L’IDEA RIPARATRICE (9)

P. RODOLFO PLUS S. J.

L’IDEA RIPARATRICE (9)

[Traduzione del P. Giovanni Actis, S. J.  dalla 25° edizione originale]

Torino-Roma Casa Editrice MARIETTI 1926

Imprimi potest.

P . ANTONIOS ARGANO S. I., Præp. Prov. Taur.

Visto: Nulla osta alla stampa.

Torino, 26 Maggio 1925.

Teol. Coll. ATTILIO VAUDAGNOTTI.

Imprimatur.

Can. FRANCESCO DUVINA, Prov. Gen.

PROPRIETÀ ARTISTICA LETTERARIA (2-xi-25-2M).

LIBRO III

CAPO SECONDO (2)

LA VITA PERFETTA E LA RIPARAZIONE.

Che nel mondo si diano delle anime che hanno l’ambizione di « star male » collo stesso ardore con cui la massa degli uomini si mostra avida di « star bene », ecco il più bel trionfo della Provvidenza divina. Non è a stupire quindi se, quando gli vien fatto di scoprire qualcuna di queste anime, il Signore, per così dire, esulti in cuor suo e non possa resistere alla voglia di rendersi complice dei loro desideri di immolazione. Tuttavia quella sete è già il Signore che l’ha messa in cuor loro. Quando il Maestro divino vuole ricolmare le anime, prima incomincia a vuotarle Egli stesso direttamente. E così mentre tutto all’intorno la maggior parte degli uomini restano senza aspirazioni e desiderio alcuno, esse sono come torturate da esigenze infinite. E primieramente un bisogno di non lasciar che il Signor nostro soffra così come fa in Croce, di alleggerirne i dolori, di alleggerirli prendendone per sé una parte, di asciugare il sangue che sgorga dalla corona che gli trafigge le tempia, di espiare i colpi di martello delle mani e dei piedi, i solchi lividi della flagellazione, con altrettanti sacrifizi ricercati con ardente amore. Dall’altra parte della Croce c’è ancor un posto vuoto, esse vi si inchioderanno, avide di una cosa sola, di diventare così come una seconda copia, una ripetizione di Gesù Crocifisso. Esse prenderanno alla lettera il consiglio di S. Caterina da Siena: « Che l’albero della Croce sia piantato nel nostro cuore e nell’anima nostra! Fatevi simili a Gesù Cristo Crocifisso; nascondetevi nelle piaghe di Gesù Cristo Crocifisso; bagnatevi nel sangue di Gesù Cristo Crocifisso; inebriatevi e rivestitevi di Gesù Cristo Crocifisso: saziatevi di obbrobrii soffrendo per amore di Gesù Cristo Crocifisso ». In una lettera al suo direttore spirituale « Consummata » si lascia sfuggire questo lamento: « Talora si vorrebbe cantare qualche poco le misericordie del Signore; ma questa povera cetra è troppo vibrante per la durezza della materia di cui è formata; è quasi impossibile servirsi di essa. Giorni sono aveva incominciato a scriverle ma non ho potuto continuare; la prima nota che ne venne fuori fu cosi forte che una seconda avrebbe spezzate le corde. Il mio corpo è troppo piccolo per l’anima mia, e il mio cuore non può contenere l’amore con cui io Lo amo, il mio Gesù… È ben raro che io possa scriverle così come ho fatto sta sera, ma se ho voluto farlo, ho dovuto trattenere il mio sguardo perché non si fissasse in Lui … ». Si narra di una Suora che per grazia speciale del Signore, nella considerazione dei dolori di Gesù Cristo in Croce, provava una tale fitta al cuore, sentiva una tale scossa in tutta la persona, che aveva dovuto fare il proposito di non guardare più il Crocifisso. Siccome per discendere al refettorio comune era necessario passare dinanzi ad un grande Crocifisso appeso al muro, avvenne che un giorno ebbe l’imprudenza di alzare gli occhi; il suo sguardo incontrò la immagine sanguinolente del suo Salvatore ed essa cadde al suolo svenuta. Si dirà: testa esaltata, sensibilità esagerata. Sia pure. Ma tutto ben considerato, ove troviamo maggior ragione di meraviglia? Che si dia una persona che non può mirare il Crocifisso senza soffrirne, ovvero che se ne diano tante che possono benissimo guardarlo anche a lungo senza provarne alcun dolore? Se v’ha dello strano, dite pur voi da quale parte si trovi. – I santi non posseggono come noi la facoltà dì restare indifferenti alla presenza della immolazione di un Dio umanato: i santi, cosa singolare! non possono non soffrire quando vedono