LE VIRTÙ CRISTIANE (4)

LE VIRTÙ CRISTIANE (4)

S. E. ALFONSO CAPECELATRO

Card. Arcivescovo di Capua

Tipografia liturgica di S. Giovanni Desclée e Lefebre e. C. – Roma – Tournay

MDCCCXCVIII

PARTE Ia

LE VIRTÙ TEOLOGALI E LA VIRTÙ DELLA RELIGIONE

CAPO III.

LA VIRTÙ DELLA CARITÀ

L’amore dell’uomo verso Dio

Insieme con la speranza, e quasi sua gemella, nasce dalla fede anche la virtù teologale della carità, la quale supera di gran lunga in isplendore ed eccellenza le due precedenti. – Basterebbe a indicarlo il nome stesso di carità, col quale noi nominiamo anche l’Iddio nostro, secondo che è detto in san Giovanni: Dio è Carità. Per tal modo un medesimo nome, in noi, esprime una virtù dell’animo, e in Dio, la sua stessa essenza. Mille volte dunque sia benedetto questo nome divino, e pur umano di carità; il quale ha nella vita dell’universo dolcezza, possanza e sublimità grandissima, soprattutto Perché l’uomo lo prende da Dio, in cui non è né fede, né speranza, ma è carità eterna e infinita. – Or bene, per parlare meno indegnamente della virtù della carità, incominciamo dal levar gli occhi dell’intelletto in alto. E poiché la carità non solo si diffonde da Dio nelle anime nostre, come le altre virtù teologali; ma essa in Dio è Dio stesso, accostiamoci con le ginocchia della mente inchine al nostro Signore, eterna e infinita carità. Studiamo dapprima, secondo l’alta sapienza cattolica, che cosa è carità in Lui, o che il medesimo, che cosa è amore in quel primo ed eterno amore, e, a nostro modo d’intendere, primo ed eterno Sole, da cui l’amore, come raggio benefico, piove in tutto l’universo. Così ci tornerà assai più agevole di conoscere addentro la virtù teologale della carità, e di ammirarne la bellezza inenarrabile. In vero; se Dio intende e muove e prevede e provvede; se Egli è infinitamente e semplicissimamente buono, buono tanto, che tutte le cose, fuori di Lui, e le stesse intelligenze angeliche o umane si possono a comparazione di Lui chiamare cattive; è certo che in Dio sia perfettissimo e nobilissimo amore, e che anzi Egli sia infinito ed eterno Amore. Infatti l’amore è l’essenza di Dio; ed è inoltre la cagione dell’essere, della bontà e della perfezione di tutte le cose; di modo che, se l’amore di Dio non fosse, non sarebbe né perfezione, né bontà, né uomo, né angelo, né cosa nessuna in luogo veruno. Di tutti gli affetti umani due soli, senza più, si trovano in Dio; l’amore e il gaudio. I quali in lui non sono affetti, cioè accidenti, ma sustanza; perciocché ciò che è in Dio, è Dio, e conseguentemente sustanza. E come mai tutto il mondo spirituale e tutto il mondo corporale amerebbero essi, se Dio non amasse? Ogni altra cosa può Iddio, fuori solamente che non amare sé stesso, essendo in lui l’amante e l’amato un medesimo. Or questo amore, onde Iddio ama infinitamente sé stesso, i teologi lo chiamano naturale, non perché sia naturale, come è naturale alle altre cose umane dove non è elezione; ma perché tutto ciò che è in Dio vi è in modo così eminente ed eccellente e indiviso, che non si può né dichiarare con parole, né in alcuna maniera immaginare con la mente che sia diversamente da quel che è. – Questa è la sustanza dell’alta e profonda scienza cattolica intorno all’amore considerato in Dio, e ho detto amore, e avrei potuto pure dire carità. Perciocché le due parole di carità e di amore si usano l’una per l’altra nell’infinito nostro Padre, e assai spesso anche in noi, secondo che si vedrà nel seguito del discorso: con questa avvertenza però, che sempre che parliamo di Dio o delle virtù soprannaturali, i due nomi si usano parimenti senza difficoltà; ma non è il medesimo allorché ci accade di volgere il discorso all’amore nostro secondo natura. Il quale, anche che sia buono, non lo diciamo carità; perché carità nell’uomo è propriamente amore puro e procedente da soffio della divina grazia. Ora dall’amore guardato in Dio, discendiamo col pensiero all’amore che investe tutto l’universo, dandogli ordine, armonia e unità. Iddio, primo, eterno e infinito Amore, com’è detto, crea per amore libero tutto l’universo, e nell’universo, come in lucente specchio, effigia, in vario modo, e in maggiore o minor grado l’amor