LE VIRTÙ CRISTIANE (5)
S. E. ALFONSO CAPECELATRO – Card. Arcivescovo di Capua
Tipografia liturgica di S. Giovanni Desclée e Lefebre e. C. – Roma – Tournay
MDCCCXCVIII
PARTE Ia
LE VIRTÙ TEOLOGALI E LA VIRTÙ DELLA RELIGIONE
CAPO IV.
LA VIRTÙ DELLA CARITÀ: L’amore del prossimo.
Nella virtù teologale della carità, secondo che ci venne fatto di definirla, vivono tre nostri nobilissimi amori; cioè l’amore di Dio, l’amore di noi stessi, e l’amore del prossimo: non ci vivono però allo stesso modo. Chi ha il prezioso tesoro della carità nell’anima, ama Iddio Bene sommo per sé medesimo, essendo esso di sua natura infinitamente amabile; ama poi sé e il prossimo, guardando sé e il prossimo in quel supremo e ottimo Bene, a cui si sente congiunto per creazione e per redenzione intimissimamente, e più che figliuolo non sia stato mai congiunto al padre o alla madre sua. Or questo amore, che lega l’anima in carità a Dio, a sé e al prossimo, benché si apra in tre amori; pure, risulta tanto stretto, che ciascuno dei tre non istà mai senza dell’altro; onde allorché se ne disnodi uno, gli altri due pure si sciolgono. In effetti non ci ha amore di carità verso Dio, che non sia in pari tempo amore buono di sé e del prossimo; né ci ha amore di carità a sé e al prossimo che non sia altresì amore di Dio. In somma la carità noi la possiamo rassomigliare al getto d’una fontana limpidissima, nella quale l’acqua dal basso zampilla in alto, e dall’alto ritorna in basso. Egualmente, per virtù soprannaturale di grazia, l’amore di carità, da noi che siamo in basso, zampilla verso Dio nell’alto, e poi da quell’altezza smisurata, a cui è giunta, ridiscende in noi stessi e nel prossimo. Indi risale e ridiscende sempre con non interrotta alternativa; e solo un atto malvagio del nostro libero arbitrio, rompendo l’amicizia dell’anima nostra con Dio, interrompe questo salire e discendere dell’amore dall’uomo, ricco di grazia, a Dio, e da Dio all’uomo. A questa unità dei tre amori, di cui s’è parlato, parrebbe contradire il fatto che sì nel Deuteronomio, sì nei santi Evangeli questi tre amori ci sono comandati non in un solo ma in due comandamenti: il primo che è dell’amore di Dio, e l’altro dell’amore di sè e del prossimo. Ma, come è detto nella Somma Teologica di san Tommaso, il secondo comandamento d’amore è compreso nel primo, al medesimo modo che le conseguenze d’un principio qualsiasi sono in esso principio comprese. Or, poiché non tutti gli uomini hanno tanto lume e vigore d’ intelletto, da vedere le conseguenze chiare nei principj loro; Iddio provvidissimo volle per i meno capaci distinguere l’unico precetto in due. (Sum. 2, 2 quæst. 44 art. 2 in corso.). Teniamo dunque bene a mente questa intima e perfetta unione dei tre amori; perciocchè essa è veramente il centro di tutta la sfera ampissima delle virtù cristiane, le quali non sono altro che irradiamento di questo amore uno o triplice, secondo che diversamente si considera. Dopo san Giovanni e san Paolo, pochi uomini compresero sì addentro il mistero dell’amore santo, come quel dottissimo e santo Vescovo d’Ippona Agostino, che, essendo stato prima amatore passionato del mondo, la divina grazia trasformò in amatore passionatissimo di Dio e del prossimo. Bello è sentirlo enfaticamente esclamare: “L’amore di Dio e l’amore del prossimo esso è etica, è logica, è fisica; esso è tutta la salute delle nazioni.?” (Epist.). Altra volta poi, infiammato com’era di accesa carità, scrisse: “Se tu, o uomo, ami con amore di carità, fa pure ciò che vuoi e farai bene… Studiati di tener dentro dell’anima tua ben abbarbicata la radice dell’amore buono; perciocchè da essa non germoglierà altro che bene.” (De laudibus charitatis), Laonde, quando il medesimo Santo, nel suo aureo Libro della Città di Dio, abbracciò in una sola occhiata tutto il genere umano, dalla creazione alla consumazione sua, e lo vide diviso in due grandi Città, l’una di Dio, e l’altra