FESTA DELLA SACRA FAMIGLIA (2022)

DOMENICA I DOPO EPIFANIA (2022)

FESTA DELLA SACRA FAMIGLIA.

Doppio maggiore. – Paramenti bianchi.

« Non conviene forse – dice Leone XIII – celebrare la nascita regale del Figlio del Padre Supremo? Non forse la casa di David, e i nomi gloriosi di questa antica stirpe? È più dolce per noi ricordare la piccola casa di Nazaret e l’umile esistenza che vi si conduce: è più dolce celebrare la vita oscura di Gesù. Lì il Fanciullo Divino imparò l’umile mestiere di Giuseppe e nell’ombra crebbe e fu felice di essere compagno nei lavori del falegname. Il sudore – egli dice – scorra sulle mie membra, prima che il Sangue le bagni; che questa fatica del lavoro serva d’espiazione per il genere umano. Vicino al divino Fanciullo è la tenera Madre; vicino allo Sposo, la Sposa devota, felice di poter sollevare le pene agli affaticati con cura affettuosa. O voi, che non foste esenti dalle pene e dal lavoro, che avete conosciuto la sventura, assistete gl’infelici che l’indigenza affligge e che lottano contro le difficoltà della vita  » (Inno di Mattutino). – In questa umile casa di Nazaret Gesù, Maria e Giuseppe consacrarono, con l’esercizio delle virtù domestiche, la vita familiare (Or.). Possa la grande Famiglia che è la Chiesa ed ogni focolare cristiano esercitare in terra le virtù che esercitò la Sacra Famiglia, per meritare di vivere nella sua santa compagnia in cielo (Or.). – Benedetto XV, volendo assicurare alle anime il beneficio della meditazione e dell’imitazione delle virtù della Sacra Famiglia, ne estese la solennità alla Chiesa universale e la fissò alla Domenica fra l’Ottava dell’Epifania o al sabato che la precede.

Incipit

In nómine Patris, ✝et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Prov XXIII: 24; 25
Exsúltat gáudio pater Justi, gáudeat Pater tuus et Mater tua, et exsúltet quæ génuit te.

[Esulti di gaudio il padre del Giusto, goda tuo Padre e tua Madre, ed esulti colei che ti ha generato].


Ps LXXXIII: 2-3
Quam dilécta tabernácula tua, Dómine virtútum! concupíscit et déficit ánima mea in átria Dómini.

 [Quanto sono amabili i tuoi tabernacoli, o Signore degli eserciti: anela e si strugge l’ànima mia nella casa del Signore]

Exsúltat gáudio pater Justi, gáudeat Pater tuus et Mater tua, et exsúltet quæ génuit te.

[Esulti di gàudio il padre del Giusto, goda tuo Padre e tua Madre, ed esulti colei che ti ha generato].

Oratio

Orémus.
Dómine Jesu Christe, qui, Maríæ et Joseph súbditus, domésticam vitam ineffabílibus virtútibus consecrásti: fac nos, utriúsque auxílio, Famíliæ sanctæ tuæ exémplis ínstrui; et consórtium cónsequi sempitérnum:

[O Signore Gesú Cristo, che stando sottomesso a Maria e Giuseppe, consacrasti la vita domestica con ineffabili virtú, fa che con il loro aiuto siamo ammaestrati dagli esempii della tua santa Famiglia, e possiamo conseguirne il consorzio eterno].

Lectio
Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános.
Rom XII: 1-59
Fratres: Obsecro vos per misericórdiam Dei, ut exhibeátis córpora vestra hóstiam vivéntem, sanctam, Deo placéntem, rationábile obséquium vestrum. Et nolíte conformári huic sǽculo, sed reformámini in novitáte sensus vestri: ut probétis, quæ sit volúntas Dei bona, et benéplacens, et perfécta. Dico enim per grátiam, quæ data est mihi, ómnibus qui sunt inter vos: Non plus sápere, quam opórtet sápere, sed sápere ad sobrietátem: et unicuique sicut Deus divísit mensúram fídei. Sicut enim in uno córpore multa membra habémus, ómnia autem membra non eúndem actum habent: ita multi unum corpus sumus in Christo, sínguli autem alter alteríus membra: in Christo Jesu, Dómino nostro.
[Vi esorto, o fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi in sacrificio vivo, santo, accettevole a Dio: ad offrire il vostro culto ragionevole. Non vi conformate a questo secolo; anzi riformatevi, rinnovando il vostro spirito, affinché conosciate quale sia la volontà di Dio buona, accettevole e perfetta. Perciocché in virtù della grazia concessami, io dico a tutti voi di non farla da savi più di quello che conviene, ma di essere savi con modestia secondoché Dio dà a ciascuno la misura della fede. Poiché come in un corpo abbiamo molte membra, ma non tutte le membra hanno la stessa operazione, così in molti siamo un corpo solo in Cristo, e ciascuno è membro l’uno dell’altro „]

P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

COME SI TRATTA IL CORPO.

