LO SCUDO DELLA FEDE (189)

A. D. SERTILLANGES, O. P.

CATECHISMO DEGLI INCREDULI (XXVI)

[Versione autoriz. Dal francese del P. S. G. Nivoli, O. P. – III ristampa. S. E. I. – Torino 1944]

LIBRO QUARTO

I SACRAMENTI

VI. — L’Estrema Unzione.

D. Che cosa è l’Estrema Unzione?

R. È il sacramento dei malati in pericolo di morte.

D. Qual pensiero vi presiede?

R. Essa è l’intervento supremo, in favore di un partente, del gruppo unito in Cristo e in Dio che noi chiamiamo Chiesa.

D. Pascal disse: « Sì muore da solo ».

R. Egli pensava agli attori o ai complici di una vita dissoluta. Di fatto, quando la morte ci sovrasta, costoro diventano lontani come se appartenessero a un altro mondo. Ma la solidarietà cristiana è immortale come Cristo e come Dio; la morte non la raggiunge.

D. L’Estrema Unzione è dunque un atto di solidarietà?

R. È un atto di solidarietà da parte dei membri della Chiesa che vi prendono parte, e un atto di maternità da parte della Chiesa stessa. Avendo generato questo figlio e avendolo guidato nella vita, essa dev’essere lì all’ora estrema. Il morente, ormai insolvibile e impotente, si abbandona a lei, ed essa si piega sopra di lui teneramente.

D. È forse per significargli la partenza?

R. No affatto, e hanno assai torto coloro che si rappresentano « l’uomo nero » come un uccello lugubre.

D. Che cosa si propone essa dunque?

R. Il sollievo spirituale e corporale del malato.

D. Di qual sollievo spirituale sì tratta?

R. Si tratta di aiutare il fedele a compiere in extremis l’opera di penitenza, a distruggere le «reliquie del peccato », affinché la morte che minaccia sia definitivamente spogliata del suo potere di nuocere, e lo Spirito di pace e di gioia stabilito nell’anima allontani gli spaventi.

D. Hai tu la pretesa di togliere alla morte è suoi terrori?

R. La morte per il Cristiano, è un avvenimento come un altro; ma la debolezza ha gran bisogno che si ridesti il suo spirito di fede.

D. Un tal desiderio suppone già la fede.

R. Difatti, colui che ha la fede deve desiderare assai vivamente questa salvaguardia, nel momento in cui si conclude il pericoloso passaggio da questo mondo. Ma un principio di fede, aiutato dal sacramento e dalla preghiera comune, genera una fede più grande. E se, per grazia la fede venisse a sbocciare da questo fatto stesso, il fortunato malato potrebbe dire con Giacomo Rivière: « Adesso, io sono miracolosamente salvo ».

D. Ma se si è vissuto bene?

R. Chi è vissuto bene ha il diritto di essere fiducioso; ma di fronte al mistero, sapendo che alla porta dell’altro mondo siede la giustizia accanto all’amore, egli sarebbe assai incosciente se non provasse un salutare timore.

D. Perché salutare?

R. Perché esso invita ad accrescere le proprie garanzie e a valersi del suo soccorso.

D. Si dà l’Estrema Unzione ai condannati a morte?

R. No, e neppure ai soldati in estremo pericolo, né in generale a chiunque affronta la morte fuori della malattia e della sofferenza.

D. Perché questa parzialità?

R. L’uomo in possesso delle sue forze ha dei soccorsi ai quali egli può cooperare, o che si procura da se stesso; il malato attende, e la sua attesa fraterna vede venire a sè una fraternità larga come la nostra Chiesa universale, tenera come l’anima di Cristo e potente come Dio.

D. Hai anche parlato d’un sollievo corporale.

R. Riguardo al corpo, la preghiera sacramentale domanda la guarigione, ed essa l’attenderebbe con una fiducia totale, se non sapesse che questo effetto, come tutto quello che riguarda il temporale, rimane sottomesso alla Provvidenza.

D. La Provvidenza non ha essa pietà?

R. « La pietà dei mortali non è quella de’ cieli ». (VICTOR Hugo). Qui ti devi richiamare al pensiero quello che abbiamo detto della condotta di Dio in questo mondo.

D. È tutto quello che aspetti?

R. Noi speriamo ancora, nel malato, una felice calma dello spirito.

D. Quale ne sarà la ragione?

R. « Queste sante cerimonie, queste preghiere apostoliche, per una specie d’incanto divino, sospendono i dolori più violenti, e, come spesso ho veduto, fanno dimenticare la morte a chi le ascolta con fede » (BOSSUET).

