavorare uno scrigno, o per formarne una statua; và con cento riguardi prima di dare il taglio; considera, se il legno sia stagionato; se la luna sia sul crescere, o sul calare. Non si usano però queste diligenze quando si vada alla selva sol per legna da ardere; allora si va d’ogni tempo, e si troncano alla rinfusa legna stagionate, e non stagionate. I peccatori, i disonesti, i rapaci, che legna sono? legna per il fuoco dell’Inferno; dunque, dice con San Luca, excidentur, et in ignem mittentur, non si guardi a nulla, si taglino alla rinfusa, quantunque giovane, quantunque gagliardi, robusti, non si porti loro rispetto alcuno, non est respectus morti eorum; No, no: Son giovane: Non importa, sei legna per fuoco, excidentur: Son nobile, non importa, excidentur. Nella mia testa stà posta tutta l’eredità… non importa: non est respectus Morti eorum, non gli si porti rispetto, son peccatori, e questo basta per esser legni da buttarsi nel fuoco, e ardervi in eterno. Sì, sì stimulus mortis peccatum. Stimulus per la parte vostra, perché col vostro peccare chiamate tutte le creature a vendicare l’ingiuria che fate al Creatore, già che fecondo l’Angelico insitum est unicuique creature vindicare injuriam Crtatoris. Stimulus per la parte di Dio, che irritato sta per scagliare il Fulmine: Stimulus finalmente per la parte del demonio, il quale non si cura che moriate quando siete in grazia di Dio, ma s’adopra, perché moriate quando siete in peccato: allora vi stimola ai disordini, allora vi suscita contro li nemici. Sì, sì, stimulus mortis peccato s’affretta la Morte; credete almeno alle ragioni naturali, che avete sotto degli occhi, e toccate con le mani, negate, se potete, che ben spesso i peccatori si procaccino la Morte con la voracità nella crapula, con la sfrenatezza nelle disonestà, con la libertà delle mormorazioni, con le quali si acquistano de’ nemici: girate pure per ogni vizio, e confesserete, ogni vizio apportare inquietudini al capo, e le inquietudini accelerare la Morte. Il peccato è quello che ben spesso scorta la vita, e nel più bel fiore degli anni ci butta nel sepolcro col corpo, per sbalzar l’anima nell’Inferno. Io vedo le lacrime sugl’occhi ad una delle più riguardevoli Città della Toscana, mentre ancor piange la Morte d’un suo nobilissimo cittadino, messo a terra dagli archibugi d’una truppa di Sbirraglia. Viveva, non ha molto, un giovanetto di tutto spirito, e di un’indole invidiabile; fu allevato questi sotto l’educazione de’ PP. della mia minima Compagnia, e gli furono impressi sentimenti tali di pietà, che egli instantemente ne richiese l’abito. Ciò sentitosi da’ parenti, che conosciutolo d’abilità non ordinaria, lo volevano al mondo, per il mondo; dissero, non negarlo alla Religione, ma volerne esperimentare la vocazione, e l’esperimento fu, dare al nobil giovanetto divertimenti, e libertà tale, che ben presto il demonio, per mezzo di cattivi compagni, scacciò Dio dal di lui cuore, e v’alzò il suo trono; più non si discorreva di Dio; erano sbanditi i libri di Spirito, eran subentrati quelli d’amore, e di questo egli si allacciò talmente con una rea donzella, che la volle complice nello sfogo delle sue passioni. Parenti, ecco il frutto della vostra prova. Che dite? Che dico? Immaginatevi pure, che il cordoglio de’ parenti era grandissimo, spesse le ammonizioni, spesse le minacce, ma tutto invano: Sì, che vi fu un parente, il quale gli disse: Or sappiate, esser risoluti i vostri maggiori di volervi in una prigione, se non abbandonate la rea compagna. Se la rise il giovane, e voltò dispettosamente le spalle al savio parente; indi tra se stesso andò pensando di sottrarsi dalla carcere che gli sovrastava; comunicò l’accidente all’amica. Si risolsero alla fuga con abiti mentiti, vestiti pur da uomo la femmina; e la mattina per tempo si partirono dalla Città. Non erano lungi da essa che poche miglia: quando, videro scendere da una collina una truppa di sbirri, teme il giovane, esser quelli che dovevano catturarlo: si cambiò di sembiante: pose la mano alla pistola per difendersi. Vedutosi ciò dagli sbirri, sospettarono di male, e fattosi loro incontro per indagar chi fossero, la risposta fu spararglisi dal giovane una pistola alla vita, con cui stese a terra uno di quegli sbirri. Gli altri, per assicurarsi, con colpi replicati di pistola, ammazzarono il misero giovane; e già stavano per uccidere l’altro; e intanto non lo fecero, perché udirono dirsi: son donna, son femmina: Ella fu, che disse, esser quegli il tal cavaliere. Or ditemi: chi scortò gli anni, chi abbreviò la vita a questo cavaliere? il peccato: Il peccato l’hà da scortare a voi; quei compagni, quella nemicizia, quell’amore; presto dunque, se bramate vita più lunga, ritiratevi da’ peccati, ritiratevene, perché si muore, e perché si può morire di momento in momento; vivete come volete esser trovato alla Morte, ea ratione vivendum, v’insegna un gentile, qua semper moriendum.

