SACRO CUORE DI GESÙ (33): CONSACRAZIONE AL CUORE DI GESÙ

Sac. Prof. Albino CARMAGNOLA: La vittima della carità ossia IL SACRO CUORE DI GESÙ; Società Editrice Internazionale, TORINO, 1920

DISCORSO XXXIII.

Consacrazione al S. Cuore di Gesù.

Una sera gelata d’inverno un uomo si aggirava solingo e pensieroso in luogo alquanto remoto della vicina città. Egli era un genio, ma accasciato sotto il peso di gravi sventure. Dopo di avere camminato alquanto, lo ferisce all’orecchio il suono della campana d’un vicino convento. A quel suono, come alla voce d’un amico, che lo chiamasse per consolarlo, quell’uomo volge ad un tratto i suoi passi frettolosi a quel convento e ne batte alla porta. Un frate si avanza, ed aprendo, così saluta: La pace sia con te, o pellegrino; che cerchi tu? — Che cerco io? Cerco appunto la pace che tu mi auguri, ma che finora non ho trovato. Cerco la pace! Miei cari, questo anelito così ardente di Dante Alighieri è l’anelito di tutta l’umanità. Pace, pace si cerca da tutti; pace, pace da tutti si invoca. Ciascuno vuol pace nel suo cuore; ogni famiglia vuol pace nel suo seno; ogni società vuol pace tra i suoi membri; e tutto il mondo vuol pace fra i suoi stati. E per avere, per mantenere, per promuovere la pace si istituiscono dei comitati, si fanno dei congressi, si diramano circolari, si fanno proposte, si suggeriscono mezzi, si danno delle norme; e ciò si fa dagli stessi più grandi sovrani del mondo. Tanto è vero che la pace è uno dei maggiori beni che si possa godere quaggiù dall’umanità. Ma con questa brama irrefrenabile, che da tutti si ha della pace, con questa aspirazione sì infuocata di tutti gl’individui, di tutte le famiglie, di tutti gli stati, di tutto il mondo si cerca davvero la pace là dove essa esiste? La pace, ha detto il più grande dottore, S. Agostino, è la tranquillità dell’ordine. Ma la base, il principio, la radice di ogni ordine serbato e tranquillo è la conoscenza, l’amore, il servizio di Gesù Cristo, la totale consacrazione della nostra vita a Lui. Senza la nostra vita in Cristo è scossa, è tolta anzi la base di ogni ordine, ed allora non più pace, ma agitazione, scompiglio e guerra. Sì, Gesù Cristo è la nostra pace: ipse est pax nostra; (Eph. II, 14) Gesù Cristo è colui che la può far regnare in mezzo al mondo, perché Egli è il principe della pace: princeps pacis; (Is. IX, 6) Gesù Cristo è colui che la dona, perché è il Dio della pace: Deus pacis. (Hebr. XIII, 20) Appena nato sopra questa terra la fece annunziare agli uomini per mezzo degli Angeli: Et in terra pax hominibus; (Luc. II) prima di andare a morire per noi la lasciò come in retaggio a’ suoi apostoli: Pacem relinquo vobis; (Io. XXI) e dopo la sua risurrezione, il primo saluto, il primo augurio, la prima promessa, che fece ai discepoli, fu la pace: Pax vobis. (Luc. XXIV, 36). È da Lui pertanto, da Lui solo, che ci può venire la pace, opperò è in Lui, in Lui solo che dobbiamo ricercarla. E chi fra di noi, riconoscendo dove stia la pace, non vorrà recarsi lì a farne l’acquisto? Miei cari, siamo arrivati al termine del mese consacrato al Cuore di Gesù. In questo mese ci siamo studiati di conoscere questo Cuore più intimamente che ci fu possibile, ed abbiamo cercato di metterci innanzi i motivi più grandi che devono spronarci a crederlo, ad amarlo e servirlo fedelmente. Ora che altro ci rimane se non risolvere di mantenere costantemente il frutto di queste sante cognizioni? A tal fine non dobbiamo far altro quest’oggi che consacraci interamente a Lui. Ma intendiamoci bene, o miei cari. Invitandovi io quest’oggi, a fare la vostra consacrazione al Cuore Santissimo di Gesù, non crediate, che io vi inviti ad una funzione religiosa vaga e indeterminata, ad un’espansione passeggera di una tenerezza sensibile verso di Lui: no affatto. Io vi invito a fare una consacrazione soda, totale e costante di voi medesimi al Cuore di Gesù Cristo, a prendere cioè una risoluzione decisiva di vivere d’ora innanzi unicamente in Lui, con Lui e per Lui, nella fede ferma alla sua dottrina, nella pratica esatta della sua legge, nel servizio fedele della sua Persona; giacché, orMai lo abbiamo ben inteso, dire Cuore di Gesù è dire Gesù Cristo Figliuolo di Dio fatto uomo per nostro amore e per nostra salute è sempre la stessa cosa. E la salute nostra non sta in altri che in Lui: Non est in alio aliquo salus.(Act. IV, 12) Non altro Nome vi è sotto il cielo, che possa essere il segno della nostra elezione divina; Gesù Cristo principio di tutte le cose ne è pure il fine; tutto da Lui procede e tutto mette capo a Lui. Nessuno va al Padre se Egli non lo conduce colla grazia, con quella grazia che ha la sorgente nel suo Sacratissimo Cuore: Gratia Dei per Iesum Christum Dominum nostrum.- (Rom. VII, 25) Se noi pertanto cercassimo la verità fuori di Lui, non la troveremmo che incompleta e mutilata, perché è Egli la verità; se noi camminassimo verso i nostri destini lontani da Lui, noi ci perderemmo, perché Egli è la via unica e sicura: se noi pretendessimo di vivere senza di Lui, noi resteremmo mai sempre in potere della morte, perché Egli è la vita. Ego sum via, veritas et vita. (Io. XIV, 17) Insomma pensieri, affetti, nobili e sante abitudini, buone opere tutto sarebbe inutile, tutto andrebbe irrimediabilmente perduto, se noi non ci unissimo a Lui, se non ci dessimo a Lui del tutto, se a Lui non ci consacrassimo, giacché senza di Lui non possiamo far nulla: Sine me nihil potestis facere. Tutto per Lui, tutto con Lui, tutto in Lui: Per ipsum, cum ipso et in ipso! Oh quanto importa adunque che noi ci consacriamo con una consacrazione vera, soda, decisiva al Cuore SS. di Gesù: Egli ne ha tutti i titoli e noi ne abbiamo tutto l’interesse. Ed ecco appunto ciò che vi dirò in quest’oggi: —O Cuore adorabile di Gesù, dona oggi tale forza alla mia parola che valga ad ottenere davvero che tutti questi cuori si rifuggano per sempre dentro di te.