D. Qual è il rito dell’Estrema Unzione?

R. La materia del sacramento è l’olio, conforto per l’atleta dell’estremo combattimento, rimedio per l’anima dolente e mai liberata dal peccato, sorgente di calore e di luce per l’anima intirizzita e brancolante sull’orlo dell’abisso semiaperto.

D. In che modo usi questa materia?

R. Si praticano delle unzioni sulle parti del corpo che possono passare per il principio delle nostre miserie morali: gli occhi, le orecchie, le narici, la bocca, le mani, i piedi, i reni, e si accompagnano con una preghiera.

D. Perché una preghiera in vece della forma affermativa degli altri sacramenti?

R. Perché ci si rivolge a colui che è senza forza e non si può aiutare da se stesso; perché il morente è già come partito, rimesso nelle mani di Dio, che solo la preghiera può raggiungere.

D. Questo sacramento dell’ora estrema dev’essere l’ultimo dei sacramenti?

R. È l’ultimo dei sacramenti individuali; ma resta da provvedere, mediante l’Ordine e il Matrimonio, all’arrolamento della gerarchia religiosa e al popolamento dei nostri gruppi d’immortali.

VII. — L’Ordine.

D. Quale idea s’introduce sotto questo termine un po’ speciale: l’Ordine?

R. $i tratta dell’ordine delle comunicazioni spirituali nella città di Dio.

D. Quali comunicazioni?

R. La gerarchia ordinata deve comunicare i benefizi della redenzione ai fedeli, nel nome di Cristo che essa rappresenta e di cui essa continua l’azione sopra la terra.

D. Che nome dài a questa comunicazione stessa?

R. È il sacerdozio.

D. Quali sono le sue attribuzioni?

R. Esso è incaricato di preparare e di distribuire a tutti il nutrimento spirituale: nutrimento delle intelligenze mediante la predicazione dottrinale; nutrimento dei cuori mediante le esortazioni e mediante il ricordo delle divine speranze; nutrimento sovrumano dell’Eucaristia, che comprende tutti i doni della vita dandoci il loro Autore.

D. Quest’ultimo compito è certamente a’ tuoi occhi è principale?

R. È l’opera propria del sacrifizio; tutto il resto vi si riferisce come una preparazione, un accompagnamento o una continuazione.

Onde il sacerdote è il centro e il fine di tutta la gerarchia. Tutti gli uffizi che si esercitano sotto di esso: diaconato, suddiaconato, ordini minori, non sono che servitori. Tutti i poteri superiori: episcopato, prelature di ogni classe, papato, servono in un’altra maniera, incaricati di procurare dei sacerdoti, poi di sorvegliare l’esercizio del loro potere, non in quanto al principale, che è l’azione consacratrice, ma per l’uso che se ne fa e le condizioni esterne che essa suppone.

D. Chi stabilisce i sacerdoti?

R. Il Vescovo « principe dei sacerdoti », secondo il linguaggio dell’antica legge, e di cui si dice che possieda la pienezza del sacerdozio, per significare che la sua funzione, oltre che essere completa, è indipendente, e la comunica mediante l’ordinazione.

D. Non è il Papa «il principe dei sacerdoti »?

R. Sotto l’aspetto propriamente sacerdotale, il Papa è un Vescovo come gli altri; ma egli ha inoltre una giurisdizione universale, vale a dire un potere di governo.

D. Tu dici che questo potere è supremo, e non è forse un principato?

R. Il potere del Papa è supremo nel campo dov’esso si esercita; ma gravita attorno al sacerdozio, per la ragione che tutto gravita attorno all’Eucaristia, e ciò stesso si spiega perché Cristo, che arreca l’Eucaristia è il tutto della nostra vita in Dio: mezzo universale, sorgente unica di luce, di arricchimento vitale, di gioia. Che tutto funzioni secondo la legge della sua istituzione, e si vedrà la gerarchia, dall’alto in basso, da destra a sinistra, in tutte le sue ramificazioni e in tutti i suoi gradi, impiegata in una sola opera: la santificazione per mezzo di Cristo, con l’Eucaristia, opera del sacerdozio, che ci dà sostanzialmente Cristo come centro d’influsso.