… Le parole con cui San Paolo esorta i Romani a trattare il loro corpo per trattarlo cristianamente sono tali da stupire più di uno fra coloro che le leggono per la prima volta o per la prima volta le ascoltano. « Vi scongiuro, o fratelli, in nome della misericordia che Dio ci ha usata, di offrire i vostri corpi come un’ostia viva, santa, che piace al Signore ». E in realtà queste parole senza essere menomamente strane, sono mirabilmente nuove nella storia del pensiero morale dell’umanità. La quale non ha mai potuto e non può eliminare il problema del corpo, della materia. Che fare di questo povero corpo? come trattarlo? C’è un trattamento igienico del corpo che non si può dire epicureo, che non si può neanche dire vizioso e non è virtuosamente eroico, eroicamente virtuoso. Consiste nel far star bene il corpo nel conservarlo sano. « Mens sana in corpore sano ». È un programma tutt’altro che ignobile. Fu il programma classico dell’antichità. Noi lo ripetiamo ancora talvolta ai nostri giovani. E Dio volesse che la preoccupazione almeno della salute, dell’igiene, fosse sempre viva e vittoriosa nell’anima della nostra gioventù! Quanti peccati e quante vergogne essa ci risparmierebbe. Ma quando la preoccupazione dello star bene, igienicamente bene, diventi suprema; diventa la grande ispiratrice, la sola e non ci solleva molto in alto, può anche essere egoisticamente bassa. Siamo in un epicureismo sottile e cauto, senza la imprudenza dell’epicureismo volgare: più intelligente dunque dell’epicureismo comune, non più nobile. Più cristiana certo l’austerità scettica di cui abbiamo una traccia, una formula, anche in San Paolo quando ci dice: « castigo corpus meum et in servitutem redigo ». Voglio dominare, è fiero, dignitoso, alto. Programma imperiale, non dell’imperialismo di esportazione, dell’imperialismo di importazione; non esteriore, ma intimo, che è il più vero. E il mezzo è bellicoso: tratto male il mio corpo: lo picchio, lo fo digiunare, gli misuro avaramente la bevanda dolce, gli interdico il più inebriante (abstinuit vino). È tutto un decalogo austero che sa di stoicismo. Non è stoico nel senso che lo riassorbe anche il Cristianesimo, è stoico nel senso che anche lo stoicismo ci era giunto e vi ci si era fermato. Il Cristianesimo va più in su. Arriva al misticismo. Il corpo penetrato di spiritualità ma in nome e per amore di Dio. Lì è la discriminante, nella finalità suprema, definitiva. Perché siano salvi i diritti dell’uomo, è la finalità stoica. Perché sia salva la dignità dell’uomo la quale non si salva per certo capovolgendo i rapporti tra il corpo e lo spirito, condannando questo alla schiavitù, verso di quello. Bella figura umana la figura di chi serve collo spirito alla carne! di chi si anticipa con quella attitudine la morte! Il corpo deve servire, esso deve spiritualizzarsi, e non lo spirito materializzarsi, ma, nel Cristianesimo tale processo deve compiersi nel Nome e per la gloria di Dio. Per offrire a Lui in questo corpo radiosamente spiritualizzato un’Ostia nuova, Ostia viva e non come quella dei vecchi sacrifici che erano carogna, cadavere: Ostia santa, qualche cosa di più che semplicemente buona; santa, tale da piacere a Dio. Il trattamento religioso, divino del corpo! Non si può andare né più in là, né più in su. E tutto questo non è riservato a pochi eletti, ma messo alla disposizione di tutti… ecco il Cristianesimo. Ma è il nostro, fratelli?…

Graduale

Ps XXVI: 4
Unam pétii a Dómino, hanc requíram: ut inhábitem in domo Dómini ómnibus diébus vitæ meæ.


[Una sola cosa ho chiesto e richiederò al Signore: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita.]

Alleluja

Beáti, qui hábitant in domo tua, Dómine: in sǽcula sæculórum laudábunt te. Allelúja, allelúja,

[Beati quelli che àbitano nella tua casa, o Signore, essi possono lodarti nei secoli dei secoli. Allelúia, allelúia.]

Isa XLV: 15
Vere tu es Rex abscónditus, Deus Israël Salvátor. Allelúja.

[Tu sei davvero un Re nascosto, o Dio d’Israele, Salvatore. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum S. Lucam.
S. Luc II: 42-52
Cum factus esset Jesus annórum duódecim, ascendéntibus illis Jerosólymam secúndum consuetúdinem diéi festi, consummatísque diébus, cum redírent, remánsit puer Jesus in Jerúsalem, et non cognovérunt paréntes ejus. Existimántes autem illum esse in comitátu, venérunt iter diéi, et requirébant eum inter cognátos et notos. Et non inveniéntes, regréssi sunt in Jerúsalem, requiréntes eum. Et factum est, post tríduum invenérunt illum in templo sedéntem in médio doctórum, audiéntem illos et interrogántem eos. Stupébant autem omnes, qui eum audiébant, super prudéntia et respónsis ejus. Et vidéntes admiráti sunt. Et dixit Mater ejus ad illum: Fili, quid fecísti nobis sic? Ecce, pater tuus et ego doléntes quærebámus te. Et ait ad illos: Quid est, quod me quærebátis? Nesciebátis, quia in his, quæ Patris mei sunt, opórtet me esse? Et ipsi non intellexérunt verbum, quod locútus est ad eos. Et descéndit cum eis, et venit Názareth: et erat súbditus illis. Et Mater ejus conservábat ómnia verba hæc in corde suo. Et Jesus proficiébat sapiéntia et ætáte et grátia apud Deum et hómines.

