DOMENICA I DI QUARESIMA (2023)

DOMENICA I. DI QUARESIMA (2023)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Stazione a S. Giovanni in Laterano

Semidoppio. – Dom. privil. di I cl. – Paramenti violacei.

Semidoppio. – Dom.rivil. di I cl. – Penti violacei.

Questa Domenica è il punto di partenza del ciclo quaresimale (Secr.) cosicché l’assemblea liturgica si tiene oggi, fin dal IV secolo a S. Giovanni in Laterano, che è la basilica patriarcale del romano Pontefice ed il cui nome rievoca’ la redenzione operata da Gesù, essendo questa Basilica dedicata anche al SS.mo Salvatore. Subito dopo il battesimo, Gesù si prepara alla vita pubblica con un digiuno di 40 giorni, nel deserto montagnoso, che si estende fra Gerico e le montagne di Giuda (Gesù si riparò, dice la tradizione, nella grotta che è nel picco il più elevato chiamato Monte della Quarantena). Là satana, volendo sapere se il figlio di Maria era il Figlio di Dio, lo tenta (Vang.). Gesù ha fame e satana gli suggerisce di convertire in pane le pietre. Allo stesso modo opera con noi e cerca di farci abbandonare il digiuno e la mortificazione in questi 40 giorni. È la concupiscenza della carne. – Il demonio aveva promesso al nostro primo padre che sarebbe diventato simile a Dio; egli trasporta Gesù sul pinnacolo del Tempio e lo invita a farsi portare in aria dagli Angeli per essere acclamato dalla folla. Tenta noi ugualmente nell’orgoglio, che è opposto, allo spirito di preghiera e alla meditazione della parola di Dio. È l’orgoglio della vita. – Come aveva promesso ad Adamo una scienza uguale a quelli di Dio, che gli avrebbe fatto conoscere tutte le cose, satana assicura Gesù che gli darà l’impero su tutte le cose se Egli prostrato in terra lo adorerà (lucifero, il più bello degli Angeli, si credette in diritto, secondo alcuni teologi, all’unione ipostatica che l’avrebbe elevato alla dignità di figlio di Dio. Egli cercò di farsi adorare come tale da Gesù, come l’anticristo si farà adorare nel tempio di Dio, II ai Tessal.,). Il demonio allo stesso modo cerca con noi, di attaccarci ai beni caduchi, quando stiamo per sovvenire il prossimo con l’elemosina e le opere di carità. È la concupiscenza degli occhi o l’avarizia. – Il Salmo 90 che Gesù usò contro satana, — poiché la spada dello Spirito, è la parola di Dio (Agli Efesini, VI, 17).— serve di trama a tutta la Messa e si ritrova nell’ufficiatura odierna. « La verità del Signore ti coprirà come uno scudo », dichiara il salmista. Questo salmo dunque è per eccellenza quello di Quaresima, che è un tempo di lotta contro satana, quindi il versetto 11: « Ha comandato ai suoi Angeli di custodirti in tutte le tue vie », suona come un ritornello durante tutto questo periodo, alle Lodi e ai Vespri. Questo Salmo si trova intero nel Tratto e ricorda l’antico uso di cantare i salmi durante la prima parte della Messa. Alcuni dei suoi versetti formano l’Introito col suo verso, il Graduale, l’Offertorio e il Communio. In altra epoca, quest’ultima parte era formata da tre versetti invece di uno solo e questi tre versetti seguivano l’ordine della triplice tentazione riferita nel Vangelo. – Accanto a questo Salmo, l’Epistola, che è certamente la stessa che al tempo di S. Leone, dà una nota caratteristica della Quaresima. S. Paolo vi riassume un testo di Isaia: « Ti esaudii nel tempo propizio e nel giorno di salute ti portai aiuto » (Epist. e 1° Nott.). S. Leone ne fa questo commento: « Benché non vi sia alcuna epoca che non sia ricca di doni celesti, e che per grazia di Dio, ogni giorno vi si trovi accesso presso la sua misericordia, pure è necessario che in questo tempo le anime di tutti i Cristiani si eccitino con più zelo ai progressi spirituali e siano animate da una più grande confidenza, allorché il ritorno del giorno nel quale siamo stati redenti ci invita a compiere tutti i doveri della pietà cristiana. Così noi celebreremo, con le anime e i corpi purificati, questo mistero della Passione del Signore, che è fra tutti il più sublime. È vero che noi dovremmo ogni giorno essere al cospetto di Dio con incessante devozione e rispetto continuo come vorremmo essere trovati nel giorno di Pasqua. Ma poiché questa forza d’animo è di pochi; e per la fragilità della carne, viene rilassata l’osservanza più austera, e dalle varie occupazioni della vita presente viene distratta la nostra attenzione, accade necessariamente che la polvere del mondo contamini gli stessi cuori religiosi. Perciò è di grande vantaggio per le anime nostre questa divina istituzione, perché questo esercizio della S. Quaresima ci aiuti a ricuperare la purità delle nostre anime, riparando con le opere pie e con i digiuni, gli errori commessi negli altri momenti dell’anno. Ma per non dare ad alcuno il minimo motivo di disprezzo o di scandalo, è necessario che il nostro modo di agire non sia in disaccordo col nostro digiuno, perché è inutile diminuire il nutrimento del corpo, quando l’anima non si allontana dal peccato » (2° Notturno). – In questo tempo favorevole e in questi giorni di salute, purifichiamoci con la Chiesa (Oraz.) « col digiuno, con la castità, con l’assiduità ad intendere e meditare la parola di Dio e con una carità sincera » (Epist.).

Incipit

In nómine Patris,  et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Ps XC: 15; XC: 16

Invocábit me, et ego exáudiam eum: erípiam eum, et glorificábo eum: longitúdine diérum adimplébo eum.

[Mi invocherà e io lo esaudirò: lo libererò e lo glorificherò: lo sazierò di lunghi giorni.]

Ps XC:1 Qui hábitat in adjutório Altíssimi, in protectióne Dei cœli commorábitur.

[Chi àbita sotto l’égida dell’Altissimo dimorerà sotto la protezione del cielo].

Invocábit me, et ego exáudiam eum: erípiam eum, et glorificábo eum: longitúdine diérum adimplébo eum.

[Mi invocherà e io lo esaudirò: lo libererò e lo glorificherò: lo sazierò di lunghi giorni.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.

Deus, qui Ecclésiam tuam ánnua quadragesimáli observatióne puríficas: præsta famíliæ tuæ; ut, quod a te obtinére abstinéndo nítitur, hoc bonis opéribus exsequátur.

[O Dio, che purífichi la tua Chiesa con l’ànnua osservanza della quaresima, concedi alla tua famiglia che quanto si sforza di ottenere da Te con l’astinenza, lo compia con le opere buone.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corínthios. 2 Cor VI:1-10.

“Fratres: Exhortámur vos, ne in vácuum grátiam Dei recipiátis. Ait enim: Témpore accépto exaudívi te, et in die salútis adjúvi te. Ecce, nunc tempus acceptábile, ecce, nunc dies salútis. Némini dantes ullam offensiónem, ut non vituperétur ministérium nostrum: sed in ómnibus exhibeámus nosmetípsos sicut Dei minístros, in multa patiéntia, in tribulatiónibus, in necessitátibus, in angústiis, in plagis, in carcéribus, in seditiónibus, in labóribus, in vigíliis, in jejúniis, in castitáte, in sciéntia, in longanimitáte, in suavitáte, in Spíritu Sancto, in caritáte non ficta, in verbo veritátis, in virtúte Dei, per arma justítiæ a dextris et a sinístris: per glóriam et ignobilitátem: per infámiam et bonam famam: ut seductóres et veráces: sicut qui ignóti et cógniti: quasi moriéntes et ecce, vívimus: ut castigáti et non mortificáti: quasi tristes, semper autem gaudéntes: sicut egéntes, multos autem locupletántes: tamquam nihil habéntes et ómnia possidéntes.” –  Deo gratias.

[Fratelli: Vi esortiamo a non ricevere invano la grazia di Dio. Egli dice infatti: «Nel tempo favorevole ti ho esaudito, e nel giorno della salute ti ho recato aiuto». Ecco ora il tempo favorevole, ecco ora il giorno della salute. Noi non diamo alcun motivo di scandalo a nessuno, affinché il nostro ministero non sia screditato; ma ci diportiamo in tutto come ministri di Dio, mediante una grande pazienza nelle tribolazioni, nelle necessità, nelle angustie, nelle battiture, nelle prigioni, nelle sommosse, nelle fatiche, nelle veglie, nei digiuni; con la purità, con la scienza, con la mansuetudine, con la bontà, con lo Spirito Santo, con la carità sincera, con la parola di verità, con la potenza di Dio, con le armi della giustizia di destra e di sinistra; nella gloria e nell’ignominia, nella cattiva e nella buona riputazione; come impostori, e siam veritieri; come ignoti, e siam conosciuti; come moribondi, ed ecco viviamo; come puniti, e non messi a morte; come tristi, e siam sempre allegri; come poveri, e pure arricchiamo molti; come privi di ogni cosa, e possediamo tutto]. (2 Cor VI, 1-10).

FAR FARE BUONA FIGURA A DIO.

[P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)]

Veramente S. Paolo in questo brano di lettera parla se non proprio ai Sacerdoti, certo per i ministri di Dio. Per fortuna, ministri di Dio, in un certo senso almeno, lo siamo tutti noi Cristiani, dobbiamo esserlo, e perciò vale per noi tutti la esortazione fondamentale per gli Apostoli: evitare le brutte figure (morali) e fare bella figura (morale). E la ragione addotta è quella che rende la esortazione più interessante e più universale: col non fare brutta figura, fare anzi bella figura, noi, per… non far fare brutta figura, per far fare bella figura a Dio. Ne siamo i ministri: ecco perché le nostre belle o brutte figure rimbalzano su di Lui. Rappresentanti di Dio! Che grande parola. Ed essa è proprio matematicamente esatta, precisa quando si tratta di noi Sacerdoti, di noi apostoli veri e propri. La gente ci confonde un po’ con Dio; giudica Lui, giudica della Religione da quello che noi, proprio noi, siamo e facciamo. Ma giudizi analoghi gli uomini senza fede o con poca fede pronunciano davanti alla condotta di un fedele Cristiano. E se questi sono buoni, il volgo suddetto ne conclude che buona è la Religione, buono è quel Dio di cui la Religione si ispira e nutre. Ma viceversa con la stessa logica fa rimbalzare sulla Religione, su Dio, le nostre miserie. E conclude che la Religione non serve a nulla, a nulla di buono e grande, quando nulla di grande e di buono essa produce in noi. – Il ragionamento per cui si giudica della Religione in sé, della sua bontà ed efficacia universale da uno a pochi casi, è un ragionamento che vale fino ad un certo punto, zoppica, zoppica assai, alla stregua della logica pura ed ideale. Zoppica ma cammina. Non avrebbe il diritto di farlo ma lo si fa, con una facilità, una frequenza, una sicurezza impressionante. E di questo bisogna tener conto, che lo si fa, come teniamo conto, nella vita, di tanti altri fatti che ci appaiono o misteriosi o paradossali, ma sono fatti e « contra factum non valet argumentum. » Questo fatto deve metterci addosso un brivido ed un fuoco. Brivido di terrore pensando alla debolezza delle nostre spalle, al peso davvero formidabile. Si fa così presto noi a cadere. Quando e dopo che avremo ubbidito agli istinti egoistici e alla loro desolante miseria, si dirà da parecchi: ecco che cosa è la Religione! Ecco a cosa serve Dio! Noi avremo screditato, noi screditeremo, noi screditiamo ciò che al mondo vi è di più sacro. Sconquassiamo dei pilastri giganteschi della vita. Perciò prendiamo come programma nostro la parola di Paolo: « noi non diamo di scandalo in cosa alcuna. » E non fermiamoci, ma continuiamo: « anzi ci mostriamo in ogni cosa degni di raccomandazione. » Il che non sarà che un rifarci alla bella parola di Gesù Cristo: « veggano tutto il bene che voi fate, voi, miei discepoli, e glorifichino perciò il Padre che sta nei Cieli ». – Dicano amici e nemici osservandoci: come sono buoni i veri figli di Dio; come è buono il Padre celeste che li ispira e li guida.

