LO SCUDO DELLA FEDE (187)

A. D. SERTILLANGES, O. P.

CATECHISMO DEGLI INCREDULI (XXIV)

[Versione autoriz. Dal francese del P. S. G. Nivoli, O. P. – III ristampa. S. E. I. – Torino 1944]

LIBRO QUARTO

I SACRAMENTI

IV. — L’Eucaristia.

D. Hai detto che il sacramento centrale, sacramento per eccellenza, è l’Eucaristia?

R. Ne ho detto la ragione, ed è che esso ha per scopo la nostra nutrizione spirituale, e la nutrizione, per un vivente, non solo è la funzione più importante, ma in certo modo, anche la funzione unica. Una creazione organica non è che la nutrizione e la segmentazione di un germe; uno sviluppo è una nutrizione che prosegue; un funzionamento è una nutrizione che implica una disassimilazione consecutiva, che sprigiona della forza e l’adopera; la morte non sarà che una denutrizione non compensata, come ogni malattia, ogni indebolimento non è che una denutrizione parziale, o una nutrizione deviata, o ipertrofica.

D. Un tale raffronto tra la vita fisica e la vita spirituale è rigoroso?

E. Vi è solo una differenza, essenziale, è vero; ed è che la nutrizione fisica assorbe l’alimento nel nostro corpo; la nutrizione eucaristica fa il rovescio; essa incorpora noi a Cristo, per unirci a Dio. L’alimento è qui il più forte: alimento vivo, simile a una preda che divora il suo cacciatore, ma per portarlo a uno stato di vita a cui è bene salire, poiché noi non cresciamo e non possiamo definitivamente vivere se non a patto di riallacciarci al divino.

D. Dunque Eucaristia ha per te un effetto generale: la vita?

E. Sì, la vita, sia nel suo sostentamento, sia nella sua gioia, nel suo progresso, nella sua riparazione, nel suo compimento, fino alla vita eterna.

D. La nutrizione non impedisce la morte.

R. La nutrizione spirituale impedisce la morte, perché essa non disassimila niente, tranne il male; perché essa ci fa crescere incessantemente e ci spinge solo avanti, capace, con Dio, di vincere la morte a beneficio del corpo stesso. Io sono la risurrezione e la vita; colui che crede in me, quand’anche fosse morto, vivrà, e colui che vive e crede in me, non morrà in eterno.

D. Tu hai dato questo come l’effetto dell’incarnazione e della redenzione.

R. Per questo l’Eucaristia è una incarnazione e una redenzione continuate nello stesso tempo che figurate in simboli. In grazia della presenza reale, Gesù è lì, misteriosamente. Per lui, l’Essere degli esseri e l’Anima delle anime, lo Spirito Santo, si unisce a noi. L’opera della redenzione si realizza corpo a corpo, se posso dire così, ed è veramente questo, poiché il corpo di Cristo è qui lo strumento del suo Spirito per l’opera perpetua e per sé immortale di questo Spirito. Non vi è come condizione altro che l’espropriazione dell’io peccatore; vi lavora Lui stesso.

D. L’Eucaristia è dunque un rito individuale?

R. È un rito essenzialmente sociale, ma dove l’individuo ritrova se stesso, come una patria felice forma la felicità del buon cittadino.

D. Qual è l’aspetto sociale dell’Eucaristia?

R. È d’incorporarci a Cristo insieme, nel nome della carità, vincolo del gruppo, e di una carità non puramente sentimentale, ma organica.

D. L’effetto dell’Eucaristia sarebbe così la vostra società stessa!

R. È quello che dice S. Tommaso, perché l’effetto di questo sacramento è l’unità del corpo mistico di Cristo, cioè della Chiesa. – Toccando Dio, io tocco tutto l’universo umano; l’umile punto bianco è dovunque il centro.

