LE VIRTÙ CRISTIANE (2)
S. E. ALFONSO CAPECELATRO
Card. Arcivescovo di Capua
Tipografia liturgica di S. Giovanni – Desclée e Lefebre e. C.; Roma – Tournay
MDCCCXCVIII
PARTE Ia
LE VIRTÙ TEOLOGALI E LA VIRTÙ DELLA RELIGIONE
CAPO I.
LA VIRTÙ DELLA FEDE
Tre soavi e nobilissimi sentimenti dell’animo, la fede, la speranza e l’amore; l’uomo intelligente e libero li può volgere a Dio; e, quando li volge a Lui, si sente migliore, più consolato, più nobile e più grande. Or in noi Cattolici questi tre sentimenti, elevati a Dio per i meriti di Gesù Redentore, e per movimento della grazia dello Spirito Santo, diventano tre virtù soprannaturali. Per esse crediamo in Dio e nella divina rivelazione insegnataci dalla Chiesa, speriamo in Lui, e lo amiamo con carità ineffabile, amando altresì in Dio le creature sue. A quel modo poi che il discorso dottrinale intorno a Dio è grecamente detto Teologia; così questi tre moti dell’anima, o piuttosto queste tre virtù, fede, speranza e carità, le quali elevano le ali del nostro spirito a Dio, le diciamo virtù teologali. – E ora qui sul principio, il discorso nostro sarà della fede che è il fondamento di tutto l’edifizio delle cristiane virtù; il quale tanto più si eleva maestosamente in alto, quanto maggiore e più salda è la fede nostra. Però 1’Apostolo S. Paolo, che insegnò ogni giusto vivere di fede, parla di essa mirabilmente nella Lettera agli Ebrei, dove dice. “ La fede essere sustanza delle cose che si Sperano, e prova delle cose che non si vedono.” A intendere cotesto insegnamento, che non manca di sottigliezza, è da notare che la fede qui profondamente è detta sustanza, non come si direbbe dell’anima, che è sustanza spirituale, o del corpo che è sustanza materiale; ma in quanto che la fede fa sussistere nell’ intelletto umano le cose sperate con tanta certezza, come se fossero già realmente esistenti in noi. È poi la fede argomento delle cose non apparenti, in quanto che essa ci persuade a fermamente credere ciò che, secondo natura, non apparisce. Or di questa fede fa un elogio assai caloroso sant’Agostino dicendo: « Nessuna ricchezza, sia pure grandissima, nessun tesoro, nessun onore, niuna cosa del mondo s’ha da stimare più della fede cattolica. La quale salva i peccatori, illumina i ciechi, cura gl’infermi, battezza i catecumeni, giustifica i fedeli, perdona i penitenti, accresce il merito dei giusti, corona i martiri, conserva le vergini, le vedove e i maritati in casto pudore, ordina i chierici, consacra i sacerdoti, e fa arrivare i giusti con gli Angeli santi nell’eterno regno.” Or bene studiamo un po’ addentro cotesta fede, luce per i figliuoli di Dio, e tenebre per i figliuoli del mondo, tanto amata dagli uni, e tanto odiata dagli altri, da parecchi anche invano desiderata; cotesta fede che consola e turba, che è oggetto di tanta pace, e pure di tanta guerra tra gli uomini. Incominciamo dal definirla il più chiaramente che sia possibile. Fede è, secondo l’insegnamento cattolico, un atto soprannaturale, col quale l’uomo fermamente e pienamente assentisce a quelle cose, che La Chiesa propone come rivelate, e vi assentisce per effetto dell’autorità sommamente verace di Dio rivelante. — Tale è la fede teoricamente considerata. Ma noi Cattolici, che avemmo da Dio il dono della fede da bambini, insieme col latte materno, e ci sforzammo di custodirlo come tesoro prezioso, ne abbiamo altresì una conoscenza pratica nell’animo nostro. La sentiamo dolcemente nella nostra coscienza; e però ci torna gradito il considerarla un tratto, dentro di noi, dove è luce adombrata di mistero, ed è pur sentimento pieno d’allegrezza. Invero cotesta fede benedetta, mentre che noi la sentiamo come un soave acchetamento e appagamento dell’anima, ci riesce una risposta determinata e certa ai problemi più ardui e più travagliosi, che sin dai primi anni si affacciarono avanti agli occhi della nostra mente. Chi non ha inteso e non sente dentro di sé una voce misteriosa, ora più viva e ora meno, che gli susurra all’orecchio, dicendo: perché tanta guerra interiore dell’intelletto, del cuore, della fantasia, della coscienza, dell’anima, dei sensi in me? Donde siamo noi dunque? E perché siamo? Che è mai la vita? E a qual fine viviamo? Perché tanta grandezza e tanta miseria nello stesso uomo? Perché le malattie, la morte? Perché l’amore con le sue dolcezze, i suoi disinganni e le sue titubanze? Perché la speranza e il desiderio di viver sempre? A tutte queste e a molte altre somiglianti interrogazioni, che la mente, il cuore, la fantasia, la memoria fanno a sé stesse: la fede cattolica in prima dà risposte sicure e immutabili, perciocché noi crediamo fermissimamente che ci sieno date, non dall’uomo, ma da Dio, infinita Sapienza ed eterno Amore. E le risposte sono altresì tanto nobili e consolatrici, che anche gli uomini retti; a cui non risplende il lume della fede, spesso