[Quando Gesù raggiunse i dodici anni, essendo essi saliti a Gerusalemme, secondo l’usanza di quella solennità, e, passati quei giorni, se ne ritornarono, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, né i suoi genitori se ne avvidero. Ora, pensando che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di cammino, dopo di che lo cercarono tra i parenti e i conoscenti. Ma non avendolo trovato, tornarono a cercarlo a Gerusalemme. E avvenne che dopo tre giorni lo trovarono nel Tempio, mentre sedeva in mezzo ai Dottori, e li ascoltava e li interrogava, e tutti gli astanti stupivano della sua sapienza e delle sue risposte. E, vistolo, ne fecero le meraviglie. E sua madre gli disse: Figlio perché ci ha fatto questo? Ecco che tuo padre ed io, addolorati, ti cercavamo. E rispose loro: Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi di quel che spetta al Padre mio? Ed essi non compresero ciò che aveva loro detto. E se ne andò con loro e ritornò a Nazareth, e stava soggetto ad essi. Però sua madre serbava in cuor suo tutte queste cose. E Gesù cresceva in sapienza, in statura e in grazia innanzi a Dio e agli uomini].

OMELIA

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956)

LA FAMIGLIA DI GESÙ E LA NOSTRA

Gli occhi di un mondo corrotto e crudele erano rivolti a Roma dove Ottaviano Augusto e dove Tiberio governavano tutta la terra soggiogata all’impero romano. Gli occhi di Dio invece erano rivolti altrove: sulla povera casa incavata nella pietra della collina, confusa tra le altre che s’addossavano a formare la borgatella di Nazareth. – Per chi non sa vedere che le apparenze, niente v’era quivi di straordinario: un operaio, un’umile donna, un fanciullo. L’operaio aveva nome Giuseppe: uno dei tre o quattro falegnami del paese. Chi lo vedeva nella sua bottega lavorare in pace da mane a sera, chi lo vedeva per la strada curvo sotto il peso di qualche asse, certo non immaginava ch’egli avesse avuto frequenti colloqui con gli Angeli, e che nella sua casa tirava grande il Figlio di Dio, e insegnava il mestiere al Creatore del cielo e della terra. Proprio a lui, cui nel suo lavoro non toccava mai che meschini affari di poche decine di lire, era stato confidato il secreto e l’affare più grande di tutta la storia umana: quello della redenzione. – La donna si chiamava Maria. Quando la vedevano alla fontana o al lavatoio, a chi poteva passar per la mente che essa era vergine, e che aveva generato il Messia per opera dello Spirito Santo? Filava la tela, cuciva le vesti, preparava il cibo, faceva pulizia: e tutti i giorni da capo così. Eppure era Quella a cui l’Angelo rivolse un saluto unico al mondo: « Ave, o piena di grazia; il Signore è con te, tu sei la benedetta fra tutte le donne… ». Era Quella che, accesa di Spirito Santo, davanti a sua cugina Elisabetta esclamò: « Tutte le generazioni mi proclameranno beata! ». – Il fanciullo si chiamava Gesù. Era molto buono, ed era anche molto intelligente. Ma non si manifestava così da rilevare il suo essere straordinario. Al suo paese c’erano altri, della sua età, che sembravano buoni e intelligenti come lui. Solo una volta, l’anno dodicesimo di sua vita, avendolo i suoi condotto a Gerusalemme, sua madre lo ritrovò nel tempio che ascoltava e interrogava i Maestri della Sacra Scrittura; e dava risposte tanto assennate che tutti ne stupivano. Tornato però a casa, riprese la vita consueta: lavorava nella bottega con suo padre, ubbidiva, cresceva di statura e di grazia presso Dio e presso gli uomini. A sua madre l’Arcangelo aveva annunziato: « Avrai un figlio che sarà grande: sarà chiamato figlio dell’Altissimo, e Dio gli darà il trono di Davide, ed il suo regno non avrà fine». Ora ella, ogni sera, lo vedeva rientrare nella povera cucina stanco, come sono stanchi tutti gli operai dopo una giornata di lavoro; e non lo vedeva già sopra un trono, ma accoccolato su di uno sgabello, accanto alla cenere del focolare. Era quello il figlio dell’Altissimo? il Messia atteso da secoli? Il re e giudice dei vivi e dei morti? Era Quello; e Maria e Giuseppe l’adoravano, e nella pace della loro casa meditavano in silenzio i misteri del Signore. Ecco com’era la Sacra Famiglia, la famiglia di Dio. La società nostra estremamente bisognosa di una rinnovazione che parta dal focolare domestico, deve rivolgersi ad essa ed imitarla. Sotto due aspetti è specialmente necessario che la famiglia moderna si rispecchi nella famiglia di Nazareth: nel santo timor di Dio, nel santo amore vicendevole.

1. NEL SANTO TIMOR DI DIO

Nella casa di Nazareth prima di tutto e soprattutto, ad ogni costo, la volontà del Padre che sta nei cieli. Sia che la Volontà del Padre imponga sacrifici ordinari: il digiuno; la santificazione del sabato con la frequenza alla Sinagoga; il pellegrinaggio annuale per la Pasqua fino a Gerusalemme, cioè 280 chilometri di strada tra l’andata e il ritorno. Sia che la Volontà del Padre imponga sacrifici straordinari: il censimento in Betlemme, la fuga, l’esilio. Gesù stesso, a Giuseppe e a Maria che gli muovevano rimprovero d’esser rimasto senza dir nulla a Gerusalemme, mentr’essi erano già partiti, rispose: « Non dimenticate che bisogna far sempre ciò che desidera il Padre ». E per conoscere la Volontà del Padre, Maria e Giuseppe facevano tesoro di ogni circostanza, raccoglievano ogni parola che Gesù dicesse e le meditavano in cuor loro, lungamente.