il loro Dio a soffrire. « Mi pare che, se questo sentimento di compassione dovesse prolungarsi, non saprei a quale tortura anche crudelissima paragonare quest’intima pena dell’anima, perché essa è ben simile a quella che Nostro Signore sostenne in cuore nel Getsemani quando uscì nel lamento: « L’anima mia è contristata fino a doverne morire » e dopo lunga preghiera prostrato a terra agonizzò e sudò sangue ». Così lasciò scritto il buon S. Alfonso Rodriguez, umile fratello coadiutore della Compagnia di Gesù, portinaio al Collegio di Maiorca, il quale soleva poi offrirsi al Signore per ogni sorta di patimenti (anche quelli dell’inferno, pena del senso) per ottenere che il Signore non fosse più offeso e più nessun uomo andasse dannato. Negli Acta Sanctorum (Vita Sanctæ Birgittæ) al giorno 8 ottobre si narra di S. Brigida di Svezia il fatto seguente: « Giovanetta ancora, nell’ascoltare un sermone sulla Passione di Gesù Cristo, fu tanto commossa che le dolorose scene di essa le rimasero profondamente impresse nel cuore. E subito la notte seguente essa vide Nostro Signore Crocifisso che si lamentava: Ecco in quale stato mi hanno ridotto! — Essa, semplicetta, domanda al Signore: E chi vi ha trattato così? — Quelli che mi offendono e che sono insensibili al mio amore —, rispose Gesù. Da quel momento Brigida fu tanto sensibile al pensiero della Passione del Salvatore che non poteva trattenersi in essa senza piangere teneramente ». Un’afflizione che si manifesta così in maniera sensibile suppone una grazia speciale e un amore particolare da parte di Dio. Questo però non contraddice punto quanto abbiamo sopra riferito, che cioè il restar del tutto insensibili alle pene del Signore, come fa un troppo grande numero di Cristiani, manifesta un’incoscienza ovvero una ingratitudine che non si può concepire. Oh! a che giova la crocifissione di questo nostro povero Salvatore? Egli è là sospeso tra cielo e terra, mediatore tra Dio e gli uomini, così afflitto, così addolorato!… e intanto così prodigiosamente « inutile »! Che si può fare per compensare tutta questa gloria che dovrebbe risultare al Signore e che gli uomini così ostinati gli rifiutano? — Amare? Ahimè! la meschina parola e soprattutto la povera cosa! Amare! E con che cosa, o grande Iddio? Amare con un sì miserabile cuore quale noi abbiamo in petto. Un cuore umano! Amare Iddio con un cuore sì meschino! Quale derisione, quale ironia! Con quanto vi ha di più debole amare Colui che è infinito; con quanto vi ha di meno generoso amare Colui che si è sacrificato per noi com’Egli solo ha saputo fare: il presepio, la Croce, la Santa Messa, i Sacramenti, la Chiesa; con una facoltà che è gretta quanto mai, amare Colui che si è dato senza misura; con delle piccolezze d’amore, amare Colui che è lo stesso Amore… No, Signore, non è possibile!… – Quale lotta! Dover competere con chi può brandire come arma di combattimento l’infinito è cosa che getta l’anima nello strazio e nella tortura. Voler dare e non poterlo fare; voler dare molto e non possedere nulla; a Colui che è tutto non offrire di continuo che così poco! È vero che non è necessario aver molto per dare molto, perché dà sempre molto chi dà tutto quello che ha, pur avendo poco. Ma… ahimè! anche qui, quale affanno per l’anima, quale angoscia di tutti i giorni. Quel poco che essa possiede, così fosse vero che lo offrisse senza riserva alcuna! Essa invece si conosce intimamente e sa benissimo quante mancanze vadano segnando il cammino di ciascun giorno: difetti leggeri, sì, ma per un cuore che ama queste indelicatezze hanno sempre alcun che di odioso. E quello che dovrebbe servire a calmare la pena non fa che aumentarla. Si consolerebbe il Maestro divino nel suo abbandono col donarsi interamente a Lui; ma si ha coscienza di procedere con raggiri, con grettezza e che l’amor proprio non disarma. « Egli non cesserà di molestarci che un quarto d’ora dopo la nostra morte », ci dice S. Francesco di Sales argutamente. E questo ci accora: vedersi forzati a servire Colui che merita tutto per mezzo di un «nonnulla » che pur non riesce a darsi interamente (Si confronti quanto abbiamo detto più sopra di Suor Geltrude-Maria la quale si rimproverava delle sue indelicatezze nell’amare il Signore. Cosa naturalissima quando si pensi a chi è Dio). – Il Signore tortura i santi con siffatte angosce continue. Non v’ha cosa che tanto sollevi l’animo al di sopra di se stesso quanto il desiderio di cose grandi, e il divin Maestro mette in cuore ai suoi cari questi ardenti ideali appunto per il piacere che prova nel contemplare queste anime grandi, anime veramente magnifiche in mezzo a tante piccolezze che loro sono ripugnanti. « Per vivere in atto di perfetto amore — dirà S. Teresa del Bambino Gesù — io mi offro come vittima di olocausto al vostro Amore misericordioso, supplicandovi di consumarmi incessantemente e di lasciar riversare nell’anima mia i torrenti della vostra tenerezza infinita così che io diventi martire del vostro amore, o mio Dio!… « … Io intendo rinnovarvi, o Gesù caro, ad ogni battito del mio cuore, infinite volte questa offerta finche, svanite le ombre, io possa di presenza colassù dirvi il mio amore in eterno ». – S. Maria Maddalena de’ Pazzi al termine di una sua orazione in cui ricevette grazie speciali da Dio, così si esprime di San Luigi Gonzaga: « Chi potrà mai apprezzare il valore degli atti interiori e la ricompensa che essi meritano! Non v’ha paragone tra quanto appare al di fuori e quanto avviene nell’intimo dell’anima. E Luigi, durante tutta la sua vita fu costantemente affamato delle ispirazioni interne che il Verbo eterno gli insinuava in cuore. Luigi fu un martire sconosciuto; perché chi vi ama, o Signore, vi vede sì grande e sì infinitamente amabile che per lui è un grande martirio il vedersi incapace di amarvi quanto egli vorrebbe e lo scorgere le creature che invece di amarvi teneramente vi offendono sempre più » (LYONARD: L’apostolat de la souffrance, p. 200). Così almeno l’anima assetata e in cerca di Dio potesse finalmente raggiungerlo, impadronirsene e tenerlo stretto fra le sue braccia… Ma, ahimè! sovente quanto più lo si cerca, tanto più Dio si allontana e si nasconde. Noi abbiamo l’Eucaristia, ma la presenza reale non dura che brevissimo tempo e poi anch’essa è tutta avviluppata di mistero: visus, tactus, gustus in te fallitur. Abbiamo la grazia santificante: ma quella presenza continua di Dio in noi che essa produce, non è la stessa cosa che la presenza continua di noi in noi medesimi. Avviene troppo spesso che noi siamo assenti da noi stessi. Le nulle e mille occupazioni quotidiane ci portano lontano da questo centro prezioso ove. per lo stato di grazia « i Tre », il Padre, il Figliuolo e lo Spirito Santo, fanno continuamente la loro dimora. Iddio è dunque in noi: e noi non vi ci troviamo — o molto di rado’ — Abbiamo inoltre la preghiera: ma: lì nella preghiera non troviamo che la fede ove vorremmo il possesso reale: l’ombra, ove vorremmo il dono; la immagine, ove vorremmo la realtà presente. Si vorrebbe un Gesù così com’è naturalmente, e non si può avere che un Gesù « mascherato ». che sfugge continuamente e non si lascia raggiungere. E non dico nulla delle prove terribili dell’aridità in cui il Signore non si scorge più se non a grande distanza, sfumatura appena percettibile e così confusa che ci si domanda se veramente è Lui e si è quasi tentati a dire come gli Apostoli sul lago di Genezareth: « Phantasma est… un fantasma! ». – Eppure Gesù non ignora che noi abbiamo abbandonato tutto per poterlo seguire! Maria de la Bouillerie, poi religiosa del S. Cuore, parlando di sua madre diceva: « Io non l’abbandonerò mai per seguire un uomo! » . Ma abbiamo accettato di abbandonare anche la nostra madre perché sapevamo che seguire Gesù non è seguire un uomo, e con forza di volontà abbiamo detto a Nostro Signore: « Io verrò, dove abitate voi? ». — « Sei deciso?