pensano che il credere in esse li renderebbe o meno infelici o forse anche felici. Pensando a queste cose, la mente umana scorge facilmente quanto sia falsa e menzognera l’illusione di coloro, che vogliono con la scienza supplire alla fede. La scienza a queste interrogazioni né risponde né potrà risponder mai, e ogniqualvolta lo tenta, s’impiglia in una tela inestricabile. La fede dunque, anche guardata umanamente, resterà salda, come torre ferma, che non crolla. – Giammai la cima per soffiar dei venti, insino a che non si trovino (ed è impossibile) altre risposte migliori, più consolatrici, e soprattutto più autorevoli alle interrogazioni, che l’uomo ha fatto e farà sempre a sé stesso. Intanto l’acchetamento e 1’appagamento della fede non ci addormentano, con un riposo inerte e agghiacciato della mente e del cuore, nella verità che tanto ci sublima; ma invece la stessa fede, che ci acqueta e ci dà le dolcezze del riposare nel vero, riesce a noi altresì un principio possente di moto, di calore e di operosità della mente, del cuore e della vita. Le verità della fede, ripensandole, amandole, studiandole, paragonandole con i principj razionali, con i nobili inchinamenti del cuore, e mettendole in armonia con tutte le cose create, eccitano in noi una così larga vena di pensieri, di affetti, di raziocinj, di analogie, che noi, per la fede, viviamo in una quiete operosissima e piena di vita, di calore e di moto. Nondimeno è impossibile che a coloro, i quali vivono nel nostro tempo, non arrivi spesso il suono molesto di parecchi, che muovono difficoltà d’ogni sorta, per toglierci dall’animo il nobile tesoro della fede. Gli avoli nostri questo suono poco o punto lo udivano, ché intorno a loro spirava da ogni parte un’aura di fede, la quale ora gli agghiacciati venti nemici hanno dispersa. Ma qual forza mai potrebbe impedire a noi di sentir questo suono, se esso ci percuote le orecchie tra le pareti domestiche, nelle vie, negli allegri convegni, nelle scuole, nelle università e dappertutto? – Ora la prima difficoltà, che si muove contro i dommi della fede, è che essi non derivano dalla ragione: sono dunque fantasmi o bei sogni di menti calde, o almeno non sono certi. Laonde l’uomo, particolarmente se colto e d’ingegno acuto, non deve accettarli. Ma in verità questa obiezione, che disgraziatamente ritrae parecchi uomini ciechi o passionati dal credere in Gesù Cristo e nella sua dottrina, procede solo da una certa nebbia intellettuale, che intorbidando le nostre idee, le confonde, e c’impiglia in una stretta rete di ambiguità e di errori. – In vero non è punto necessario per accettare ragionevolmente una verità, di vederne l’evidenza in sé stessa,o di dedurla per mezzo di raziocinj e di argomenti intrinseci. Vi ha ancora un altro modo da conoscere il vero, non meno sicuro e comune del primo; e chi lo nega questo modo, a parole, lo conferma con la propria vita ad ogni passo. – Certezza per noi non è altro, che convenienza sicura tra soggetto e attributo, e questa convenienza la si conosce per varj modi, i quali, a voler parlare esattamente, si riducono a due. L’uno è quando la nostra mente o vede tosto, o trae dall’idea del soggetto e dall’attributo argomenti evidenti, che dimostrino la loro convenienza: l’altro, quando la mente non trova convenienza o ripugnanza di sorta tra soggetto e attributo, ma cerca argomenti estrinseci per vederla, o meno. Il primo modo produce l’evidenza: e, quando poi, per via di raziocinj, dalla verità evidente, se ne deducono altre, si ha o la cognizione di altre verità certe o la scienza, Il secondo modo, allorché gli argomenti estrinseci sieno poderosi e certi, produce la fede umana. La quale, col raziocinio e con la dialettica, si sorregge e si estende, e da ciò deriva che anche nella fede umana entri la ragione, ma per un altro modo. Nel primo caso il giudizio nostro nasce da cognizione diretta o ragionata, che si ha della convenienza o ripugnanza di due cose: nell’altro da una cognizione indiretta ed estrinseca. Dell’uno e dell’altro modo noi si fa uso quotidianamente nel vivere; e, certo, più spesso del secondo, che del primo. Quasi sempre poi i due modi del conoscere, per il misterioso ed intimo connubio che è in noi, si armonizzano insieme: e la certezza della scienza s’illumina pure di qualche raggio di fede umana negl’intelletti, che la professano; come la certezza della fede umana si avvalora e si abbellisce d’una certa luce nel vedere le misteriose analogie tra la fede e la scienza. Né è giusto dire in alcun modo che l’una certezza sia maggiore dell’altra, sia perché nel certo non si trova il più o il meno, sia perché i due modi sono due raggi del medesimo eterno e infinito Sole di verità che è Dio. – Oltre a ciò è bene considerare e tener sempre a mente che i due modi del conoscere appartengono a due ordini diversi di cose da noi conosciute. E