E per aver la forza di eseguirla pienamente e fedelmente, ogni giorno c’era la preghiera. Non sempre la sega strideva e il martello batteva nel laboratorio di Giuseppe: ad una certa ora cominciava il riposo serale, si chiudevano le finestre e la porta, e tutti e tre si raccoglievano a rinnovare le forze del corpo con lo stesso pane, e sollevare le forze dello spirito con la stessa preghiera. Nella stagione migliore, secondo il costume dei Giudei, salivano sul tetto a terrazza della loro casa, e pregavano insieme a Gesù! Se parla suo Figlio, come Dio potrà non ascoltare?… Ora osserviamo se nella famiglia moderna, prima di tutto e soprattutto, ad ogni costo, si teme il Signore e si fa la sua volontà. In quante famiglie, invece che la legge di Dio, domina la legge della carne e della passione impura. Così l’atmosfera della famiglia è perennemente inquinata dal fetore del peccato, ed in quell’aria ammorbata da satana forse ci si illude che gli scarsi figli crescano pii ed ubbidienti… Il punto fondamentale è qui: tutto il resto, verrà di conseguenza. Verrà di conseguenza anche la fedeltà alle leggi della Chiesa, la santificazione della domenica con la S. Messa e la Dottrina e il riposo festivo. La Madonna e S. Giuseppe raccoglievano e meditavano ogni parola di Gesù: e Gesù parla ancora ai genitori con la bocca del parroco e dei sacerdoti. Se la predica non è ascoltata seriamente, non è meditata lungamente, non è meraviglia che la volontà di Dio sia misconosciuta nelle famiglie moderne. Infine occorre la quotidiana preghiera, non la preghiera dei singoli, ma quella di tutta la famiglia raccolta assieme: il Rosario. Uniti non appena per il boccone ma anche per l’orazione. S’eleverà allora. da ogni casa la gloria di Dio Padre. Pater noster! Padre di quelli che hanno dato la vita, Padre di quelli che l’hanno ricevuta; Padre la cui gloria riluce sulla fronte dei genitori. Padre la cui immagine è impressa nell’anima dei figli. Padre di tutti noi, figli adottivi e Padre del suo Unigenito Gesù che in quel momento prega con noi.

2. NEL SANTO AMORE VICENDEVOLE

Amore non significa cercare il proprio bene ed il proprio piacere; ma donare se stessi per il vero bene per la gioia degli altri. Nella casa di Nazareth ciascuna persona vive per le altre dimentica di sé. Infatti, S. Giuseppe lavora per mantenere Gesù e Maria: si affanna e soffre per custodire salvo il Figlio di Dio e la verginità di sua Madre. Quando il suo compito è finito, non aspetta quaggiù ricambio e ricompensa, ma chiude gli occhi nel sonno della morte. – Maria non vive che per Gesù e per lo sposo castissimo. I suoi pensieri, i suoi atti, il suo lavoro, la sua giornata è per loro. Che nulla a loro manchi; che trovino la casa pulita, riposante, ristoratrice… Gesù par che dimentichi d’essere il Creatore e si fa suddito delle sue creature: attento ai loro cenni, premuroso in ogni cosa, attento a prevenire i loro desideri. Nella famiglia moderna, nella nostra famiglia vi è davvero questo dono generoso di sé per il bene e la gioia degli altri? Purtroppo, capita che il padre comincia ad essere il despota egoista che vuol essere servito, e vuol godere. Se lavora, una larga parte del guadagno è prelevata per i suoi divertimenti e per i suoi capricci. Capita che la madre, per protesta, si rivendichi la sua parte di libertà, la sua parte di godimento. Di qui i contrasti, la discordia; non due cuori si fondono, ma due egoismi vengono a conflitto. E così i figli sono allevati, non già rispettando in loro i diritti di Dio che ha posto col Battesimo in loro il suo sigillo, ma per la vana soddisfazione dei genitori. Da piccoli accarezzati, viziati, considerati come idoletti, da giovani divengono ribelli, insofferenti, crudeli. – Le persone della famiglia di Nazareth amavano la loro casa. Gesù trent’anni su trentatré volle rimanere nella sua casa. Dove c’è vicendevole e santo amore è bello restare. Invece al tempo nostro molte case sono come un albergo. Non ci si ritrova che per mangiare e per dormire, manca l’amore. – C’è una leggenda assai gentile che merita d’essere ricordata nel giorno della Sacra Famiglia. Stava, una sera afosa, la Vergine Maria, seduta alla porta con il Bambino addormentato sulle ginocchia. Passò un coro di giovani allegri che andavano a divertirsi: e il Bambino dormendo non li udì. Passò un corteo di nozze con fiaccole e gridi festosi: e il Bambino dormendo non li udì. La Vergine Maria pensava in quel momento alla parola che Simeone, il vecchio del tempio, le aveva detto; a quella spada pensava che le avrebbe trapassato il cuore. Intanto una lacrima le tremò sospesa un poco tra le ciglia, e poi le scivolò giù per la guancia. Il Bambino sobbalzò nel sonno, e aprì gli occhi. « Che hai, piccino! » le disse curvandosi maternamente: « Mamma! ho udito un tonfo come di qualche cosa che mi cadesse in cuore ». Tra i tumulti del mondo, le lagrime silenziose delle madri di famiglia, dei padri di famiglia, ancora fanno sobbalzare il cuore del figlio di Dio.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
S. Luc II:22
Tulérunt Jesum paréntes ejus in Jerúsalem, ut sísterent eum Dómino.