… Vieni! … ». — E ci siamo messi in cammino verso la terra promessa anche sapendo che prima di arrivare fino ad essa avremmo dovuto attraversare il deserto. Che importa? Si cammina per un buon tratto… e un bel giorno si crede di esser finalmente al termine del viaggio, alla casa del Maestro — l’abitazione del Re —. Invece, come quel fanciullo che montato sopra una sedia dinanzi all’altare batteva alla porta del Tabernacolo chiamando Colui che vi si è rinchiuso per amor nostro, anche noi battiamo: « Signore, ci siete voi? ». E come per quel fanciullo la porta del Tabernacolo non si apre e il Signore non dà segno alcuno della sua presenza. Deus absconditus! O Dio che martirizzi le tue anime care restando nascosto, misterioso sempre e inaccessibile. E noi ci fermiamo in faccia a Lui certi ch’Egli è presente, che potrebbe mostrarsi se il volesse, ma preferisce aspettare… e farsi aspettare. Una pena simile a quella della Maddalena al Sepolcro, la mattina della risurrezione. Fin dall’alba si era partita di casa portando con sé come unico tesoro dei poveri aromi — tutto quello che possedeva di utile in quella circostanza — e camminava in tutta fretta. Arriva finalmente… entra… e vede il Sepolcro vuoto… un Angelo, il sudario ripiegato da un lato, qualche cosa che appartenne a Lui, ma Egli non è là. Ed essa cercava Gesù, non soltanto la parola dell’Angelo, ma quella di Gesù. Non soltanto una reliquia di Lui, un documento della dimora sua in quel luogo fino a qualche momento prima, ma Lui, presente nel Sepolcro, che si lasciasse vedere… « Signore, ci siete voi? ». Il divin Maestro però non era lontano: anzi Egli è sempre vicinissimo ad un cuore che lo cerca. « Tu non mi cercheresti se tu non mi avessi già trovato »; parole poste sul labbro di Gesù Cristo da Pascal; e nulla di più vero. Chi cerca sinceramente Gesù e gli dice: « Signore, ove siete voi? » , non è più in cammino ma è giunto al termine della sua via. Nel momento stesso che ha formulata la sua domanda il Maestro gli si fa innanzi presente. Sì, il divin Maestro, ma sempre, secondo la sua abitudine, in modo più o meno velato. – Per la Maddalena Gesù Cristo è in sembianze d’un giardiniere e la poveretta non lo riconosce: ce Ditemi, dov’Egli si trova? Oh! ve ne scongiuro, non mi lasciate più a lungo in pena; io andrò a cercarlo fin là dov’Egli si trova… ». Se Egli si manifestasse interamente colmerebbe il desiderio dell’anima ma non già il proprio. Egli gode nel vedersi così desiderato dalle anime ardenti: imita in ciò la madre che si nasconde per provare il gusto di vedersi ricercata dal proprio bambino. Iddio, dice S. Agostino, non desidera di meglio che vedersi desiderato. Questa è la ragione di questi suoi abili raggiri che danno a noi tanta pena e a Lui procurano tanta gioia. Deus absconditus. Il Signore si nasconde: quindi le anime veramente accese d’amore per Lui soffrono a dismisura. Tutto hanno abbandonato solo per poterlo avere, possederlo e unirsi a Lui: e non giungono mai ad averlo, possederlo e unirsi a Lui come esse vorrebbero. Quindi il lamento della sposa dei Cantici: « Fasciculus myrrhæ dilectus meus. Il mio diletto è come un fascio di amarezza. In queste amarezze Iddio trova una soave dolcezza perché sono una prova certa di un amor grande per parte nostra. – Ma Egli non resiste a lungo e chiama la Maddalena col suo nome: « Maria! ». Così come in un baleno talora Egli si lascia quasi intravedere, e allora ci pare poter gettare ai suoi piedi e tendere le mani a Lui: finalmente lo si possederà e per sempre!. Ahimè! « No, non mi toccare», e questa noli me tangere pone il colmo al nostro martirio. Oh! che vale dunque l’amore se non si può procedere più innanzi? « Signore, sradicate del tutto quanto voi stesso mi avete posto in cuore, altrimenti abbiate pietà di me! ». Anche allora — anzi specialmente allora — il Maestro divino non cambia per nulla la sua tattica. Egli vuole scavare nell’anima degli abissi ancor più profondi, ed esce in quella risposta che sì direbbe crudele, ma in realtà è piena di misericordia: « Non è ancora venuta l’ora. Abbi pazienza ancora un po’ di tempo e poi mi vedrai » . « Che dite voi, o Signore — esclamava a questo proposito Paolina Reynolds — e parlate cosi ad un cuore che vi ama? ». « Sì — potrebbe rispondere Nostro Signore — così parlo ad un cuore che mi ama appunto perché anch’io lo amo. E voi fidatevi di me ». È in mezzo a questi patimenti interiori — che noi ci accorgiamo di non esser riusciti a descrivere, come avremmo voluto (Si legga a proposito il 2° Sermone di Bossuet per la festa dell’Assunzione…: « Egli vuole che si distrugga, si devasti, si annienti tutto quello che non è Lui: e per parte sua Egli si nasconde, e si rende quasi inaccessibile,sì che l’anima per l’una parte distaccata da ogni cosa, per l’altra non trovando modo di arrivare a Dio fuorché colla fede… cade in languori inconcepibili.«O sposo di sangue, date alle vostre spose queste armi che devastano e distruggono affinché esse si uniscano a Voi nel mistero della Croce, e vi portino come dote a voi cara il loro totale spogliamento. – « Questo è il mistero di unità che ogni giorno si opera con un martirio inesplicabile e che si terminerà con una pace che è Dio stesso. – « Oh! qual rovesciamento di cose, quale violenza e qual terribile lavoro, poiché Dio non scioglie dolcemente ma strappa; non piega ma rompe; non separa ma spezza e devasta tutto. Gesù, quando sarà che voi distruggerete interamente quanto ci distrugge?… Ah!come voi siete crudele! ») —patimenti nutriti soprattutto di desideri, che mai si giunge ad appagare, di sacrificarsi in qualche cosa, di sacrificarsi in tutte le cose: che il Signore darà alle anime occasione di mostrarsi un po’ meno inferiori al compito intravisto e alle ambizioni sognate.Offrirsi al Signore, già da lungo tempo si è capito che equivale a soffrire. E per questo appunto si è addolorati perché nell’offerta di se stessi pare che non ci sia abbastanza di penoso.È allora che Iddio invia a quell’animadelle pesanti croci: le aridità, le malattie,il lutto, il tradimento nell’amicizia, la persecuzione, l’insuccesso, le tribolazioni più varie e più dolorose. Nostro Signore in ciò non si trova mai imbarazzato, la sua provvista è abbondante, ha di che scegliere:si direbbe che a Nazareth abbia impiegato il suo tempo a preparare in gran copia delle croci, non abbia fatto altro; e se ne vedono di ogni sorta di legno e di tutte le dimensioni. Ed ecco come procede il Signore: per calmare l’angoscia di chi si lamenta di non soffrire abbastanza, Egli si decide di inviare una buona dose di patimento. Così Egli colma un martirio saziando di dolore, e il risultato di questa singolare interferenza di pene è un’immensa gioia. Si soffre; il Signore moltiplica la sofferenza: come risultato finale, ecco la felicità.Se non fossimo già avvezzi a trovare nelle cose divine di che strabiliare, quale non sarebbe il nostro stupore alla vista di questo strano e divino « circolo vizioso »nel quale l’Altissimo rinchiude le anime che sono tanto generose da consacrarsi senza riserva all’opera riparatrice dell’olocausto? (l’anima mia si nutre di tutti gli « Alleluja ». « Laudate ». • Cantate… », il che non toglie, è vero, la sofferenza, ma mi fa trovare in essa la mia pace, o se preferite: la pena è in me, ma io non sono in pena » – Consummata, 1. c .1).Noi abbiamo già udita l’esclamazione di S. Liduina e delle altre anime consimili ad essa. Al più profondo dei suoi più crudeli martirii un forte grido : « Io non sono da compatire, io sono felice! », il che suggerisce all’autore della sua Vita un commento veramente degno di nota, forse quanto di meglio sia stato scritto sul patimento. Le vittime — dice egli in sostanza — le più offerenti fra le creature, sono nello stesso tempo di tutte le creature le più felici. Offrirsi per l’olocausto è offrirsi per la felicità; perché Gesù si fa onore nel restituire con altrettanta pace e altrettanto gaudio, quanto a Lui si sacrifica con generosità. Per tutti i grandi « immolati » è avvenuto così. Iddio ha compensato la loro donazione con una tale pienezza da farli esclamare: « Ma Signore! questo non è il mio conto: io mi sono offerto per il sacrifizio e non ne ho che felicità!». Sì, quando un’anima s’è offerta a Gesù: « Voglio per me stessa mettermi,o