LO SCUDO DELLA FEDE (239)

LO SCUDO DELLA FEDE (239)

LA SANTA MADRE CHIESA NELLA SANTA MESSA (7)

SPIEGAZIONE STORICA, CRITICA, MORALE DELLA SANTA MESSA

Mons., BELASIO ANTONIO MARIA

Ed. QUINTA

TORINO, LIBRERIA SALESIANA EDITRICE, 1908

CAPO II

L’OFFERTA DEL SACERDOTE.

Accompagniamo ora il Sacerdote, e vediamo con qual rito presenti a Dio l’offerta del pane e del vino. Il suddiacono si copre del gran velo umerale; e questo velo, che riccamente scende giù dalle spalle, serve all’uopo come di pezzuola, per non toccare colle mani l’offerta; al modo stesso che ogni inserviente, che assiste alle mense non ardirebbe con mani nude presentar cibo o checchessia ad uomo civile. Serve anche ad involgere e coprire l’offerta, affine di rappresentarla con garbo e venire a scoprirla dinanzi al Sacerdote. Con questo velo adunque prende egli dalla credenza il calice colla patena, e sopra di questa il bianchissimo pane azzimo, volgarmente detto l’ostia. La patena, col pane sopra essa, presenta al diacono, il quale alla destra del Sacerdote scopre l’offerta, la prende dalle mani del suddiacono, e baciando il sacro vaso, che la porta, la rimette con riverenza nelle mani del Sacerdote. Questi l’innalza davanti al petto, e tenendola sollevata verso il cielo, al cielo alza gli occhi e comincia l’orazione, che diremo appresso. In quest’atto si fa l’offerta. Il popolo sospende il canto, e sta silenzioso e prostrato a piè dell’altare. Quando una densa nube copriva il Sinai, e tra il balenar dei lampi, e il rombar dei tuoni andava in fiamme la vetta, e traballava in sussulto tutto quel monte, come per terrore alla presenza di Dio, gli Israeliti pavidi alle radici del monte si prostravano colla faccia nella polvere, e gridavano timorosi: « Non parlateci voi, o Signore; ché noi cadremmo morti, sfolgorati dalla vostra maestà! Parlate al vostro servo Mosè, ed egli ci ridica i vostri comandamenti. Come essi, il popolo cristiano manda sull’altare il suo condottiero, il santo del Signore a trattar con Lui i suoi interessi: mentre egli resta appiè prostrato, e si spande in gemiti di umiltà. Il Sacerdote, novello Mosè, alza le palme stese sotto la patena; e vedendosi innanzi agli occhi, nell’offerta, il cuore di tutti i fedeli, come Mosè (Exod. 33, 18), collo sguardo al cielo pare che con uno slancio di confidenza chieda a Dio di lasciarsi vedere. In quell’istante, gli ha un ufficio da compiere assai onorevole, egli ha da presentargli un offerta, ed ha il presentimento, che troppo ben accetta riuscir gli debba (Card. Bona; Rerum liturg.. lib. 2, Cap. 9, n.3). Posto là sotto la croce, prende conforto da quell’immagine del sacrificio, che sta per fare in realtà. In questo pensiero, cogli occhi alzati al suo Dio Padre, lo supplica coll’orazione che verremo commentando nell’esporla.

L’Orazione: Suscipe, sancte Pater.

