LO SCUDO DELLA FEDE (238)

LO SCUDO DELLA FEDE (238)

LA SANTA MADRE CHIESA NELLA SANTA MESSA (6)

SPIEGAZIONE STORICA, CRITICA, MORALE DELLA SANTA MESSA

Mons., BELASIO ANTONIO MARIA

Ed. QUINTA

TORINO, LIBRERIA SALESIANA EDITRICE, 1908

LA MESSA

PARTE SECONDA

L’OFFERTA

CAPO I

ART. III

L’OFFERTORIO CANTATO IN CORO.

Mentre i ministri depongono le offerte innanzi al celebrante, dal coro dei cantanti si accompagna l’oblazione colle più tenere, più vive e più accese espressioni, alla Chiesa inspirate dallo Spirito Santo. Nel canto dell’offertorio, o si esalta la bontà di Dio, o i più bei doni adoperati dalla sua grazia nella vita dei suoi santi, o si presenta una virtù, quasi profumo spirituale, pigliandosi da essa conforto a sollevare il nostro spirito al Signore della bontà. Questo cantico ora comunemente chiamasi offertorio; benché offertorio si dicesse in altri tempi tutta la parte della messa dalla recita del Credo al Prefazio. Cantandosi l’offertorio, mentre si esprime l’espansione dei fedeli, che con le cose ricevute dalla bontà di Dio offeriscono tutti sé stessi in santa letizia (Mansi, Vero Ecclesiastico, part. 2 lib. I, cap. d.), anche si rende immagine nella casa di Dio in terra di ciò che fanno gli Angeli nella celeste magione. Cioè mentre su pei gradini dell’altare, che è la mistica scala del cielo, vanno i ministri a deporre le offerte, come i nostri Angeli custodi su per la scala veduta da Giacobbe vanno a deporre i profumi delle nostre orazioni in paradiso; i cantanti del coro rappresentano gli altri Angeli, che cantano innanzi a Dio gli eterni osanna della beatitudine.

La musica e i motetti.

Egli è questo l’istante, in cui la Chiesa permette ai suoi figliuoli di recare sull’altare e unir coll’offerta del pane e del vino, che stanno per diventare un’offerta veramente divina, tutto che per gli uomini presentar si possa che buono sia. Nell’istante dell’offertorio le cose divine alle umane si congiungono; e qui, mentre Iddio medesimo è per discendere in terra, e darsi in mano agli uomini, anche la terra, per festeggiarlo, manda sull’altare i fiorì più delicati, che le spuntano in seno a fargli presente. Ecco, come noi crediamo, il perché la Chiesa permetta i canti, i suoni e motetti per le particolari solennità. A questo punto della Messa la musica spiega i suoi tesori, e sull’ali della melodia si sollevano gli animi a bere in seno a Dio quasi un’aura di quella armonia, che tratto tratto Egli lascia gustare a certi genii, massime sotto lo splendido cielo d’Italia. L’organo col maestoso composto di tutti i suoi strumenti in unità di accordo, or delicato e flebile si espande, or romba fragoroso, ora soavemente s’allegra, sempre ravviva gli affetti, scuote le anime, le esalta, le indovina e le spiega; rapido nei suoi moti sonori, s’unifica colla rapidità del pensiero, e scorre con esso per gli svariati campi dell’immaginazione. Ti pare, che ora gema sotto voce nelle celle coi penitenti, o che sospiri nel gaudio delle anime inebbriate d’amore divino innanzi all’Oggetto delle loro tenerezze celesti, o che festeggi l’ingresso di chi, dopo le battaglie dei sensi, trionfa in paradiso, quando fa eco all’epitalamio, che cantano gli Angeli nelle eterne nozze delle vergini sante collo Sposo Divino, quando fremente fa sentire il furore delle persecuzioni, o poi fluido e grandioso nelle sue belle variazioni spiega le ricchezze delle opere e le consolazioni dell’uom beato, che teme Iddio: così cammina nell’andamento delle sue armonie, sublimi come le eroiche virtù, che si vanno nella Messa commemorando. Sempre però nel trovarci in mezzo a quel mirabile complesso di tante voci distinte, e nella, concorde varietà di così diversi strumenti legati fra loro, che pare abbiano movimento, pensiero, e vita loro propria, e pure sono mirabilmente unificate, sempre ci pare di gustare un saggio dell’armonia divina insieme coi fedeli del tempio e coi beati in cielo. Deh al lor cantico immortale s’accordino intanto i nostri voti uniti all’inno sublime, che tutte le creature intuonano nel loro linguaggio al Signore dell’universo! Il canto poi solleva l’anima di terra, e quasi l’ali di Angelo le impenna. Leggiero come i pensieri, agile e pronto, col variar d’inflessioni incessanti, coll’inseguirsi di conserva nei canoni, coll’incalzare delle fughe, col serrarsi nello stretto, nell’audace slanciarsi in quei trilli vivaci, tutto vita, movimento, varietà ed affetto e tutto armonia, mentre ti calca le orme dei veloci pensieri, ti colora dinanzi quelle varie tinte di affetti, che mai non può tradurre né dipingere interamente l’umana parola. Che fa adunque un’anima quando, con santi pensieri sublimata in Dio, si esilara nel canto? Diremo che trovandosi come inquieta di non potersi tutta spiegare, in quei movimenti del canto par che si slanci e si versi in seno a Dio, ed a Lui s’abbandoni e trovi, che con Lui la melodia ben l’interpreti e la soddisfaccia. Così, se non fosse la musica un mezzo di espressione naturale, vorremmo dire che la religione l’avrebbe inventata. Le sue verità scuotono fortemente il sentimento, ed il sentimento in armonia coi veri divini si esilara nei movimenti dell’armonia divina. – Ecco di fatto che i Giudei non solo, ma gli Egizi, i Greci, i Romani, le nazioni barbare e le célte accompagnarono ì lor sacrifizi con cantici e suoni. Quella grand’anima di s. Agostino, che penetrava sì addentro nelle cose divine, e nelle cose umane portava un cuore fatto per farsene scala a salire a Dio, quando entrava nei templi, e si trovava in mezzo a un gran popolo, che cantava le lodi e gli inni della Chiesa, si sentiva sublimemente rapire al cielo. Ed invero, chi ha cuore che sente, non può a meno di essere commosso, quando nelle chiese cattoliche si trovi in mezzo a mille e mille suoi fratelli della grande famiglia di una intiera città prostrata appiè degli altari, e tutti cogli occhi al cielo, coi cuori aperti a Dio: quando sente nel canto gli acuti allegri trilli dei fanciulli, le celesti voci delle vergini, e le soavi di tante madri, e le gravi di tanti uomini, e le flebili di tanti afflitti e sofferenti, nell’armonia della carità alzarsi come un grido unisono a Dio Padre delle misericordie! Allora debbe esclamare: « Che bella cosa è pregar tutti insieme! »