D. Gli effetti individuali derivano di lì, o è l’opposto?

R. Dire che è l’opposto, sarebbe un essere protestanti. La Chiesa è prima. Non già perché degli individui si amano prima in Cristo, e poi si costituiscono in Chiesa; ma essi ubbidiscono alla legge di quest’organismo spirituale che è la legge dell’amore, appunto perché formano una Chiesa in Cristo. L’Eucaristia è una Comunione, e tu sai qual è per noi il largo senso di questa parola.

D. Il simbolismo del pane e del vino non indica questo.

R. Lo indica. Il pane è fatto della moltitudine dei grani che la farina mescola e il fuoco unisce; il vino, della moltitudine degli acini che il tino raccoglie e la cui fermentazione non forma più che una sola cosa. Ecco il simbolo dei Cristiani uniti a Cristo, fermento vivente della massa umana. Non siamo che un solo pane noi tutti che partecipiamo allo stesso pane e allo stesso calice (S. PAOLO). Aggiungi che l’idea del Banchetto eucaristico accentua questo simbolismo, liberandolo da ogni sottigliezza.

D. Tutto questo è solo relativo al presente. L’Eucaristia non è anch’essa e prima di tutto una commemorazione?

R. Relativamente al passato, l’Eucaristia è di fatto la commemorazione e, più ancora, il rinnovamento mistico della Passione del Salvatore e delle sue preparazioni universali, come si vede nella Messa. Appunto per questo si chiama un sacrifizio.

D. In che modo è un sacrifizio e nello stesso tempo un ricordo?

R. È un ricordo che si ripete, come in un giorno di anniversario si rinnova l’amore. È dunque un sacrifizio reale, benché puramente spirituale, spoglio di ogni apparato sanguinoso e ridotto alle realtà dell’anima. Cristo si offre lì di nuovo a suo Padre, e anche noi lo possiamo offrire. La redenzione, ti dicevo, ricomincia per ciascuno di noi, cioè raggiunge i suoi partecipanti e si applica nominatamente a ciascun’anima, come al gruppo attuale delle anime.

D. E si tratta anche dell’avvenire?

R. Relativamente all’avvenire, l’Eucaristia presagisce, prepara e anticipa l’unione definitiva degli eletti con Dio, per Cristo, nella Chiesa eterna. Sotto questo aspetto essa si chiama viatico, parola che si applica specialmente ai morenti, ma che vale per tutti.

D. In che modo presagisce?

R. Facendo venire incontro a noi, sulla via, Colui verso il quale noi camminiamo.

D. In che modo prepara?

R. Con grazie di buona vita, mezzo della beata vita eterna.

D. E in che modo anticipa?

R. Dando già a noi, benché sotto forma nascosta e inattesa, quel pane del cielo del quale siamo affamati senza saperlo, vale a dire Dio.

D. L’Eucaristia è così per te una specie di cielo?

R. In ogni luogo del mondo dove c’è un tabernacolo, e in ogni anima comunicante con disposizioni convenienti, vi è un cielo.

D. Vi sono tabernacoli e comunicanti da per tutto.

R. Dunque da per tutto vi è il cielo. La nostra terra è nel cielo. La nostra terra è un cielo. Con l’aurora, ininterrottamente, la nostra messa gira attorno al globo; essa lo desta al soprannaturale, lo rischiara, lo imbalsama, lo commuove, lo trascina dolcemente, ed è, spiritualmente, l’Eucaristia « che fa girare la terra» (LEONE BLOY).

D. Viviamo dunque tra le meraviglie?

R. Ma che meraviglie di accecamento ci nascondono.

D. Come mai un tale accecamento è possibile in credenti?

R. Noi siamo povere creature terrene, e il nostro attacco alla terra fangosa oppone il nostro spirito stesso a questa invasione del cielo.

D. Per lo meno i santi hanno il sentimento del mistero?

R. Il curato d’Ars disse: «Se si sapesse che cosa è la Messa, si morrebbe ».

D. Ma ancora, voi tutti, se avete la fede, potete qui restare calmi, e potete voi peccare, dopo il bacio tenero e puro della Comunione?