 Graduale

Ps XC,11-12

Angelis suis Deus mandávit de te, ut custódiant te in ómnibus viis tuis.

In mánibus portábunt te, ne umquam offéndas ad lápidem pedem tuum.

[Dio ha mandato gli Ángeli presso di te, affinché ti custodíscano in tutti i tuoi passi. Essi ti porteranno in palmo di mano, ché il tuo piede non inciampi nella pietra.]

Tractus.

Ps XC: 1-7; XC: 11-16

Qui hábitat in adjutório Altíssimi, in protectióne Dei cœli commorántur.

V. Dicet Dómino: Suscéptor meus es tu et refúgium meum: Deus meus, sperábo in eum.

V. Quóniam ipse liberávit me de láqueo venántium et a verbo áspero.

V. Scápulis suis obumbrábit tibi, et sub pennis ejus sperábis.

V. Scuto circúmdabit te véritas ejus: non timébis a timóre noctúrno.

V. A sagitta volánte per diem, a negótio perambulánte in ténebris, a ruína et dæmónio meridiáno.

V. Cadent a látere tuo mille, et decem mília a dextris tuis: tibi autem non appropinquábit.

V. Quóniam Angelis suis mandávit de te, ut custódiant te in ómnibus viis tuis.

V. In mánibus portábunt te, ne umquam offéndas ad lápidem pedem tuum,

V. Super áspidem et basilíscum ambulábis, et conculcábis leónem et dracónem.

V. Quóniam in me sperávit, liberábo eum: prótegam eum, quóniam cognóvit nomen meum,

V. Invocábit me, et ego exáudiam eum: cum ipso sum in tribulatióne,

V. Erípiam eum et glorificábo eum: longitúdine diérum adimplébo eum, et osténdam illi salutáre meum.

[Chi abita sotto l’égida dell’Altissimo, e si ricovera sotto la protezione di Dio.

Dica al Signore: Tu sei il mio difensore e il mio asilo: il mio Dio nel quale ho fiducia.

Egli mi ha liberato dal laccio dei cacciatori e da un caso funesto.

Con le sue penne ti farà schermo, e sotto le sue ali sarai tranquillo.

La sua fedeltà ti sarà di scudo: non dovrai temere i pericoli notturni.

Né saetta spiccata di giorno, né peste che serpeggia nelle tenebre, né morbo che fa strage al meriggio.

Mille cadranno al tuo fianco e dieci mila alla tua destra: ma nessun male ti raggiungerà.

V. Poiché ha mandato gli Angeli presso di te, perché ti custodiscano in tutti i tuoi passi.

Ti porteranno in palma di mano, affinché il tuo piede non inciampi nella pietra.

Camminerai sull’aspide e sul basilisco, e calpesterai il leone e il dragone.

«Poiché sperò in me, lo libererò: lo proteggerò, perché riconosce il mio nome.

Appena mi invocherà, lo esaudirò: sarò con lui nella tribolazione.

Lo libererò e lo glorificherò: lo sazierò di lunghi giorni, e lo farò partécipe della mia salvezza».]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum S. Matthæum.

Matt IV: 1-11

“In illo témpore: Ductus est Jesus in desértum a Spíritu, ut tentarétur a diábolo. Et cum jejunásset quadragínta diébus et quadragínta nóctibus, postea esúriit. Et accédens tentátor, dixit ei: Si Fílius Dei es, dic, ut lápides isti panes fiant. Qui respóndens, dixit: Scriptum est: Non in solo pane vivit homo, sed in omni verbo, quod procédit de ore Dei. Tunc assúmpsit eum diábolus in sanctam civitátem, et státuit eum super pinnáculum templi, et dixit ei: Si Fílius Dei es, mitte te deórsum. Scriptum est enim: Quia Angelis suis mandávit de te, et in mánibus tollent te, ne forte offéndas ad lápidem pedem tuum. Ait illi Jesus: Rursum scriptum est: Non tentábis Dóminum, Deum tuum. Iterum assúmpsit eum diábolus in montem excélsum valde: et ostendit ei ómnia regna mundi et glóriam eórum, et dixit ei: Hæc ómnia tibi dabo, si cadens adoráveris me. Tunc dicit ei Jesus: Vade, Sátana; scriptum est enim: Dóminum, Deum tuum, adorábis, et illi soli sérvies. Tunc relíquit eum diábolus: et ecce, Angeli accessérunt et ministrábant ei.”

[In quel tempo: Gesù fu condotto dallo Spírito nel deserto per essere tentato dal diavolo. Ed avendo digiunato quaranta giorni e quaranta notti, finalmente gli venne fame. E accostàtosi il tentatore, gli disse: Se sei il Figlio di Dio, di’ che queste pietre divéntino pani. Ma egli rispose: Sta scritto: Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che procede dalla bocca di Dio. Allora il diavolo lo trasportò nella città santa, e lo pose sul pinnàcolo del tempio, e gli disse: Se sei il Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ha mandato gli Ángeli presso di te, essi ti porteranno in palmo di mano, ché il tuo piede non inciampi nella pietra. Gesù rispose: sta anche scritto: Non tenterai il Signore Dio tuo. Di nuovo il diavolo lo trasportò sopra un monte altíssimo e gli fece vedere tutti i regni del mondo e la loro magnificenza, e gli disse: Ti darò tutto questo se, prostrato, mi adorerai. Ma Gesù gli rispose: Vàttene Sàtana, perché sta scritto: Adorerai il Signore Dio tuo e servirai Lui solo. Allora il diàvolo lo lasciò, ed ecco che gli si accostàrono gli Angeli e lo servívano..]

Omelia

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956)