Signore, sulla vostra Croce voglio che Voi siate colui che mi crocifigge ». Gesù accetta questa parte di carnefice e incomincia battere; ma alla vista del sangue che cola, dell’anima che si strugge, il suo cuore si spezza: non ha più il coraggio di continuare e si arresta. Allora si accosta e in un attimo colma l’abisso scavato dal patimento e l’anima allora rimane talmente trasportata che sente il bisogno di pregare il Signore a risparmiarle la gioia, come altri supplica il Signore a risparmiargli il dolore. Essa continua ad offrirsi ma la sua immolazione diventa la sua felicità, o meglio la sua immolazione, che continua ad esser in qualche modo dolorosa, è accompagnata da un tale gaudio divino che l’anima per nessuna cosa al mondo vorrebbe vedersene priva. Questo gaudio le è necessario per mantenere vive le fiamme dell’amore e attizzare il rogo permanente del Sacrifizio; e così con sapiente arte il Signore, per tener l’anima in continuo esercizio, alternale allegrezze e i dolori; le dolcezze sono il battistrada delle tribolazioni e le prove non precedono che di poco le gioie spirituali; ma, a conto fatto, il patimento è come affogato nel gaudio; non si può reprimere il singhiozzo, ma, come felicemente si esprime il Buathier, questi singhiozzi si risolvono in altrettanti cantici di allegrezza.L’abate Perreyve, uno di quelli che hanno meglio compreso e meglio spiegato il sacrifizio incontrato per amore, nell’analizzare questa contraddizione o, se vogliamo, questo equilibrio, lasciò scritto: « Donde viene, o Signore, che appena incamminato sulla via della Croce, io sento dalle vostre labbra parole d’ineffabile dolcezza? ». Infatti non appena Nostro Signore ha pronunziata la prima frase: « Se altri vuol venire dietro di me prenda la sua croce », Egli continua dicendo: «Il mio giogo è soave, il mio peso è leggero ». — « Appena ho incominciato a soffrire — soggiunge l’abate Perreyve— e già voi mi portate la consolazione;appena ho posto sulle mie spalle la croce e già la vostra mano divina me la rende leggera…« O Gesù! che imponete dei sacrifizi necessari ma che ne diminuite subito la pena col vostro tenero amore: o Gesù! che comandate la rinunzia a tutte le cose ma che fate poi trovare all’anima distaccata da se stessa un cumulo di tesori più grandi di quelli che potrebbe possedere: o Gesù! che ci obbligate a portare ogni giorno la nostra croce se vogliamo veramente seguirvi, ma che mutate poi questa croce in un giogo soave e in un peso leggero; o Gesù! Che spesso vi contentate della più piccola buona volontà dei nostri cuori e che ricambiate con sovrabbondanti consolazioni i nostri più deboli sforzi, no, non ho più paura di voi! Non mi spavento più del vostro Vangelo, io non tremo più al solo nome della Croce! Ormai ho capito che in essa sta il segreto delle grandi consolazioni e del vero appoggio nel cammino della vita, ove, anche contro il volere nostro, conviene soffrire. Io mi accosto quindi alla Croce con tutta confidenza e vengo a cercare ai suoi piedi, nel ricordo della vostra Passione, nuove grazie di forza e di pazienza. Non me le rifiutate, o generoso mio Maestro; e ricevetemi nel vostro corteo, fra quelle anime che trovano, venendo dietro di voi al Calvario, la forza di trar profitto dalle loro pene e di mutare in ricchezze senza fine tutte le amarezze della vita ». E con questa preghiera così bella, così ardente, così confidente, così umile poniamo termine al nostro lavoro. Quest’ultimo carattere di umiltà manifesta e consacra il vero spirito della Riparazione. – Quanti si vogliono dedicare, in unione di Gesù, alla Redenzione del mondo per mezzo del patimento, non possono farlo senza tremare conoscendo in modo evidente la loro assoluta incapacità. Essi comprendono che. lasciati a sé, al primo contatto del dolore essi fuggirebbero ben lontani. – Nessuno sa meglio di loro che essi non sono che la goccia d’acqua che si lascia versare nel vino del calice pel Sacrificio cruento: cosicché quelli che dànno di più sono quelli che sono convinti del « nessun valore » di quanto danno.