[I suoi parenti condussero Gesú a Gerusalemme per presentarlo al Signore.]

Secreta

Placatiónis hostiam offérimus tibi, Dómine, supplíciter ut, per intercessiónem Deíparæ Vírginis cum beáto Joseph, famílias nostras in pace et grátia tua fírmiter constítuas.

[Ti offriamo, o Signore, l’ostia di propiziazione, umilmente supplicandoti che, per intercessione della Vergine Madre di Dio e del beato Giuseppe, Tu mantenga nella pace e nella tua grazia le nostre famiglie.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

S. Luc. II: 51
Descéndit Jesus cum eis, et venit Názareth, et erat súbditus illis.

[E Gesú se ne andò con loro, e tornò a Nazareth, ed era loro sottomesso.]

Postcommunio

Orémus.
Quos cœléstibus réficis sacraméntis, fac, Dómine Jesu, sanctæ Famíliæ tuæ exémpla júgiter imitári: ut in hora mortis nostræ, occurrénte gloriósa Vírgine Matre tua cum beáto Joseph; per te in ætérna tabernácula récipi mereámur:

[]O Signore Gesú, concedici che, ristorati dai tuoi Sacramenti, seguiamo sempre gli esempii della tua santa Famiglia, affinché nel momento della nostra morte meritiamo, con l’aiuto della gloriosa Vergine tua Madre e del beato Giuseppe, di essere accolti nei tuoi eterni tabernacoli.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

LO SCUDO DELLA FEDE (187)

A. D. SERTILLANGES, O. P.

CATECHISMO DEGLI INCREDULI (XXIV)

[Versione autoriz. Dal francese del P. S. G. Nivoli, O. P. – III ristampa. S. E. I. – Torino 1944]

LIBRO QUARTO

I SACRAMENTI

IV. — L’Eucaristia.

D. Hai detto che il sacramento centrale, sacramento per eccellenza, è l’Eucaristia?

R. Ne ho detto la ragione, ed è che esso ha per scopo la nostra nutrizione spirituale, e la nutrizione, per un vivente, non solo è la funzione più importante, ma in certo modo, anche la funzione unica. Una creazione organica non è che la nutrizione e la segmentazione di un germe; uno sviluppo è una nutrizione che prosegue; un funzionamento è una nutrizione che implica una disassimilazione consecutiva, che sprigiona della forza e l’adopera; la morte non sarà che una denutrizione non compensata, come ogni malattia, ogni indebolimento non è che una denutrizione parziale, o una nutrizione deviata, o ipertrofica.

D. Un tale raffronto tra la vita fisica e la vita spirituale è rigoroso?

E. Vi è solo una differenza, essenziale, è vero; ed è che la nutrizione fisica assorbe l’alimento nel nostro corpo; la nutrizione eucaristica fa il rovescio; essa incorpora noi a Cristo, per unirci a Dio. L’alimento è qui il più forte: alimento vivo, simile a una preda che divora il suo cacciatore, ma per portarlo a uno stato di vita a cui è bene salire, poiché noi non cresciamo e non possiamo definitivamente vivere se non a patto di riallacciarci al divino.

D. Dunque Eucaristia ha per te un effetto generale: la vita?

E. Sì, la vita, sia nel suo sostentamento, sia nella sua gioia, nel suo progresso, nella sua riparazione, nel suo compimento, fino alla vita eterna.

D. La nutrizione non impedisce la morte.

R. La nutrizione spirituale impedisce la morte, perché essa non disassimila niente, tranne il male; perché essa ci fa crescere incessantemente e ci spinge solo avanti, capace, con Dio, di vincere la morte a beneficio del corpo stesso. Io sono la risurrezione e la vita; colui che crede in me, quand’anche fosse morto, vivrà, e colui che vive e crede in me, non morrà in eterno.

D. Tu hai dato questo come l’effetto dell’incarnazione e della redenzione.

R. Per questo l’Eucaristia è una incarnazione e una redenzione continuate nello stesso tempo che figurate in simboli. In grazia della presenza reale, Gesù è lì, misteriosamente. Per lui, l’Essere degli esseri e l’Anima delle anime, lo Spirito Santo, si unisce a noi. L’opera della redenzione si realizza corpo a corpo, se posso dire così, ed è veramente questo, poiché il corpo di Cristo è qui lo strumento del suo Spirito per l’opera perpetua e per sé immortale di questo Spirito. Non vi è come condizione altro che l’espropriazione dell’io peccatore; vi lavora Lui stesso.

D. L’Eucaristia è dunque un rito individuale?

R. È un rito essenzialmente sociale, ma dove l’individuo ritrova se stesso, come una patria felice forma la felicità del buon cittadino.

D. Qual è l’aspetto sociale dell’Eucaristia?

R. È d’incorporarci a Cristo insieme, nel nome della carità, vincolo del gruppo, e di una carità non puramente sentimentale, ma organica.