GLI SPIRITI

Gesù lascia le acque del Giordano e va nelle sabbie del deserto. Quarant’anni il popolo di Israele dovette camminare prima di giungere nel regno promesso da Dio; quaranta giorni Mosè dovette rimanere sulla cima nubilosa del Sinai per ascoltare le leggi del Signore; quaranta giorni Elia ramingò nel deserto per sfuggire la vendetta della cattiva regina e digiunò quaranta giorni prima di ottenere l’acqua sulla terra isterilita dalla siccità; ed anche Gesù si ritira quaranta giorni nella solitudine prima d’annunciare ai popoli il Regno del Cielo. Là non più voce d’uomo, non più acqua fresca e scorrente, non campi di grano, non vigneti, ma pietraie scottanti e serpenti e rovi. Veramente non è tutto solo. Sono con Lui le creature inferiori all’uomo: gli animali. Sono con Lui le creature superiori all’uomo: gli spiriti. E da prima è lo spirito cattivo, il demonio, che s’avvicina a tentarlo con la triplice tentazione del deserto, del tempio, del monte. Ma a tutte e tre le tentazioni, a quella di convertire le pietre in pane, a quella di gettarsi dal vertice del tempio, e quella di adorare satana sul monte, Gesù risponderà con un grido terribile: « Va via demonio! » E il demonio, svergognato, lo abbandonò. Allora vennero gli spiriti buoni, gli Angeli, intorno a Lui e lo servivano. In questa vita anche l’uomo, come Gesù nel deserto, è il centro di una grande guerra: da una parte i demoni, spiriti del male, che lo vogliono abbassare tutto nella materia, e perderlo; dall’altra gli Angeli, spiriti del bene, che lo vogliono innalzare alle nobiltà dello spirito, e salvarlo. L’esistenza di questi spiriti appare con evidenza dal Vangelo di questa prima domenica di quaresima: volerla negare, sarebbe negare il Vangelo, negare Gesù Cristo e la sua Religione divina. Ed io credo che non è senza utilità fermarci un momento a considerare l’influsso che gli spiriti, buoni e cattivi, possono esercitare sull’anima nostra. – 1. I DEMONI. a) La loro natura. La Scrittura non lo dice apertamente, poiché Mosè temeva che il suo popolo duro e grossolano cadesse in idolatria, ma frequentemente fa intuire la creazione degli Spiriti. Questi innumerevoli figli raggianti dell’Altissimo si letiziavano nel Paradiso mentre l’esercito degli astri, sul mattino della vita, faceva udire le sue armonie. Ma una volta seguì in cielo una gran battaglia. Uno degli Angeli più belli, splendente come il sole a mezzodì, lucifero, dimenticò di essere una creatura di Dio e nella sua superbia volle innalzarsi fino al trono dell’Altissimo e paragonarsi a Lui. Altri Spiriti, ingannati, lo seguirono nel peccato. Ed ecco: Michele co’ suoi Angeli combatte contro i ribelli, e li vince e li scaccia dal cielo (Apoc., XII). E Dio non perdonò agli angeli che peccarono, ma cacciatoli nell’inferno, li imprigionò nel fuoco e nella maledizione sua nella quale vivono tormentati (II Petr., II, 4). Da allora l’Angelo che fu precipitato si chiama diavolo e satana, e seduce tutto il mondo. Seducit universum orbem (Apoc., XII, 9). Da allora, divenuto nostro avversario, s’aggira tra gli uomini come un fulvo leone ruggente cercando chi divorare. (I Petr., V, 8). b) Il loro potere! S. Bonaventura (Theol., II, 26) ci dipinge in un quadro fosco i demoni e la loro astuzia contro le anime: « Sono spiriti impuri, nemici del genere umano. Gonfi di superbia, intelligentissimi a fare il male, non desiderano altro che nuocerci e sanno sempre scovare frodi nuove. Travolgono i sentimenti; insidiano di giorno, e di notte infestano i dormienti con sogni; sanno perfino trasfigurarsi in Angeli di luce; e sempre cercano la rovina finale dell’anima ». Immutant sensus: l’uomo capisce che tutte le cose di quaggiù, e gli onori e i danari e i piaceri, durano poco e passano come il fumo sopra il tetto, mentre Dio solo rimane e l’anima nostra. Eppure, una forza maligna lo attrae verso le cose bugiarde e lo distoglie da quelle eternamente vere. Il demonio ha la sua parte nel farci travedere le cose. Vigilantes turbant: chi suscita i fantasmi impuri nella nostra mente, anche quando siamo nella quiete della nostra casa, anche quando siamo nella santità del tempio di Dio? Il demonio. E talvolta neppure nelle ore di riposo il demonio ha requie, ma ci sconvolge con sogni cattivi e paurosi. Dormientes per somnia inquietant. Spesso astutamente sa prendere la voce e la figura dell’Angelo buono. In lucis Angelum se transformant. Racconta S. Tommaso di un monaco, che aveva fatto il proposito di non uscire più dalla sua cella, il quale continuamente udiva una voce che lo invitava ad uscire almeno per fare la Comunione. C’è qualche cosa di più santo della Comunione? e il monaco uscì. Ma la voce non s’acquietò. Era morto in quei giorni il padre di quel monaco ed aveva lasciato molti beni. « Torna a casa tua, almeno un giorno, — dicevagli la voce, — vendi ogni cosa e distribuisci ai poveri ». C’è qualche cosa di più evangelico che dare ogni cosa ai poveri? Uscì il monaco dal convento, e andò a casa, ma non ritornò più: e morì in peccato mortale. Qualche volta anche noi abbiam sentito la voce di quest’angelo bugiardo dirci così: « Perché vuoi star ritirato sempre in casa? Va alla finestra, scendi nella strada! Che c’è di male in un teatro, che c’è di male in un ballo? Che c’è? il demonio. c) La nostra difesa. Ma è possibile, penseranno alcuni, vincere un nemico che non si vede? È possibilissimo: con la preghiera, con la vigilanza, con la mortificazione. – Con la preghiera: l’Apostolo S. Bartolomeo, recatosi ad evangelizzare l’India, mentre se ne andava sconosciuto tra la folla udì un indemoniato gridare: « Apostolo di Dio, le tue orazioni mi bruciano tutto! » Più che la fiamma dell’inferno, al demonio fa male la preghiera dei Cristiani. – Con la vigilanza: vigilate, perché il demonio è furbo. Guai a concedergli qualche cosa, subito vi rapirà tutto. Nolite locum dare diabolo (Ef., IV, 27). È nota la favola del riccio che, una serataccia di temporale, piangendo chiese alla volpe ricovero nella sua tana. La volpe, non furba abbastanza, lo accolse. Dapprima si roggomitolò in un cantuccio, poi a poco a poco distese le sue membra pungentissime, fin tanto che la volpe disperata dovette uscir fuori a morire sotto la pioggia e la gragnola. Così il demonio. L’anima che non resiste subito diventa tutta sua. – Con la mortificazione: l’ha scritto S. Paolo: « armatevi con l’armatura di Dio perché possiate far contro all’insidia del diavolo, noi, non appena con la carne e col sangue, abbiamo da guerreggiare, ma soprattutto con il principe del male, con il reggitore del mondo tenebroso » (Ef., VI, 11). – 2. GLI ANGELI. Prima ancora che si levasse il sole Giuda Maccabeo attaccò battaglia: un nemico terribile, fortissimo, e fresco di forze gli stava di fronte. Ma nel fervore cruento della mischia furono visti discendere dal cielo cinque personaggi a cavallo, magnificamente adorni con freni d’oro; e capeggiarono l’esercito d’Israele. Due di essi, ai lati di Giuda, lo preservarono dalle ferite, coprendolo con le loro armature corrusche; gli altri lanciavano saette e fulmini contro i nemici, che accecati dal barbaglio, cadevano scompigliatamente. Mentre calava, il sole illuminò una pianura coperta di morti: ventimila e cinquecento fanti, e seicento cavalieri (II Macc., X, 29). Quanta consolazione c’ispira questo episodio! Dunque, non siamo soli a combattere contro il feroce nemico d’inferno, ma gli Angeli del Signore, benché non li vediamo, sono intorno a noi e combattono per noi. Iddio per incoraggiare il popolo di Israele che doveva attraversare il deserto e lottare con molti popoli gli fece questa promessa: « Ecco che io manderò il mio Angelo, il quale vada dinanzi a te, e ti custodisca nel viaggio, e ti introduca nel paese che Io ho preparato. Onoralo e ascolta la voce e guardati dal disprezzarlo: per ch’egli non ti perdonerà se farai del male, e il mio Nome è in lui. Che se tu ascolterai la sua voce, Io sarò nemico de’ tuoi nemici e perseguiterò coloro che ti perseguiteranno » (Esodo, XXIII, 20-22). Queste parole, Dio le ripete ad ogni uomo che nasce quando gli destina l’Angelo custode che andrà davanti a lui nel viaggio della vita e lo aiuterà fino a condurlo in Paradiso. Queste parole contengono anche tutto quello che gli Angeli fanno per noi, e tutto quello che noi dovremmo fare per gli Angeli. a) Che fanno per noi gli Angeli? Offrono le nostre preghiere e le opere buone a Dio e le rendono così più gradita « Ero io che innalzavo le tue orazioni al cospetto del Signore » confessò l’arcangelo Raffaele al giovanetto Tobia. Illuminano la nostra mente nei dubbi, ci avvisano nei pericoli. Era sempre un Angelo che illuminava Giuseppe nei suoi dubbi, che lo consigliava a fuggire in Egitto o a ritornare a Nazareth, quando il persecutore era morto. Ci aiutano nei nostri bisogni, sollevandoci nelle fatiche e nelle malattie. Quando S. Isidoro contadino stanco e bruciato dalla canicola si gettava sotto qualche albero a riposare o a pregare, era il suo Angelo che reggeva l’aratro, che pasceva i muli, che allontanava i lupi dall’ovile. – Ci difendono dai pericoli dell’anima e del corpo. I tre fanciulli che Nabucodonosor gettò nella fornace ardente, non arsero perché l’ala d’un Angelo li circondò. Ci castigano talvolta, come una buona mamma fa col suo bambino. San Gerolamo una notte fu battuto da un Angelo, perché da tempo smaniava nella lettura di libri profani, trascurando i sacri. – Ci consolano nei dispiaceri: quando Gesù, agonizzò nel Getsemani ed espresse sudore di sangue, scese un Angelo e lo consolò. b) Se gli Angeli sono così buoni con noi, che dobbiamo fare per loro? Prima di tutto, se siamo in disgrazia di Dio, purificarci subito la coscienza dal peccato, poiché sta scritto che gli Angeli godono di più per un peccatore che fa penitenza che non per novantanove giusti. Poi, guardiamoci bene dal commettere qualsiasi atto che li possa disgustare: ma ascoltiamo la loro voce, onoriamoli, supplichiamoli. Infine, non scandalizziamo nessuno né con parole né con gesti; ma specialmente abbiamo una squisita delicatezza per i piccoli: i loro Angeli nel cielo vedono sempre la faccia di Dio. Angeli enim eorum in cœlis semper vident faciem Patris (Mt., XVIII, 10). – Giuditta, tremando di gioia, ritornava alla città. Stringeva nella mani la testa orrenda di Oloferne che ancora grondava. E come fu dentro alla porta di Betulia, e come tutto il popolo accorse attorno alla liberatrice, ella salì in alto e scoppiò in un grido : « Viva il Signore! Fu un Angelo che nel passare custodì me, donna inerme tra le schiere degli armati; fu un Angelo che avvalorò il braccio debole e ignaro quando nelle tenebre notturne e nel silenzio spiccai dal tronco questo capo; fu un Angelo che illesa e ignota mi ricondusse tra voi: viva il Signore! » (Giuditta, XIII, 20). – Cristiani, se praticheremo le riflessioni che abbiamo dedotto dal Santo Vangelo, noi pure un giorno entreremo in paradiso, con la testa del demonio stroncata, e ai Santi narreremo come Giuditta: « Viva il Signore! Un Angelo m’ha custodito di giorno in giorno: un Angelo mi ha fortificato a vincere il demonio; un Angelo mi ha guidato salvo in cielo: viva il Signore ». Intanto però abbiamo da combattere. I demoni furono cacciati dal cielo: noi dobbiamo cacciarli anche dalla terra. Gli Angeli ci aiuteranno. Vade, satana! (Mt., IV, 10). –LE TRE TENTAZIONI. Lungo la costa occidentale del mar Morto si distende una regione desolata e desolante. Non una palma verde che conforti la vista, non un’acqua limpida che placa l’arsura, non un uccello che rallegri il silenzio cupo: ma da per tutto colline ineguali e sabbia gialla che s’inseguono senza respiro, picchi rocciosi soprastanti ai torrenti disseccati, ampie radure brulle ove par che la vita sia scomparsa. E di quando in quando, sopra quella terra morta, quasi a contristarla di più, se fosse possibile, si precipita il soffio affocato del vento. Fu appunto da questo luogo che Gesù cominciò la redenzione. « Ductus est in desertum… ». Ma il deserto delle tentazioni è un’immagine della vita nostra dopo il peccato: valle di lacrime è la terra, e sopra di essa spira il vento soffocante delle tribolazioni e il demonio viene a tentarci. In principio non era così. Giardino di gioia era la terra, e l’uomo re magnifico con la grazia di Dio. Ma in quel giorno in cui l’uomo cedette alla tentazione del serpente, il giardino divenne un deserto. O ecco: e Gesù viene nel deserto per vincere la tentazione del demonio e rifare nel deserto il magnifico giardino della grazia di Dio. È necessario, dunque, meditare come Gesù sia stato tentato, — poiché nello stesso modo noi pure siam tentati; e come Gesù abbia vinto le tentazioni, perché è con le medesime armi che noi pure dobbiamo vincere. – 1. LA TENTAZIONE DELLA VITA SENSUALE. Dopo quaranta giorni di digiuno, Gesù ha fame: e il tentatore gli va daccanto: « Converti queste pietre in pane ». Il pane! il cibo del corpo: la vita sensuale in tutte le sue manifestazioni, ecco dove il demonio tenta di far affogare l’anima. Date uno sguardo al mondo: quanta gente corre, si agita, suda, soffre… ma per interessi materiali; per il pane, per far danaro, per aver roba, per godere. Si profana la festa: per il pane. Si viola la giustizia: per il danaro. Si litiga con odio: per la roba. Si trasgredisce ogni legge: per godere. Ma Gesù rispose al tentatore: « Non di solo pane vive l’uomo! ». Ricordiamoci che abbiamo anche l’anima da salvare. – Ci fu un uomo a cui la fortuna aveva largito a piene mani ogni ricchezza: denaro e terra. Un anno, fu tale l’abbondanza che andava pensando: « Dove potrò mettere tutta questa roba? ». E risolvette di far così: « Demolirò i miei vecchi granai, e ne costruirò dei nuovi e più capaci: vi ammasserò i prodotti e le mie cose. E allora sì che potrò dire all’anima mia: « O anima! ne hai qui per molti anni: mangia, bevi, dormi e sta allegra… ». Ma una voce gli scoppiò daccanto come folgore: « Stolto! stanotte morrai… E tutta la tua roba di chi sarà? ». – 2. LA TENTAZIONE DELL’ESPORSI AL PERICOLO. Il diavolo, vinto la prima volta, trasporta Gesù sul fastigio del tempio e gli dice: « Buttati giù! che non ti farai male: ma ti sosterranno gli Angeli e ti adageranno a terra… ». Una bella pretesa! buttarsi già da un alto tetto e illudersi di non rompere il collo!… È come andar nel fuoco e non bruciare. Ma non è forse più sciocca la pretesa di non pochi Cristiani che vogliono mettersi nelle occasioni e ripromettersi di non peccare?… – Dicono che una notte, sulle montagne di Delfo, s’aprì un baratro da cui esalava un olezzo inebriante tutto intorno. E l’impressione olfattiva era così deliziosa e strana che penetrava il cervello, invadeva il corpo intero in ogni fibrilla. Furon visti pastori, urlando, correre all’impazzata verso l’abisso, e gregge intere, belando, essere attratte nelle spire del magico profumo: e tutti sparire nel baratro fatale. Ma un giorno, sul mercato di Delfo, apparve un uomo che, in piccole scatole, vendeva il rimedio contro l’incantesimo del baratro. Un mandriano, che teneva dei pascoli vicini a quel luogo funesto, comprò il rimedio e corse a casa per mostrarlo agli amici. E sotto a cento occhi attoniti, aprì la scatola e trovò… un semplice gomitolo di spago con la scritta: « Se vuoi salvarti dal baratro sta lontano tanto così! ». Lontano, dunque da certi luoghi dove si offende Dio; lontano da quelle persone che ci scandalizzano, lontano da quegli oggetti, da quelle figure, da quei libri che esalano un profumo inebriante, ma fatale. – 3. LA TENTAZIONE DI COLLOCARE LA FELICITÀ NEL MALE. Oh! il demonio in quell’ultimo giorno d’innocenza, là, nel Paradiso terrestre, come deve aver saputo trasfigurare sotto gli occhi ingenui di Eva quel frutto proibito! E quella lo credette il più mirabile a vedersi, il più delizioso a gustarsi, il frutto insomma che solo poteva farla felice a pieno: « vidit mulier quod esset bonum ad vescendum et pulchrum oculis ». Ed Eva protese la mano e lo mangiò… ma sotto ai suoi morsi golosi quel frutto si tramutò in veleno. La medesima astuzia, il tentatore usò con Gesù; usa con noi. Il diavolo trasportò Gesù su la vetta eccelsa di un monte e gli disse: « Guarda: se sei capace di adorarmi in ginocchio, ti farò re di questi imperi ». Non è forse vero che prima del peccato ci par proprio che nel frutto proibito troveremo felicità? E l’ingenua anima dell’uomo, dietro alla lusinga di esser regina, è fatta schiava di satana. – « Adorami, fa quel peccato » sibila il demonio, « e sarai un re ». Anche un’aquila, dice la leggenda, udì una voce che la chiamava al fondo della valle. Abituata alle cime supreme e nude e gelide, un giorno vide il fondo della valle colorito di fiori e sembrava che un’iride si fosse infranta in mille pezzi sul verde tappeto. E le parvero scabrosi i suoi greppi natali sospesi tra le nuvole e l’azzurro e discese giù. S’inebriò di quei colori, si irrorò nella rugiada, si distese sull’erba e sui fiori, con aperte le ali, quasi a raccogliere il profumo. E poi fece per risalire. Infelice! L’ala non remeggiava più: un piccolo serpentello nascosto sotto l’ala la mordeva col dente del veleno. La povera aquila guardò allora, con occhio velato, il suo greppo natale tra nuvola e cielo: mandò l’ultimo strido e morì. – Quest’aquila è l’anima nostra nata per le sublimi altezze. La lusinga della valle fiorita, ma col serpente tra i fiori, è la lusinga del peccato; è la terza tentazione di Gesù. Se non vogliamo soccombere, appena il tentatore comincia la sua suggestione, facciamoci il segno della croce, chiamiamo Gesù e con Lui gridiamo: «Io adoro Dio. In Lui solo e nella sua volontà è la mia pace. Va via, satana! ». – Agonizzare pro anima tua. — Lottare contro tutte le tentazioni del demonio e vincere come Gesù, con Gesù, per Gesù. E quando saran finiti i quaranta giorni del deserto, ossia i pochi anni della vita mortale, noi pure allora vedremo gli Angeli scendere dal cielo e condurci al convivio eterno. Ecce angeli accesserunt et ministrabant.