del mondo, una simboleggiata da Gerusalemme, e l’altra da Babilonia; allora con alta e ottima sapienza affermò che “queste due Città vivono di due amori; la prima dell’amore di Dio, la seconda di quell’amore inordinato di sé, che egli chiama amore del secolo, e che possiamo anche dire egoismo.” (Super Ps. 64).” Ancora, nella stessa Città di Dio aggiunge che “ogni creatura, essendo nella sustanza buona, può essere amata bene e male: bene, se la si ami secondo l’ordine suo, male se la si ami seguendo la perturbazione di questo ordine. ” (De Civit. Dei. L. XV). E ora, che abbiamo veduto dove nasca e dove si alimenti l’amore di carità verso noi stessi e il prossimo, volgiamoci un tratto a considerare in modo particolare il secondo comandamento di carità : “amerai il prossimo come te stesso.” Parlando del prossimo, parliamo anche di noi medesimi; perciocchè nessuno è tanto prossimo all’uomo, quanto ciascun uomo a se stesso. Che se vi ha qualche particolarità da indicare intorno all’amore di sé, ne faremo un cenno poi. L’amore del prossimo, che, dopo la promulgazione dell’Evangelo, fu più comunemente detto dilezione o carità fraterna, ha tante e sì nobili attinenze con Gesù Cristo, che chi non lo guarda e studia in Lui, mai non lo comprende appieno. È giusto anzi dire che si farebbe bene a studiarlo più spesso e più profondamente, di quel che non si faccia, in Gesù Cristo. Bellissimi sono pure gli esempj, che Gesù medesimo ce ne ha dati nei Santi suoi; ma, come questi, per le loro sembianze particolari e più umane, possono giovarci per un certo rispetto; il tipo divino della carità fraterna, che è Gesù Cristo, li comprende tutti nella sua universalità, e ha una bellezza e un’efficacia assai maggiore. In vero volgendo io umilmente e amorosamente la mente a Gesù Cristo, Maestro supremo della fraterna carità, ciò che mi colpisce più, e mi par più degno di nota, lo trovo nelle parole stesse, da lui adoperate nel darci cotesti precetti. “Il comandamento mio, Egli dice, è questo che vi amiate l’un l’altro, come Io ho amato voi. Un nuovo comandamento dò a voi che vi amiate anche voi l’un l’altro come io v’ho amati… Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avrete amore l’uno per l’altro. ” (Joan. XV, 13; XIII, 34 e 35). Son poche e brevi queste parole dell’Evangelo; ma da esse sfavilla una così soave e smagliante luce d’insegnamenti intorno alla carità fraterna, che né prima né poi se ne vide mai maggiore. Ponderiamo dunque bene le parole del Vangelo, e apriamo la mente alla luce bellissima che diffondono. – Dunque il comandamento della fraterna carità è comandamento di Gesù Cristo. Come mai questo, se la legge di natura è pur la legge antica questo comandamento lo conobbe, e lo promulgò? — È comandamento di Gesù Cristo, perché è il comandamento, che ei predilige sopra tutti gli altri — È comandamento nuovo. Come mai nuovo, se già era stato dato? E nuovo, perché quasi dimenticato dagli uomini, e perché doveva essere elevato a perfezione nuova. Ancora, questo comandamento della carità fraterna dobbiamo mirare, benché essa sia tanto alta, che il raggiungerla, è assolutamente impossibile. La misura è: amare gli uomini, come Gesù Cristo gli ha amati e gli ,ama. Infine la carità fraterna (e qui vedo la maggiore importanza della cosa) è il segno di riconoscimento dei credenti in Gesù Cristo e nella Chiesa sua; è il vessillo, o piuttosto è la pacifica orifiamma della milizia cristiana. Certo, nel nostro vessillo, o piuttosto nella nostra pacifica orifiamma, non manca la luce di nessuna virtù; ma l’oro e la fiamma che sfavillano visibilmente e principalmente nel vessillo cristiano sono (è bene tenerlo sempre a mente) oro e fiamma di carità fraterna. Di nessun altro comandamento, datoci da Gesù Cristo, si dicono cose simili a queste; e ciò non può stare che sia avvenuto senza profonde ragioni. Neppure dell’amore di Dio, che certo primeggia sull’amor fraterno, e