D. L’effetto dell’Eucaristia sarebbe così la vostra società stessa!

R. È quello che dice S. Tommaso, perché l’effetto di questo sacramento è l’unità del corpo mistico di Cristo, cioè della Chiesa. – Toccando Dio, io tocco tutto l’universo umano; l’umile punto bianco è dovunque il centro.

D. Gli effetti individuali derivano di lì, o è l’opposto?

R. Dire che è l’opposto, sarebbe un essere protestanti. La Chiesa è prima. Non già perché degli individui si amano prima in Cristo, e poi si costituiscono in Chiesa; ma essi ubbidiscono alla legge di quest’organismo spirituale che è la legge dell’amore, appunto perché formano una Chiesa in Cristo. L’Eucaristia è una Comunione, e tu sai qual è per noi il largo senso di questa parola.

D. Il simbolismo del pane e del vino non indica questo.

R. Lo indica. Il pane è fatto della moltitudine dei grani che la farina mescola e il fuoco unisce; il vino, della moltitudine degli acini che il tino raccoglie e la cui fermentazione non forma più che una sola cosa. Ecco il simbolo dei Cristiani uniti a Cristo, fermento vivente della massa umana. Non siamo che un solo pane noi tutti che partecipiamo allo stesso pane e allo stesso calice (S. PAOLO). Aggiungi che l’idea del Banchetto eucaristico accentua questo simbolismo, liberandolo da ogni sottigliezza.

D. Tutto questo è solo relativo al presente. L’Eucaristia non è anch’essa e prima di tutto una commemorazione?

R. Relativamente al passato, l’Eucaristia è di fatto la commemorazione e, più ancora, il rinnovamento mistico della Passione del Salvatore e delle sue preparazioni universali, come si vede nella Messa. Appunto per questo si chiama un sacrifizio.

D. In che modo è un sacrifizio e nello stesso tempo un ricordo?

R. È un ricordo che si ripete, come in un giorno di anniversario si rinnova l’amore. È dunque un sacrifizio reale, benché puramente spirituale, spoglio di ogni apparato sanguinoso e ridotto alle realtà dell’anima. Cristo si offre lì di nuovo a suo Padre, e anche noi lo possiamo offrire. La redenzione, ti dicevo, ricomincia per ciascuno di noi, cioè raggiunge i suoi partecipanti e si applica nominatamente a ciascun’anima, come al gruppo attuale delle anime.

D. E si tratta anche dell’avvenire?

R. Relativamente all’avvenire, l’Eucaristia presagisce, prepara e anticipa l’unione definitiva degli eletti con Dio, per Cristo, nella Chiesa eterna. Sotto questo aspetto essa si chiama viatico, parola che si applica specialmente ai morenti, ma che vale per tutti.

D. In che modo presagisce?

R. Facendo venire incontro a noi, sulla via, Colui verso il quale noi camminiamo.

D. In che modo prepara?

R. Con grazie di buona vita, mezzo della beata vita eterna.

D. E in che modo anticipa?

R. Dando già a noi, benché sotto forma nascosta e inattesa, quel pane del cielo del quale siamo affamati senza saperlo, vale a dire Dio.

D. L’Eucaristia è così per te una specie di cielo?

R. In ogni luogo del mondo dove c’è un tabernacolo, e in ogni anima comunicante con disposizioni convenienti, vi è un cielo.

D. Vi sono tabernacoli e comunicanti da per tutto.

R. Dunque da per tutto vi è il cielo. La nostra terra è nel cielo. La nostra terra è un cielo. Con l’aurora, ininterrottamente, la nostra messa gira attorno al globo; essa lo desta al soprannaturale, lo rischiara, lo imbalsama, lo commuove, lo trascina dolcemente, ed è, spiritualmente, l’Eucaristia « che fa girare la terra» (LEONE BLOY).

D. Viviamo dunque tra le meraviglie?

R. Ma che meraviglie di accecamento ci nascondono.

D. Come mai un tale accecamento è possibile in credenti?

R. Noi siamo povere creature terrene, e il nostro attacco alla terra fangosa oppone il nostro spirito stesso a questa invasione del cielo.

D. Per lo meno i santi hanno il sentimento del mistero?

R. Il curato d’Ars disse: «Se si sapesse che cosa è la Messa, si morrebbe ».

D. Ma ancora, voi tutti, se avete la fede, potete qui restare calmi, e potete voi peccare, dopo il bacio tenero e puro della Comunione?

R. Ancora una volta, l’essere umano è un abisso d’incoscienza, di miseria, d’instabilità interiore, di oblio. La « distrazione » pascaliana e le insidie di questo mondo riescono a trionfare di una fragile fede.

D. Ecco; io ti ho lasciato dire; ma quante difficoltà arrestano la mente di fronte a tali invenzioni!

R. Sono invenzioni « divine », e che si cada in stupore davanti ad esse non dovrebbe essere che per riconoscenza e per ammirazione.

D. Questa invenzione « divina » non si trova più o meno in tutte le religioni, in cui l’unione al dio mediante un rito di manducazione è comune?

R. Fai bene a parlarne con precauzione; perché sono tali le differenze tra una religione e l’altra, e sono così fondamentali, tra tutte le altre e la Cattolica, che non si ha il diritto né di trovare qui una legge, né soprattutto di applicarla ai riti eucaristici.