I. — Il primo titolo che il Cuore SS. di Gesù ha alla nostra consacrazione si è l’essere Egli il Cuore del nostro Maestro divino, sia perché come tale fu veramente mandato da Dio, sia perché è Dio Egli stesso. No, in Gesù Cristo non abbiamo soltanto uno di quei grandi sapienti e profeti, quali furono quelli che Iddio inviò nell’antica legge; in Lui non v’ha soltanto un semplice riflesso della luce eterna, ma è il sole medesimo sorto nel inondo per inondarlo della sua luce, penetrarlo del suo calore, è la Sapienza divina incarnata, è il Verbo, la Parola divina fattasi vivente in un corpo e in un’anima umana, è insomma il Maestro supremo, il Maestro dei maestri. Se adunque Gesù Cristo è il Maestro nostro per eccellenza, non dovremo noi consacrarci del tutto al Cuore divino per accettare e credere tutti gl’insegnamenti e per osservare tutti i precetti che ne ha fatto uscire per la salvezza nostra? Oh! sì, senza dubbio. Che importa adunque che Egli ci apprenda delle verità che noi colla sola nostra ragione non possiamo né presentire, né penetrare? Che importa che egli ci ammaestri intorno a misteri inscrutabili e superiori al nostro intendimento? Le verità non lasciano di essere verità dal momento che partono dalla bocca di un Maestro divino, che le vede e le afferma. Vi sono stati, vi sono tuttora dei maestri dotati di gran genio, che si impongono per tal guisa alle menti dei loro discepoli da ingenerare in essi una sicurezza la più grande della loro dottrina; sicurezza tale per cui questi discepoli a qualsiasi obbiezione, a qualsiasi difficoltà fosse loro fatta contro la dottrina del maestro rispondono decisamente: L’ha detto il nostro maestro : Magister dixit. Ma questa fiducia così imprudente, che non tiene conto della debolezza che trovasi nella mente umana, fosse pure la più elevata, la più nobile, a quanti sbagli, a quanti errori può andare incontro! Or si potrà dire la stessa cosa di noi quando noi prestiamo fede a Gesù Cristo, ancorché Egli ci insegni cose incomprensibili alla mente nostra? No, non mai, perché se noi a qualsiasi obbiezione o difficoltà che alla dottrina di Gesù si affacci alla mente nostra sia per parte della nostra ragione riottosa, sia per parte dei falsi maestri del mondo, se noi, dico, a qualsiasi obbiezione o difficoltà rispondiamo: Magister dixit, è lo stesso che rispondere: Deus dixit: l’ha detto Iddio, quel Dio che è di una scienza infallibile e di una veracità suprema, ragione per cui noi saremmo del tutto colpevoli se gli rifiutassimo la perfetta sommissione del nostro spirito. Dunque fede piena e totale a tutto ciò che Gesù Cristo ci insegna intorno alla natura di Dio, alla vita delle tre Persone divine, alla sua eterna generazione, alla sua propria Persona, al valore delle sue azioni, all’estensione de’ suoi meriti, alla comunicazione della sua vita, a’ suoi santi Sacramenti, alla virtù della sua grazia, alla nostra origine, ai nostri destini. Sì, fede piena e totale, senza riserva alcuna, senza alcuna restrizione. È vero, oggi non è più la sua bocca divina quella che direttamente ci ammaestra intorno a tutto ciò che dobbiamo credere, ma è la sua Chiesa docente, quella Chiesa che Egli ha costituita a tenere le sue veci, che ha fatta depositaria sicura della sua dottrina, che ha resa infallibile nella promulgazione della medesima, ed alla quale perciò dobbiamo quella medesima fede che si deve a Gesù Cristo, avendo Egli detto alla Chiesa: Qui vos audit me audit; chi ascolta voi, ascolta me, (Luc. x, 16) e chi disprezza voi, disprezza me, e chi disprezza me, disprezza Colui che mi ha mandato: Qui vos spernit, me spernit. Qui autem me spernit, spernit eum qui me misit. (Ib.) Ma il nostro divino Maestro Gesù non solamente ci insegna le verità che dobbiamo credere, ma eziandio le opere che dobbiamo compiere, e non solo ce le insegna, ma ce le comanda. Propriamente perché Egli è il Maestro divino, perciò ancora è il precettore, quegli cioè che ci dà dei precetti e ci ordina di eseguirli, e se noi ci sottraessimo alla sua indiscutibile autorità, se noi non lo volessimo obbedire, se noi avessimo la stolta pretesa di obbedire a Lui ed obbedire alle nostre passioni, alle massime del mondo, ai suggerimenti di satana, guai! noi saremmo perduti, perché è solo nell’obbedir a Gesù Cristo e nell’obbedire a Lui unicamente che siamo certi di far sempre il bene, evitar sempre il male, ed operare la nostra salvezza. La legge di Gesù è una legge che non soffre rivalità di sorta, avendo detto Egli stesso apertissimamente, che nessuno può servire a due padroni ad un tempo: nemo potest duobus domini servire. Sarà vero adunque che per osservare i precetti di Gesù Cristo noi dovremo fare violenza a noi stessi,giacché regnum Dei vim patitur et violenti rapiunt illud: il regno di Dio patisce forza e solamente quei che si fanno violenza riescono a guadagnarlo; sarà vero che perciò dovremo rassegnarci a sacrificare il nostro orgoglio, il nostro amor proprio, il nostro io; sarà vero che dovremo mortificare i nostri sensi, contenere le nostre ambizioni, moderare le nostre cupidigia, regolare i nostri affetti, vegliare sui pensieri della nostra mente, comprimere i traviamenti dell’immaginazione, soffocare i desideri malnati del nostro cuore, distaccarci dai beni miserabili e caduchi del mondo per attaccarci unicamente ai beni veri ed imperituri del cielo; sarà vero in una parola che dovremo rinunciare all’amore di noi per crocifiggere la nostra carne con quella di Gesù Cristo: ma questo è tutto ordinato e voluto da Lui. È Egli che ci comanda di essere mansueti ed umili di cuore, come lo è Lui; è Egli che ci ordina di essere casti e mortificati; è Egli che ci impone di essere benefìci, misericordiosi,generosi nel perdonare; è Egli che ci intima di pregare,di onorarlo sempre, ma specialmente nei giorni a Lui consacrati;è Egli che vuole che noi andiamo a gettarci ai piedi del sacerdote suo rappresentante per confessargli e piangere i nostri peccati, Egli che ci chiama ad accostarci a riceverlo nei nostri cuori colla santa Comunione, Egli! E siccome Egli continua ad esercitare il suo impero sopra di noi in modo visibile per mezzo della sua Chiesa, alla quale ha dato la facoltà di prescriverci tutto