LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (9)

LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (9)

LA GRAN BESTIA SVELATA AI GIOVANI

dal Padre F. MARTINENGO (Prete delle Missioni

SESTA EDIZIONE – TORINO I88O

Tip. E Libr. SALESIANA

XVII.

VÆ SOLI.

Dunque siamo intesi. Primo mezzo a vincer la bestia e farvi uomini, in cominciar subito, incominciar fin d’ora nelle vostre case, nella famiglia, nelle scuole, nei convitti, ovunque vi accada trovarvi. Se non cominciate fin d’ora probabilmente non ne farete più nulla. Badatevi! dalla vostra condotta presente può dipendere il diventar liberi o schiavi per tutta la vita. – Un secondo mezzo ve l’ha accennato quel bravo studente, di cui or ora vi ho riferite le parole. L’uomo, e più il giovine, non ha a star solo; lo disse Dio: Non est bonum hominem esse solum; e væ soli! ci dice la Sapienza, quia si ceciderit non habet sublevantem se. Guai a chi è solo! se cade chi aiuterà ad alzarsi? Finché il giovinetto sta in famiglia, della compagnia ne ha d’avanzo; ma lontano da essa ha bisogno di qualche amico, che l’aiuti, il consoli, lo sorregga. Voi dunque, se vi toccherà vivere lontano da’ cari vostri, fate come quel buon giovane; prima di tutto non v’affidate a chi ben non conoscete; ma volgete gli occhi in intorno a voi, esaminate quali giovani vi paiano più ingenui, più rispettosi, meglio educati; pesatene le parole, osservatene la condotta, e se un ne trovate di cui il cuore, dopo sì lungo esame, vi dica: egli è un giovine per bene, un cuor d’oro, un angelo; gettatevi pure nelle sue braccia. Uniti l’uno all’altro in santa e dolce amicizia, percorrerete animosi e senza intoppo la via della virtù, v’aiuterete l’un l’altro a farvi uomini davvero. – Studiava non ha molti anni all’università di Parigi un giovane figlio d’ottimi genitori lionesi; il quale, volendo serbar intatto nel cuor suo il tesoro della fede e della pietà, e pur vedendosi stretto intorno da centinaia di giovani increduli e scostumati, che il tacciavano d’inetto e dappoco perché mostravansi Cristiano, raccozzò tra’ compagni sette giovani di sicura virtù e disse loro: — Voi vedete come costoro; in odio alla fede che professiamo, bertano, trattandoci da inoperosi ed imbecilli. Or bene, mentr’essi bestemmiano e si corrompono nel vizio, e noi santifichiamoci coll’esercizio della carità. Parmi il mezzo più acconcio a chiuder loro la bocca, e confermare vieppiù noi stessi nella fede. — Il giovane che così parlava era Federico Ozanam, che non tardò ad empire la Francia del suo nome, delle sue buone opere, de’ suoi scritti; e que’ sette compagni divennero la società di s. Vincenzo de’ Paoli, che dopo appena vent’anni da quegli umili principii, cresciuta e sparsa in ogni parte del mondo civile, nella sola Parigi contava già due mila giovani associati, e soccorreva cinque mila povere famiglie del popolo. – Io v’auguro, o cari giovani, che imitiate Federico Ozanam, e v’esorto quanto so e posso, a studiarne la vita, dalla quale potrete apparare assai bene l’arte di farvi uomini qual desiderate. Soprattutto poi vi raccomando di seguirne il consiglio, d’aggregarvi alla società ch’egli ha fondata. E non badate, che il mondo ne svilisca i giovani generosi col nome di Paolotti, e li tacci di non so qual mene politiche. Menzogna! La politica di questi giovani è qual la definiva fin da principio il loro fondatore: — rispondere alle vane ciance degli increduli con le opere della carità, e coll’esercizio di sì bella virtù rinvigorire il sentimento della fede. — E invero, se basta a volte un solo amico a rinvigorire fra gli assalti del mondo maligno la giovanile fiacchezza, che conforto non Vorrà essere ai vostri cuori quel vedervi associati a centinaia di giovani pari vostri, viventi di fede, ardenti di carità! – Ma se compagni ed amici cosìfatti, stretti con voi in unione di cari fratelli, varranno a mirabilmente rinfrancarvi nel bene, sentirete pure, presto o tardi, il bisogno d’un amico di diversa specie, d’un uomo di senno e d’autorità, che adempiendo verso di voi l’ufficio di padre, vi consigli, vi illumini, vi guidi fra mezzo alle difficoltà ed all’incertezze della vita. Questo è quell’amico di cui ci dice lo Spirito Santo: — Amicus fidelis protectio forti; medicamentum vitæ et immortalitatis… qui invenit illum invenit thesaurum. – Quest’amico lo trovò quel buon Tobiuzzo, di cui ci narra la sacra storia, che in procinto di avviarsi, mandato dal padre, ad un paese lontano, s’abbatté in un bel giovane splendente in volto di grazia e maestà, succinto nelle vesti, con in mano il bastone in atto di far viaggi. To biuzzo l’interroga, lo prega, e l’altro cortese risponde e s’offre a fargli da scorta. Partono: Tobia sen va sicuro al suo fianco, ne ammira la sapienza, ne ascolta i consigli, cessa la noia, tempera la stanchezza, sfugge ai pericoli della via, e sen torna ricco e fortunato a consolare il vecchio padre del don della vista, che da più anni aveva perduto. Che meraviglia? La guida ch’egli avea scelta era, nascosto sotto umano sembiante, l’Angelo di Dio. – Ora anche voi, miei buoni giovani, avete a intraprendere un lungo pellegrinaggio. Inesperti qual siete della via e de’ suoi molti pericoli, non v’affidate al vostro povero senno. Sceglietevi anche voi un buon Angelo, che in nome del cielo vi accompagni; a lui aprite tutto il cuor vostro, a lui ricorrete ne’ dubbi, nelle ansietà, negli affanni della vita; ascoltatene docilmente e mettetene in opera i consigli, ed egli sarà veramente per voi ciò che dice la Scrittura: un forte e fedel protettore della vostra giovanile debolezza: un farmaco soave ai mali e alle tristezze della vita, e da ultimo una scorta sicura, che dopo avervi confortato a rendervi uomini veri e veri Cristiani, vi aprirà le porte della beata immortalità.