R. Ancora una volta, l’essere umano è un abisso d’incoscienza, di miseria, d’instabilità interiore, di oblio. La « distrazione » pascaliana e le insidie di questo mondo riescono a trionfare di una fragile fede.

D. Ecco; io ti ho lasciato dire; ma quante difficoltà arrestano la mente di fronte a tali invenzioni!

R. Sono invenzioni « divine », e che si cada in stupore davanti ad esse non dovrebbe essere che per riconoscenza e per ammirazione.

D. Questa invenzione « divina » non si trova più o meno in tutte le religioni, in cui l’unione al dio mediante un rito di manducazione è comune?

R. Fai bene a parlarne con precauzione; perché sono tali le differenze tra una religione e l’altra, e sono così fondamentali, tra tutte le altre e la Cattolica, che non si ha il diritto né di trovare qui una legge, né soprattutto di applicarla ai riti eucaristici.

D. Tuttavia, se questa legge esistesse

R. Si potrebbero costruire sopra di essa due ipotesi: o la legge ha giocato affatto da sola presso i primi Cristiani e ha fatto loro inventare l’Eucaristia; o questa legge, fondata in natura, è stata per questa ragione soprannaturalmente soddisfatta da Cristo che istituiva l’Eucaristia.

D. Chi dirà quello che è?

R. I testi e i fatti. I Vangeli sussistono, e fuori di essi nessuno può dire in quale momento e per chi l’Eucaristia sarebbe stata inventata. Ciò dovrebbe essere al più tardi vent’anni dopo la morte di Gesù; infatti fin da quel momento, in quel gruppo, si crede alla presenza reale. Questo gruppo è composto di Giudei, che provano tutte le pene e le difficoltà possibili distaccarsi dai riti mosaici, dalle credenze mosaiche: chi crederà che abbiano essi stessi, e così presto, operato una tale rivoluzione?

D. È una così grande rivoluzione?

R. È la fondazione di una religione nuova. Il Cristianesimo con o senza l’Eucaristia, come con o senza l’Incarnazione, non si riconosce più.

D. Il Cristianesimo cattolico è dunque per te essenzialmente eucaristico.

R. Così è veramente, poiché, come ti ho già detto, il frutto dell’Eucaristia è la stessa organizzazione cattolica.

D. Allora come va che la materia dell’Eucaristia non è punto cattolica, se cattolico vuol dire universale? Il pane e il vino sono prodotti mediterranei, ai quali si sostituiscono altrove, come alimento comune, il riso, le patate, le banane, la birra, il latte e l’acqua chiara.

R. Non hai tolto questa difficoltà da Paolo Valery?

D. Sì, e mi sembra seria.

R. Fortunatamente per lui, Paolo Valery disse cose più serie. Non bisogna forse che un rito, per quanto universale debba diventare, cominci in qualche parte, e sotto una certa forma? Se il Cristianesimo fosse nato nelle Indie, è probabile che la materia dell’Eucaristia sarebbe stata diversa, e sarebbe nondimeno il simbolo dell’alimento spirituale, scelta col medesimo spirito di semplicità, di volgarità, e nella sua doppia forma.

D. Essa non converrebbe maggiormente a tutto l’universo,

R. Perché? E come va che un tale ostacolo, di fatto, non è risentito in nessun luogo? Non si consacra forse nelle Indie, nella Cina, nella Lapponia, dovunque, con del pane e del vino? Si porta la mitra solamente in Persia o il pallio solamente a Bisanzio? Come Cristo fu Giudeo, ciò che non gl’impedisce di essere uomo universale, così il pane e il vino, simboli tolti dal paese d’origine del Cristianesimo, non ripugnano affatto a diventare, per l’uso religioso, usanza generale. Essi hanno allora il vantaggio di ricordare costantemente a tutti gli uomini la culla della loro credenza, come i Mussulmani pregano rivolgendosi verso la Mecca, come noi stessi ci riserbiamo in Cina un parlare latino, Sotto pretesto di universalità, ci si vorrebbe forse imporre, nel rito, un volapuk o un esperanto?