Il Pane e il Vino, Il Calice e la Patena.

Dalle offerte si prende adunque il pane e il vino da consacrarsi pel sacrificio. Il pane ed il vino considerati in se stessi, posti sull’altare, sono simboli espressivi di quell’alimento, che la vita nostra mantiene (S. Thom. 3 p., q. 74, art. 1. I ), e sono anche tributi dell’umana riconoscenza a Dio, come a provvidenziale conservatore; come all’assoluto proprietario della universa natura, da cui noi attingiamo continuamente la vita. Nell’offertorio la preghiera è come l’offerta dello Spirito, e questi frutti della terra e del nostro sudore sono l’offerta dei sensi. Se non fossimo altro che puri spiriti, non avremmo a Dio offerto se non adorazioni spirituali; ma poiché allo spirito abbiamo unito il corpo, è d’uopo fare un’offerta anche della materia che lo sostiene. Considerato poi il pane e il vino sacramentalmente, qui si offrono a fine di essere trasmutati nel Corpo e nel Sangue del Signore sotto le specie divise (S. Thom. Ivi), per compier il sacrificio divino, e a questo fine sull’altare si presentano sulla patena e nel calice. Il calice è una coppa, che serve a bere. (Ben. XIV, lib 1, cap. 4, n. 8, De sac. Miss.) Usato da Gesù Cristo nella cena benedetta in cui instituì il SS. Sacramento, fino dagli Apostoli restò adottato nel sacrificio. Nei tesori delle più antiche chiese si conservano calici, che nella loro foggia e negli ornati danno indizio d’essere antichissimi, e sono affatto simili nella forma a quelli, che adoperiamo noi presentemente. La forma tradizionale di questo vaso, destinato all’uso più augusto, meritossi di essere rispettata, e conservata. Essa sembra tolta dai calici dei fiori; e non si poteva invero all’Autore di tutto il creato offrire il più gran dono in vasi di forma né più elegante, né più gentile, né più conveniente di quella dei calici dei fiori, lavorati dalla mano stessa di Dio, per mandargli al cielo dalla terra i profumi che ha loro dato di effondere. Il calice rappresenta il sepolcro, in cui fu deposto il Corpo SS. di Gesù (Ben. XIV, lib. 1, cap. 5, n. 3); dove poi rifiorì a vita immortale, brillante di bellezza divina. – La patena è un piatto, su cui s’offre il pane, e poi si depone il Corpo SS. di Gesù Cristo. Usata dai tempi degli Apostoli, ebbe il nome di patena dalla parola latina patendo, dallo stare aperta (Ivi n. 5.), cioè dall’essere formata in modo, che si mostra nelle mani di chi offre, aperta dinanzi a quegli, a cui si fa l’offerta. La patena, espansa ed allargata così sull’altare, significa la larghezza della carità, e mostra i cuori aperti dei fedeli, che si espandono innanzi a Dio (Durandus Guliel. Kal. div. off.). Nella mistica significazione la patena rappresenta la pietra, che copri il sepolcro di nostro Signore (4(4) Ben. XIV, lib. 1, cap. 5, n. 3, De sac. Miss.) e troviamo patene, che nella parte di sotto in mezzo all’orlo che serve come di piede al piattello, molto appropriatamente portano scolpito Gesù risorgente, quasi il forte dormiente sotto quel sasso, cui risorgendo scosse come arida foglia, nell’ora del sonno a lui caduta sul capo.

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.