XVIII.

CARATTERE.

Pazientate, sopportatemi ancora un poco, o cari giovani. A francarvi dalla servitù dell’umano rispetto, ho ancora un mezzo a suggerirvi, ed è che attendiate con ogni sforzo a formarvi un carattere franco e sincero. Lungi da voi ogni dissimulazione, ogni finzione ed inganno Quel che avete in cuore non arrossite mostrarlo alle parole, ai fatti. La fronte non si abbassa, non arrossisce che per vergogna, e vergogna non deve aversi che del male. Già ve l’ho detto e ora vel ripeto, portate la fronte alta, parlate chiaro, guardate la gente in faccia. Non potete credere quanto un far libero e franco svilisca i tristi. – Alla franchezza unite il buon umore e la cordialità; vogliate bene a tutti e mostratelo alle parole e ai fatti. Se vi dà l’occasione di rendere altrui servizio, fatelo di buona grazia, anche a costo d’incomodarvi, fatelo anche per coloro che d’opinioni e di condotta vi fossero avversi: ma s’ei tentassero la vostra fede o la vostra virtù, fate lor vedere che non vi fanno paura. San Francesco di Sales era all’università di Bologna il più compito cavaliere e il più cordiale giovane di questo mondo. Assalito una sera a tradimento da una man di giovinastri, che ne insidiavano il pudore, voltò ardito la fronte, trasse la spada, li sgominò, li mise in fuga…. D’ allora in poi più non s’ardirono tentarlo. – Se l’indole vostra v’inclina al frizzo pensate che l’attitudine a far ridere è un dono pericoloso; servitevene rado e a tempo, più per difesa che per offesa. E anche quando fosse a vostra difesa, ricordatevi, che altro è vellicare e pungere a fior di pelle, altro è lacerare e far sangue. Chi così morde, foss’anche a ragione, si accatta odio e malevoglienza. – Cionondimeno e’ si dà caso che un frizzo pungente torni acconcio a liberarvi da una noiosa ed ingiusta vessazione, ed umiliare l’oltracotanza di chi spudorato insulta alla virtù. – Raccontano d’una semplice contadinella, che recatasi dalla campagna in città per non so qual festa della Madonna, e non sapendo la chiesa, ne dimandò un panciuto che stavasi assiso sulla panca d’un caffè fra un branco di lions, fumandosi beatamente la sua pipa. — Che chiesa, che chiesa? (rispose l’interrogato) andate a divertirvi, povera ragazza, che meglio per voi. Guardate me; io non entro mai in chiesa, eppure son cresciuto grande, grasso e sano, qual mi vedete. – La contadina lo squadrò così un poco di sbieco, e con un suo risolino a fior di labbra: — Mio padre ci ha un par di bovi, che son più grassi e grossi di lei: neppur essi entrano mai in chiesa. — Fu un seroscio di risa di quanti udirono la risposta, e un batter di mani e un gridar di brava! den detto! Alla contadina. Il panciuto poté dire con Dante: Io non morii e non rimasi vivo. – Sentitene un’altra. Un consigliere liberale fece un discorso contro non so qual processione religiosa. Ad ogni tratto aveva in bocca libertà, libertà! E conchiudeva colla solita  logica  de’ nostri padroni, che in nome della libertà quella processione dovesse proibirsi. Finito il discorso, gli amiconi. a far ohi una Salva d’applausi. Un consigliere cattolico che sedev dalla banda opposta s’alza, e: — Bravo! applaudo anch’io: il messere ama proprio di cuore la libertà; tanto è vero, che la vorrebbe tutta Per sé e pe’ suoi. — Bastò questo frizzo a mandare: monte la deliberazione. – Ma questa del frizzo, torno a dire, è arma pericolosa e difficile a trattare; e in man vostra, o giovani, potrebbe nuocere non poco a quel discreto riserbo, e a quella cara modestia, che stanno tanto bene alla vostra età. Attenti però a non iscambiare la modestia e il riserbo colla dapocaggine e colla viltà d’animo. Solo un’onesta franchezza vi renderà dai tristi rispettati e sicuri. – E ci ha de’ giovani d’indole timida, peritosi, impacciati. a’ quali riesce difficile, e per poco direi, impossibile. un fare disinvolto e spigliato. Costoro, se son buoni e buoni desiderano conservarsi, non si mettano in  tal ginepraio, da cui poi riesca loro difficile il cavarsi con onore. Mi spiego. Per un giovane franco, quale io lo vorrei, certe compagnie non portano pericolo: e’ sa pararsi le mosche. Ma voi, giovinottino mio, che d’un nonnulla sbigottite, e v’impacciate ad ogni incontro come un pulcin nella stoppia, abbiate rispetto all’indole vostra, alla vostra debolezza, e se in certe compagnie sentite di non poterci stare con decoro, cessatevene pel vostro meglio. – San Luigi e santo Stanislao erano nel bene così francamente risoluti, che i licenziosi parlatori al sopragiunger loro ammutivano. Per costoro non c’era, sto per dire, compagnia pericolosa. Ma voi? avete voi la franchezza di quei due? avete voi la franchezza e la virtù de’santi?…