suo. Onde è giusto il pensare che, in certa guisa, e secondo la propria natura, il mondo materiale ami, il mondo animale ami, e ami in modo infinitamente superiore lo spirituale. Tutti questi amori, qualunque nome prendano, sono raggi del primo ed eterno Amore; ma nel mondo materiale il raggio divino è opaco e appena visibile; si vede un po’ più nel vegetale; e anche alquanto di più nel mondo animale. Nello spirituale poi, questo raggio divino che è uno splendore di luce vivissima, specchia ed effigia il primo ed eterno Amore, come la immagine finita può effigiare e specchiare il Vero, il Bello e il Buono infinito. Nell’amore libero in vero, e nella intelligenza che gli fa lume e lo guida, sta la ragione delle parole sublimi e amorose dette da Dio nella creazione dell’uomo: “Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza.” In vero, amore, preso nella sua più ampia significazione, è tendenza al bene. Però Iddio, volendo sapientemente creare il mondo per effigiare sé stesso, dette ai diversi ordini delle creature una naturale tendenza al bene, o che è il medesimo dette loro amore naturale; ma non in pari grado. Infatti, la natura materiale ama, seguendo inconsapevolmente la tendenza al suo bene relativo, datogli da Dio. Alla terra, per esempio, ha concesso di tendere al centro, e alla fiamma di tendere in alto. Ama in egual modo la natura vegetale, e anche meno imperfettamente, avendo quasi una certa elezione inconsapevole nel trovare il proprio bene piuttosto in un luogo, che in un altro; onde vediamo alcune piante stare e prosperare lungo le acque, altre sopra i gioghi delle montagne e altre nelle piagge e a piè dei monti. E ama altresì la natura vegetale in modo più chiaro per certi mutui attraimenti, che assomigliano agli attraimenti della natura animale; onde il Linneo descrisse, per ragione di somiglianza, gli amori, le nozze, i talami delle piante. Gli animali poi hanno più manifesta tendenza al bene, e più manifesto amore non solamente per tendenza ai luoghi, ma tra sé stessi, per attraimento scambievole dell’uno verso dell’altro, e verso la specie, e verso gli animali generati da loro, e anche verso le altre specie di animali. L’uomo poi, che contiene in sé un piccol mondo, con l’amore naturale ama molto e assai variamente in tutti modi, che s’è detto degli altri ordini di creature. Ama poi in un altro modo più perfetto; cioè ama, come la natura angelica, altresì con l’amore libero, che è il vero tesoro di tutta la sua vita, come ci accadrà di vedere tra poco. Intanto, è assai utile il notare che un nodo universale di amore unisce tra loro anche i diversi ordini delle creature, per modo, che la natura inferiore tende alla superiore, ed è quasi attratta ad essa; onde il perfezionamento suo sta nell’avvicinarsi alla natura più nobile. Così la perfezione della natura materiale è di avvicinarsi alla vegetale: nella vegetale sono più perfette quelle piante o fiori che assomigliano alla natura animale, e nella natura animale quegli animali che più si avvicinano all’uomo, benché la distanza, che corre tra questi due, è sempre incommensurabile. Come è bello dunque il vedere tutto l’universo esser congiunto armoniosamente per virtù d’amore! Come è soave il pensare che questo amore universale è veramente il cantico, sempre antico e sempre nuovo, che le creature cantano in ogni istante al loro Creatore! – Il dì che Iddio, per infinito amor suo, ci arricchì d’intelligenza, dette a noi e agli Angeli una tendenza naturale, o che è il medesimo un amore naturale a tutto ciò, che si presenta all’intelletto sotto l’aspetto di bene; e questa tendenza generica a tutto che è bene, o pare bene, è amore naturale necessario e immancabile nell’uomo; amore senza errore, cioè senza possibilità di errare. Ma non bastò questo all’infinito amore di Dio, per l’uomo, che forgiò a propria immagine e, somiglianza. Lo arricchì anche d’un’altra larga fonte di amore, e fu l’amore libero: amore, che a noi è bene supremo e tesoro inestimabile; bene e tesoro che sono la sorgente perenne della nostra libertà, e però di ogni nostra virtù. Ora cosiffatto amore, che è il principio della vita libera e morale, può errare, ed errando, genera il male per