CONCLUSIONE

Non era nostra intenzione di scrivere un trattato completo sulla Riparazione: tanto meno un trattato scientifico di molta dottrina. Noi abbiamo semplicemente tentato di mostrare, ricordando brevemente su quali basi teologiche e dogmatiche si appoggi la Riparazione, quale posto dovrebbe avere l’idea riparatrice nel pensiero e nelle opere del buon Cristiano. Ai nostri giorni molti si sentono attirati da questa parte, ma restano esitanti, vanno a tentoni, poi indietreggiano o cambiano rotta perché mancano loro spesso i concetti chiari intorno alla riparazione. Queste nostre pagine vorrebbero risvegliare molti per metterli sull’avviso e ad altri già in guardia e desiderosi di luce, fornire le prime indicazioni. – In siffatta materia certamente una monografia o il contatto vivente d’un’anima riparatrice sono più efficaci che tutto un manuale; perciò abbiamo spesso rinviato il lettore a consultare diverse « Vite » . Tuttavia un breve schizzo della teoria non è inutile; è un allettamento e una prima indicazione. La lettura di opere più complete, il consiglio d’un savio direttore, e la grazia dello Spirito Santo finiranno d’illuminare, di convincere e di stimolare all’impresa. Durante la guerra sulle vie che andavano alla fronte si scorgevano di tratto in tratto degli avvisi a caratteri grossolani con qualche nome e una freccia: « Per il tal posto, seguite questa direzione ». Queste pagine non hanno altra ambizione; esse dicono: « Per andare al sacrifizio mettetevi sulla via della riparazione: non c’è passo più sicuro ». Cioè abbiamo voluto indicare da lungi la strada e non guidare fino alla linea di combattimento e ancora meno descrivere minutamente quanto si trova al termine della via… E come quelli soltanto che vissero nelle trincee della grande guerra hanno « sentito la realtà » della vita che vi si passava e possono parlarne — anche con pericolo di non esser compresi o neppur ascoltati — così solo quelli hanno i dati necessari a descrivere la vita di riparazione, cui il signore ha concesso di conoscere per esperienza propria e per il contatto delle anime altrui le regioni del completo devastamento dell’amor proprio, dello schiacciamento totale, della festa sanguinosa nel dono assoluto di tutto se stesso. Quindi si spiegano qua e colà i diversi punti in cui ci contentiamo di dare idee schematiche, incomplete e anche solo accennate. Non è da noi il penetrare nei domini riservati all’azione del Signore, lo scoprire « i segreti del Re », il far comprendere il modo che tiene nel comunicarsi alle anime privilegiate. Per questo è necessaria un’autorità, una pratica di ascetica e di mistica… e qualche altra cosa ancora, che noi non abbiamo. Un cieco non parlerà mai di luce o di colori. Dunque meglio d’ogni altro noi sappiamo quanto sia lontano questo nostro opuscolo da quello che si potrebbe desiderare. Anche così imperfetto, questo nostro lavoro potrà il Signore adoperarlo come strumento di sua gloria se il vorrà fare. Talora i mezzi in apparenza meno idonei sono quelli di cui Egli si serve per ottenere il risultato che ha di mira. Ci sia lecito aggiungere ancora una parola prima di terminare: un ricordo dell’ultima campagna. – Nel settembre 1917 due soldati di Liévin, in licenza a Hersin-Coupigny presso Pas de-Calais, pensarono di recarsi al villaggio natio per ricercare il loro piccolo peculio che avevano nascosto sotterra al momento dell’invasione. Essi vanno, ma l’uno di essi purtroppo