che illumina e infiamma l’amore fraterno, Gesù disse parole somiglianti. Per quali ragioni mai? Le ragioni di questo, direi privilegio della carità fraterna possono esser molte. Io farò cenno di una sola, che la mente mi suggerisce, mentre che scrivo, e che mi pare ottima. Il primitivo intendimento di Dio nel creare l’uomo, e mettergli intorno l’universo, con tutte le sue inenarrabili bellezze, fu che l’uomo dovesse dal conoscimento di sé, dei suoi simili e delle altre creature salire al conoscimento di Dio, e, anche per giusta conseguenza, dall’ordinato amore di sé e delle creature salire all’amore di Dio. Cotesta dottrina è chiaramente insegnata da San Paolo in alcune parole « della sua Lettera ai Romani, le quali sono di questo tenore: “Ciò, che di Dio può conoscersi, è manifesto negli uomini (cioè nell’interno lume donato loro da Dio), e le invisibili cose di Dio, per le cose fatte comprendendosi, si veggono: per esse si vede anche l’eterna potenza e l’essere di Dio: onde siamo inescusabili se non lo conosciamo.” Parimenti, poiché in chi ha luce d’intelletto, il conoscimento è il principio dell’amore, ne segue che l’uomo doveva anche dall’amore di sé, dei simili e delle altre creature ascendere all’amore di Dio. Nel regno della gloria l’amor nostro ha un moto e un ordine inverso all’ordine e al moto della vita presente. Nel futuro regno della gloria, dall’amore di Dio, come da un’altissima cima, il cuor nostro discenderà all’amore delle creature; perciocché quel primo ed eterno Amore c’investirà pienamente e sarà fonte d’ogni altro amore. Nella vita presente però dall’amore delle creature che nella vita soprannaturale è ordinato e santificato dalla divina grazia, dobbiamo d’ordinario ascendere all’amore di Dio. Ora il peccato d’origine e gli altri peccati che seguirono, hanno onninamente turbato e capovolto quest’ordine L’amore di noi stessi, dei nostri simili e delle altre creature visibili, per effetto dell’orgoglio, dell’egoismo e delle cupidità, anzi che elevarci all’amore di Dio, ci allontanano da esso. Fu dunque ottimo e sapientissimo consiglio di Dio che la redenzione di Gesù Cristo (detta a ragione da san Paolo nuova creazione) rinnovasse, per mezzo d’ una santa carità fraterna (derivante dall’amore di Dio) l’ordine primitivo. Per tal modo quello stesso amore delle creature, che, avvelenato dalla colpa, per quattromila anni allontanò tutto il genere umano da Dio; quello stesso, santificato poi e nobilitato dalla carità di Gesù Cristo, diventò lo strumento più efficace per crescere la fiamma dell’amore buono nelle anime, e ravvicinare tutto l’universo a Dio. – Ma, che che sia di questa ragione, quello che ho detto privilegio della carità fraterna, si scorge altresì in tutta l’economia del Cristianesimo, e riesce sempre più evidente a chi guarda con intelletto d’amore lo stesso Gesù Cristo nella sua natura, nella sua vita, nei suoi prodigi, nei suoi insegnamenti. Gesù Cristo, eterno Verbo del Padre, Dio da Dio, e dal Padre eternamente generato, per amore degli uomini assume la natura umana, e si fa amico anzi fratello primogenito di tutti gli uomini. Per amore fraterno Egli vive trentatré anni tra gli uomini, bambino, fanciullo, adolescente, giovane; per amore fraterno paga il debito del peccato di tutti, e tutti redime dalla schiavitù del male. Inoltre, Gesù ama le anime di tutto il genere umano, illuminandole delle verità, che fanno ad esse conoscere l’eterna e incommutabile Bellezza. Per amore dei corpi nostri risana miracolosamente gli uomini o ciechi o mutoli o paralitici oppressi da febbre o storpj; per amore di essi li alimenta col miracolo dei pani, se famelici, o anche li risuscita, se morti. Le sue più soavi e belle parabole, come quelle del Samaritano, e del figliuol prodigo, sono, quasi direi, un cantico nuovo di amore fraterno. Quando la Maddalena gli unge i piedi con un unguento di nardo di spigo di gran pregio, e li asciuga