tre modi. Il primo è quando si ama il male, il quale si mostra sotto specie di bene; l’altro quando si ama il bene finito più che non si dovrebbe, e l’infinito meno del dovere; l’ultimo, quando non si conserva nell’amare l’ordine dovuto ai diversi beni degni d’amore: nei quali beni Iddio pose una gradazione ammirabile, conosciuta per lume dato al nostro intelletto, e molto più per lume supremo di rivelazione e di grazia. – Intanto l’amore libero dell’uomo, poiché è moto dell’animo verso il bene (anche se consideriamo l’uomo fuori del soprannaturale) si può volgere al Bene supremo e infinito che è Dio. Se col solo lume di natura l’uomo può avere una qualche cognizione pallida e imperfetta di Dio; come mai col suo amore libero, ei che ama i beni finiti con amore possente, non potrebbe fare altrettanto col Bene infinito? Nondimeno s’ha da notare che questo volo di amore libero verso Dio, senza ajuto di grazia soprannaturale, sia perché siamo finiti, e molto più perché siamo corrotti dal peccato d’origine, riesce un volo lento, mal sicuro, pieno di difficoltà, come vediamo accadere talvolta agli uccelletti appena usciti dal nido. I beni finiti con i loro attraimenti ci tirano a sé; le passioni ci volgono in basso; e gli uni e le altre ci tarpano le ali, che ci dovrebbero sospingere in alto verso il Cielo. Laonde, senza la infinita misericordia di Dio, la rivelazione e la redenzione, che hanno dato al nostro amore un ardore e un impeto soprannaturale verso il Bene supremo, e lo hanno trasformato in carità; il nostro amore a Dio sarebbe pallido e fiacco sempre. Risulterebbe piuttosto ombra d’amore, come vediamo accadere in quasi tutti coloro che vivono fuori della luce della divina rivelazione; i quali o non amano punto Iddio, o lo amano con un sentimento vago e incerto che si dilegua come nuvola alla più piccola folata di vento. – Ora dunque volgiamoci con l’animo riconoscente a quella carità di Dio che è stata diffusa nei nostri cuori, per mezzo dello Spirito Santo, che ci è stato dato; (Charitas Dei diffusa est in cordibus nostris per Spiritum Sanctum qui datus est nobis – Rom. V, 5). e con animo commosso scrutiamone il dolcissimo mistero. La carità di Dio è una virtù soprannaturale, che va definita così “Carità è virtù teologale, per la quale amiamo Dio e le sue infinite perfezioni sopra tutte le cose, e amiamo noi stessi e il prossimo per Dio.” (Vedi Theolog. Mor. Auctore Augustino LEHMKUHL, S. – J. – Tom. I, p. 198). La quale definizione, benché sia fatta oggi, dopo molti secoli di studj profondi, e di analisi e di sintesi di tutte le verità insegnate da Gesù Cristo, appena per qualche parola differisce da ciò che insegnò Gesù, allorché, interrogato da un giudeo, qual fosse il gran comandamento della legge, rispose: “Amerai il Signore Dio tuo, con tutto il tuo cuore, e con tutta l’anima tua, e con tutto il tuo spirito: questo è il massimo e il primo comandamento. Il secondo poi è simile a questo. Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti pende tutta la legge e i profeti.” (Matt. XXII. 35, e segg.). Intanto, per fare qualche riflessione intorno a questa regina delle virtù teologali che è la carità, in prima è mestieri considerare che, se l’amore consiste nella tendenza al bene, è al tutto secondo ragione che l’animo nostro si muova verso il Bene sommo, con la maggior tendenza di cui è capace, o che è lo stesso con amore relativamente sommo di che segue il comandamento divino dell’Evangelo essere in piena armonia con la nostra sana ragione. Ancora, se oltre a questo Bene sommo, ci hanno beni finiti e creati; è secondo ragione che questi altresì siano amati. E, poiché questi beni finiti e creati non stanno di per sé, ma sono derivati, e derivano dal primo Bene sommo ed eterno; chi non vede che essi s’hanno da amare congiuntamente col Bene sommo, e come derivanti da esso? Di qui segue altresì che l’amarli contro del Bene sommo riesce in errore e colpa grandissima; e l’amarli fuori di esso Bene sommo, o è errore e male relativamente leggero, o talvolta è soltanto un pericolo, che ci avvicina al male. Così si arriva facilmente da un sano concetto dell’amore alla profonda e nobilissima teorica del bene e del