ciò che ella crede più conveniente, più utile, più necessario per ottenere da noi l’adempimento vero e perfetto dei precetti di Lui, perciò è anche ai precetti della Chiesa, che dobbiamo assolutamente obbedire per poterci dire veri obbedienti di Gesù Cristo in tutto e per tutto. Ecco, o miei cari, il primo titolo che Gesù Cristo ha alla consacrazione nostra al suo Sacratissimo Cuore, e che cosa importa per questo riguardo la nostra consacrazione: il Cuore di Gesù è il cuore del nostro Maestro e noi dobbiamo credere tutti i suoi insegnamenti e praticare tutti i suoi precetti. -Ma a questo primo titolo un altro se ne aggiunge anche più toccante per il nostro cuore. Gesù Cristo non è solo il nostro Maestro, ma è pure il nostro amico. Sì, incredibile a dirsi, ma pur vero. Gesù è il nostro amico. Egli non fa come i maestri e precettori di questo mondo, che tolta qualche rarissima eccezione, pur prendendo a nutrire dell’affetto ai loro discepoli, difficilmente li ammettono a godere della loro intima amicizia, troppo temendo che questo sentimento che conduce alla famigliarità riesca di danno al rispetto che desiderano mai sempre ottenere. No, Gesù Cristo non fa così; Egli si sbriga da questi riguardi e costumanze umane, perché  Egli sa che quanto più noi diventeremo famigliari con Lui, quanto più ci stringeremo a Lui intimamente e teneramente, tanto più diventerà profonda in cuor nostro la riverenza per Lui e tanto più affettuosi e perfetti saranno i servigi che gli renderemo. Epperò fin dal tempo della sua vita mortale Egli ha preso a nutrire verso tutti coloro che lo volevano corrispondere il sentimento della più tenera amicizia. E non si rivelò egli il più affezionato degli amici verso de’ suoi Apostoli, e non li riguardò, essi, come amici suoi? Ah! udite le commoventi parole che loro indirizza: Voi siete gli amici miei. No, non vi chiamerò Io col nome di servi, perché il servo non sa quello che faccia il padrone; ma vi chiamerò con quello di amici, perché Io non tengo con voi segreto alcuno, e tutto quello che Io intesi dal Padre mio, tutto ve lo feci sapere. (Io. XV, 14, 15). E in conformità a questa professione di amicizia Gesù vuole gli Apostoli sempre con sé, e non ostante che siano sì rozzi, sì difettosi, sì meschini, li compatisce nei loro difetti, li avvisa dei loro mancamenti, li assiste nei loro bisogni, li difende nei loro pericoli, li anima nelle difficoltà, li premunisce contro le persecuzioni,nulla, assolutamente nulla risparmia di fare per rendere onore alla sua parola, per dimostrare che Egli è veramente il loro amico e che essi sono gli amici suoi. Ma quella bontà e tenerezza di amicizia che Gesù Cristo ha dimostrato durante la sua mortal vita, ritenetelo bene, non è venuta meno presentemente per nessuno di noi. Basta che noi rispondiamo all’amor suo perché anche a noi Egli faccia il grande e affettuosissimo onore di averci per amici suoi e di far sentire a noi tutti gli effetti dolcissimi della sua amicizia,per largire cioè e comunicare anche a noi nella massima abbondanza quei tesori di grazie che egli ha fatto scaturire dal Cuore suo durante la sua vita e’ soprattutto durante la sua passione e morte. Sì, il Cuore di Gesù sarà sempre anche per noi il cuore del vero amico, dell’amico per eccellenza, dell’amico potente ed amoroso al quale attingeremo a piene mani tutti i beni di cui abbiamo bisogno. Siamo noi nella nostra intelligenza offuscata da dubbi, da incertezze, da esitazioni intorno alla fede? Rechiamoci al Cuore dell’amico Gesù, ed egli spanderà nel cuor nostro la luce. Vogliamo noi essere diretti sapientemente nei nostri studi, ne’ nostri lavori, nelle nostre imprese, nei nostri interessi sì temporali che eterni affine di non giovare soltanto a noi, ma anche ai nostri prossimi? Andiamo al Cuore dell’amico Gesù, ed Egli verserà nel cuor nostro il dono del Consiglio.Ci sentiamo freddi nell’adempimento dei nostri doveri, soprattutto nell’adempimento di quelli che abbiamo con Lui, ci sentiamo freddi nella divozione, nella pietà, nella pratica della Religione? presentiamoci al Cuore dell’amico Gesù ed egli è la fornace dell’amore. Ci sentiamo assaliti dalle tentazioni terribili di satana, dalle lusinghe prepotenti del mondo, dalle punture stimolanti delle nostre passioni? Corriamo al Cuore dell’amico Gesù: Egli è la forza dei deboli. Abbiamo l’anima lacerata pei dispiaceri avuti dagli uomini, pei tradimenti che ne abbiamo patito, per le calunnie di cui ci hanno oppressi, per la guerra che ci hanno fatto, pel disonore che ci hanno causato, per la rovina che ci han procacciata, per la miseria a cui ci hanno ridotti? Oh! non tardiamo un istante ad appressarci al cuore dell’amico Gesù, ed egli verserà nel cuor nostro il balsamo della consolazione. Finalmente siamo noi oppressi dalle colpe della nostra vita passata, gemiamo noi sotto il peso di tanti peccati? Ebbene anche allora rechiamoci al Cuore dell’amico Gesù, perché neppur allora Gesù, se noi lo vogliamo davvero, neppur allora Ei ci rifiuta la sua misericordia;anzi è allora che più particolarmente ce la farà sentire,perché anche allora continua ad essere l’amico nostro.Non di meno, o miei cari, non dimentichiamoci che la vera amicizia non è riposta nello sfruttare l’altrui cuore per sé, no; essa suppone e vuole reciprocanza di affetti, scambio di doni,serie non interrotta di generosità. È vero, noi siamo poveri,pur tuttavia Gesù si accontenta che noi gli diamo quel poco che noi abbiamo; si accontenta del nostro cuore per quanto meschino, si accontenta della nostra buona e risoluta volontà di amarlo, si accontenta del nostro impegno costante per non offenderlo, si accontenta della nostra compassione e della nostra riparazione per gli oltraggi che Egli riceve, massimamente nel Sacramento d’amore; si accontenta delle nostre preghiere, delle nostre pratiche devote, delle nostre comunioni, delle nostre mortificazioni; si accontenta dell’offerta delle opere nostre e noi diamogli volentieri tutto questo. Che anzi diamogli qualche cosa di più. Giacché con satanico furore si fa di tutto per togliere Gesù di mezzo alla società, di mezzo alla scienza, di mezzo alle lettere, di mezzo alle arti, di mezzo alla scuola,di mezzo all’officina, di