con le trecce dei proprj capelli; Gesù prende occasione dal fatto per dire che la carità di lei sarà predicata a quanti conosceranno il Vangelo. Per inculcarci l’amore del prossimo egli, Maestro divino, lava i piedi ai suoi discepoli, e comanda che essi facciano il medesimo. Nel giudizio universale, che spesso ci vien dipinto con colori foschi e paurosi; Gesù fa comparire non la giustizia austera con le terribilità sue, ma la bella e soave figura della carità fraterna, dicendo che essa sarà il criterio principale del premio o della pena eterna. Infine il maggiore sforzo dell’amore era sembrato, sin allora agli uomini il morire per l’amico; e Gesù muore anche per i suoi nemici. Anzi, poiché tutti gli uomini fratelli di Gesù Cristo, per i loro peccati, erano nemici di Lui, in quanto era Dio; è necessario conchiudere che tutta la vita di Cristo non solo si consumò nell’amore fraterno, ma in un amore fraterno che fu in pari tempo amore dei nemici. – Benediciamo dunque il Signore, che fondò il Cristianesimo sulla pietra preziosa dell’amore fraterno, ci dette questo amore dolcissimo per vessillo della nostra santa milizia, e ci lasciò tali esempj di mutuo amore, che la mente umana si smarrisce nel pensarli, intanto che ne ritrae consolazioni ineffabili. Alla luce, fulgida più che oro, di questo amore fraterno, datoci da Gesù Cristo, non solo la filantropia, ma tutte le altre forme di amore umano impallidiscono, e appena pajono ombre d’amore. In vero questo amore fraterno, donatoci da Gesù Signore, poiché vive nell’amore di Dio, si appropria (quanto può creatura) le perfezioni dello stesso Iddio, in cui l’amore e l’essere sono un medesimo. In quella guisa che ogni raggio prende la luce dal sole; così avviene del nostro amore fraterno, che, mentre, a modo del sole, si diffonde su tutte le creature, viene in noi dal Creatore. Come Iddio è buono, possente e santo; così buono, possente e santo è il nostro amore fraterno; e dippiù, come Iddio è sapiente, previdente e provvidente; così il nostro amore è saggio e prevede e provvede ai bisogni del prossimo. Da quel seme di carità di Dio, che vive nella nostra carità fraterna e la abbellisce, e la feconda, procede che di questo amore, e di nessun altro si possa dire ciò che scrisse san Paolo nella sua prima ai Corinti. ‘Quando io parlassi, dice l’Apostolo, e dicono con lui tutti coloro che amano il prossimo in Dio; quando io parlassi le lingue degli uomini e degli Angeli, se non ho la carità, sono come un bronzo suonante o un cembalo squillante. E quando avessi dono di profezia, e intendessi tutt’i misteri, tutto lo scibile; e quando avessi tale una fede da traslocare le montagne, se non ho la carità sono un niente. E, quando distribuissi in nutrimento dei poveri tutte le mie facoltà, e quando sacrificassi il mio corpo a essere bruciato, se non ho la carità, a nulla mi giova. La carità è paziente, è benefica; la carità non è astiosa, non è insolente, non si gonfia; non è ambiziosa, non cerca il proprio interesse; non si muove ad ira, non pensa male; non gode dell’ingiustizia, ma fa suo godimento il godimento della verità; a tutto s’accomoda, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.” (I Cor. XIII, 1 e segg.). Se non che l’amore fraterno secondo Gesù Cristo, ha una dote sua propria, che lo distingue da tutti gli amori umani. Questi amori sono più o meno particolari; e l’amore fraterno di carità è universale; tanto universale, che effigia in certo modo l’immensità e l’onnipresenza di Dio. Cotesto nostro amore fraterno trasvola sul tempo, e su lo spazio; o piuttosto abbraccia tutta la distesa del tempo e dello spazio, sino a che peregriniamo su la terra, e poi vive e fiammeggia fuori del tempo e dello spazio nell’eterno regno di Dio. Noi Cristiani amiamo gli uomini di tutt’i tempi; sicché non ci ha uomo, da Adamo insino all’ultimo nato di donna, il quale non entri nella sfera della nostra carità. Ci sentiamo