« O Padre onnipotente, eterno Iddio degnatevi di accogliere quest’ostia immacolata, che io vostro servo di offerirvi non son degno…… » — Ma qui il povero Sacerdote, infelice! si ricorda di essere uomo peccatore, e ben sapendo ciò che disse Giobbe, « che solo, quando è la tua mano monda da ogni iniquità, allora potrai levare la faccia confidente innanzi a Dio » (Iob. XI, 14.), ei si corregge subito dal suo ardimento. Abbassa lo sguardo umiliato, e come all’umile pubblicano, non gli basta l’animo di tenere gli occhi alzati a mirare in volto il Signore che sa d’aver offeso pur troppo. Però tenendo le mani sollevate innanzi alla croce, e chini gli occhi a terra quasi non voglia più levarli (Luc. XVIII, 15) si affretta a dire continuando: « Quest’offerta offro a Voi, Dio mio, vivo e vero per gli innumerabili miei peccati e per le offese e negligenze mie, per tutti i fedeli Cristiani, vivi e defunti, affinché a me e a tutti essa torni a profitto di vita eterna. » – Fa il segno di croce sulla mensa. Qui abbassa, tenendola fra le mani, la patena, e così segna con essa sul corporale la croce, e sul luogo segnato di croce depone il pane offerto. Il corporale, o candido lino, consacrato per deporvi sopra il santissimo Sacramento, significa il lenzuolo di lino, in cui fu involto il Corpo di Gesù Cristo (Beda Hom. in Mase. 13 et Ben. XIV, lib. 1, cap. 5, n. 4, De sac. Miss.). Il segno di croce, su cui depone l’offerta sopra l’altare, significa, che li sull’altare, come sul Calvario, in questa mistica Croce si rinnoverà quel sacrificio medesimo, che fece di se Stesso Gesù, Pontefice immortale, e vittima eterna (Durandus, lib. 4, cap. 30. n. 17, et Honorius in Gent. Anim., lib. 1, cap. 96). – Il diacono intanto infonde il vino nel calice, ed il suddiacono presenta l’acqua per essere benedetta dal Sacerdote.

ART. I.

LA BENEDIZIONE DELL’ACQUA ED INFUSIONE DI ESSA NEL CALICE

Antichissimo è l’uso di mischiare un po’ di acqua nel vino da consacrarsi, e secondo la regola di s. Agostino, non essendovi canone di alcun Concilio, né ordinazione di Pontefice, che mostri il principio dell’istituzione, si deve conchiudere essere questa una pratica dai santi Apostoli insegnata, e tratta dall’esempio di Gesù Cristo, che si crede avere, secondo 1’uso della Palestina, infusa l’acqua nel vino nella cena della santa istituzione (Durandus, 4 Diss. IX, q. 5, Conc. Trid. sess. XXII, Cap. 7). Cerchiamo ora di questo rito la significazione. Sempre è da ricordare che nel Sacrificio della santa Messa si rappresentano intorno al Corpo reale e divino tutti i misteri della passione e morte del divin Salvatore. – Ora quando il divin Redentore fu dalla lancia trafitto sulla croce, mandò fuori dalla ferita Acqua insieme col sacratissimo Sangue, ed il santo Pontefice Alessandro I (Ep. Ad Cæcil.), comandando che si continuasse l’uso di mischiare l’acqua nel calice, come sempre si è fatto, dichiara, che questo poco d’acqua significa appunto l’Acqua, che sgorgò dal santo petto di Gesù trafitto. – L’acqua poi nella santa Scrittura si usa pure per esprimere il popolo; « e così dice san Cipriano, vedendo noi nell’acqua intendersi il popolo, e significarsi nel vino il Sangue di Gesù Cristo; quando nel calice l’acqua si mischia col vino, il popolo si aduna in Cristo, e la plebe dei credenti sì unisce, e si congiunge a Lui, in cui credette. E come l’unione dell’acqua col vino si fa nel calice in modo da non potersi l’una dall’altro disgiungere, così il popolo in Chiesa costituito, perseverante fedelmente in ciò che crede, non potrà mai da Cristo essere disgiunto » (Durandus.). Si uniscano adunque qui i fedeli a Gesù, come le membra al loro capo, e con Esso si offeriscano sull’altare. Il Sacerdote poi non benedice al vino, perché il vino esprime Gesù, e Gesù non ha bisogno di benedizioni (Gavantus. Com. ad Rubric. Miss. p. 2. t. 7 et Durandus). L’acqua invece, che rappresenta il popolo, si benedice col segno della croce, perché gli uomini, per essere degni di comunicare con Dio, hanno bisogno della grazia, che in loro si trasfonde per i meriti della Passione divina. Nella Messa dei defunti l’acqua non si benedice, perché  il popolo benedetto di coloro che dormono nella pace del Signore, è già in grazia (S. Cirill, Cath. De Bapt.). – Finalmente vi è una terza ragione, per cui così nell’offerta l’acqua al vino sì mischia; ed è che l’acqua significa la mondezza; e tutte le volte, che l’uomo ha da trattare con Dio, ha bisogno di purificarsi, per non offendere la santità dello sguardo divino (Daniel 2. 39.). Ond’è, che l’acqua viene sempre nelle benedizioni adoperata, e si frammette sempre tra Dio e gli uomini, vero simbolo di umiltà; perché, servendo essa in natura a purificare dalle sozzure ì materiali oggetti, col cospergere che facciamo col l’acqua le nostre persone e le cose nostre, esprimiamo desiderio vivissimo di purificarci, per non offendere la maestà divina. – Il suddiacono presenta l’acqua, dicendo al Sacerdote: « benedite, o reverendo padre; » ed il celebrante alza la mano, e la benedice, facendo il segno di croce. Mentre il suddiacono nella Messa solenne, e nella privata il celebrante, infonde l’acqua, egli recita la seguente orazione, che le premesse osservazioni faranno intendere pur bene.