IL CREDO

Offertorium

Orémus Ps XC: 4-5:

Scápulis suis obumbrábit tibi Dóminus, et sub pennis ejus sperábis: scuto circúmdabit te véritas ejus.

[Con le sue penne ti farà schermo, il Signore, e sotto le sue ali sarai tranquillo: la sua fedeltà ti sarà di scudo.]

Secreta

Sacrifícium quadragesimális inítii sollémniter immolámus, te, Dómine, deprecántes: ut, cum epulárum restrictióne carnálium, a noxiis quoque voluptátibus temperémus.

[Ti offriamo solennemente questo sacrificio all’inizio della quarésima, pregandoti, o Signore, perché non soltanto ci asteniamo dai cibi di carne, ma anche dai cattivi piaceri.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de sanctissima Trinitate


Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui cum unigénito Fílio tuo et Spíritu Sancto unus es Deus, unus es Dóminus: non in uníus singularitáte persónæ, sed in uníus Trinitáte substántiæ. Quod enim de tua glória, revelánte te, crédimus, hoc de Fílio tuo, hoc de Spíritu Sancto sine differéntia discretiónis sentímus. Ut in confessióne veræ sempiternǽque Deitátis, et in persónis propríetas, et in esséntia únitas, et in majestáte adorétur æquálitas. Quam laudant Angeli atque Archángeli, Chérubim quoque ac Séraphim: qui non cessant clamáre quotídie, una voce dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: che col Figlio tuo unigenito e con lo Spirito Santo, sei un Dio solo ed un solo Signore, non nella singolarità di una sola persona, ma nella Trinità di una sola sostanza. Cosí che quanto per tua rivelazione crediamo della tua gloria, il medesimo sentiamo, senza distinzione, e di tuo Figlio e dello Spirito Santo. Affinché nella professione della vera e sempiterna Divinità, si adori: e la proprietà nelle persone e l’unità nell’essenza e l’uguaglianza nella maestà. La quale lodano gli Angeli e gli Arcangeli, i Cherubini e i Serafini, che non cessano ogni giorno di acclamare, dicendo ad una voce:]
Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis
Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

Communio

Ps XC: 4-5

Scápulis suis obumbrábit tibi Dóminus, et sub pennis ejus sperábis: scuto circúmdabit te véritas ejus.

[Con le sue penne ti farà schermo, il Signore, e sotto le sue ali sarai tranquillo: la sua fedeltà ti sarà di scudo.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Postcommunio

Orémus.

Qui nos, Dómine, sacraménti libátio sancta restáuret: et a vetustáte purgátos, in mystérii salutáris fáciat transíre consórtium.

[Ci ristori, o Signore, la libazione del tuo Sacramento, e, dopo averci liberati dall’uomo vecchio, ci conduca alla partecipazione del mistero della salvezza.

]PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

INGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

LO SCUDO DELLA FEDE (241)

LO SCUDO DELLA FEDE (241)

LA SANTA MADRE CHIESA NELLA SANTA MESSA (9)

SPIEGAZIONE STORICA, CRITICA, MORALE DELLA SANTA MESSA

Mons., BELASIO ANTONIO MARIA

Ed. QUINTA

TORINO, LIBRERIA SALESIANA EDITRICE, 1908

ART. V.

LAVARSI LE MANI.

Il sacerdote si reca perciò dal lato sinistro dell’altare, e si lava le mani. Noi daremo brevemente la storia di questo rito e la sua significazione per ispirarci della sua santità. Questo rito di lavarsi e di purificarsi prima di trattar le cose sacre, forse è antico, come è antico, anzi naturale, il sentimento, che ha la creatura ragionevole, di essere indegna per le colpe di trattar colla Divinità. Anche nell’antica legge i sacerdoti si purificavano colla lavanda prima di accingersi al Sacrificio, e nel cortile dell’antico tempio di Gerusalemme era posta una gran vasca, chiamata mare di bronzo, in cui si lavavano gli Israeliti in sullo entrare nel luogo santo. Fra tutti i riti degli antichi popoli, che accennano al dovere di purificarsi, piace a noi di ricordare una legge dei sacerdoti egiziani, come accenna san Girolamo. Essi erano obbligati a vestire per le loro funzioni candidissimi lini, e a conservarli mondi così, che, se si fosse trovato morto un minuto insetto nei loro abiti, venivano condannati a morte. Che gran lezione per noi!… La Chiesa pertanto non poteva fare a meno di adottare il rito di purificarsi coll’acqua, per esprimere il desiderio della mondezza interiore, il quale rito fu sempre accetto e adottato dagli antichi Cristiani, usi fino da’ primi tempi anch’essi a lavarsi prima di entrare nelle chiese. S. Cirillo (Catech. Mystag. 5.) dice che era officio del diacono, (che poi fu da s. Clemente assegnato al suddiacono), di porger l’acqua da lavare le mani, non solamente al celebrante, ma anche agli altri preti assistenti all’altare; ed osserva come era simbolo della mondezza, che si richiedeva pei santi misteri. Di qui l’uso di porre alle porte delle chiese le pile dell’acqua benedetta, in cui il popolo fedele s’asterge. Quest’acqua alla porta ci ricorda che noi siamo stati purificati col Sangue di Gesù Cristo nell’acqua del santo Battesimo; e con benedirci con quell’acqua col segno di croce si vuol dir che copriamo le nostre miserie colle piaghe di Gesù, e corriamo sotto al vessillo, a cui fummo ascritti, quando il nostro nome nel Battesimo fu scritto nel libro della vita. Con la pratica di segnarci in contrizione si ottiene la remissione dei peccati, ed il sommo Pontefice Pio IX concesse cinquanta giorni d’indulgenza tutte le volte, che ci segniamo; e cento sempre che ci segniamo coll’acqua santa. È perciò commendevole l’uso di segnarci nell’entrar ed uscir di Chiesa, e nelle case cristiane, prima e dopo il cibo, affine di alimentarci a gloria di Lui, nel porci a riposo, nel sorgere ai nostri doveri, e negli istanti delle più pericolose tentazioni; per porre in fuga i nemici delle anime nostre, mettendoci sotto la croce del Salvatore, vessillo delle nostre speranze, innanzi a cui trema l’inferno. Il sacerdote si lava qui, non perché aspetti a purificarsi in quest’istante; ma perché, qualunque sia la purificazione che l’uomo abbia premessa, allorché si avvicina il momento tremendo, in cui si ha da trovar faccia a faccia colla Santità sostanziale, debbe sentire la necessità di fare uno sforzo ancora per purificarsi di nuovo. Per questo il Sacerdote, ritiratosi alquanto in un angolo, pare che chieda un po’ di tempo a raccogliersi in se stesso, e fare quest’ultima prova, e quindi esclama nel lavarsi: Lavabo.

Il Salmo: Lavabo.