stretti in amore con gli uomini del passato; perché procediamo da essi, come il frutto dall’albero, e da essi avemmo tutto il tesoro del sapere e della civiltà presente, che accumularono per noi tra molti stenti, fatiche e dolori. Non furono forse i nostri avi, e gli avi dei nostri avi che edificarono i nosti tempj, abbellirono le nostre case, provvidero ai nostri bisogni, e ci apparecchiarono tanta messe di opere d’arte, d’industrie, di commerci, di ricchezze e di agi? — Amiamo gli uomini del nostro tempo, i quali sono doppiamente nostri fratelli, datici come amici e cooperatori nella vita che meniamo. Anche che questi fratelli, alcuni di essi, sieno malvagi, altri poveri d’ ingegno, altri superiori e altri inferiori a noi, essi, per ordinamento di Provvidenza, formano tutti, in vario modo, parte della nostra vita, e ci riescono benefici. Chi tra loro coltiva la terra la quale ci alimenta; chi c’insegna con la dottrina; chi ci arricchisce con l’industria; chi in modo più intimo partecipa alla vita nostra domestica e familiare. Anche i più malvagi tra loro, e, che ci sono o ci pajono nemici, senza volerlo, ci beneficano esercitando la nostra pazienza, stimolando il nostro zelo, distaccandoci dai desiderj e dalle opere vane della Città del mondo e dai piaceri del senso. — Con gli uomini infine dell’età ventura i nostri legami di carità fraterna pajono minori; perciocchè essi, i quali sono presenti al cospetto di Dio che è fuori di ogni tempo, per noi non sono ancora. Ma nondimeno, poiché la vita del genere umano è una catena di tanti anelli, che grado grado si annodano e poi si spezzano, e di tanti nuovi che si formano, e si uniscono tra loro; è indubitato che, come noi ci giovammo dell’opera delle età passate, gli uomini dei secoli avvenire si gioveranno dell’opera nostra. Or il Cristiano questo bene, che gli uomini dell’età ventura avranno, per mezzo di noi viventi nell’età presente, non solo lo prevede, ma lo desidera, e, quanto è da sé, lo procura; perciocché ei ben sa che non solo gli uomini del passato e del presente sono nostri fratelli, ma anche quelli dell’avvenire. Del rimanente si può forse pensare un sol uomo, dal primo Uomo Adamo che non nacque, sino all’ultimo che morrà nella consumazione dei secoli, che non sia creatura del nostro infinito Padre Iddio e plasmato, dirò così, dalle sue mani? Non risplende forse in ogni figliuolo dell’uomo l’immagine somigliantissima del suo Creatore? E l’uomo pagano, barbaro o giudeo non fu egli redento da Cristo, che in senso strettissimo morì per tutti? Dunque non v’ ha, né è giusto che esista mai un solo uomo, il quale non sia oggetto del nostro amore fraterno. Questo, che fu detto del tempo, vale molto più dello spazio. Se io amo l’uomo, che, in quanto uomo, cioè nella sua unione col corpo non esiste più; come mai non amerei colui che, è lontano da me, sia anche per centinaja e centinaja di miglia? Egli vive sotto diverso cielo, forse giace tra le tenebre, nella stessa ora, in cui io mi sento rallegrato dalla luce; ma non ha egli un corpo come è il corpo mio, non pensa come io penso, non ama come io amo, non desidera come io desidero? Qualunque sia l’uomo che vive lontano da me, o egli è un credente che vive tra i beni desideratissimi della civiltà cristiana; ed egli è mio fratello, anche per la fede, per l’amore di Dio e per l’aura benefica della civiltà cristiana, che respiriamo insieme: o è un pagano, un miscredente, uno schiavo, un barbaro, un selvaggio; e io lo amo egualmente: perché ho compassione del suo stato, e perché mi par amore nobile e santo ogni sforzo mio di giovargli in tutt’i modi, e di correre in ajuto del fratello perduto, se non fosse altro, col desiderio. – La perfezione poi che avrà questa fraterna carità, quando nell’eterno regno possederemo Iddio, è appena credibile. L’amore nostro alle creature si accenderà tutto nell’amore e nel possedimento di Dio; e noi, uniti in dolce