mezzo alla famiglia, e noi pieni di zelo lavoriamo per quanto possiamo ad impedire sì esecrando e sì fatale delitto; lavoriamo a mantenere Gesù dappertutto, lavoriamo a rimetterlo in onore ed in amore per ogni dove. Lavoriamo colla preghiera, lavoriamo col buon esempio, lavoriamo coll’impiego del denaro alla sua santa causa, lavoriamo col partecipare vivamente e seriamente all’Azione Cattolica, lavoriamo col sacrificare perciò generosamente lo nostre mire personali e le nostre comodità. Oh allora sì, Gesù sarà sempre l’amico nostro e noi saremo sempre gli amici suoi: e sempre ci farà risuonare all’orecchio questa dolce parola: vos amici mei estis.Ma un terzo titolo che ha Gesù Cristo alla nostra consacrazione al suo Santissimo Cuore si è che desso è vita della nostra vita.Ego sum vita, Egli ha detto, e per questo sono venuto al mondo, perché gli uomini abbiano per me la vita e l’abbiano abbondantemente: Ego veni in mundum ut vitam habeant et abundantius habeant. (Io. x, 10) Né crediate che quando Gesù asserisce di essere la nostra vita adoperi un linguaggio poetico e figurativo, no; Egli adopera un linguaggio vero, reale, profondamente vero e reale. Egli è anzitutto vita della nostra stessa vita fisica, giacché questa vita corporea che noi abbiamo è Egli che come Dio ce l’ha data, Egli che come Dio cela conserva, Egli che come Dio è padrone di togliercela quando gli pare e piace. Ma soprattutto Egli è vita della nostra vita spirituale, vita dell’anima nostra elevata all’ordine soprannaturale. Questa vita è vero noi l’avevamo perduta per il peccato del nostro primo padre. Ma Gesù venendo sopra di questa terra a patire e morire per noi ce l’ha sovrabbondantemente riacquistata. Epperò questa ce l’ha ridonata, a ciascuno di noi, quando l’acqua salutare del santo Battesimo discendendo esteriormente sul nostro corpo purificò interiormente l’anima nostra per mezzo della grazia. Questa vita fu rafforzata in noi in quel dì, in cui lo Spirito Santo, che Gesù Cristo ha mandato, è disceso nell’anima nostra per mezzo della santa Cresima, apportandoci insieme con un’altra grazia abbondantissimi tesori. Da ultimo questa vita fu resa più ricca, più feconda, più gloriosa ogni qual volta noi ci siamo accostati alla mensa eucaristica a nutrirci delle carni immacolate di Cristo e a bere il suo preziosissimo Sangue. Ora, dopo tutto ciò, essendo stati noi pienamente vivificati da Gesù Cristo,non è Egli in diritto, nell’assoluto diritto che noi ci consacriamo a Lui, al suo Sacratissimo Cuore, e che prendiamo pur noi a vivere della vita sua? Sì certamente; ognuno di noi dobbiamo vivere in guisa da poter dire ognuno: Mihi vivere Christus est. (Philipp, I, 21) Vivo ego, iam non ego, vivit vero me Christus.Ma poniamo ben mente che vivere della vita di Gesù Cristo, menar davvero vita cristiana non importa soltanto una certa conformità dei pensieri nostri coi pensieri suoi, di affetti co’ suoi affetti, di azioni colle, sue azioni, ma soprattutto una penetrazione permanente della vita di Gesù Cristo in noi, un’abitazione continua sempre più attiva della sua grazia per modo che le nostre opere, le nostre parole, i nostri pensieri, i nostri affetti siano impregnati di questa grazia e di questa vita di Gesù Cristo e in tutto quel che facciamo, in tutto quel che diciamo, in tutto quel che pensiamo, in tutto abbiamo a farci dei meriti innanzi a Dio per Gesù Cristo, con Gesù Cristo e in Gesù Cristo. Ahimè! quanti vi sono che si credono vivi della vita di Gesù Cristo e invece sono morti!quanti vi sono che meritano ciascuno quel rimprovero dell’Apocalisse; Nomen habes quod vivas, et mortuus es! Non parlo no, di coloro, i quali rinnegando il loro battesimo e la loro educazione cristiana ricevuta sulle ginocchia della madre-Chiesa e della Chiesa-madre vorrebbero ora se fosse possibile cancellare dall’anima loro l’indelebile carattere del battesimo. Ah!costoro non ignorano di essere morti alla vita di Gesù Cristo e forse anche son arrivati a tal punto di irreligiosità e demenza da farsene vanto. Io parlo invece di coloro che conservano la fede, che pregano ben anche, che frequentano le Chiese, che si sottomettono volentieri e persino con ostentazione alla legge del magro e del digiuno, che accorrono sollecitamente ad ascoltare la parola di Dio, che si consolano della pietà delle loro mogli, che esigono le pratiche religiose nei loro figli, che mirano con spavento i progressi dell’irreligione, che provano sdegno contro ogni pubblica dimostrazione dell’empietà,che quando si parla di Cristiani Cattolici, servi ed amici di Gesù, si fanno anche arditamente innanzi per dire: noi siamo del loro numero; ma che intanto sono morti alla vita di Gesù Cristo, perché resistono alla sua volontà dichiarata, perché rimangono da anni e da anni schiavi del peccato, perché da anni e da anni non vanno più a gettarsi ai piedi di un confessore per riacquistare la grazia divina, perché da anni e da anni non si accostano più alla sacra mensa. Ah! miei cari, che gran pena al cuore il pensare a costoro! Perciocché sia pure che costoro per non avere totalmente abbandonato Gesù Cristo possono sperare che Gesù Cristo non abbandoni totalmente essi, ma intanto se essi continuano in questo stato di morte non si va sempre più aggravando sopra il loro capo lo sdegno del cielo? e non potrà essere che in quel dì istesso a cui han rimandato la loro risurrezione alla vita cristiana,in quel dì istesso, prima che’ essi la compiano, siano chiamati dallo stesso Gesù Cristo a render conto dell’abuso continuato che fecero delle sue misericordie? Ah! miei cari, se mai vi fosse tra di voi qualcuno di questi sventurati, si decida ormai a risorgere e a riacquistare la vita di Gesù Cristo, non rimandando neppur più a domani quello che potrà fare ancor oggi. Tutti poi dandoci alla vita veramente cristiana, facciamo di essere perseveranti in essa; no, non più infedeltà; non più ricadute, non più ingratitudini. Che ciascuno di noi possa sempre ripetere in fondo dell’anima sua con tutta verità: Ho trovato alfine chi ama l’anima mia, ho trovato il cuore di un Maestro divino, di un amico divino, di una vita divina; ho trovato il Cuore SS. del mio Gesù, al quale mi dono e mi consacro per tutta la vita senza più mai separarmi da lui: Inveniquem diligit anima mea, tenui eum nec dimittam. (Cant. III, 4)