D. Vi è però qui una difficoltà.

R. Ed è quella di quel buon negro, che non capiva che gli si volesse imporre un Dio bianco.

D. Ma vi è ancora qualche altra cosa. Questa idea di sostanza che voi introducete nel dogma eucaristico, appartiene a una filosofia particolare, a un modo di pensare che non è quello di tutti gli uomini, sotto tutte le latitudini.

R. L’idea di sostanza non s’introduce in alcun modo nel dogma a titolo d’ingrediente filosofico, d’idea speciale per chicchessia, ma il titolo più corrente e comune a tutti. Tutto il mondo, praticamente distingue tra il pane e le apparenze del pane, tra il vino e le apparenze del vino. Devi ammettere che dopo la consacrazione non vi è più del pane e del vino altro che le apparenze, e che al posto, per una sostituzione totale — che si chiama transustanziazione, perché bisogna bene adoperar parole — vi è il corpo e il sangue di Cristo, ecco tutto quello che ti si domanda. Il resto è interpretazione, sistema, linguaggio, non più il dogma imposto alla fede.

D. In realtà, questa parola sostanza fu tolta da una filosofia.

R. È questa una questione di storia, non una questione di dogma. La Religione si vale delle parole di scuola come delle altre parole, ma senza infeudarsi alle scuole; non si tratta che di comodità di espressione, e tu non hai bisogno di sapere quello che Aristotile pensi della sostanza, per concepire esattissimamente il mistero dell’Eucaristia,

D. Come puoi tu credere davvero a una tale sostituzione di realtà tangibili, a un tale gioco di apparenze, in una parola, a una tale fantasmagoria?

R. Non vi è nessuna fantasmagoria; le apparenze, prima e dopo, sono perfettamente reali, della realtà che conviene alle apparenze; i nostri sensi non sono dunque ingannati; la nostra ragione, avvertita, non essendo parimenti ingannata, non vi è inganno di sorta. Vi è solo un miracolo.

D. Tutta una serie di miracoli, e dei meno credibili.

R. Scusa, caro incredulo, ma ecco l’idea di Pascal: « Come abomino queste sciocchezze, di non credere l’Eucaristia, ecc. Se il Vangelo è vero, se Gesù Cristo è Dio, che difficoltà vi è qui?».

D. Tuttavia dici tu stesso che Dio non può realizzare le contradittorie. E non è contradittorio che uno stesso corpo sia nello stesso tempo qui e là? Se è qui, non è là.

R. Potresti spiegarmi che cosa è qui e là, che cosa è realmente lo spazio, e quale relazione precisa mantiene l’essere allogato col suo luogo? Ignori tu che nessuno al mondo ha mai detto nulla qui di perentorio e che tutti possano ammettere? Ora come sai tu che Dio non può collocare una cosa in due luoghi, se non sai né che cosa è collocare, né che cosa è un luogo? Non ammetti anche tu che un corpo, se non può essere qui e là simultaneamente, può esserci successivamente? E puoi tu dire che cosa è successione, che cosa è simultaneità, nozioni che i nostri più sottili filosofi si sono recentemente arrovellati a definire senza riuscire a mettersi d’accordo? Del resto, noi non diciamo che il corpo eucaristico sia posto qui e là, ma diciamo che vi è presente, e ciò non è la stessa cosa. La presenza non utilizza necessariamente lo spazio, pur manifestandosi nello spazio. La presenza eucaristica è indefinibile per noi; essa ci dà a pensare che il Creatore della materia e dello spirito dà qui alla materia qualche cosa delle proprietà dello spirito. Ma che importano le nostre supposizioni o le nostre ignoranze? Per quanto misteriosa essa rimanga, ci basta che la presenza reale sia reale, perché noi ne abbiamo la consolazione e il benefizio.

D. Io non posso trattenermi dal pensare che l’abitudine ti accechi e non veda più quello che vi è di strano in espressioni come questa: « ricevere il buon Dio », o « dare il buon Dio ».