Orazione nell’infondere l’acqua nel calice,

« O Dio, che la dignità dell’umana sostanza mirabilmente componeste, e riformaste più ancora mirabilmente, pel ministero di quest’acqua e di questo vino, a noi concedete di poter essere consorti della divinità di Colui, che si è degnato di esser partecipe dell’umanità nostra, Gesù Cristo, vostro figliuolo, Signor nostro, che nell’unità dello Spirito Santo con Voi vive e regna Dio per tutti i secoli dei secoli. Così sia. » – Il Sacerdote poi alza fra le mani, come fece della patena, il calice; al cui piede tenendo la mano il diacono, questo ministro aiuta il Sacerdote a sostenere l’offerta, come dai ministri si sostenevano le braccia a Mosè, che pregava per la vittoria del popolo; e così mentre l’accompagnava co’ suoi voti innanzi a Dio, dicono insieme cogli occhi alzati al cielo la seguente orazione.

Orazione dell’offerta del calice.

« Noi offriamo a voi, nostro Signore, il calice salutare, supplicando la vostra clemenza, ché in odore di soavità ascenda nel cospetto di vostra divina Maestà per la salute nostra e di tutto il mondo. » Segna qui pure di croce col calice il luogo, dove lo depone; poi lo copre coll’animetta o palla, per rispetto e pulitezza. – Presentata in tal modo l’offerta, il diacono rimette la patena vuota al suddiacono, a cui appartiene la custodia dei vasi sacri. Ed esso copertola col ricco velo, che li pende dagli omeri, scende giù a piè dell’altare, e vi sta in atto di guardia, per tenere discosta dall’altare la calca, sicché non turbi l’ordine del luogo santo; rimane come servo che attende i cenni del maggior ministro, pronto a presentargli all’uopo nel Sacrificio il vaso che tien sollevato sul petto.

ART. II.

ORAZIONE: IN SPIRITU HUMILITATIS.

Nella santa Messa mai non è da dimenticarsi di Gesù Cristo, perché, mentre si offre il sacrifizio del suo corpo, nei vari riti, giova ripeterlo, si fa memoria dei misteri della sua vita, e massime della sua passione. Il santo profeta David, illuminato dallo Spirito del Signore, prediceva che il Figliuol di Dio fatto uomo, così parlerebbe al suo Padre divino: « Sacrifizi, oblazioni non volendo voi più, m’avete fatto adatto questo mio corpo. Ecco che io vengo ad offrirvelo. » Questo sacifizio di sé compiutolo sul Calvario, provvide si rinnovasse nella santa Messa. Ora il Sacerdote suo rappresentante ha preparata la materia, come doveva, e sta per prestar l’opera al sovrano Pontefice in cielo, che offrirà ancora per mezzo suo il gran Sacrifizio divino. Ma qui egli, sollevato all’altezza di così sublime ministero, non può a meno di sentire il peso non solamente delle proprie ma delle iniquità di tutto il popolo: per lui non vi ha miglior consiglio, che salvarsi in umiltà e ripararsi sotto la croce, (e questo esprime coll’inchinarsi). Perché un cuor contrito ed umiliato non sarà sprezzato da Dio (Salm. 50.); non potendo far altro, confessa in gran contrizione il peccato, e, mentre sta per rinnovare il mistero di redenzione per espiarlo, si mette sotto le piaghe di Gesù Cristo. Questo fa, quando s’inchina a’ pié della croce innanzi all’offerta, ponendo sulla mensa le mani giunte in atto di deporre se stesso, ed il popolo, come vittima legata, e supplicando, che sia ricevuta in olocausto insieme col Sacrificio tanto accettevole a Dio, che sta per offrire. Recita perciò in quest’atto l’orazione:

In spiritu humilitatis,

« In ispirito di umiltà, ed in animo contrito veniamo accolti da Voi, o Signore, e il sacrifizio nostro così sia fatto, che si meriti di essere ben accolto nel vostro cospetto. »

È questa la preghiera medesima, che recitavano quei tre generosi giovanetti israeliti in Babilonia, allorché avendo rifiutato di piegar il ginocchio innanzi alla statua del re Nabucodonosor (Daniel. III, 38.), erano stati gettati vivi ad ardere nella fornace. Il Sacerdote fa quest’orazione nell’istante in cui sta per compiere il gran Sacrificio, per dire con essa: Signore, non confondeteci, ributtando l’offerta che facciamo; ma adoperate con noi secondo la vostra clemenza, nella misura delle vostre misericordie, che non han fine. » Compiuta la preghiera, si rizza, ed alza gli occhi alla croce, e su per questa scala di paradiso va a fare l’invito allo Spirito Santo di discendere in sull’altare coll’orazione, che segue.

Art. III.

VENI SANCTIFICATOR.

Orazione.

« Venite, o Santificatore, onnipotente, eterno Iddio, e benedite a questo sacrificio al vostro santo nome preparato. »

Esposizione.

Abbiamo detto invita lo Spirito Santo, benché non lo nomini personalmente. Giova qui osservare, che le sante Scritture, per essere comprese dagli uomini, si adattano nelle loro espressioni alla piccolezza dell’umana capacità; e che nel linguaggio delle medesime, trattandosi colle due Persone, il Figlio e lo Spirito Santo, bene si pregano, invitandole a discendere dal cielo; ma non mai così col Padre, prima Persona, sommo Principio della Divinità (Ben. XIV, De suo. s., lib.1, cap. 10, n, 21). Egli si prega non già mai che venga; ma bensì, o che mandi lo Spirito suo, Emitte spiritum tuum, o che mandi ai suoi il Redentore, e l’agnello, che toglie i peccati del mondo; Mitte nobis redemptorem. Mitte agnum qui tollit peccata mundi. Se qui adunque si fa preghiera a Dio di discendere come autore di santificazione, intendere si deve, che s’inviti lo Spirito Santo. Egli, che con prodigio d’amore divino creò dal Sangue purissimo di Maria Vergine quel corpicciuol animato nel Bambino celeste; Egli rinnovi il prodigio di quella verginale maternità; e le sostanze del pane e del vino, restandovi pur le apparenze sensibili di pane e di vino, che sono le specie, trasmuti nella sostanza del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo (Bossuet, Expl. de la Mess.), ed infonda l’anima della carità nella Chiesa, che gli si ha da incorporare (S. Fulgen. ad Mon., lib 2, cap. 9). Così fin qui gli uomini prima hanno sull’altare deposto tutto che per loro si poteva: poi col Sacerdote si son messi come altrettante vittime nelle mani di Dio; e finisce qui l’opera loro. Essi non operano più in là: hanno esaurita, per dir così, tutta la loro potenza. Adesso non rimane altro a far loro, che stare aspettando, che Dio voglia intervenire coll’opera sua. Ma qual sarà quell’uomo, che potrà fare che intervenga l’opera divina? Il Sacerdote, il quale dagli uomini assunto, viene per gli uomini costituito a trattare quelle cose, che devono essere trattate con Dio (Ad Hebr. V, l et seq.). Egli si prostrò già insieme col popolo in ispirito di umiltà e di contrizione; ora alza la sua voce, che sarà in cielo esaudita per la riverenza che si merita (Ibi.) il rappresentante di Gesù Cristo; e invoca lo Spirito Santo onnipotente, eterna virtù di Dio ad operare il gran prodigio. Fatta tale invocazione, nell’istante che attende l’opera di Dio, mette mano a profumare l’altare, ardendogli d’intorno i santi timiami per preparare, come può meglio il luogo, che deve essere onorato dalla presenza divina.

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.