« Laverò le mie mani fra gl’innocenti e circonderò il vostro altare, o Signore: Lavabo inter innocentes manus meas, et circumdabo altare tuum, Domine. » Quasi dicesse: Signore! È questo un popolo di rigenerati all’innocenza, segregato dai peccatori esclusi or ora dal luogo santo. Di questi innocenti avrò io cuore di mettermi a capo, senza prima purificarmi ancora? Per lavarmi dell’anima io non posso fare altro, che entrare nella mia coscienza, e mettere l’anima mia dinanzi a Voi confessandomi peccatore, e pregandovi di mondarmi ancor più (Ps. L). Voi colla grazia. Così purificherò le opere mie; e con mani monde m’avvicinerò ai sublimi vostri misteri. E circonderò l’altare vostro, su cui è il prezzo della nostra giustificazione. Convertiti adunque a Voi, noi ci terremo stretti al vostro altare: « ut audiam vocem laudis, et enarrem universa mirabilia tua. » – Riconoscenti alla vostra grazia, dal nostro cuore consolato pel vostro perdono escir deve una voce, che darà lode alla vostra bontà; e così noi racconteremo le vostre meraviglie. E di quali meraviglie ci rende testimonio la nostra coscienza? Ella, che mentre ci accusa per peccatori, nello stesso tempo ci consola col sentimento, che le sia ridonata l’innocenza? « Domine, dilexi decorem domus tuæ, et locum habitationis gloriæ tuæ. »Sì, o Signore, siamo peccatori, ci confessiamo tali;ma un po’ di cuor l’abbiamo, e fortunati di avervifra noi, amiamo di darvi gloria noi, in mezzo ai qualiabitate. Amiamo il decoro della vostra casa, e il luogo,dove date gloria alla vostra bontà: ed appuntoin esso ci siamo ora raccolti, segregati dai peccatori.« Ne perdas cum impiis Deus animam meam et cum viris sanguinum vitam meam, in quorum manibus iniquitates sunt, et dextera illorum repleta est muneribus. »Salvateci, o Signore, liberateci dai peccati commessi e da quelli che pur possiamo commettereancora. Ah! non isperdete insieme cogli empi l’animanostra, e cogli uomini di sangue non mandatea male questa nostra vita! Sciagurati; hannoessi le mani piene d’iniquità, e la loro destra è ripienadi doni: poveri ingannati, che tengono le cosedel mondo in prezzo maggiore, che non la vostragiustizia!« Ego autem in innocentia mea ingressus Sum, redime me, et miserere mei. »Ma, Signore, noi siamo qui entrati nella speranza di essere da voi restituiti nell’innocenza; io poi, Sacerdote e uomo meschino, ho fatto di me stesso giudizio, come ho potuto, in nome della vostra giustizia. Non mi pare di essere reo di grave colpa; ma mi dirò dunque giustificato? E chi ardirebbe dinanzi a voi dirsi innocente? Affrettatevi di redimerci: perché tutte le nostre speranze poniamo nella vostra misericordia. « Pes meus stetit in directo, in Ecclesiis benedicam te, Domine. Gloria Patri etc. » Sì, vostro è il merito, e vostra è la gloria, se abbiamo fatto bene: noi vi benediciamo qui raccolti, e le nostre opere buone saranno per noi tutti ragione di rendervi sempre nuove benedizioni. Ah! sia gloria nel tempo e nell’eternità, qual si conviene, a Dio Padre, Creatore ecc. Così sia. – Noi non crediamo di aver raggiunto a pezza il senso di questo salmo; ma speriamo di averlo almeno in qualche parte interpretato; specialmente avendo noi cercato di compendiare in qualche modo la spiegazione di s. Agostino nelle sue Enarrazioni sui salmi, e di adattarla all’occasione, in cui si recita quivi. – Ora ci resta, nel considerare questo rito, di ricavarne lezione di cristiana umiltà. « Perché, dice s. Cirillo (Catech. Mystag. 5), si lava il Sacerdote? Forse per mondarsi da corporali sozzure? E chi ardirebbe presentarsi colle mani insozzate all’altare? Nessuno al certo. Le mani adunque significano le azioni; e il lavarsi le mani significa la mondezza e la purità della vita nostra. Non avete sentito Davide, che, per disporsi a trattar santi misteri, si vuol lavare cogli innocenti le mani? Questo lavarsi le mani è adunque un simbolo, e significa di non essere immondi di peccati. Si lava solamente le estremità delle dita; il che significa, come dice s. Dionisio (S. Dion. Areop. De Eccl. Hierar., cap. 3, n. 2.), il bisogno di purificarsi anche dei leggieri peccati. Deve ben essere una vergognosa impudenza l’avvicinarsi con libertà a Gesù Cristo nel Sacramento così di frequente, quasi si avesse il diritto di trattare con Lui colla confidenza d’amico; mentre facciamo al giorno tante minute azioni, che gli dispiacciono, e ad ogni ora! In vero non si può comprendere, come osiam di portare sull’altare sempre le solite infedeltà. Per questo, uomini santi, per quanto umanamente si può, a celebrare ben preparati, s’astengono tratto tratto, dall’altare, per richiamare in giudizio davanti a Dio la propria coscienza in qualche tempo di solitudine spirituale, a render conto del profitto fatto del dono di Dio. Noi lodiam ben di cuore lo zelo dei più, che ogni giorno niente meglio desiderano, che di rendere il più grande omaggio alla ss. Trinità, parendo loro di defraudare troppo gran gloria a Dio, se non celebrassero tutte le mattine. Noi sì lodiamo e benediciamo al fervore di quelle anime predilette, la cui vita è sospiro d’amore a Gesù, ed un continuo a Lui anelare, e che non sanno altrimenti quietare ed empiere la propria fame, se non hanno con tutta dolcezza e avidità il sacro Corpo (Imit. Christi lib, 4.). Questi lodiamo, perché danno opera a tenersi ben preparati per compiere ogni giorno la più tremenda azione. Ma se veneriamo questi fervorosi, non possiamo a meno di benedire a quegli altri, che sì astengono qualche giorno, per ritirarsi e disporsi a ricevere i santi misteri meglio preparati (Imit. Christi lib. 4.): e perciò fanno nell’anno un po’ di ritiro nei santi Esercizi.

ART. VI.

L’ORAZIONE: SUSCIPE, SANCTA TRINITAS.

Il lavarsi le mani in quel punto significa la sollecitudine di un’anima, che affina i suoi pensieri, purifica i suoi affetti, e tenta deporre ogni resto di umana miseria, per sollevarsi a Dio. Questo convien massime al Sacerdote, che deve in nome di Gesù Santissimo presentarsi alla ss. Trinità, e offrirle nel Sacrificio tale un omaggio, che, sebbene mandato dalla terra, al tutto è divino. Eccolo che torna in mezzo all’altare, e s’inchina posando sopra di esso le mani giunte. In questa giacitura ricorda il Salvatore benedetto, che nella sua vita mortale offriva tutto se stesso alla gloria del suo Padre celeste: ed era come il suo cibo d’ogni ora fare la volontà di Lui fino alla morte. Onde con Gesù assorto nel pensiero della grande offerta, dice l’orazione, che comincia:

Suscipe, sancta Trinitas.

« Accogliete, o Trinità santa, questa oblazione, che vi offriamo in memoria della Passione, Risurrezione ed Ascensione di Gesù Cristo, Signor nostro, ed in onor della beata Maria sempre vergine e del beato Giovanni Battista, e dei santi Apostoli Pietro e Paolo, e di codesti e di tutti i Santi, affinché a loro torni in profitto d’onore, e per noi in profitto di salute: e intercedere per noi si degnino in cielo quegli, di cui facciamo memoria in terra. Per il medesimo Gesù Cristo, Signor nostro. Così sia. » – Per ben intendere quest’orazione, diremo che il Sacerdote, avendo già fatta l’offerta del pane e vino distintamente, ora in questa preghiera la rinnova offrendoli insieme, perché insieme sono ordinati a concorrere in unità al Sacrificio (Bened. XIV, De sac. Miss. Lib. I, cap. II, n.4). Vogliono anche alcuni, che le due prime orazioni, che accompagnano le due offerte suddette, fatte ad una ad una separatamente, venissero dal Sacerdote recitate col popolo, e poi questa solo dal Sacerdote. Per penetrare nello spirito di questa sublime preghiera, osserveremo prima di tutto, che in essa si fa menzione della Passione, Risurrezione ed Ascensione di Gesù Signor nostro, supplicando la ss. Trinità ad accogliere, in memoria di quelle, l’offerta immacolata che si va preparando. Quest’offerta dev’essere il Sacrificio del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo, per merito del quale solamente venivano accettati i sacrifizi antichi, che lo figuravano (Conc. Trid., Sess. XXII, cap. 1). Ora considereremo quanto appunto si sperava con quelli in figura, e lo vedremo poi tutto eseguito nel Sacrificio della Messa in un modo veramente degno di Dio. – In primo luogo per fare i sacrifizi, comandati da Dio nell’antica legge, si eleggeva la vittima: e con questa elezione quella diveniva cosa santa, e vuol dirsi segregata dagli usi profani, e a Dio devota. Questa elezione della vittima ha già fatto nel mistero dell’Incarnazione il Figlio di Dio, quando prese l’umana natura, ed immedesimandola colla sua Natura Divina si fece nostro Salvatore offrendosi da vittima e pontefice, consacrato coll’unzione della Divinità all’immortal sacerdozio (Conc. Trid., Sess. XXII, cap. 1). Da quel primo istante da cui nacque uomo il Nazareno, Figliuolo di Dio Santissimo, o come cosa tutta santa, consacrata a Dio per venir poi per noi sacrificata in sulla croce: e sospirando il momento di farlo, sclamava sino dal primo istante della sua umana esistenza: « m’avete adattato un Corpo: ecco, ecco che io vengo » (Hebr. X). In secondo luogo i sacerdoti giudaici la vittima eletta ponevano e immolavano in sull’altare, e del sangue suo cospergevano l’altare e tutto d’intorno. La vittima così immacolata era un’immagine viva di Gesù Cristo, grande vittima che fu sacrificata sul Calvario; del cui Sangue di tutte le Piaghe, e massime del santo suo Costato, fu cosperso l’altare della croce e tutto intorno (Bened. XIV, lib. I, cap. II, n. 5, De sac. Miss.). Finalmente quell’antica vittima di carne mortificata veniva abbruciata, e purificata così dal fuoco; e dall’altare, come in profumo, saliva al cielo in odore di soavità; mentre in terra il popolo vi aveva la sua parte. Anche questa era simbolo, che accennava e prometteva al cielo il profumo veramente divino della gran Vittima, che col morire crocifissa deponeva nella morte, come insegna san Paolo (2 ad Cor.), ciò che di mortale aveva, e sorgeva immortale nella Risurrezione. Nell’Ascensione poi il Redentore trionfante portava l’umana carne spiritualizzata nel più alto de’ cieli in seno al Padre; e qui in terra ancora si comunica e s’incorpora coi fedeli, per portare la nostra povera umanità alla beatitudine in Paradiso in seno al Padre. – Ora ecco perché (Bened. XIV, ibi) nella Messa si supplica che sia accolto quel Sacrificio in memoria prima della Passione; perché come nella passione la gran vittima per la divina incarnazione già preparata, venne uccisa e colla morte distrutta; così nella futura consacrazione la vittima misticamente sì svenerà, e misticamente si distruggerà, e si priverà di vita, presentandosi come agnello trafitto, dal cui corpo è tratto il sangue sino all’ultima goccia. E per questo fine appunto si consacra il Corpo e il Sangue sotto diverse specie, l’una dall’altra divisa (S. Thom. 3 p., 74, art. 1.). Diremo, nel Sacrificio della Messa Gesù Cristo si offre davanti al Padre col suo Corpo proprio come era pendente in croce, là svenato col suo Sangue come era diviso dal corpo e tutto là sparso per terra. Così col corpo sotto le specie del pane, col sangue sotto le specie del vino si presenta come li avesse ancor separati benché sia in Persona vivo e glorioso sotto ciascuna specie. Oh vittima ed Agnello divino che caduto innanzi al trono di Dio come svenato trova in cielo la redenzione! Poi si prega, che sia accolta in memoria della Risurrezione: perché, come dicemmo, nella .risurrezione quel corpo, purificato d’ogni avanzo di mortalità (come la vittima si purificava pel fuoco), si rivestì dell’immortalità; e così pure nel Sacrificio il Corpo di Gesù Cristo sotto le specie sacramentali si presenterà nello stato di gloria e risorto all’immortalità. – Finalmente s’implora, che sia accolto il Sacrificio in memoria dell’Ascensione. Poiché, come nell’Ascensione l’umana natura divinizzata in Lui elevossi in seno al Padre; così dall’altare santo Gesù Cristo sacrificato si eleverà come profumo divino in seno al Padre, e il Padre accoglierà l’Unigenito, sua eterna compiacenza, che, essendo Dio con esso divin Padre, a Lui di qui rende onore divino, nel sacrificio tutto a Lui offertosi. S’aggiunge poi di offrirlo in onore di Maria ss. e di tutti i Santi; affinché per loro torni ad onore, e riesca per noi a salute coll’intercessione di loro pei meriti di Gesù Cristo. Oh sì veramente! Per tutti quei felicissimi, che in virtù di questo Sacrificio sono beati in Paradiso, quale dovrà essere la consolazione e quale la gloria del sentire ricordare le proprie virtù, ed all’augustissima Trinità fare di esse un presente in uno coi meriti e colla Persona del Figliuolo divino? Essi inabissati nel seno della Divinità, d’uno sguardo abbracciando il cielo e la terra, il tempo passato ed il futuro, come l’istante presente, contempleranno in chiarezza i misteri della grazia, l’ordine della redenzione operata dal figliuolo di Dio; di là comprenderanno bene, come la loro santità sia il frutto della gran radice, che in tutti i popoli si va diffondendo; così d’ogni ben perfetto in sulla terra riconosceranno la causa, la virtù, il merito essere in Gesù Cristo. Onde con quelle espressioni, che si sanno formare solo in seno a Dio, d’ogni bene a Lui daran gloria eternamente. Qui par bene che al Sacerdote siasi nella contemplazione rivelato un raggio di quella beatitudine, che riflesso sulle anime in terra, diventa celeste speranza dell’anima cristiana; per cui egli confida vivamente per Gesù Cristo di salire anch’esso coi suoi figliuoli a’ piedi di Maria a ricongiungersi con quei beati. In tale elevazione di mente, con questo desiderio, in questa speranza s’attacca all’altare, che lega la terra al trono di Dio, e, stringendosi al petto le reliquie dei Santi, colle braccia allargate in atto di accogliere tutti i fratelli, che ha intorno, e portarseli in cuore in Paradiso, con quelli bacia l’altare, che ne è la porta, e in quella piena di affetti ineffabili e misteriosi si rivolge, e si raccomanda a tutti di rianimare il fervore nell’accompagnarlo colle preghiere, col dire: Orate, fratres.