R. Queste espressioni sono per noi vere d’una verità letterale, e che non dev’essere attenuata. Ma forse l’accecamento non è dove si pensa, e forse qui un’altra « abitudine » si ha da denunziare. Quanto facilmente noi ci assuefacciamo alle cose quotidiane! Noi tracanniamo i misteri come acqua. Eppure, mangiando un frusto di pane ordinario, respirando il profumo d’un fiore, non siamo noi veramente e intimamente al contatto di Dio? Dio è da per tutto; Dio è in tutto. Se nell’Eucaristia egli è più che altrove, perché vi è più della sua azione, chi s’incaricherà di definire questo più, non potendo definire il meno, e chi pretenderà di obiettare a proposito di questo più, non avendo nessuna norma da proporre per distinguerlo dal meno, dunque per giudicare qui del possibile e dell’impossibile? « O presuntuoso »! ci direbbe sempre Pascal.

D. Finalmente, voi credete di possedere Dio?

R. Dio si fa possedere da noi come noi possediamo le cose, e assorbire nell’intimo della nostra carne mortale come noi mangiamo il pane.

D. È una bella confidenza nei suoi sentimenti!

R. I suoi sentimenti, come pure la sua potenza, ci furono mostrati nella sua creazione, nella sua redenzione, nella sua vita temporale, nella sua morte, e non spetta a noi di segnar loro dei limiti.

D. Non sarebbe sufficiente una bella commemorazione e un ricco simbolo? I protestanti se ne accontentano.

R. I protestanti si accontentano di troppo poco, e si permettono di dare delle lezioni al Vangelo. Spetta forse a noi d’interpretare secondo la nostra convenienza — che qui conviene così poco — delle parole solenni? Un simbolo, per quanto ricco sia, non è una realtà, né un pasto commemorativo, una presenza. La presenza reale di Cristo in mezzo a noi non può mancare di avere degli effetti che non produrrebbe affatto quello che il Grande Arnauld chiamava l’Assenza reale. Lì sta veramente, come dice Gerbert, il « dogma generatore della pietà cattolica » e la sorgente degli effetti di santità che io ti additavo.

D. Anche i simboli hanno effetto.

R. Noi lo riconosciamo e ce ne serviamo; è una parte dell’effetto sacramentale; ma a parità di disposizioni, potresti tu paragonare l’effetto d’una comunione cattolica, anzi d’una «visita al SS. Sacramento » fatta con la certezza d’una divina presenza, all’effetto d’una metafora e d’un pio ricordo? Noi siamo, anzitutto, esseri di sensibilità, e solo dopo siamo esseri d’immaginazione. Per raccogliere tutte le nostre forze in vista di un vantaggio spirituale così difficile e così necessario, quale invenzione meglio adatta e più evidentemente divina che questa! – «La Santa Ostia, per la quale l’uomo partecipa alla Divinità ed è obbligato a mostrarsene degno, mi sembra di una così inconcepibile bellezza, di una potenza così enorme, che stabilisce nello stesso tempo la superiorità del Cattolicismo e la sua ispirazione soprannaturale » (RENATO SOHWOB). Non senti tu quello che vi è di ammirabile e di ben degno di una religione dell’uomo, nel fare così di Dio un’intima e quotidiana realtà?

D. Questa realtà è troppo umana per un Dio.

R. Dal momento che si è dato all’umanità, il nostro Dio va sempre a fondo, e gli estremi dell’amore sono per Lui una specie di necessità, come lo sono per noi stessi. Chiunque ha amato intensamente lo comprende.

D. Dunque attribuisci l’Eucaristia all’amore?

R. Essa è la stravaganza dell’amore.

D. La stravaganza, in Dio?

R. La stravaganza è il mistero dell’amore. L’amore è il mistero di Dio. Tutto si compendia in queste semplici parole di S. Giovanni: Noi crediamo all’amore divino.

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.