D. Tuttavia, se questa legge esistesse

R. Si potrebbero costruire sopra di essa due ipotesi: o la legge ha giocato affatto da sola presso i primi Cristiani e ha fatto loro inventare l’Eucaristia; o questa legge, fondata in natura, è stata per questa ragione soprannaturalmente soddisfatta da Cristo che istituiva l’Eucaristia.

D. Chi dirà quello che è?

R. I testi e i fatti. I Vangeli sussistono, e fuori di essi nessuno può dire in quale momento e per chi l’Eucaristia sarebbe stata inventata. Ciò dovrebbe essere al più tardi vent’anni dopo la morte di Gesù; infatti fin da quel momento, in quel gruppo, si crede alla presenza reale. Questo gruppo è composto di Giudei, che provano tutte le pene e le difficoltà possibili distaccarsi dai riti mosaici, dalle credenze mosaiche: chi crederà che abbiano essi stessi, e così presto, operato una tale rivoluzione?

D. È una così grande rivoluzione?

R. È la fondazione di una religione nuova. Il Cristianesimo con o senza l’Eucaristia, come con o senza l’Incarnazione, non si riconosce più.

D. Il Cristianesimo cattolico è dunque per te essenzialmente eucaristico.

R. Così è veramente, poiché, come ti ho già detto, il frutto dell’Eucaristia è la stessa organizzazione cattolica.

D. Allora come va che la materia dell’Eucaristia non è punto cattolica, se cattolico vuol dire universale? Il pane e il vino sono prodotti mediterranei, ai quali si sostituiscono altrove, come alimento comune, il riso, le patate, le banane, la birra, il latte e l’acqua chiara.

R. Non hai tolto questa difficoltà da Paolo Valery?

D. Sì, e mi sembra seria.

R. Fortunatamente per lui, Paolo Valery disse cose più serie. Non bisogna forse che un rito, per quanto universale debba diventare, cominci in qualche parte, e sotto una certa forma? Se il Cristianesimo fosse nato nelle Indie, è probabile che la materia dell’Eucaristia sarebbe stata diversa, e sarebbe nondimeno il simbolo dell’alimento spirituale, scelta col medesimo spirito di semplicità, di volgarità, e nella sua doppia forma.

D. Essa non converrebbe maggiormente a tutto l’universo,

R. Perché? E come va che un tale ostacolo, di fatto, non è risentito in nessun luogo? Non si consacra forse nelle Indie, nella Cina, nella Lapponia, dovunque, con del pane e del vino? Si porta la mitra solamente in Persia o il pallio solamente a Bisanzio? Come Cristo fu Giudeo, ciò che non gl’impedisce di essere uomo universale, così il pane e il vino, simboli tolti dal paese d’origine del Cristianesimo, non ripugnano affatto a diventare, per l’uso religioso, usanza generale. Essi hanno allora il vantaggio di ricordare costantemente a tutti gli uomini la culla della loro credenza, come i Mussulmani pregano rivolgendosi verso la Mecca, come noi stessi ci riserbiamo in Cina un parlare latino, Sotto pretesto di universalità, ci si vorrebbe forse imporre, nel rito, un volapuk o un esperanto?

D. Vi è però qui una difficoltà.

R. Ed è quella di quel buon negro, che non capiva che gli si volesse imporre un Dio bianco.

D. Ma vi è ancora qualche altra cosa. Questa idea di sostanza che voi introducete nel dogma eucaristico, appartiene a una filosofia particolare, a un modo di pensare che non è quello di tutti gli uomini, sotto tutte le latitudini.

R. L’idea di sostanza non s’introduce in alcun modo nel dogma a titolo d’ingrediente filosofico, d’idea speciale per chicchessia, ma il titolo più corrente e comune a tutti. Tutto il mondo, praticamente distingue tra il pane e le apparenze del pane, tra il vino e le apparenze del vino. Devi ammettere che dopo la consacrazione non vi è più del pane e del vino altro che le apparenze, e che al posto, per una sostituzione totale — che si chiama transustanziazione, perché bisogna bene adoperar parole — vi è il corpo e il sangue di Cristo, ecco tutto quello che ti si domanda. Il resto è interpretazione, sistema, linguaggio, non più il dogma imposto alla fede.

D. In realtà, questa parola sostanza fu tolta da una filosofia.

R. È questa una questione di storia, non una questione di dogma. La Religione si vale delle parole di scuola come delle altre parole, ma senza infeudarsi alle scuole; non si tratta che di comodità di espressione, e tu non hai bisogno di sapere quello che Aristotile pensi della sostanza, per concepire esattissimamente il mistero dell’Eucaristia,

D. Come puoi tu credere davvero a una tale sostituzione di realtà tangibili, a un tale gioco di apparenze, in una parola, a una tale fantasmagoria?

R. Non vi è nessuna fantasmagoria; le apparenze, prima e dopo, sono perfettamente reali, della realtà che conviene alle apparenze; i nostri sensi non sono dunque ingannati; la nostra ragione, avvertita, non essendo parimenti ingannata, non vi è inganno di sorta. Vi è solo un miracolo.

D. Tutta una serie di miracoli, e dei meno credibili.

R. Scusa, caro incredulo, ma ecco l’idea di Pascal: « Come abomino queste sciocchezze, di non credere l’Eucaristia, ecc. Se il Vangelo è vero, se Gesù Cristo è Dio, che difficoltà vi è qui?».

D. Tuttavia dici tu stesso che Dio non può realizzare le contradittorie. E non è contradittorio che uno stesso corpo sia nello stesso tempo qui e là? Se è qui, non è là.