D. Il sacerdozio è dunque per noi una grandissima cosa?

R. È la cosa unica, superiore e ogni cosa umana, e che di superiore non ha che il divino.

D. Ma la Chiesa?

R. La Chiesa stessa non è che un sacerdote collettivo, corpo spirituale di Cristo sacerdote, il cuore del quale, ciborio vivente, ci offre la Divinità.

D. Eppure la Chiesa è un’amministrazione, una politica.

R. La sua essenza è in fondo mistica. La politica, l’amministrazione non vi si uniscono se non per le necessità del suo funzionamento umano. La Chiesa ci vuole divinizzare; essa dispone per questo di un mezzo vivente, che è Cristo. Là dov’è Cristo, ivi è dunque l’essenziale del suo compito, la ragione del suo organamento, il nodo vitale in cui tutti i suoi movimenti si coordinano.

D. I riti del sacramento dell’Ordine saranno dunque relativi all’Eucaristia?

R. Sì, ed essi consistono in questo che il consacratore segna il potere che egli intende di concedere mediante la consegna degli oggetti religiosi che servono a ciò: il calice con il vino, la patena con il pane, l’evangeliario, oppure il calice vuoto, ecc., secondo gli ordini. Vi si aggiungono parole che esprimono all’imperativo l’uso di queste cose. Ed è una consacrazione, analoga alla consacrazione dei re, in cui un segno sensibile accompagna l’attribuzione di un reale potere.

D. La consacrazione sacerdotale conferisce una grazia?

R. Conferisce insieme una grazia e un potere. Il potere corrisponde a quello che noi chiamiamo carattere sacerdotale, per sempre inseparabile da chi l’ha ricevuto. In quanto alla grazia sacramentale annessa all’ordinazione sacerdotale e a tutte quelle che ne dipendono, essa segna la volontà di Cristo di dare al suo servo, quando Egli lo consacra, i mezzi di compiere non materialmente, ma degnamente il suo ufficio.

D. La funzione dipende forse dall’uomo?

R. No certo; l’ufficio del sacerdote è indipendente dal suo valore personale, e, per il fedele, quello che importa, è questo ufficio e non questo valore. Tuttavia, che il dispensatore dei beni di Dio non possieda egli stesso i beni di Dio, è un disordine. L’istituzione religiosa, che mira al perfetto, cerca di procurare l’armonia del vaso e del profumo, del canale e del liquore che scorre, del sacerdote e della santa vita che deve promuovere.

D. I capi religiosi dovrebbero dunque essere dei santi?

R. Quanto più sono essi elevati in potere, tanto più si desidera che siano elevati in grazia, a fine di essere elevati in abbassamento di umiltà davanti a Dio e in abbassamento di servizio verso i loro fratelli. Per questo l’episcopato, sacerdozio completo, è chiamato dalla teologia « uno stato di perfezione », poiché la pienezza del sacro potere, anziché dispensarlo da qualche cosa, lo obbliga. Sancta sancte! santamente, l’amministrazione delle cose sante; più santamente, l’amministrazione delle cose più sante!

D. E se questo non si effettua, quale è secondo te il rimedio?

R. Da un lato la riforma o la santificazione sempre maggiore del clero; dall’altro, lo spirito di fede dei fedeli.

D. In che consiste questo spirito di fede?

R. Nel vedere il sacerdote così grande, che quando egli è meno degno personalmente, la santità del suo compito risplende anche di più, perché questo compito lo schiaccia.

D. Il sacerdote è in una condizione privilegiata riguardo alla salute?

R. È in una condizione a un tempo privilegiata e più pericolosa; la sua sorte dipende dell’uso che fa dei suoi doni. A ogni modo, il suo sacerdozio per se stesso non lo salva, ma egli deve guadagnarsi il cielo come tutti gli altri.

VII. — Il Matrimonio.

D. Qual è l’oggetto del sacramento del matrimonio?

R. Esso ha rapporto alla propagazione della specie e si propone di ciò fare nelle condizioni dell’uomo religioso, degne dell’umanità religiosa.

D. La propagazione della specie riguarda la religione?

R. Tutto riguarda la religione, è specialmente quei riti della natura che reclutano la Chiesa sopra la terra a fine di popolare il cielo.

D. La Chiesa sì farà dunque legislatrice dell’amore?

R. Essa intende di assegnargli il suo posto, quanto di glorificarlo nell’opera sua, e d’impedirgli di diventare, come tende continuamente, uno spaventoso flagello.

D. È questo il compito di un sacramento?

R. Il compito di un sacramento è di rendere possibile, per l’intervento di Cristo nel contratto che lega due esseri, quello che vuole la dottrina in favore del bene umano e del bene divino.