XIX

DIO LO VUOLE.

Voi conoscete, suppongo, la storia della prima Crociata, e sapete che l’eremita Pietro fu il primo ad accendere in petto ai padri nostri quel fuoco, che gli spinse a versarsi sì come torrente sulla lontana Palestina e strappare dalle mani dei Turchi la gran città consacrata e santificata dal sangue d’un Dio. – Volete intendere come cominciò a divampare quell’incendio? Venite con me nella gran pianura di Clermont. Vedete quante migliaia di persone! che ondeggiare, che fremere, che agitarsi! Paion l’onde del mar quando rugge da lontano la burrasca. Qui son principi, duchi, baroni con le lor corti e loro milizie; qui Vescovi, monaci, Sacerdoti accorsi da tutte le parti di Francia e d’Italia; qui un’onda immensa di popolo d’ogni età, d’ogni sesso e d’ogni condizione. Guardate là in fondo quel loggiato che sorge all’ombra di quel boschetto. Là è Papa Urbano II col suo numeroso corteggio. Tra i porporati che il circondano, voi vedete un barbuto in rozza tonaca con un mantellaccio rattoppato che gli pende dalle spalle. Guardate quel capo calvo, quella fronte corrugata, quelle guance scarne, quegli occhi che si volgono irrequieti ed ardenti, e paiono mandar lampi. È Pietro l’eremita, che or ora farà tuonar sua voce all’orecchio delle assembrate moltitudini. Squilla una tromba, cessa il muggito dei popoli, si fa grande silenzio. – Il Pontefice si leva, dichiara aperto il Concilio di Clermont, ne espone le ragioni, ne dichiara lo scopo: liberare il sepolcro di Cristo dalle mani degli infedeli. Indi accenna a Pietro, che calatosi dal loggiato, e salito sur un masso lì presso, da dove può più facilmente essere scorto ed udito da tutti, incomincia colla sua voce rauca e concitata, col gesto ,imperioso, e con quel suo tono da ispirato, ad arringare le turbe. – Narra dapprima ciò ch’egli stesso cogli occhi suoi ha veduto, la città santa in man dei cani, e i luoghi santificati dal sangue di Cristo orribilmente profanati. Narra la baldanza degli infedeli, e l’oppressione dei Cristiani abitanti Gerusalemme, schiacciati sotto un di ferro, taglieggiati, oltraggiati, vilipesi nelle guise più atroci. Narra le angosce ed i patimenti dei pellegrini devoti, che recatisi di lontanissime contrade alla santa città fra mille stenti e travagli, pur colla speranza di bagnare di lor lagrime quella terra tutta inzuppata del sangue del Redentore, e coprirne di fervidi baci il sepolcro, ne venivano da man brutale respinti, oltraggiati, battuti e morti, ed i cadaveri lasciati insepolti (miserando spettacolo) per le vie della santa città, e gettati alla campagna orrido pasto alle belve feroci. – Dipinto così al vivo lo stato della santa città, e il patir de’ Cristiani, pon mano ad accendere i cuori della brama vendicar l’onta di Cristo,  e del nome cristiano; ed è tanto efficace ed infiammato il suo dire, che un grido solo di tutti il seconda, e fa rintronare le valli e i monti lontani: — A Gerusalemme, a Gerusalemme! Dio lo vuole, Dio lo vuole! E al grido Dio lo vuole, si crociavano a migliaia, abbandonavano la patria, la famiglia, il regno, superavano i disagi della lunghissima via, si slanciavano contro i nemici; davano l’assalto alla santa città, piantavano sulle sue mura il vessillo della croce, adoravano, baciavano libero e