Art. VII.

L’ORAZIONE: ORATE, FRATRES.

Ci piace di premettere l’osservazione, che il sacerdote, nell’atto di rivolgersi per dire: Orate, fratres, compie il giro; cioè voltandosi al popolo dal lato destro, girandosi intorno si rivolge all’altare dal lato sinistro; mentre tutte l’altre volte, che dall’altare si volta al popolo, non compie il giro, ma ritorna dalla parte, donde s’era voltato. Per conoscere il perché di questo girarsi intorno, che fa il Sacerdote, è da considerare, che in altri tempi nelle chiese stavano dagli uomini separate le donne in luogo appartato, che si chiamava il matroneo, cioè luogo serbato alle cristiane matrone. Il perché si legge ancora in antichi rituali, che il Sacerdote rivolto alla parte degli uomini diceva; « Pregate o fratelli; » poi rivolto dalla parte delle donne diceva; « Pregate o sorelle (Card. Bona, R:r. lit. lib. 2, cap. 9, n. 6) » Ora questo giro compiuto potrebbe significare, che il Sacerdote in così fare si rivolge a tutti i fedeli, che si trovano in ogni parte, e va, per così dire, coll’animo in cerca di ciascuno in ogni angolo della chiesa, ed allargando loro le braccia incontro, li supplica della carità d’accompagnarlo colle preghiere. Dice adunque questa:

Orazione

« Pregate, o fratelli, affinché il mio e vostro sacrificio sia fatto accettevole presso Dio, Padre onnipotente. »

QUARESIMALE (IV)

QUARESIMALE (IV)
DI FULVIO FONTANA


Sacerdote e Missionario
DELLA COMPAGNIA DI GESÙ

Venezia, 1711. – Imprim. Michel ANGELUS Præp. Gen. S. J. – Roma 23 Aprile 1709)

IN VENEZIA, MDCCXI (1711)

PREDICA QUARTA


Nella Domenica prima di Quaresima.

Convien fuggire l’occasione pericolosa perché quando alla tentazione s’unisca l’occasione, le cadute sono quasi inevitabili.

Ductus est Jesus in Desertum a Spiritu ut tentaretur a Diabolo.
San Matteo cap. IV.