II. — Ed è questo il nostro supremo interesse: l’unico mezzo, col quale potremo godere la pace in vita, in morte e dopo morte. Taluni pensano che la pace consista nel possesso delle ricchezze, epperò si danno a ricercarne l’acquisto con un ardore di passione. Ah! esclama qualcuno, se io arriverò a possedere qualche centinaio di migliaia di lire sarò felice. E perciò va, viene, compra, vende, si agita, si sacrifica… e poi? Il denaro, miei cari, non dà la pace; quanto più se ne ha, tanto più se ne vorrebbe; e per poco che se ne abbia, sempre si sta in agitazione per la paura di perderlo. Gesù Cristo ha chiamato le ricchezze spine, e le spine, tutt’altro che contentare il cuore dell’uomo, lo pungono e lo fanno soffrire. Perché nelle ricchezze l’uomo trovasse la pace, bisognerebbe che queste fossero il suo ultimo fine. Ma è forse così? L’oro e l’argento, secondo il piacevole modo di esprimersi di S. Bernardo non è altro che terra rossa e terra bianca, terra rubra et terra alba; e l’uomo creato da Dio, ad immagine e somiglianza di Dio, avrà per suo ultimò fine la terra che calpesta co’ suoi piedi? Il pretenderlo sarebbe un avvilire la nostra natura e rendere il nostro cuore schiavo miserabile della materia. – Tali altri credono trovare la pace nei godimenti e vi si abbandonano senza tregua. Festini, balli, teatri, gozzoviglie, piaceri del senso, si succedono, si avvicendano, si intrecciano del continuo nella loro vita gaudente. Ma sono essi felici? No, certamente. È questo il caso di dire col poeta:

Se a ciascun l’interno affanno – Si leggesse in fronte scritto, – Quanti mai che invidia fanno – Ci fariano pietà. – Si vedria che i lor nemici – Hanno in seno, e che consiste – Nel parere a noi felici – Ogni lor felicità. Rincasando la sera, o dirò meglio il mattino, dalle ore del piacere, cotesti bruti non possono tuttavia aver perduto ogni avanzo della loro grandezza per non sentire in fondo all’anima un vuoto e più ancora un rimorso, che li strazia o li getta per lo meno nella più cupa malinconia. No, noi non siamo fatti per contender le ghiande dei sensuali diletti agli animali immondi. Se fosse così non capirei più perché Dio mi abbia dato l’intelligenza ed il cuore. Se fosse così, dignità, onore, virtù, dovere, sacrifizio sarebbero parole da stupido.Non pochi altri sperano trovar pace negli onori. – La bramosia della gloria li punge, e lavorano a tutta possa per conseguirla.Ma quando pure siasi conseguita per vie onorate,senza averla vilmente comprata col denaro o col sacrificio della propria libertà, si avrà trovato in essa il pieno appagamento del proprio cuore? No, neanche allora. Ogni gloria dicono le Sacre Scritture, è come un fiore, che in uno stesso giorno si chiude e cade a terra avvizzito: Omnis gloria… sicut flos agri. (Is. XL, 6) E la storia dei più grandi uomini è lì ad attestarlo: oggi il Campidoglio e domani la Rupe Tarpea: oggi viva! e domani morte! E quando la gloria non avesse nemico né il tempo, né lo spazio, avrebbe pur sempre nemica l’invidia, che nasce insieme con lei, con lei vive per tormentarla e solo con lei morirà. – Adunque non denari, non piaceri, non onori danno all’uomo la pace. Tutto ciò, se anche si potesse sommare insieme e riunirlo nella vita di un sol uomo, sarebbe sempre troppo meschino e troppo indegno della sua grandezza; il mondo intero non arriverebbe a soddisfarlo.Dove adunque si trova la pace? Dove? La pace risulta dall’armonia delle parti, che compongono un tutto, dall’equilibrio degli elementi, che si incentrano in un punto, a cui tendono di lor natura. Se nel cielo, ad esempio, è pace, ciò proviene dall’ammirabile armonia degli Astri i quali con quella duplice forza di attrazione e di ripulsione, di cui sono dotati, si equilibrano perfettamente tra di loro,aggirandosi gli uni attorno agli altri e tutti intorno al centro, che Dio ha loro fissato. Così se vi ha pace nel seno di un popolo, ciò accade, perché tutti gli elementi che lo compongono, letterati, filosofi, poeti, artisti, operai, soldati, magistrati, ricchi, poveri, tutti di comune accordo convergono verso uno stesso ideale, che li soddisfa, la prosperità della patria. E se tutte le nazioni, per quanto diverse per clima, per indole, per bisogni, per industrie, per cultura cercano tuttavia ciascuna nella sua sfera ciò che può formare l’ideale completo del genere umano, la ricchezza, la grandezza, la sicurezza dell’intera umanità, allora nell’accordo di queste forze molteplici,nel loro equilibrio allo scopo ad esse proporzionato si ha la pace nel mondo. Ma se invece nel cielo, per ipotesi, un qualche astro volesse, rompendo l’ordine stabilito, deviare dalla sua orbita per non più aggirarsi intorno al suo centro;se presso un popolo taluno degli elementi, che lo compongono, si fa a scindere il comune accordo e diverge dal comune scopo; se nel mondo un qualche stato trasmoda nelle relazioni, che lo congiungono agli altri stati, e volge le sue forze aduna mira, che non è quella dagli altri stati voluti, allora la pace vien meno e vi sottentra il disordine, la lotta e la guerra.Così pure, perché vi sia pace nell’uomo, fa d’uopo che tutti gli elementi, che la compongono, in perfetta armonia tra di loro, tendano tutti a quel punto, cui devono tendere di lor natura; solamente per tal guisa vi può essere nell’uomo la tranquillità dell’ordine, ossia la pace. L’intelligenza umana fu da Dio creata con una capacità infinita di conoscere; epperò per quanto vaste siano le cognizioni che acquista, non dice mai basta. Sempre vuole acquistarne delle altre, sempre vuol andare più innanzi in ciò, che le è ancora incognito,essa tende insomma a conoscere la Verità influita, la Verità assoluta, che è Dio. Epperò è Dio solo che può contentarla e darle pace. Così si dica del cuore. Anch’esso fu da Dio creato con una capacità infinita di ricevere il Bene. E per quanto siano numerosi e grandi i beni di questo mondo non lo sazieranno mai. Egli griderà sempre: Ancora! Ancora! Di più! Di più. Perché esso vorrebbe possedere tutto, godere tutto, possedere e godere insomma il bene infinito ed assoluto, che è ancora