D. Il matrimonio tuttavia non ha di mira che un’opera di

natura.

R. La natura non è senza Dio; essa è compresa nel piano religioso del mondo, e l’uomo, nel cammino del suo reale destino che è soprannaturale, deve impegnare tutto quello che concorre a spingerlo avanti e che, mal condotto o trascurato, potrebbe tirarlo indietro.

D. In che modo si può di certe cose fare un oggetto religioso?

R. Vi è qui un pregiudizio apparentemente rispettoso, ma che, in realtà, offende la gravità della Chiesa. La natura è figlia di Dio; Cristo l’ha adottata tutta; dove le deviazioni sarebbero più formidabili, ivi soprattutto è necessaria l’azione dello Spirito santificatore. Ma là dove questo Spirito s’introduce, fa del matrimonio, di tutto il matrimonio, una funzione religiosa; perché in Lui, la funzione naturale e la funzione sociale fanno parte dell’organizzazione di cui Cristo è il capo, di cui Lui stesso è il principio. Onde la nostra Chiesa, senza falso pudore e senza timidità infantile, ma con la maestà di un’avola dallo sguardo pieno di eternità, osa benedire il letto nuziale, dopo avere benedetto le anime.

D. Qual è la materia di questo sacramento?

R. Gli sposi stessi, nel dono scambievole che si fanno,

D. Qual rito lo costituisce?

R. Lo scambio dei consensi.

D. E il ministro è il sacerdote?

R. No, il sacerdote è testimonio necessario, ma non operante riguardo al sacramento. Qui i ministri sono gli sposi, ministri officianti del rito che li unisce.

D. E questo sacramento conferisce una grazia?

R. Ogni sacramento conferisce una grazia. Del rimanente, la propagazione del genere umano non ha valore religioso e senso religioso se non in ragione della vita della grazia. Si vuole espandere la grazia, nello stesso tempo che alzarla in ogni essere; il matrimonio come sacramento ne è il mezzo: è dunque naturale che ne sia prima impregnato esso stesso, per essere all’altezza del suo doppio compito.

D. Il matrimonio ha per te una gran dignità?

R. « È un gran Sacramento! » dice S. Paolo.

D. Perché dunque perori in favore della verginità?

R. La grandezza del matrimonio, che pianta l’albero della vita, non impedisce un valore più grande. L’umanità ha bisogno non solo di frutti, ma le occorrono anche dei fiori.

D. I frutti non sono superiori ai fiori?

R. Per il corpo; ma non per l’anima. Lasciamo che alcuni chiamati conducano la vita dell’anima, e abbandonino i frutti della terra per i fiori del cielo.

D. Queste persone non sono, socialmente, degli inutili?

R. Sono utili allo stesso matrimonio, che esse tendono a purificare e a ingrandire; farebbero meno a pro di esso, aggravate dalle sue catene. Del resto la loro rinunzia le libera in favore di più alti impieghi.

D. Intendi parlare dei tuoi preti?

R. Intendo parlare del sacerdote e anche di altri; ma in quanto al sacerdote, oltre una folla di considerazioni tutte pressanti, una speciale convenienza viene dall’Eucaristia. – Ogni cuore delicato capisce che il contatto di un Dio impone qualche riserva, e che la verginità conviene al sacerdote come convenne a Maria.

D. Finalmente egli rinunzia alla famiglia.

R. « Di’ piuttosto che all’uomo estende egli la sua famiglia » (LAMARTINE).

D. Ma la sua azione sul mondo non esige dal sacerdote che egli sia mescolato al mondo e cosciente dei suoi bisogni?

R. Il sacerdote si stabilisce sopra il mondo distaccandosene; lo smarrirvisi non gli darebbe una migliore esperienza, e nel suo disinteressamento, nella sua abnegazione egli trova la sua forza.

D. Quale simbolismo adotti per il sacramento del matrimonio?

R. S. Paolo paragona l’unione degli sposi a quella di Cristo e della Chiesa: ecco il simbolismo del sacramento e il punto di partenza delle sue leggi.