S’alza colà nel Mar del Brasile una rocca tutta d’una intera, e preziosa pietra, tutta un perfettissimo smeraldo, a cui acutissimi scogli fan siepe d’intorno come spine in corona d’un fiore e rompono la rabbia all’Oceano, che più furioso l’assalisce, dove la rocca più robusta resiste. Sorge ella sopra di quegli scogli, sopra di quei mari coronata delle sue proprie ricchezze, e vibrando per ogni parte un riso di lumi, par che si burli del vano sforzo delle onde, e de’ loro continui naufragi. Tal fortezza non diede a te natura o uomo, per renderti incontrastabile all’Oceano di tentazioni, con cui il demonio t’assalisce. È vero, gli assalti di questo comune inimico non possono fuggirsi; è vero, egli è indefesso nel replicare continue batterie alle anime nostre con fiere tentazioni, ma non per questo disperereste gloriose vittorie, quando voi vi contentate dare orecchio alle mie parole in questo giorno, con le quali vi lascerò per ricordo che fuggiate l’occasioni di peccare. Giacché è certissimo e sarà l’assunto del mio discorso, che quanto è debole il demonio con le sue tentazioni, quando queste sono disarmate dalle occasioni, altrettanto è vero non avere il demonio forza maggiore di quella che esperimenta allorché alle sue tentazioni s’unisce l’occasione. – Odo sul bel principio dall’eremo di Chiaravalle quel Santo Abbate Bernardo, il quale dopo averci ricordato esser noi attorniati da tentazioni di modo che la nostra vita merita più tosto nome di tentazione che di vita. Ut non immerito vita nostra ipsa tentatio debeat appellari, conclude con universale avviso a quanti vivono, hoc præmunitos vos esse volo neminem super terram absque tentatione victurum. Non v’è nessuno esclama il Santo Abbate, non v’è nessuno in questa vita che non sia combattuto da tentazioni. O là intendetela, il demonio fiero nemico dell’uomo non porta rispetto a Mitre, non cura Porpore, non stima Corone, sprezza Scettri, vilipende Sogli, assale Triregni, egli si ride della virtù, schernisce la Religione, e disprezza la bontà, tutti, tutti insomma d’ogni età, d’ogni sesso, d’ogni condizione sono dal demonio combattuti, e tentati. Neminem super terram absque tentatione victurum. Siamo dunque tentati, è vero, e bisogna duellare con quel serpente così terribile, che al primo fischio che diede, impresse un mortale contagio anco nel Cielo; con tutto ciò assicuratevi che queste tentazioni disarmate dalla occasione, poco o nulla ci possono nuocere. La tentazione senza l’occasione è a guisa d’un’aquila senza rostro e senza unghie; d’un leone senza denti, e senza furore; d’un soldato senza forze e senza armi, basta, che l’occasione non le dia lena e poi non temete: lo volete vedere? Penetrate meco col pensiero la foresta più abbandonata della Siria, e ivi conoscerete quanto poco possano le tentazioni disarmate dalla occasione; quel solitario Sacerdote, che ivi vedete, egli è San Girolamo; udite come, angustiato dalle tentazioni, parla, piangendo. Ah che lontano da Roma, pur vivo presente a’ teatri più vani di Roma, son pur compagno di fiere e di serpenti e pure odo suoni di giubilo, e vedo danze festose di romane donzelle; quantunque condannato al silenzio, al digiuno, al cilizio, ad ogni modo il demonio mi travaglia con musiche, conviti e pompe; lapido, è vero con dure pietre il mio petto in vendetta dell’anima oltraggiata dal corpo, ma pure l’Inimico Infernale rappresenta agl’occhi miei volti adorni, e petti ingiojellati, in somma … Ille ego scorpionum tantum, serarum socius, sæpe choreis intersum puellarum pallebant hora jejuniis et mens desideriis estuabat. Ma ditemi ÚU.con tutto l’assalto fiero di tante tentazioni, cadde, peccò questo penitente? appunto, mercè, che la tentazione non ha forza d’abbattere, disarmata, ch’ella sia dalla occasione. – Per maggiormente confermarvi in questa verità, passate pure dalla foresta della Siria alla spelonca dell’Umbria ed ivi vedrete quel Giglio di Paradiso Francesco d’Assisi, che nudo tra le nevi raffrena gl’ardori nemici, l’assalirono i demonj, ma per questo lo vinsero? Non già; ogni tentazione è debole, lontana dalla occasione, si supera facilmente. Basta fare come l’ape, allorché in tempo di verno esce dall’alveare; ella se punto è agitata dal vento, per non essere trasportata s’attacca subito ad un sassolino. Tanto dovete far voi in tempo di tentazione, subito, che sente qualche turbine molesto che v’agita il cuore, con la mente ricorrete a’ Santi, alla Vergine, a Dio, e non dubitate, che supererete facilmente la tentazione, purché ella sia disarmata dalla occasione. Si scateni pure a danni del grand’Antonio l’inferno tutto, prenda in prestito dalle più orribili fiere i disagi più mostruosi; lo assedi, lo strazi, non per questo canterà vittorie; basta un solo uomo à resistere a tutti i demoni insieme, dice
Atanasio, si virium aliquid baberetis sufficeret unus ad prælium: la tentazione in somma poco, o nulla può, priva d’occasione. Ma o quanto è difficile resistere alla tentazione, quando è unita all’occasione. Ecco, che Zoé la sfrenata, vestita da povera contadina, sul farsi notte in tempo piovoso chiede dal povero romito Martiniano, un cantone per ritirarsi; le cede egli una delle sue stanzioline, e si ritira nell’altra, passando tutta la notte in orazione pregando Dio con David: viam iniquitatis amove a me. Ai primi albori del giorno licenzia in pace colei che con la sua sola vicinanza gli faceva guerra; ma che, doppo essersi con mille ringraziamenti partita, se la vide di nuovo innanzi in abito altrettanto pomposo quanto lascivo. S’accorge il poverello del gran pericolo; esce dalla cella per scoprire s’alcuno là si accostasse; mira il Cielo; e par che gli dica, così mi giocherai per un momentaneo diletto? ricordati con quanti rigori mi compraste? Dà un’occhiata alla spelonca, e quella stessa gli dice, per un capriccio dunque perderai il merito di tanti anni di penitenza, di tante orazioni, di tanti digiuni? Così sentiva parlarsi Martiniano, agitato dalla tentazione unita con l’occasione. Quando interiormente compunto, tratto dal più profondo del petto un sospiro, raccolse quanti più poté sarmenti, v’accese il fuoco, e al calor di quelle vampe estinse ogni fiamma maligna. Ma se poté, miei U.U. Martiniano numerare tra’ miracoli della grazia l’aver potuto resistere alla tentazione armata dalla occasione, non così poté gloriarsi quell’incauto romito colà ne’ contorni d’Arsinoe; Interrogate un poco quelle solitudini e domandate loro quanto di forza abbia la tentazione unita alla occasione, e sentirete rispondervi con le cadute di quell’incauto solitario, il quale quantunque veterano nella cristiana milizia incontratosi una sol volta in una maledetta occasione, disonorò con intemperanza di giovine la sua vecchiaia, e perdé quelle corone e quelle palme acquistate in tant’altre battaglie. Interrogate le arene dell’Egitto, e sentirete rispondervi con orrore, che hanno veduto rinegar Cristo da un discepolo del gran Pacomio; e fu allora che fidatosi di sé  Atesso uscì con sicurezza dal Monastero, e s’incontrò con l’occasione. Interrogate i sassi della Palestina, quali furono testimoni per tanti anni delle fervorose orazioni, delle rigorose penitenze, delle sovraumane meraviglie di quel tanto nominato Giacomo, e pure un giorno lo piansero, di trionfante di tutto l’inferno, trofeo vergognoso di vittoriosa occasione, e giunto a segno di togliere, dopo l’onore, anche la vita à colei da cui poco prima aveva cacciato un demonio. Non occorre altro; dalla occasione di peccare al peccato non v’è più d’un brevissimo passo; dica pure ognuno con Cipriano, che … lubrica spes est, quæ inter sementa peccati salvare se sperat. Or che avete sentito che per salvarsi dalle tentazioni alle quali è unita l’occasione, non bastano, né le solitudini d’Arsinoe, né gli Eremi d’Egitto, né le spelonche della Palestina; vi dirò di più, che la tentazione unita con l’occasione arrivò a far prevaricare ancora nel Paradiso terrestre. Eva, come sapete, si pose a dare orecchio al serpente infernale, allorché gli disse, nequaquam moriemini, eritis sicut dii. Ecco, che Eva s’accosta all’albero: Eva, gl’avrei io detto, non v’accostate, avvertite la morte sta nascosta tra quelle fronde. Io non voglio, mi risponde, che vederlo per conoscerlo, e fuggirlo come veleno; Dio ha comandato, che non si mangi, non che non si miri; ma che! giunge all’albero, ne vagheggia il frutto, pulchrum visu, sta per un poco perplessa se debba staccarne un pomo, giacché à se stessa diceva, per obbedire basta non cibarsene; lo spicca dunque, l’odora, e perché alla vista gli pare che debba esser gustoso a mangiare, ad vescendum suave, determina di volerlo gustare; ma il precetto Divino, dico io eh, che questo sento, rispondermi, consiste tutto in non cibarmene, troverò ben io modo di gustarlo senza mangiarlo, ne addenterò un boccone, lo masticherò con fretta, e poi subito getterollo dalla bocca. Così risolve, lo mastica, lo gusta; ma che? L’appetito lo dimanda, la gola lo vuole, lo stomaco lo riceve, sicchè quel boccone trangugiato, à sé e al mondo tutto portò la morte. O andate à fidarvi dell’occasione mentre Eva non fu sicura nel Paradiso Terrestre. – uomini, donne, benché avanzati nell’età, non vi mettete nelle occasioni; non basta dire è ormai gelato il sangue nelle vene, son canutii capelli: se non resisté quel romito, benché vecchio, quantunque orasse, digiunasse, e facesse aspre penitenze, quanto più cadrete voi, che col cuore tutto nel mondo a mala pena vi segnate la mattina, e abborrite ogni sorte di penitenza: Cadrete vi dico se vi metterete nell’occasione… Religiosi non vi fidate di porvi nell’occasione, cadde un discepolo di Pacomio, che passava l’ore in orazione e i giorni in astinenze, quanto più cadrete voi, che quasi mai orate, che vi portate a quell’Altare senza preparazione, che vi state con pena, che per fretta non proferite le parole, che non fate ringraziamento, che tutto dì discorrete d’inezie, che dite quell’Offizio tanto strapazzatamente, e che finalmente, se avete qualche apparenza di Religioso nell’abito, certo non l’avete ne’ costumi, mentre talora ardite idolatrar volti, e prestare ossequi viziosi a dame; cadrete ancor voi; se pur finora non avete mancato a Dio con la castità perduta, e il voto conculcato. Niuno si fidi per uomo, di donna da bene che sia, perché se cadde Giacomo tanto timorato di Dio, come presumete di non cader voi, che temete più l’ombra d’un principe che l’ira di Dio: se starete in quelle case, a quei giochi, a quelle feste, ove fono ridotti d’uomini e di donne, di dame, e cavalieri, cadrete. Eh, che son pazzie pretendere di trattar con famigliarità con uomini e donne, e non peccare, almeno con compiacenza, e con brame indegne. In medio mulieris noli commorari, de vestimentis enim procedit Tinea, a muliere iniquitas viri, non vi trattenete, dice lo Spirito Santo, ove son donne, perché quanto è facile, che dal panno nasca la tignola, tanto è facile che dalla donna nasca l’iniquità dell’uomo. Niuno insomma si fidi, giacché ha veduto, che anche Eva posta in occasione col serpente, cadde nel Paradiso terrestre, e nel medesimo cadde pure Adamo, perché non seppe, come dice Sant’Agostino, star faldo all’occasione che gliene diede la consorte, Nolut eam contristare. Or io dico s’Adamo uomo sì prudente, uscito allora dalle mani di Dio, colmo d’ogni tesoro di grazia, arricchito dall’abituale, avvalorato dall’attuale, con le passioni si moderate; con tutto ciò, perché si trovò nell’occasione cadde; come non cadranno quei giovani, quelle giovani fragilissime con le passioni indomite, tentati per ogni verso? Se l’uomo non ha saputo resistere all’amor pazzo nel Paradiso terrestre fra tanta pace, come potrà resistere in campo aperto con tanta guerra? Fuggite l’occasioni, perché è tanto difficile non peccare a chi sta nelle occasioni, quanto vivere in un’aria contagiosa e non ne contrar la peste; e se mai vi ci trovate per vostra disgrazia, bisogna assolutamente, quando non poteste fuggire, come Giuseppe, o che gridiate come Susanna, o che percotiate come Giuditta. Già v’ho mostrato che cade nella occasione anche chi è vissuto santamente, molto più chi vive con libertà di trattare. Or vi dico, che sono più che certi di cadute quei, che soliti a cadere si mettono nelle occasioni. Certi alberi ontuosi in tempo d’estate troppo calda, agitati da vento caldo si sono talora accesi da se stessi, e sono iti in cenere or che avrebbero fatto, se taluno avesse apprestato fuoco alle loro piante. Che può mai avvenire ai giovani, uomini e donne, che nel bollor del sangue dopo esser caduti si ripongono nelle occasioni, se non incenerirsi? Che s’à dunque da fare, torno a dirvi, come Giuseppe colà nell’Egitto con l’impudica padrona, Fuga usus pro armis, le sue armi, dice San Basilio di Seleucia, furono il fuggire; bisogna levarsi dalla occasione; altrimenti cadrà il corpo, si dannerà l’anima. Voi vedete, che ogni volta che andate in quel circolo mormorate, che vi portate a quel gioco spergiurate, che andate in quella bettola bestemmiate, statene lontani. Ogni volta, che con lei entra in quella casa pecca, se passa per quella strada, consente a quei pensieracci, fuggite, fuggite. – Bisogna fuggire l’occasione, se volete assicurarvi dalle nuove cadute. Trochilo favorito Discepolo di Platone, trovandosi in alto mare, fu sorpreso da una orrenda burrasca, fremevano i venti, incalzavano l’onde, a tal segno, che squarciate le vele, spezzati gl’alberi, e tutto il timone, già si tenevan per perduti quanti in quel legno si trovavan racchiusi. A gran forte si salvò Trochilo, e giunto a casa pien d’affanno, e colmo di spavento, diede subito ordine, che si murassero due finestre di sala, benché allegrissime, per che eran voltate al mare, per timore, come egli diceva, che rimirando qualche volta placido il mare, non gli venisse tentazione di porsi nuovamente in acqua. Volete assicurarvi dalle tempeste delle tentazioni, chiudete quegli sguardi, ancora, che talora vi paressero innocenti, quelli scherzi, che vi paressero geniali, levatevi dalle occasioni; non balli, non veglie, non tresche. Non fate come coloro i quali scappati dal mare, tutti zuppi d’acqua, ove fono stati con pericolo di morte, si mettono nella spiaggia a raccogliere gli avanzi delle loro vele, e a racconciarle per mettersi di nuovo in acqua, benché sappiano l’infedeltà di quell’onde. – Sentitemi bene, o voi vi stimate deboli, o vi tenete per forti; se conoscete la vostra fragilità, che pazzia è mai questa mettervi in un tanto pericolo. Voi meritate un severo castigo per questo stesso che conoscendo la vostra debolezza, tanto vi volete cimentare. Qual è quel pilota sì sciocco che sapendo d’avere un legno fragile e debole voglia con esso porsi in alto mare alla furia de’ venti, e delle tempeste? Se voi conoscete la vostra fragilità, e che ogni volta, che siete nell’occasione cadete, perché non fuggite? La lepre, perché si conosce debole non si pone a guardare i cacciatori, a scherzar con cani, ma fugge; così avete da far voi se vi stimate deboli: se poi vi stimate forti, né pur dovete esporvi alla occasione, mentre avete l’esperienza, che con tutta la vostra fortezza, siete caduti. Sovvengavi della bella riflessione di Plinio sopra del ferro, non v’è cosa, dice egli, né più dura, né più forte del ferro, questo sfascia baluardi, abbatte edifici, atterra città, tuttavia anche egli s’umana, e si lascia vincere da un sasso fosco di colore, vile di forma, e per migliaia d’anni reputato senza virtù. È  questo la calamita che mostra genio sì superiore al ferro che lo muove ed  agita ove gli piace, e lo necessita quantunque pesante, a slanciarsi per aria, a sé lo tira, quid ferri duritie tenacius, trabitur tamen a magnate lapide; non vi fidate della vostra fortezza, la forza, che ha la calamita nel ferro, l’ha l’amor della donna verso dell’uomo. Non me lo credete, ve lo confermi il seguente caso. S’amavano con amore diabolico un perfido giovine, ed una sfacciata donna, quando finalmente dopo una lunga tresca fu la femmina posta in un letto inferma, e perché la malattia fu di più mesi, ebbe la donna comodità di rientrare in se stessa, e parve del tutto mutata; Si confessò con molte lacrime e seguitò a detestare con replicati sospiri le colpe passate, finché il confessore, e la donna stessa pensarono di poter fare un passo, per verità troppo arrischiato, e fu di poter dare l’ultimo addio a quel suo padrone, nelle di cui mani era indegnamente vissuta, non con altro titolo però, che d’esortarlo a mutare anche esso vita, mentre vedeva à qual stato era ella ridotta , e a quello doversi anche lui ridurre; prescrisse dunque il Confessore le parole che doveva proferire la femmina alla presenza del giovine, e come doveva correggerlo; e per esser più sicuro dell’ottima riuscita, volle egli stesso introdurlo, e trovarsi presente al discorso. Ah Dio, che non bisogna stimarsi talmente forti, che si possa resistere alla occasione. Udite quanto diversamente riuscì il fatto dal concertato. Appena la femmina si vide colui presente, che risvegliati nel cuore gl’antichi affetti, si dimenticò totalmente di quella predica, che aveva sì ben premeditata a compungere il cieco amante, e fattane un’altra del tutto diversa, così parlò piena d’un empio furore con le braccia stese verso di lui: amico io v’ho sempre amato di cuore, ed ora convien che vi dica, che in questo ultimo v’amo più che mai; vedo che per voi me ne vado all’inferno, ma non m’importa, e voi siete la cagione, che io non temo l’eternità di quelle pene; e senza potere aggiungere altro di più, parte per l’estrema fiacchezza, parte per l’agitazione di quegl’affetti sì impetuosi, cadde supina sul letto, sopra di cui s’era alzata, e vi spirò l’anima con tanto orrore del confessore e del giovine che senza saper formar parola partirono più morti che vivi. Che dite, vi fiderete di porvi nelle occasioni sani, con dire: non cadrò, mentre i cadaveri stessi posti nelle occasioni non sanno resistere? O Dio, che le tornate per quella strada sotto qualsivoglia pretesto, ancorché santo, ricadrete; ah Dio, che se parlerete con colei sotto colore d’altro fine, di nuovo vi romperete il collo. Qual è dunque il rimedio per voi miserabili, che soliti a cadere, vi mettete nelle occasioni, non altro che seguire il consiglio di Dio nella legge vecchia: Recedite, dice Egli per Isaja, recedite nolite tangere, uscite fuori, ritiratevi dalle occasioni, e nell’uscire state attenti di non slungare neppure l’estremità d’un dito, perché vi resterete. Tali erano gl’ordini di Dio nella legge antica; più severi però sono nella nuova, ove intima ogni rigore per fuggire l’occasioni. Attenti alle parole di Dio per San Matteo: Si manus tua, vel pes tuus scandalizat te abscide, projice abs te; si oculus tuus scandalizat te, erue eum, et projice abs te. So che questo precetto non è litterale, ma metaforico, in modo che, come spiega Lirano: Per manum auxiliator pes pedem cursor, per oculum consiliarius intelligitur, cioè a dire, non solo devi lasciare colei, non solo la sua casa, il suo ritratto, quei nastri, quelle lettere, ma anche devi cacciar via da te colui che t’accompagna di notte, colei che ogn’ora porta le tue imbasciate. Abscide, projice abs te. Intendetela, dice Iddio, se l’occhio v’è occasione di peccare, io non voglio che si chiuda ma che si svelli dalla fronte. Se la mano, e il piede v’è d’inciampo ad offendermi, io non voglio che solamente si leghino, ma che si tronchino … Abscide … erue . –  Dunque, chi dice tratterò, converserò, ma non peccherò, questa è legge nata nel vostro cervello, allorché stabiliste praticarla, ma non è legge di Dio, che vuole che si tronchi tutto. Notate inoltre una cosa più spaventosa: non dice solamente Iddio levati l’occhio, tagliati il piede, la mano; ma dice dopo che ti sei levato l’occhio, e tagliato la mano, il piede buttali via projice, projice. E perché, mi dirà qualcheduno, volete che io venga a tanto, mi caverò bensì l’occhio, che mi fu occasione di peccato; ma perché svelto dalla fronte più non vede, lo serberò chiuso in uno scrigno; mi taglierò quella mano, e quei piedi che mi diedero motivo a peccare; ma mentre divisi da me non hanno più modo da precipitarmi in peccati, li terrò in rimembranza de’ miei falli. No, no, veniamo a noi; terrò quella donna, dice taluno, non però più in casa propria, ma d’un amico, non vi andrò, non gli parlerò, gli scriverò bensì qualche lettera per creanza, non per malizia; se la manderò a salutare, lo farò, perché la gente non mormori, e perché la meschina trovandosi abbandonata affatto da me, non si getti al male. Olà, son diabolici i vostri pretesti. Erue, et projice, abscide, projice; lasciate colei tanto da lungi da voi, che non ne sappiate più nuova: non basta tagliare, bisogna gettar via da sé. – Racconta il Mattiolo d’un contadino, che segando un prato, tagliò con la sua falce per mezzo una vipera, e compiacendosi di sì bel colpo, pigliò in mano il tronco palpitante di quella serpe per insultarla; ma ben presto si accorse della sua temerità, perché ricevuto un morso, da quella bestia, morì sì subito che morì prima di lei. Tagliò costui Abscidit, ma non gettò via da sé, non projecit, e così se ne morì miseramente, e morì anche non compatito. Così appunto ha da intervenire a quel giovine; a quella giovine, i quali dopo aver troncata l’amicizia, la mala pratica, non sequestrano affatto ogni commercio di lettere, d’ambasciate, d’occhiate, hanno da rimaner morsicati sì malamente da questa vipera d’inferno del peccato mortale, che così non fosse, han da finire la vita con la dannazione dell’anima: Dio non la voglia.