LIMOSINA

Thesaurizate vobis thesauros in cœlo!

Tanto è, impone l’odierno Vangelo. Non crediate U.U. che per obbedire a queste voci di Dio che vuole che noi traffichiamo col cielo, e colà posiamo i nostri tesori, sia necessario trovare una nave, la quale carica di danari, possa solcare l’aria e felicemente possa approdare alle spiagge del Paradiso; oppure un corriere che veloce porti in cielo quelle lettere di cambio che chiudono l’oro dentro un inchiostro. Appunto, non vi vuol tanta fatica. Se volete tesoreggiare in Cielo, basta praticare quanto San Lorenzo disse à Valeriano: facultates quas requiris, in cœlestes thesauros manus pauperum deportaverunt. Eccovi il modo sicuro: fate limosina a’ poveri, e sarete certi d’avere collocati tesori in Cielo. Del resto, chi m’ha condotto qui, per nevi, per venti, per ghiacci, per acqua? Una sola cosa: La salute delle anime vostre; perché mi dichiaro che non quæro vestra, sed vos, non quæ mea sunt, sed quæ Jesu Christi, perché mi affaticherò ogni mattina per salvarvi; Io dunque per salvar le anime vostre non ho guardato à stenti, non risparmierò fatica; e voi per salvar voi stessi non vorrete scomodarvi per mezz’ora? Avvertite che non basta dire: verrò una, due, tre volte, ma sempre o qui o altrove; perché non sapete qual sia quella Predica, nella quale il Signore vuol toccarvi il cuore, e può esser, che da quella dipenda la vostra salute. Se poi volete cavar frutto dalla Divina Parola non dovete venire per curiosità per sentire nobiltà di stile, abbondanza di erudizione, ma per migliorare la vostra vita; né pur dovete venire per applicare al terzo, e quarto, quello che forse sarà necessario per voi; Vir sapiens, dice lo Spirito Santo, quodcum que audierit, laudabit, et ad se adjiciet. L’Uomo savio, e prudente, applica à se quanto ode di profittevole, e fa appunto come l’Albero di cinnamomo piantato in terra palustre, il quale, per nutrirsi, tira à sé quanto di acqua gli sta vicino. Volete dunque cavar frutto dalle Prediche? Venite ad udirle, per approffittarvene.

PARTE SECONDA

Quasi, dissi, scuserei costoro che quantunque sappiano che possono morire di momento in momento, si mettono a rischio di perder l’anima, quando ad un
risico di tal sorte vi si mettessero per qualche grand’emolumento. Voi mettete à rischio di perdere l’Anima, l’Eternità, il Paradiso; voi vi ponete super puteum abyssi, sull’orlo di un pozzo pieno di fuoco, ove, se cadete, dovrete starvi per tutta una eternità; l’utile, il guadagno, l’emolumento qual è? Un piacere di senso, uno sfogo di odio, un interesse di robba, che deve lasciarsi; e questo deve presso di voi preponderare di tal modo, che mettiate l’Anima a procinto di perderla? Nolite, nolite, grida Geremia, decipere animas vestras; non ingannate l’anime vostre con metterle a pericolo sì funesto di perderle eternamente. Che si ha dunque da fare? Ciò, che fecero i Niniviti. Questi appena sentirono intimarsi dal Profeta Giona adhuc quadraginta dies, et Ninives subvertetur. Quaranta giorni vi restano per la rovina de’ Niniviti; che subito tutti dal primo fino all’ultimo, plenam terroribus pœnitentiam egerunt, si misero a far penitenza de’ loro peccati; e senza aspettare gli Editti Regi, subito si vestirono di cilizio, si cinsero di corda si aspersero di ceneri, e domandarono perdono e pietà. Peccatori, poco tempo vi rimane; la morte si avvicina, l’avete accelerata con le vostre sceleraggini. Dunque una sollecita e santa Confessione: Che rispondete? che vi farà tempo e vorrete mettere in sì gran pericolo l’anima vostra? I Niniviti sapevano d’aver quaranta giorni di tempo; e pur non dissero: v’è tempo: seguitiamo ne’ nostri amori, negli odii, negl’interessi, ma fecero penitenza. Molto meno puoi dir tu, peccatore: v’è tempo, vi farà tempo; perché a te non fur promessi da alcun Profeta quaranta giorni; Tu non puoi comprometterti né pur d’un’ora: nescitis quando tempus fit. Dunque, che si ha da fare? Io non dico, che vi vestiate di cilicio, che vi cingiate di corde, che vi aspergiate di cenere; ma almeno scindite corda vestra, portatevi à piedi d’un Confessore buono, ma sollecitate: e ivi dopo aver manifestate le vostre colpe tutte, ma tutte, scindite corda vestra con un vero dolore, con un fermo proposito.

QUARESIMALE (II)