male, dataci dal Cristianesimo, e pienamente conforme alla ragione. Nondimeno ad alcuni amatori del mondo, affogati, come sono, nel pantano dei vizj, e delle passioni, e rimpiccioliti da beni meschini della terra, riesce assai difficile o quasi impossibile il pensare che l’uomo abbia tant’ala, da volgersi al sommo Bene, e amare con amore sommo ciò che è assolutamente impenetrabile e invisibile. Ma contro costoro è giusto considerare che il vedere con gli occhi del corpo il Bene, ce lo fa spesso amare di più; ma in effetti l’amore nostro nasce non dal vedere degli occhi, ma da un’altra visione assai superiore che è la visione dell’intelletto. Onde noi amiamo molte cose astratte e concrete che non si vedono, e anche talvolta le persone umane, senza che l’occhio corporeo le conosca punto. Chi invero direbbe che un buon figliuolo non possa stringersi di molto amore alla genitrice sua, quando anche, per caso, non la conosca con l’occhio del corpo, ma solo con l’occhio della mente, sapendo la bontà di lei, e l’affetto che gli porta, e i sacrifizj grandi che ha sostenuti e sostiene per lui? Lo stesso avviene in noi dell’amor di Dio. Che importa a noi di non vederlo con gli occhi del corpo, se lo vediamo, almeno opacamente, con l’occhio della mente, e questa visione ci è accresciuta e perfezionata di molto dalle fede? I figliuoli della Città del mondo affermano che sia impossibile amare Iddio, nascoso sotto il velo impenetrabile della sua gloria. Ma a me pare piuttosto che sia impossibile o quasi il non amarlo. Non lo vediamo e non lo conosciamo noi l’Iddio nostro in noi stessi, e in tutto l’universo? Non ci parlano forse di lui il cielo, il mare, i monti, i ruscelli, le piante, i fiori e gli animali? Non cantano le sue glorie i cieli dei cieli, le stelle, la luna, il sole? La verità, la bontà, la bellezza, dovunque la troviamo, non ci specchiano e non ci fanno conoscere Iddio? E poi tutt’i misteri della nostra fede non sono come tanti raggi di luce, che Iddio manda sopra di noi, e che c’inducono a meglio conoscerlo e a più amarlo? È dunque al tutto secondo ragione che il Bene sommo, ancorché invisibile e tanto grande, che noi ne abbiamo idea e cognizione qui in terra soltanto per ispecchio e in enimma, lo amiamo con amore sommo, ossia superiore a quello, onde amiamo i beni finiti e derivati da Lui; i quali, al paragone del Creatore eterno, sono poco più che immagine e parvenza di bene. – Se non che, a prima giunta, parrebbe che il fatto contradicesse ciò che si è detto dell’amore sommo, onde il buon Cristiano ama Iddio, anche tra le miserie della vita presente. Alla mente di alcuni si affaccia questa obiezione. Dove si trova mai l’uomo che ami Iddio con la tenerezza, con l’ardore, con l’impeto, e con l’entusiasmo, col quale si amano talvolta le creature? E si trova, sia pure tra i Santi, chi pianga la perdita che fa del sommo Bene per peccato grave, con lagrime tanto calde e profuse, quante sono le lagrime d’una buona madre, la quale ha perduto tutto il suo bene terreno, perdendo il figliuolo e non patisce consolazione alcuna? Sì, ciò è vero; ma non se ne può trarre nulla contro l’amor sommo che noi si deve a Dio, e che tanti e tanti milioni di uomini, anche tra le miserie dei nostri tempi, gli portano. Infatti l’amore, da noi portato a Dio in questa terra, come insegna san Tommaso, non è al tutto della medesima natura di quello, che portiamo alle creature. L’amore, che abbiamo a Dio, è principalmente un amore riverenziale, che nasce dalle infinite perfezioni del Signore, e dalle infinite bontà sue verso di noi. Nell’amore poi che nutriamo verso le creature, non manca la cognizione dei pregi e delle bontà delle creature; ma vi entra, per giunta, l’affetto. Ora è proprio dell’affetto umano, che esso si ecciti per i sensi, e per certi vincoli personali che la natura pone. Così accade che la perdita del sommo Bene, anche che sia sommamente amato, d’ordinario si sente assai meno della perdita di un bene terreno, nel quale all’amore estimativo si aggiunge l’amore affettivo e passionato, che manca all’altro. Le quali cose l’Angelico san Tommaso assomma in poche parole, dicendo che l’amore nostro a Dio deve esser sommo quanto alla preferenza