LIMOSINA
Uno de’ gravissimi errori, che siano al mondo è a mio credere, l’opinione fortissima, che molti hanno d’essere assoluti padroni del loro, finché possano spendere, spandere, e farne quel che loro piace, e anche a somiglianza di quei filofosi antichi gettarlo in mare per fasto. Non è così, ne sono padroni, ma con riserva, con obbligazione di ripartir tra poveri ciò che gl’avanzi, all’onesta sostentazione del proprio stato. Come è questo Padre, non potiamo far limosina, non è vero, perché volete più del vostro gatto: non mi fate dire, ma fate una larga limosina.

SECONDA PARTE

Tommaso Moro gran Cancelliere d’Inghilterra, avvisato una mattina per tempo che i carcerati, rotto il muro della prigione s’erano tutti fuggiti; rispose gentilmente al Bargello da cui era chiesto con ansietà di provvedimento. Farai così, cerca con ogni sollecitudine mastri e muratori, e fa chiudere ben presto quella apertura della muraglia per cui sono usciti, affinché non venisse voglia ad alcuno de’ fuggiti di ritornarsene dentro, motteggiando così gentilmente sopra d’un caso che non ammetteva rimedio. Questa risposta che in bocca di quel grand’uomo sommamente ingegnoso in certe ironie proprie d’un cuor magnanimo, fu uno scherzo. Questa dico, è presso di me il più serio ricordo che io possa dare a chi brama viver bene. Se voi con la divina grazia avete rotta la carcere, in cui vi teneva chiusi il demonio, siete usciti da quella casa, avete abbandonata quella conversazione sì pestilente, chiudete, chiudete quelle porte, per le quali siete felicemente usciti; non più in quel luogo, non più a quella veglia, non più con quella persona… fuggite. – Una delle occasioni maggiori di peccare sono i cattivi compagni. Quelli sono il precipizio di tant’anime innocenti; le loro parole son punte che uccidono. Eglino dicono che certi peccati sono il minore de’ mali, che Iddio compatisce: il Paradiso è per noi, e così fanno cadere. Guai però a questi che così parlano, perché certo sarà per loro quell’inferno, al quale incamminano gl’altri. Colà nell’Indie v’è una serpe nemicissima dell’elefante, la quale per vincerlo usa questo stratagemma: se gli attortiglia alle gambe, a prima che egli possa strigarsene, lo ferisce mortalmente nel petto. La frode però torna come sempre accade, in danno di chi l’ordì, poiché l’elefante ferito lasciandosi cadere in terra, col suo peso schiaccia il capo alla Serpe e l’uccide. Questo è un vero ritratto de’ cattivi compagni, i quali muoiono sotto la medesima rovina cagionata ad altri, e dopo d’aver così mandate molte anime all’Inferno, seguono ancor loro. – Racconta Tomaso Cantipratense, come un suo discepolo dapprima buono, e poi sedotto da un cattivo compagno, morì senza confessione, e morì con queste precise parole in bocca: Io me ne vado all’Inferno; ma guai a colui che mi tirò a peccare: Væ autem illi, qui me seduxit, e se disse così morendo, arguite cosa dovette dire morto, quando all’entrar che egli fece all’inferno, rimirò quei demoni sì spaventosi, sentì quelle fiere, sperimentò quelle fiamme, e vide chiudersi dietro quelle porte, che chiuse ad un tratto, non gli dovevano essere aperte mai più per tutti i secoli. –  Che s’ha dunque da fare? lasciare i cattivi compagni che ci sono d’occasione per peccare: la pratica di quel giovine è la tua rovina, perché quando sei con lui, sempre discorri di laidezze, sempre stabilisci laide determinazioni; quando sei con quella compagna sempre tratti d’amori, sempre pecchi o con pensieri o con parole, o con opere. Lontani dunque da tutte le occasioni che vi portano al peccato: Ed a voi rivolto, cattivi compagni, e iniqui pervertitori de’ buoni, fò sapere, che siccome tra tutte le opere divine è divinissima il procurar la salute delle anime divinorum divinissimum est cooperari Deo in salutem animarum. Così il pervertire un’anima doverà stimarsi tra tutte l’opere diaboliche, la diabolicissima. Come è possibile, che non capiate questo gran peccato; voi togliete compagni agl’Angeli, compagni a’ Santi, alle Sante Anime, a Cristo, e non tremate? Rubare a Cristo un’anima, che gli costa Sangue, Croce, Vita, per darla al diavolo, si può far di peggio? Dio immortale, se voi in un dì solenne vedeste entrare in questa Chiesa un uomo talmente sfacciato, il quale portandosi ardito all’Altare maggiore, allorché è più riccamente addobbato, lo saccheggiasse e perciò si mettesse a trinciar veli, e paliotti, a romper patene, e calici, non correreste a gridare: trattenete quel sacrilego, dategli, dategli? Lo vorreste calpestar co’ vostri piedi. Or sentite me, andate pure, levate a Cristo quanti arredi più splendidi ha ne’ suoi Altari, incendiateli, inceneritili, e poi sappiate che meno infinitamente d’oltraggio gli sarete, di quel che gli facciate à levargli un’anima, allorché la volete complice ne’ vostri peccati. Pensate dunque a’ casi vostri. Che vuol dire che tanti sono in occasione prossima di peccato, e pure non se ne levano? (Perdonatemi sacri confessori) tutto il male vien da voi. Deh non dispensate il Sangue di Cristo nel Santissimo Sacramento della Penitenza, trattenete quella mano sacerdotale, non assolvete chi non leva l’occasione prossima del peccato, potendo; altrimenti si rinnoveranno in voi le miserie di quel confessore che facile ad assolvere chi non levava l’occasione prossima, insieme con lui si dannò.

QUARESIMALE (V)