R. Potresti spiegarmi che cosa è qui e là, che cosa è realmente lo spazio, e quale relazione precisa mantiene l’essere allogato col suo luogo? Ignori tu che nessuno al mondo ha mai detto nulla qui di perentorio e che tutti possano ammettere? Ora come sai tu che Dio non può collocare una cosa in due luoghi, se non sai né che cosa è collocare, né che cosa è un luogo? Non ammetti anche tu che un corpo, se non può essere qui e là simultaneamente, può esserci successivamente? E puoi tu dire che cosa è successione, che cosa è simultaneità, nozioni che i nostri più sottili filosofi si sono recentemente arrovellati a definire senza riuscire a mettersi d’accordo? Del resto, noi non diciamo che il corpo eucaristico sia posto qui e là, ma diciamo che vi è presente, e ciò non è la stessa cosa. La presenza non utilizza necessariamente lo spazio, pur manifestandosi nello spazio. La presenza eucaristica è indefinibile per noi; essa ci dà a pensare che il Creatore della materia e dello spirito dà qui alla materia qualche cosa delle proprietà dello spirito. Ma che importano le nostre supposizioni o le nostre ignoranze? Per quanto misteriosa essa rimanga, ci basta che la presenza reale sia reale, perché noi ne abbiamo la consolazione e il benefizio.

D. Io non posso trattenermi dal pensare che l’abitudine ti accechi e non veda più quello che vi è di strano in espressioni come questa: « ricevere il buon Dio », o « dare il buon Dio ».

R. Queste espressioni sono per noi vere d’una verità letterale, e che non dev’essere attenuata. Ma forse l’accecamento non è dove si pensa, e forse qui un’altra « abitudine » si ha da denunziare. Quanto facilmente noi ci assuefacciamo alle cose quotidiane! Noi tracanniamo i misteri come acqua. Eppure, mangiando un frusto di pane ordinario, respirando il profumo d’un fiore, non siamo noi veramente e intimamente al contatto di Dio? Dio è da per tutto; Dio è in tutto. Se nell’Eucaristia egli è più che altrove, perché vi è più della sua azione, chi s’incaricherà di definire questo più, non potendo definire il meno, e chi pretenderà di obiettare a proposito di questo più, non avendo nessuna norma da proporre per distinguerlo dal meno, dunque per giudicare qui del possibile e dell’impossibile? « O presuntuoso »! ci direbbe sempre Pascal.

D. Finalmente, voi credete di possedere Dio?

R. Dio si fa possedere da noi come noi possediamo le cose, e assorbire nell’intimo della nostra carne mortale come noi mangiamo il pane.

D. È una bella confidenza nei suoi sentimenti!

R. I suoi sentimenti, come pure la sua potenza, ci furono mostrati nella sua creazione, nella sua redenzione, nella sua vita temporale, nella sua morte, e non spetta a noi di segnar loro dei limiti.

D. Non sarebbe sufficiente una bella commemorazione e un ricco simbolo? I protestanti se ne accontentano.

R. I protestanti si accontentano di troppo poco, e si permettono di dare delle lezioni al Vangelo. Spetta forse a noi d’interpretare secondo la nostra convenienza — che qui conviene così poco — delle parole solenni? Un simbolo, per quanto ricco sia, non è una realtà, né un pasto commemorativo, una presenza. La presenza reale di Cristo in mezzo a noi non può mancare di avere degli effetti che non produrrebbe affatto quello che il Grande Arnauld chiamava l’Assenza reale. Lì sta veramente, come dice Gerbert, il « dogma generatore della pietà cattolica » e la sorgente degli effetti di santità che io ti additavo.

D. Anche i simboli hanno effetto.

R. Noi lo riconosciamo e ce ne serviamo; è una parte dell’effetto sacramentale; ma a parità di disposizioni, potresti tu paragonare l’effetto d’una comunione cattolica, anzi d’una «visita al SS. Sacramento » fatta con la certezza d’una divina presenza, all’effetto d’una metafora e d’un pio ricordo? Noi siamo, anzitutto, esseri di sensibilità, e solo dopo siamo esseri d’immaginazione. Per raccogliere tutte le nostre forze in vista di un vantaggio spirituale così difficile e così necessario, quale invenzione meglio adatta e più evidentemente divina che questa! – «La Santa Ostia, per la quale l’uomo partecipa alla Divinità ed è obbligato a mostrarsene degno, mi sembra di una così inconcepibile bellezza, di una potenza così enorme, che stabilisce nello stesso tempo la superiorità del Cattolicismo e la sua ispirazione soprannaturale » (RENATO SOHWOB). Non senti tu quello che vi è di ammirabile e di ben degno di una religione dell’uomo, nel fare così di Dio un’intima e quotidiana realtà?

D. Questa realtà è troppo umana per un Dio.

R. Dal momento che si è dato all’umanità, il nostro Dio va sempre a fondo, e gli estremi dell’amore sono per Lui una specie di necessità, come lo sono per noi stessi. Chiunque ha amato intensamente lo comprende.

D. Dunque attribuisci l’Eucaristia all’amore?

R. Essa è la stravaganza dell’amore.

D. La stravaganza, in Dio?

R. La stravaganza è il mistero dell’amore. L’amore è il mistero di Dio. Tutto si compendia in queste semplici parole di S. Giovanni: Noi crediamo all’amore divino.