e all’apprezzamento del sommo Bene, non però sommo quanto alla passione e all’affetto; appretiative, sed non affettive summus. – Ma scrutiamo ancora più addentro la natura della carità, ché è dolce il penetrare nelle doti più intime di essa. Secondo l’Angelico, la carità è perfetta da parte della creatura. quando essa ama tanto, quanto può. Ora è chiaro, che la creatura può profondersi nell’amore di Dio per tre modi diversi. Il primo è che tutto il suo cuore, in ogni proprio movimento, viva. E sia in Dio. Questa è perfezione di amore, che corrisponde alla vita della visione beatifica in Cielo, e che non è possibile nella vita terrena, nella quale l’uomo non può in ogni suo atto pensare a Dio, e vivere dell’amore di Lui. Un’altra perfezione di amore di minor grado si ha quando l’uomo pone tutto il suo studio nel volgersi a Dio e alle cose divine, messe da parte le cose umane, ad eccezione di quelle che la presente vita richiede. Questa maniera di perfezione di amore è possibile nella vita terrena; ma non può esser comune a tutti coloro che hanno carità. – L’ultima forma di carità si ha quando l’uomo abitualmente mette tutto il suo cuore in Dio, per modo che ei non pensi liberamente e non voglia mai cosa alcuna contraria al divino amore: e questa perfezione di carità è comune a tutti coloro che hanno carità. (S. Theol., 2, 2, q. 24, art. 8 etc.). Così dunque si conchiude rettamente che la carità nostra verso Dio è come una piramide, la quale ha una base, un punto medio, e una cima altissima. Alla base è la perfezione della carità comune, che si assomma in questo pensiero; mai niente contra Dio, o che è lo stesso contro la divina legge. Nel punto medio della piramide è la carità di pochi i quali, oltre a non volere far mai nulla contro Dio, aggiungono l’allontanamento o di cuore o di fatto dai beni umani, salvo i necessarj alla vita terrena; e questa è la perfezione dei Santi; una perfezione d’amore infocato, che diciamo eroismo d’amore, perciocché eroismo è quell’atto, che trascende la legge morale dei nostri doveri e ci leva in alto. A questa medesima perfezione di amore, o piuttosto a questo medesimo eroismo si votano particolarmente i religiosi, come al punto, cui debbono tendere. Alla cima della piramide la perfezione della nostra carità è un amore, il quale si riposa, si muove e s’infiamma tutto dell’Iddio pienamente posseduto con la visione e con la gloria. Per questo amore eterno del Paradiso ciascun beato, pensando alla sua vita terrena, potrà dire con linguaggio biblico: Le mie tenebre, o Signore, davanti alla tua faccia sono diventate come il mezzodì. Intanto per conchiudere questo dolcissimo e altissimo tema dell’amore di Dio, io trascrivo qui alcune stupende parole di sant’Agostino, con vivo desiderio che chi legge, le possa applicare a sé stesso, e ne tragga frutti di consolazione e di dolcezza: “Ciò che la coscienza, senz’alcun dubbio, o Signore, mi assicura, è che io ti amo. Tu mi colpisti il cuore con la tua parola, e subito ti amai. Ma e il cielo e la terra e tutte le cose che sono in essa, ecco che da ogni parte mi dicono che ti ami, né restano di dirlo a tutti gli uomini, “ acciò sieno inescusabili.” (Rom. I, 20). Ma la tua misericordia si fa sentire più addentro “in chi tu degni di far pietà, e cui ti piace far grazia;” (Rom. IX, 15), altrimenti il cielo e la terra narrano le tue lodi ai sordi. Che amo io dunque quando ti amo? Non già l’appariscenza in ordine ai corpi, non già l’armonia in ordine ai tempi, né il brillar di questa luce amica ai nostri occhi, non la soave melodia del canto, non la fragranza dei fiori e degli unguenti e degli aromi, né  la manna, né il miele, né gli amplessi della voluttà. Non amo, no, queste cose amando il mio Dio; e tuttavia amo certa luce, certa voce, certo odore, certo cibo, certo amplesso, allorché amo il mio Dio, luce, suono, cibo, amplesso all’interno mio senso; dove all’anima mia risplende ciò cui spazio non contiene, dove risuona ciò che il tempo non dilegua, dove olezza ciò che le aure non dissipano, dove si assapora ciò che l’edacità non iscema, e dove congiungesi ciò che la sazietà non ributta. Questo è che io amo, quando amo il mio Dio.” (Conf. Lib. X, cap. 6).