amore alla perfettissima volontà di Dio, ci perderemo in essa come le acque nell’oceano. Però le creature le ameremo, com’Egli le ama, e anche, secondo che si dirà appresso, con quei vincoli particolari, ond’Egli stesso, Autore supremo della natura e della grazia, ci legò ad esse. – Ma consideriamo ora in un altro aspetto questo dolcissimo amore di carità fraterna; che, quando fosse bene inteso e largamente diffuso, basterebbe, anche solo, a sciogliere tanti e tanti problemi della vita morale e civile dei popoli. L’amore unisce nobilmente l’amante all’amato: l’intelletto all’intelletto, la volontà alla volontà, la persona alla persona. Però l’amore comunica all’amato il bene proprio, e tutto ciò, in cui l’amante trova una ragione di bene. Quindi segue che la carità fraterna, riconoscendo, come bene supremamente desiderabile, il Bene eterno e infinito, che è Iddio, si adopera principalmente nel dare Iddio all’amato, e con Dio la fede, la grazia, la carità di Lui. E, poiché tutti i beni umani sono, per vario ordine e gradazione, immagini del Bene supremo, e anche essi veri beni, giustamente desiderati e desiderabili, secondo l’ordine e la gradazione loro; l’amante del prossimo si sforza di comunicare allo stesso modo anche i beni finiti al prossimo amato. Laonde la carità fraterna, imitando Iddio eterno e infinito Amore, dona i beni spirituali e materiali, gli eterni e i temporali. Tutti questi beni furono un dono di Dio a noi; e tutti noi egualmente li doniamo ai nostri fratelli. Per effetto di questa fraterna carità che vive in Dio; chi ha dono di scienza, dà la scienza all’intelletto del prossimo amato; e chi ha dono di amore buono, dà amore buono alla volontà del prossimo; chi è ricco nell’anima, dà questa ricchezza all’amato, e chi è ricco dei beni di fortuna, egualmente li dona al prossimo suo. È un continuo donare l’ufficio della carità fraterna: a chi è infermo dà la sanità, a chi soffre, il balsamo della consolazione, a chi è famelico, il cibo, a chi è prigione, la libertà. In somma la carità, per la virtù diffusiva dell’amore, fa del fratello che ama, un altro sè stesso; e ciò che vuole per sé, ed ei lo vuole pel fratello, e ciò che dà a sé, lo dà parimenti al fratello suo. Talvolta la carità può giungere a così eccelsa perfezione, che chi arde della carità fraterna di Gesù Cristo, quasi non fa più distinzione tra sé e il suo fratello; gli pare di fare a sé ciò che fa a lui, e ama sé nel fratello, e il fratello in sé: tanta è la forza unitiva dell’amore, molto più quando sia amore diffuso nei nostri cuori dallo Spirito Santo. Ben è vero che tutto ciò non si compie, senza che all’amante manchi qualche cosa di quello che resterebbe in lui, se non amasse. Questo è propriamente ciò che diciamo sacrificio. Ma il Signore, avendoci dato naturale inchinamento ad amare, ha posto in quello che diciamo sacrifizio una certa spirituale dolcezza, la quale c’inclina a farlo; una dolcezza, che allora principalmente si sente, quando l’animo sia nobile e avvezzo ad amare, non secondo la carne e il sangue, ma secondo lo spirito e la carità del Signore. Questa carità fraterna, benché aspetti il suo premio nel regno eterno, pure ha ineffabili consolazioni anche qui in terra. Amore chiama amore; ed è vero dell’amore di carità, come di ogni altro qualsiasi amore, che nessuna cosa lo accende, lo infiamma e lo abbellisce tanto, quanto il sentirsi riamato. Di qui segue, che chi ama con amore di carità, poiché si sente riamato, prova in ciò un incentivo nuovo ad amare. Ben è vero che anche in questa forma d’amore di carità, che è tanto nobile e disinteressata, non mancano, per effetto dell’umana corruttela, le ingratitudini, ma le eccezioni e i casi particolari non hanno forza a distruggere ciò che è di per sé vero e secondo natura. Del rimanente poiché in questo amore fraterno di carità v’è Dio e il suo amore; le ingratitudini umane poco o punto ci tangono: anzi esse