Dio. Epperò è anche Dio solo che può contentare il cuore umano e dargli pace. Dirò di più. Siccome l’uomo non è solo spirito, ma è anche carne, così non è soltanto col suo spirito, che tende a Dio, ma vi tende altresì colla sua carne, colle sue ossa, co’ suoi sensi. Senza dubbio la pace materiale.de’ suoi sensi, delle sue ossa, della sua carne esiste, quando gli elementi, che lo compongono, essendo tra di loro giustamente equilibrati, lo tengono in sanità. Ma per rapporto alla vita, che il corpo deve menare in unione collo spirito, solamente allora vi ha pace per la stessa carne, quando può esultare al cospetto di Dio, pura dalla macchia del peccato. Che importerà che materialmente non sia in pace, perché informa o ben anche travagliata da luride piaghe? Vivente per Iddio, off 5therta e sacrificata a Lui, troverà ne’ suoi patimenti una ragione di più per poter dire col santo Re Davide: Cor meum et caro mea exsultaverunt in Deum vivum:(Ps. LXXXIII, 3) Exsultabunt Domino ossa humiliata. (Ps. L, 10) Ecco adunque l’Uno necessario, a cui è di mestieri che l’uomo rivolga e consacri tutto se stesso, la sua mente, il suo cuore, gli stessi suoi sensi per stabilire l’ordine e l’armonia della sua natura e conseguentemente godere la pace. Ma appunto perché non solo colla mente e col cuore, ma eziandio coi sensi noi dobbiamo volgerci e consacrarci a Dio per godere la pace, anche per ciò Iddio si è manifestato agli uomini e si è messo in comunicazione con loro per mezzo di Gesù Cristo, suo Divin Figliuolo Incarnato. Ed è perciò ancora,che secondo il detto dell’Apostolo è Gesù Cristo la nostra pace: ipse est pax nostra. Sì, Gesù Cristo solo, via, verità e vita di quanti uomini vengono al mondo, può dare la pace alla nostra mente, la pace al nostro cuore, la pace ai nostri sensi, la pace a tutto il nostro essere: ipse est pax nostra, purché noi con tutto il nostro essere a Lui solo tendiamo, e Lui crediamo, Lui amiamo, Lui serviamo fedelmente. Colui pertanto che non dà a Gesù Cristo la sua mente, che cioè non s’applica alla sua scienza, non crede alle sue dottrine, non si affida del tutto a’ suoi santi insegnamenti,che non ha la fede in Lui, ancorché ricco di ogni genere di cognizioni umane, sarà sempre agitato, incerto ed infelice. Perciocché quest’uomo scompiglia l’ordine di sua natura. In lui non è più Iddio che pasce e nutre la sua intelligenza della sua divina verità, ma è la creatura che si forma la scienza,scienza terrena e vana, incapace di contentarla.Così è di colui che a Gesù Cristo nega il suo cuore, che non segue la sua legge e i suoi esempi, che non pratica le sue virtù, che in fatto di morale prende per unica sua norma i suoi istinti e le sue passioni, che non pensa che alle creature, che le idolatra e non vive che per esse. Anche costui diverge una delle sue forze dal centro che le è proprio, rompe l’armonia voluta dalla sua natura ed invece del riposo della pace, della vera felicità, non trova sul suo cammino che il dolore e la tortura del cuore istesso: Contritio et infelicità in viis eorum, et viam pacis non cognoverunt. (Ps. XIII, 3) Che anzi, il suo cuore, come ha detto Isaia, sarà simile ad un mare, perpetuamente in preda alle più furiose tempeste: Cor impii, quasi mare fervens, quod quiescere non potest- (LXXVII, 20). E così è infine di chi a Gesù Cristo nega l’omaggio de’ suoi sensi, della sua stessa carne. Giacché essendo essa destinata,conforme alla bella dottrina di S. Paolo, a portare e glorificare Iddio in se stessa, non può fare a meno che trovare il tormento nel rendersi carne di peccato. E qui, bisogna pur dirlo, quando è la carne che si strappa dalla mortificazione di Gesù Cristo per abbandonarsi in preda al disordine, all’ebbrezza, allo stravizio, al piacere infame, non è più la pace morale soltanto che si perde, ma è pur anche la pace materiale del corpo, la sanità e la bellezza. L’estasi dei sensi tramonta ben presto. Il voluttuoso a forza di godere distrugge se stesso e non tarda a sorgere per lui il giorno, in cui sentirà alle spalle il passo del becchino, che viene a coprire di terra i suoi scomposti e ignominiosi avanzi. « Tant’è – esclama S. Agostino – e così hai stabilito, o Signore, che ogni animo disordinato sia pena a se stesso. E gira e rigira, tutto è duro,tutto è aspro, tutto è penoso, e tu solo sei pace. »Or ecco adunque perché Gesù Cristo che tanto ci ama e che altro non desidera che di vederci nella pace, con parole così tenere, con espressioni così calde, con accenti così insistenti ci invita e ci sprona a recarci a Lui, a consacrarci alla sua fede, al suo amore, al suo servizio, a dedicarci massimamente al suo Cuore Sacratissimo, fonte di ogni conforto e di ogni felicità. Auditis ut suavissimis invitet omnes vocibus? « Venite a me, o voi tutti, che siete affaticati e vi curvate sotto il peso della miseria della vita, ed Io vi ristorerò. Prendete sopra di voi il giogo della mia fede, del mio amore, del mio servizio, ed imparate da me che sono mansueto ed umile di cuore, e troverete il riposo alle anime vostre: poiché il mio giogo è soave ed il mio peso è leggiero. Venite ad me omnes qui laboratis et onorati estis, et ego reficiam vos. Tollite iugum meum super vos et discite a me, quia mitis sum et humilis corde, et invenietis requiem animabus vestris. Iugum enim meum suave est, et onus meum leve. » (MATTH. XI, 28, 29). -Ed, oh fortunato colui, che ascoltando questo affettuosissimo invito farà davvero una totale consacrazione di se stesso a Gesù Cristo, al suo Sacratissimo Cuore. Egli avrà eletto davvero optimam partem, la parte migliore, cioè la migliore ricchezza, la migliore felicità, la migliore gloria, la migliore pace, quella pace che al dir di S. Paolo supera tutti i godimento sensibili: Pax Dei exsuperat omnem sensum, (Phil. IV, 7), quella pace che conforme al Salmista, non si perde per alcun inciampo: Pax multa diligentibus legem tuam, et non est illis scandalum; (CXVIII, 165) né per l’ingiustizia degli uomini,né per la perdita dei beni terreni, né per quella della sanità,della libertà, dell’onore, né per qualsiasi altro male del mondo che possa incorrere, quella pace insomma, che qui in terra è pregustazione dolcissima della pace che si godrà in cielo.