non trova più nulla del suo. Prima di ritornarsene si portano all’antica chiesa del villaggio e la trovano tutta abbattuta al suolo. Solo una pesante croce in ferro fuso non è caduta, ma sta in piedi contro un resto di muro. E il soldato si avanza, la prende e, al cospetto d’un gruppo di Canadesi che applaudiscono, egli la stringe fra le sue braccia dicendo al suo compagno: « T u hai trovato il tuo tesoro, ecco il mio, io lo porto con me ». E in mezzo ai rottami e alle fosse scavate dalle bombe, a stento e gocciolanti sudore e coperti di fango i due amici portano fino ad Hersin la Croce della loro chiesa, Ritrovare la Croce, non già quella d’una chiesa distrutta, in mezzo ai rottami, ma quella del Salvatore del mondo rizzata sulla cima del Calvario si direbbe cosa facile. Ebbene, no! Meditando sulla festa dell’Invenzione di S. Croce, Mgr. d’Hulst ha potuto scrivere: « È una bella invenzione. Già da molto tempo abbiamo la croce dei due ladroni, la croce che disonora, ma la gran novità, essa è la Croce di Gesù… la quale per tante anime non è ancor stata trovata ». Oh! sì, essa è ancora da ritrovare per molte anime. E poi quando sia stata scoperta non convien fermarsi a contemplarla soltanto, ma bisogna prenderla e abbracciarla. I Canadesi applaudirono… il mondo, lui, non comprenderà nulla… e che importa? La croce afferrata a due mani poniamocela risolutamente sulle spalle. I rottami, le buche, le occasioni di cadute non mancheranno; la strada sarà difficile a percorrersi, il cammino un po’ lungo. Verrà spesso la tentazione di liberarsi da un tal peso, di gettare a terra queste due traverse che opprimono le spalle. « Come? — mormora allora Gesù — vorrai tu abbandonarmi?… Non vi sarà qualche Cireneo e qualche Veronica che vogliano aiutarmi a custodire intatta la mia Croce preziosa? ». Non vi sarà nessuno? È forse vero? Un giorno, durante la S. Messa, il Signore comunicò a S. Angela da Foligno una molto viva cognizione delle pene sofferte in Croce; ed essa così narra il fatto: — Sentii la sua voce a benedire i devoti che imitano la sua Passione e che hanno pietà di Lui: « Siate benedetti dalla mano del Padre, voi che avete partecipato e pianto la mia Passione; voi che ricomprati dall’Inferno cogli immensi dolori della mia Croce, avete sentito compassione di me. Siate benedette, fedeli memorie! voi che conservate nel vostro cuore il ricordo della mia Passione. Poiché voi avete offerta ad un Dio desolato la sacra ospitalità del vostro amore. Io era nudo sulla Croce, ero affamato, assetato, e voi aveste pietà di me. Siate benedetti, voi che avete usato misericordia. Al momento terribile di vostra morte io vi dirò: Venite benedetti dal Padre mio, io avevo fame e voi m’avete offerto il pane della vostra compassione… sospeso in Croce, ho pregato per i miei carnefici; che dovrò dire per voi che mi siete cosìdevoti quando verrò nella gloria per giudicare il mondo?». E mi è assolutamente impossibile esprimere l’amore che brillava sopra coloro che hanno pietà. — Al presente, più che in ogni altro tempo, Nostro Signore cerca dei « devoti che imitano la sua Passione ed abbiano compassione di Lui » . – Conceda il Signore a molti dei lettori e delle lettrici di queste pagine il desiderio di arruolarsi nella squadra dei « devoti » e la volontà generosa di fare parte di «quelli che hanno compassione ».

Chi vuole?

— « Oh! Signore, io lo voglio ».

FINE

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.