glorioso il sepolcro di Cristo. – Or vengo a voi, miei giovani amici. Voi dovete farvi uomini ad ogni costo: Dio lo vuole, Dio lo vuole! Tutto dovete fare, tutto sacrificare a questo pensiero, a questa, che può dirsi per voi, l’impresa più grande di tutta la vostra vita. E voglio dire che l’idea del dovere (e che altro è insomma il dovere se non la volontà, di Dio?) la portiate sempre in cima di tutti i vostri pensieri, e in essa teniate sempre fisso lo sguardo,  come nella sua stella il navigante. — Perisca il mondo (diceva quel tale) ma si faccia la giustizia. E perisca il mondo, ripetete voi, ma il dovere si adempia. Ricchezze, onori, piaceri, privato interesse, amor proprio, egoismo, passioni, da, tutto ceda, tutto si sacrifichi, tutto svanisca davanti a questa grande idea del dovere, come svaniscono su pel cielo le stelle all’apparire del sole. Il dovere innanzi tutto: Dio lo vuole, Dio lo vuole! Con questo grido in cuore anche voi, come quei valorosi crociati, pigliate l’armi, e slanciatevi animosi alla battaglia. La vittoria sarà vostra. – Non per altro l’età nostra è tanto povera di virili e risoluti caratteri, e tanto feconda di fiacchi ed incostanti, se non perché allo svanir delle idee religiose, e all’affievolirsi della fede, s’è pure illanguidita ne’ più l’idea del dovere. Ma, grazie a Dio, non è per anco tanto in basso caduta questa nostra cara e infelice Italia, che ci vengano affatto meno i generosi esempi. – Giovani miei, volgete gli occhi a Roma, al Vaticano. Guardato a quel santo vecchio che chiamasi Pio IX. Quello è il più grande e il più forte degl’italiani, l’uomo e l’italiano per eccellenza. Oh le battaglie ch’Egli ha combattuto! Oh l’onte e l’ingiurie ch’Ei sostiene! Oh l’amarissimo calice che gli porgono a bere gl’ingrati figliuoli! – Che non han tentato gli empi per vincerlo e trarlo dalla loro! Dapprima l’imebriarono d’applausi, 1’innalzarono alle stelle, voleano (o fingevano)  mettergli in mano lo scettro di tutta Italia. Poi, volti in maledizioni gli applausi, l’han saziato d’obbrobri, l’han dato favola alle genti, l’han circonvenuto d’insidie. Finalmente gli hanno strappato di capo la secolare corona, pur dichiarandolo re, ma re da burla a guisa del divin Nazareno. – Or bene, tra tante battaglie, che da tanti anni sostiene, il santo vecchio non ha indietreggiato d’un passo, non ha mutato la sua parola, che è parola di verità, non ha cambiato il suo volto d’angelo che sorride e prega e perdona. Imperversino ancora i suoi nemici, gli sì accalchino attorno da ogni parte, gli si gettino addosso come cani arrabbiati, gli tolgano, non pur l’onore, non pure il regno, ma l’istessa vita; Pio Nono anche nell’agonie della morte ripeterà, come il Battista, il non licet, e colla parola della verità sulle labbra, consegnerà la grand’anima a Dio. – Giovani miei, prostratevi dinanzi a questa, che, volere o no, sarà sempre la più grande, la più sublime figura del nostro secolo; ma nel prostrarvi dite a voi stessi: — Ciò che tanto sublima Pio nono e lo rende al secolo nostro il più grande degli uomini, il primo degli italiani, è la santa, la divina idea del dovere. Con quest’ idea sempre fissa nel cuore, sempre fissa nella mente, anch’io vo’ rendermi degno del nome che porto d’uomo, d’italiano, di Cristiano. —