D. L’idea pare strana.

R. Essa invece è di una filosofia profonda. L’integrazione religiosa del mondo esige l’unione dell’uomo e della donna per formare l’uomo completo, poi l’unione dell’uomo completo a Cristo, nella Chiesa, per formare l’uomo completo religiosamente, cioè divinizzato dalla grazia. Così il parallelismo indicato da S. Paolo si rivela: ciò che Cristo è per la Chiesa universale per formare l’umanità religiosa, lo sposo lo è per la sposa per costituire un elemento di questa umanità, e il sacramento che simboleggia sotto questa forma il fatto religioso universale, tende da parte sua a realizzarlo, unendo gli sposi secondo leggi concordanti con l’unione dell’uomo a Cristo, nella Chiesa, e con ciò all’unione dell’uomo a Dio nell’incarnazione.

D. Cristo viene così per terzo nell’intimità del matrimonio?

R. Non sarà un terzo ingombrante, e neppure il sacerdote, suo rappresentante, come certuni paventano. Ospite dei cuori, Cristo sarà nello stesso tempo il loro legame, come la loro consolazione nei cattivi giorni e la loro forza nell’arduo compito che assumono. Dio non separa, ma lega; è il vincolo universale degli esseri. Forse ci separa il luogo dove ci troviamo? Dio è il luogo degli spiriti. Forse li separa la legge di azione e la vita intima dei membri? Dio è la nostra legge di azione più profonda e la vita della nostra vita: essere in Lui, è essere meglio in noi stessi e in ciò che non forma più che una sola cosa con noi.

D. Questa mistica del sacramento ha delle conseguenze pratiche?

R. Noi ne ricaviamo i due caratteri essenziali del matrimonio, che sono l’unità e la perpetuità.

D. Come ciò?

R. Se il matrimonio deve fornire un punto fermo di partenza per la costituzione religiosa del mondo sotto l’aspetto della sua estensione, senza dimenticare il suo valore, deve anche essere saldo, e deve stabilirsi in condizioni che permettano al focolare lo sviluppo di individualità virtuose, pacifiche e utili.

D. L’unità è indispensabile per questo?

R. Sì, perché senza parlare di poliandria, che la stessa fisiologia condanna, la poligamia indebolisce, corrompe e disorganizza il focolare domestico dividendolo; invita l’uomo all’egoismo e all’autocrazia, alla sensualità e al capriccio; spinge la donna a costumi di schiava; fa regnare le gelosie, gl’intrighi, le disillusioni, i rancori, divide i figli e della prole non fa che una tribù di vincoli deboli, non una famiglia nel pieno senso della parola.

D. Eppure vi sono delle civiltà poligame.

R. Sì, ma inferiori e stagnanti. Non si fa una casa solida con argilla impastata, e l’edificio non potrebbe salire in alto se pecca alla base.

D. Ma che cosa esige l’indissolubilità?

R. Delle ragioni affatto simili. L’unione di Cristo all’umanità religiosa è perpetua; è una vita che non deve finire. Il matrimonio alimenta questa vita, esercita l’ufficio di formare i suoi elementi nuovi: i figli, e di formare anche l’uno per l’altro, in una mutua tolleranza, degli sposi che siano una vita, nell’interno della vita collettiva. Sarebbe sorprendente che l’instabilità fosse per questo una buona condizione, essendo un così cattivo simbolo.

D. Non sai che nel corso della storia, l’indissolubilità del matrimonio fu sempre o inesistente o minacciata?

R. So che questa condizione del matrimonio non è riconosciuta praticamente e integralmente, non è difesa con fermezza se non dal Cattolicismo, e so che certi preferirebbero dire: ciò accusa il Cattolicismo, come se solo esso rifiutasse di riconoscere le condizioni reali della vita. Ma quando odo d’altra parte i più autorevoli sociologi dirmi che, a dispetto delle leggi che lo ammettono, il divorzio è condannato dall’opinione pratica di tutte le collettività coscienti, antiche e moderne (leggi solamente Proudhon!), io mi do a pensare che il Cattolicismo, ben lontano dal disconoscere le condizioni reali della vita, le considera da più alto, le difende contro le deviazioni individuali abbastanza numerose da pesare sulle leggi, ma che sono nondimeno delle deviazioni, sotto l’aspetto dell’interesse largamente preso del genere umano.

D. Quali sono le ragioni?

R. Esse concernono l’interesse morale degli sposi, che il principio del divorzio compromette gravemente, favorendo matrimoni male studiati, anticipatamente disuniti, e che il minimo incidente viene a sconvolgere o a corrompere. Concernono specialmente la donna, così impari all’uomo nel contratto, in ragione della sua fragilità e della precarietà dei beni che ella vi reca. Ma concernono soprattutto la prole, vale a dire l’umanità futura, temporale ed eterna, a cui si deve il cuore cristiano.