III. — Ma se bella è la pace in vita, più bella ancora è la pace a quel punto di morte, da cui dipende la eternità. Ah! miei cari. Dibattiamoci pur fin che vogliamo: facciamoci pure un nome grande nella politica, quella scienza, nell’arte, nell’industria nel commercio; sudiamo pure da mane a sera a conquistar tesori e raccogliamone anche dei mucchi smisurati; incoroniamoci pur di rose e inebriamoci di ogni piacere; con tutto ciò non varremo giammai e rattenere la vita. Essa va, essa corre, essa precipita e in un baleno si trova a quel giorno, in cui è giocoforza si estingua. E allora… quello è il giorno del conoscimento: In die cognitionis (Eccl., XXVIII VII, 9) il morente si trova ad un supremo convegno colla verità: ed alla luce che questa gli sfavillerà alla mente, lo sciagurato che è vissuto lontano dalla fede, dall’amore e dal servizio di Gesù Cristo, dovrà pure suo malgrado riconoscere lo sbaglio spaventoso che egli ha commesso. Egli non credeva a Gesù Cristo, non l’amava, avrebbe fatto per sempre senza di Lui … ed ora sta per presentarsi al suo divin tribunale, sta per essere colpito dall’ira sua. E come mai a questo pensiero non si sentirà schiantare l’anima dal petto! E che cosa gli gioverà ora l’essersi fatto un nome grande, anche come quello di Cesare o di Napoleone? l’essersi ingolfato in ogni sorta di godimenti, anche come un Tiberio nell’isola di Capri? l’aver ammassate tante ricchezze, anche come un Creso o un Saladino? Tutto ciò non gli gioverà ad altro che a rendere più triste e più agitato il suo passaggio dalla vita alla morte. Avrà un bel ricercare la pace, un beli’ invocarla a gran voce, ma indarno, perciocché non potrà sfuggire il tormento della sua mala coscienza. Tant’è: lo Spirito Santo lo ha detto, e la sua parola si va pur troppo ogni giorno avverando: Angustia surperviente, pacem requirente et non erit: conturbati!) super conturbationem veniet. (EZECH. VII, 25) Ben diversamente invece coloro che avranno creduto, amato e servito Gesù Cristo, che si saranno consacrati al suo Cuore Sacratissimo ed in Lui saranno vissuti, moriranno un giorno nella più bella pace: Iustorum animæ in manu Dei sunt; non tanget illos tormentum mortis  autem sunt in pace. (Sap. III, o) Il padre Suarez morì con tanta pace, che morendo giunse a dire: Non mi sarei mai creduto che fosse così dolce il morire. S. Luigi Gonzaga al ricevere l’annunzio della sua prossima morte, proruppe giubilando in quelle .parole del Salmo: Lætatus sum, in his, quæ dieta sunt mihi, in domum Domini ibimus. (CXXXI) S. Francesco di Assisi morendo cantava allegramente ed invitava gli altri al canto, tanta era la consolazione che provava. E l’invitto Cardinal Roffense condannato da Enrico VIII ad essere decollato, perché  non aveva voluto sottoscrivere alle sue ingiustizie ed empietà, uscì dalla prigione squallido, dimagrato e che stentava a dare un passo per la podagra. Ma a vista del ceppo su cui doveva lasciare il capo, riempitosi di brio e di gioia, buttato via il bastone disse: Suvvia, piedi miei, suvvia, fate bene il vostro ufficio, il Paradiso non è lontano. E prima di morire intonò il Te Deum. Ma non crediate da questi esempi che la pace in morte sia privilegio soltanto dei servi famosi di Gesù Cristo, no. Essa è propria di ogni Cristiano timorato, che assecondando la grazia di Dio, in qualsiasi condizione, in qualsiasi stato, in qualsiasi età abbia fatto quanto gli era concesso dalle suo deboli forze “per conoscere, amare e servire Gesù Cristo. È bensì vero, che questo cristiano, gettando lo sguardo sulla vita passata, vedrà egli pure dei giorni, dei mesi e forse degli anni senza Dio, senza fede, senza Cristianesimo, e tale vista dovrebbe riempirlo di amaritudine e di spavento. Ma se egli ricorda i suoi trascorsi, ricorda pure quel giorno sì bello, in cui tocco dalla grazia di Gesù Cristo ha detto con fermezza: Nunc cœpi! Ora comincio davvero ad essere quel che devo essere, buon Cristiano! Ricorda pure quelle lagrime di pentimento, colle quali a somiglianza di Pietro e di Maddalena ha lavato le sue colpe; ricorda pure quel distacco dalle cose terrene, in cui d’allora in poi è vissuto; ricorda quelle preghiere, quelle visite a Gesù in Sacramento, quelle Comunioni, quelle pratiche ad onore del Cuore di Gesù Cristo fatte ogni anno, ogni mese, ogni settimana, ogni giorno… E a questi soavi ricordi gli pare di sentirsi a ripetere in fondo all’anima: Pax tecum: ego sum, noli timere: Pace, pace a te, mio amico fedele: sono io, Gesù Cristo, che te l’auguro, che te la voglio, che te la dono: non avere alcun timore: io ti ho perdonato, io più non ricordo le tue passate colpe, io non vedo più altro in te che gli anni della tua vita cristiana: pax, pax tecum! E pace gli darà Gesù Cristo pel sacerdote che verrà ancor una volta nel Sacramento della Penitenza ad assolverlo dalle sue colpe; pace gli darà nel Sacramento dell’Estrema Unzione, con cui gli toglierà dall’anima ogni avanzo di peccato; pace gli darà nel Sacramento dell’Eucaristia, per cui anche lì, sul letto di morte, Gesù Cristo verrà ad unire il suo Cuore adorabile al cuore del suo amante per accompagnarlo nel gran viaggio dal tempo all’eternità; pace nel Santo Crocifisso che bacerà con tutto il cuore sulle labbra; pace nell’immagine del Sacratissimo Cuore che gli starà appesa innanzi e gli ricorderà la divozione per esso avuta, pace negli stessi parenti Cristiani, che sebbene gravemente afflitti per la sua morte imminente, lo aiuteranno tuttavia coi loro santi suggerimenti a ben morire; pace insomma, giocondissima pace, sicché potrà ben ripetere col Santo re Davide: In pace idipsum dormiam et requiescam: (VI, 9) Io muoio in Dio, nel Cuore di Gesù Cristo, e muoio in pace. Ma non finisce lì la ricompensa della nostra vera e totale consacrazione al Cuore di Gesù Cristo. Se Egli ha promesso di portare in sé scritti i nomi de’ suoi devoti, non è in certa guisa, se non per ricordarli nel giorno della retribuzione, e dopo la pace in vita ed in morte donare agli stessi la pace del cielo. L’infelice, che vive lontano dalla fede, dall’amore e dal servizio di Gesù Cristo, comincia ora a menare giorni di angoscia e di agitazione; al termine della vita farà una morte piena di spavento; e poi… dopo morte cadrà nella disperazione eterna. La disperazione!