riescono spesso ad accendere nuovo amore negli uomini giusti, e molto più nei Santi; i quali, a poco a poco, nella creatura quasi non vedono altro che il Creatore. Le cose fin qui dette della carità fraterna, se io giudico rettamente, sono in piena armonia con quanto v’ha di più nobile e bello nella natura umana. Certo, nobile e bellissima cosa è l’amore, talmente naturato nella creatura intelligente, che, tra tutti gli uomini, non ve ne ha alcuno che non abbia amore. Questo amore, che tutti sentiamo in noi stessi, può, senza dubbio, scendere in basso, volgendosi a quelle cose, che sono inferiori all’uomo, e può restare nella stessa creatura amante. Ma può altresì, come fiamma viva e forte, spingersi in alto. E si spinge in alto, sempre che l’intelletto presenta all’uomo alte e nobili idealità, come beni, anzi come beni grandemente amabili; e d’altra parte l’uomo affisandosi in essi, liberamente li ama. Ora come mai l’amore si potrebbe spingere più in alto che in Dio, considerato primamente in sé stesso, come suprema Bontà e Bellezza, e poi nelle immagini sue più care che sono le creature intelligenti e amanti? Oltre a ciò, noi abbiamo tutti, come si dirà, un inchinamento irresistibile ad essere amati, anche con amore universale, e a questo inchinamento corrisponde il desiderio della lode e della gloria. Ebbene, se vogliamo in nostro benefizio l’amore universale, non è dunque al tutto giusto e consono alla natura che rendiamo agli altri quell’amore che vogliamo per noi stessi? Oltre di che la medesima nostra natura ci spinge per un altro modo ad amare tutti gli uomini. Alcuni degli uomini naturalmente siamo spinti ad amarli, perché da essi aspettiamo ciò che essi hanno e noi non abbiamo, o almeno non abbiamo nella stessa misura loro: dico, la scienza, la cultura, l’arte, le ricchezze, la virtù o altri beni somiglianti. Altri uomini, che ci pajono o sono poveri di tutto, li dovremmo amare per naturale sentimento di compassione, e di fraternità; un sentimento, che l’uomo, quando non è corrottissimo, non perde mai interamente; un sentimento, che o è o pare comune anche agli animali bruti, e tanto più, quanto essi sono meno imperfetti. Anche senza il dono della carità soprannaturale, ogni animo nobile e gentile sente compassione del prossimo o povero o infermo o ignorante o vizioso, e sente una voce dentro di sé che gli dice soccorrilo: è tuo fratello. Non dico per questo che l’amore, il quale non abbia altro fondamento che quello della natura, riesca molto efficace e operativo. Tutt’altro. Perciocchè, se v’ha una voce naturale di compassione e di fraternità, che spinge l’uomo ad amare il prossimo; ve ne ha un’altra assai più possente e forte di egoismo, la quale gli grida di continuo nell’animo: pensa a te stesso, ama te stesso, godi tu e i tuoi cari del bene che hai. — Il frutto dunque di questo amore naturale del prossimo è un frutto malaticcio, scarso e che dura appena un’ora e sparisce, Il fatto prova che non è neanche un milionesimo di quello, che ha prodotto e produce nel mondo la carità cattolica. Del rimanente è secondo l’ordine di Provvidenza che questo frutto dell’amore umano ci sia; ed anche è secondo l’ordine di Provvidenza che riesca sì povero e scarso. Ogni qualsiasi frutto dell’amore umano, con la sua esistenza, ci prova che la carità universale del prossimo è al tutto conforme alla nostra natura, la quale, anche corrotta, ha inchinamento all’amore universale, a scarsezza poi e povertà di questo frutto naturale, ci prova quanto sia nobile, bella e santa la carità di Gesù Cristo, che, elevandoci al soprannaturale, nobilita, santifica e moltiplica in infinito tutto il bene naturale che Iddio Creatore ci diede, e che noi, per nostra colpa, perdemmo in gran parte. Oh dolcissima carità fraterna, o gemma preziosissima donataci da Gesù Cristo, se io fossi riuscito a innamorare di te almeno qualcuno degli uomini, oh come mi riterrei veramente beato!