D. Perché la prole vuole l’indissolubilità?

R. Perché la sua educazione è lunga, e perché, quando termina, ha ancora bisogno del focolare domestico. La prole è legione; le tappe della sua vita, della sua educazione e de’ suoi impieghi si succedono per lunghi anni, durante i quali la famiglia deve irradiare sopra di essa calore e luce, mantenere, tra i nuovi gruppi che compone, une felice coesione che è una gran parte dell’ordine sociale. Dov’è il focolare, se l’unione si sgretola? Cerca bene: non vi è un momento assegnabile — generalmente parlando, come bisogna quando si tratta di istituzioni — in cui il vincolo matrimoniale si possa rompere senza grave danno umano.

D. Esso viene rotto dalla morte.

R. Grazie tante! O che vorresti assumerti l’ufficio della morte e di rendere orfani i bambini?

D. E se non si hanno bambini?

R. Restano gli altri motivi, e, inoltre, non si può legiferare per l’eccezione deplorevole; non si può dare un privilegio all’infecondità.

D. Non si potrebbero almeno sciogliere i cattivi matrimoni? Essi non giovano a nessuno, ma nuocciono e fanno soffrire.

R. È vero, e la religione lo riconosce permettendo allora la separazione, scrutando, se vi è ragione, le origini del matrimonio, per vedere se qualche fessura non permettesse di spezzare, senza danno per l’istituzione stessa, questo contratto disgraziato. Ma quando si parla di divorzio, io sono colpito dalla leggerezza dell’obiicente che crede di dirci così delle cose inconfutabili. Si cerca una legge che rispetti i buoni matrimoni e che permetta di distruggere i cattivi, ciò sembra semplicissimo, ed è una pura assurdità.

D. E perché?

R. Ciò non sarebbe possibile se non a condizione che tu potessi nascondere la tua legge nei codici, e non metterla fuori se non per il caso in cui giudicassi prudente e necessario. Una volta pubblicata la tua legge agirà di per sé, e agirà dovunque; agirà nello spirito dei fidanzati, nello spirito dei parenti, nello spirito degli sposi, nello spirito dei figli. Dovunque essa introdurrà il dubbio, l’instabilità, la tentazione, l’irresponsabilità. Tu avrai stabilito la vita in un corridoio, e l’esistenza comune non avrà più saldo assetto.

D. Le leggi del divorzio prendono delle precauzioni.

R. E la passione le elude. Si arriva sempre alla legge del beneplacito, fosse pure quello d’uno solo dei due coniugi. La breccia si allarga per il passaggio delle moltitudini, e l’unione libera, anarchia al preteso servizio della sociabilità, si prospetta in un non lontano avvenire.

D. Stimi dunque che il divorzio sia contrario alla società come alla Religione?

R. Esso non è contrario alla Religione se non perché è contrario alla società, all’individuo morale, uomo e donna, in una parola alla vita umana. Cristo sposò l’umanità tal quale essa è, e la natura, la società, la fede, qui non hanno che un solo e identico interesse.

D. Donde viene allora che il Cattolicismo forma una schiera a parte ed esige più degli altri?

R. Perché vede più chiaro degli altri e sa di essere divino. Essendo divino, deve vegliare sopra l’ordine del mondo, luogo di lavoro del suo Dio. Essendo divino, si prende l’incarico della natura, della moralità, della sociabilità, del culto, come di un unico oggetto che lo riguarda, quando altri gruppi gli sono estranei. Essendo divino, esso ardisce, quando gli altri tergiversano e piegano. Essendo divino, ha delle divine promesse per quei che esso sacrifica momentaneamente, e delle divine consolazioni per quei che esso invita ai sacrifizi.

D. Così parlando, tu non tieni più conto dell’incredulo.

R. Io lascio che l’incredulo risponda secondo il suo cuore. A lui spetta di sapere se, in difetto dei divini compensi che gli mancano, voglia salvare il suo proprio caso decretando rovine, e se, legislatore, egli intenda soddisfare i suoi casi commoventi, tragici se si vuole, ma relativamente rari, e aprire il varco alla corrente di rilassatezza e di sensualità che trascina gli uomini.

D. E se egli dicesse di sì?

R. Sarebbe una ragione di ricordarsi fino a qual punto la Religione è necessaria alla natura stessa, e quanto la qualità di sacramento conferisce al matrimonio in favore dell’umanità.

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.