… E che cosa è la disperazione se non la suprema convulsione di un’anima, che invoca la pace, ed a cui nessuno risponde, nemmeno la propria illusione? La disperazione eterna! E che cosa è questa eterna disperazione se non la eterna negazione della pace? Sventurato peccatore! Eccolo, lì per sempre a soffrire, per sempre in pianto, per sempre in rimorsi, per sempre in imprecazioni, in maledizioni, in lotta con se. stesso, per sempre senza pace. Ah! davvero che egli ha guadagnato assai nel fidarsi di sua ragione, nel vivere a suo capriccio. Ma, oh sorte al tutto contraria e felicissima di chi è vissuto nella fede, nell’amore e nel servizio di Gesù Cristo! Ricordando le tendenze della nostra natura, noi abbiamo conosciuto che l’uomo cerca e attende la felicità, che la vuole piena ed immutabile, quella sola che vale a saziarlo, che le viene dall’unico Vero, dall’unico Bene, dall’unico Necessario, da Dio. E sarà appunto questo il gran premio, che nell’altra vita toccherà a ohi avrà amato davvero Gesù Cristo e sarà vissuto consacrato al suo servizio. Ah! udite questa parola adorabile dello stesso Dio: Ego merces tua magna nimis; (Gen. XV, 1) Io stesso sarò la tua ricompensa: Io, senza immagini, senza velo, senza distanza, ma ricolmando d’ogni bene l’abisso de’ tuoi desideri, e donandoti perciò la pace suprema, che accheterà le voglie tutte della tua mento, del tuo cuore, della tua carne, di tutto il tuo essere: Ego merces tua magna nimis. Sì, lassù in cielo nell’ordine perfetto di tutto ciò che lo forma, nell’armonia ammirabile di tutti gli esseri che vi appartengono, nell’intimità dolcissima di tutti gli eletti e soprattutto nella visione incessante, nell’amore imperituro, nel possesso indefettibile di Dio, di Gesù Cristo, del suo Cuore Sacratissimo, fonte di ogni gaudio, il Cristiano che lo ha creduto, che lo ha amato, che lo ha servito in vita, godrà la pace senza fine. O pace ultima, o pace suprema, o pace inalterabile, o pace che cominci quaggiù nell’intelligenza per la fede alla parola di Gesù Cristo e discendi nel cuore per la pratica de’ suoi divini precetti, e circoli nelle nostre membra per la cristiana mortificazione, e ne consoli al punto di morte per la vita passata nel divin servizio, o pace che ti fai piena e perfetta in tutto il nostro essere e per tutta l’eternità lassù in cielo, tu sarai sempre il nostro ideale, la nostra mira, l’oggetto continuo delle nostre brame. È vero hl, noi dovremo interrompere vane amicizie, dovremo troncare relazioni peccaminose, dovremo vincere cattive abitudini, dovremo frenare impeti malvagi, dovremo scuoterci dalla nostra indifferenza, dovremo credere fermamente, dovremo operare in conformità alla nostra fede, dovremo praticare i doveri religiosi, pregare, confessarci, comunicarci, ascoltar Messa, frequentar la Chiesa, vivere insomma uniti a Gesù Cristo, nascosti nel suo Cuore Divino, ma tutto è poco per noi che siam risoluti di possederti in vita, in morte e in cielo! – Se è adunque così, o miei cari, non tardiamo più un istante a gettarci ai piedi di Gesù Cristo per fare al suo Cuore Sacratissimo la nostra Consacrazione. Vengano gli Angeli e i Santi del Paradiso ad essere testimoni del grande atto, che stiamo per compiere; venga Maria, la Madre Santissima di Gesù e nostra a darci il suo aiuto e la sua assistenza; venga Santa Margherita Alacoque, l’apostola della divozione al Sacro Cuore a suggerirci ella medesima la formula, con cui dobbiamo esprimere i nostri sentimenti ed i nostri propositi. Io intanto andrò innanzi a voi nel recitarla, parola per parola, e ciascuno di voi la ripeterà dopo di me a voce alta e con tutto l’affetto.

Formula di consacrazione al Divin Cuore

COMPOSTA DA SANTA MARGHERITA ALACOQUE

Io consacro e dono al santissimo Cuore del nostro Signore Gesù Cristo la mia persona, la mia vita, le mie pene, i miei patimenti, per dedicarmi in avvenire interamente alla sua gloria ed al suo amore. È mia ferma ed irrevocabile intenzione di darmi perfettamente a Lui, di compiere ogni cosa per amor suo, e con tutta l’anima mia rinunziare a quanto può dispiacere a questo Divin Cuore. – Perciò io Vi eleggo, o Sacratissimo Cuor di Gesù, ad unico oggetto del mio amore, a sostegno della vita mia, a sicurezza della mia salute, ad appoggio della mia debolezza. O Cuore della bontà e della mansuetudine, siate Voi il mio sicuro rifugio anche nell’ora della morte, siate Voi la mia giustificazione innanzi a Dio, e da me allontanate i castighi della giusta sua collera. O Cuore di amore, io ripongo in Voi tutta la mia speranza. Dalla mia malizia io temo tutto, dalla vostra bontà tutto io spero. Togliete da me quanto Vi dispiace, e quanto Vi è contrario. Imprimete così profondamente nel mio cuore l’amor vostro, che non mai Vi dimentichi, non mai da Voi ini separi. O Divin Cuore, io Vi scongiuro per l’infinita vostra bontà, che il mio nome sia scritto dentro di Voi, poiché nel vostro servizio io voglio vivere e morire. Così sia.

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.