questa è bella manifestazione della divina sapienza, la quale ci ha dati, secondo le differenti nature delle cose, differenti modi di conoscerle. Se, poniamo, io affermo che il tutto è maggiore di ciascuna sua parte, e poi affermo altresì un teorema di matematica, il quale chiaramente si deduce da questo principio; in tali casi si ha una certezza che dicesi razionale e scientifica. Se invece, per virtù di testimonj, io affermo qualche verità di fatto, come per esempio, che ci fu una battaglia delle Termopili, o che esistette Giulio Cesare, o anche che oggigiorno, al settentrione delle Indie, sorgono altissimi i monti dell’Himalaya, da me non mai veduti; queste diverse affermazioni, benché certe, derivano in noi, non dai primi principj, o da raziocinio scientifico, ma dalla fede umana. Senza dubbio, una fede umana è questa, la quale è tanto secondo ragione, che chi volesse negare le verità delle cose dette, sol perché non sono intrinsecamente evidenti, o dedotte da argomenti scienziali, lo si giudicherebbe poco meno che folle. Accade ancora, e spesso, che le stesse verità scientifiche noi le conosciamo e le accettiamo per fede umana. Tutti, quanti siamo non affatto digiuni di una certa cultura, affermiamo che la terra, benché apparentemente immobile, giri intorno al sole. (Il Cardinale, evidentemente non credeva al dogma all’inerranza biblica che dichiara la terra stabile e ferma ed il sole che gira sopra la terra, potendosi addirittura fermare e retrocedere! – ndr -). E nondimeno, salvo un piccol numero di astronomi e pochi altri, i più non sono punto arrivati al conoscimento di siffatta verità per deduzioni scientifiche del proprio intelletto, ma perché cotesta verità o l’hanno udita dire o l’han letta in qualche libro autorevole. Anche dunque le verità scientifiche spessissimo noi le crediamo per la fede umana, che abbiam messa nei maestri i quali ce le insegnano. – Ora il passaggio dalla fede umana alla fede divina è di per sé al tutto logico e agevole. Ponete, invece del maestro umano, al quale credete nel dire che la terra gira intorno al sole, un Maestro divino, Gesù Cristo; invece della testimonianza umana, che vi accerta dei fatti storici o della esistenza di terre, di mari, di monti, che non avete veduti, la testimonianza infinitamente autorevolissima di Dio; e voi avrete facilmente compreso e dichiarato quel che avviene umanamente nel Cattolico, quando ci crede nelle cose insegnategli dalla Chiesa. Nella fede umana io credo alla scienza di uomini colti, se l’argomento è scientifico, ovvero credo alla asserzione autorevole di uomini probi, se si tratti di fatto storico o di cosa soggetta ai sensi. E nella fede divina io credo all’infinita sapienza e scienza dello stesso Iddio, Autore supremo dell’essere, della scienza, della sapienza e di me stesso. E poiché la parola di Dio, testimonio infallibile di verità, non mi può arrivare all’orecchio, come quella degli uomini; io la cerco e la trovo dove è veramente, e dove l’hanno cercata e trovata gli uomini di ogni tempo, come mi accadrà di dire poco più avanti. In che mai dunque questo procedere dell’intelletto o s’oppone alla ragione o non è anzi supremamente ragionevole? La sola domanda, pare a me, che un uomo di mente sana può muovere a sé stesso, è questa: Le verità e i fatti di religione, affermati dalla Chiesa cattolica, li ha veramente insegnati Iddio, sicchè sieno corroborati dalla sua autorità? Ci ha molti e molti milioni di uomini, i quali hanno risposto, e tuttora rispondono a questa interrogazione che è la più importante fatta mai al mondo: SÌ. L’affermazione loro dura da poco meno di due mila anni; resiste alle innumerevoli contraddizioni della scienza orgogliosa, e al torbido torrente delle umane passioni. È un affermazione non solo del popoli più o meno colti, civili e viventi sotto diverso cielo, ma ancora di molti principi dell’umano pensiero, di molti intelletti vigorosi e possenti, in paragone dei quali i nostri altezzosi miscredenti sono poco più che pigmei; è un’affermazione, che ha avuta e ha altresì un’efficacia grandissima nella vita intellettuale e civile della società; è un’affermazione infine, che ha arrecati, essa sola, tanti benefizj all’uomo, che i maggiori non si son veduti mai. Sarebbe dunque giusto, che l’uomo, senza ombra di studj e di riflessioni, rigettasse cotesta affermazione, quasi assurda, fantastica e assolutamente contro ragione? No, mille volte no. – L’esaminare profondamente se questa affermazione o piuttosto questa fede abbia prove, e quali, appartiene piuttosto all’apologetica o alla teologia dommatica. Nondimeno per chiarire alquanto il tema, è da por mente che, come i diversi rami e fiori e frutti d’un grande albero e annoso vivono e vegetano, prendono nutrimento e crescono nel ceppo loro, sicché in esso si riducono a unità; così avviene della religione cristiana. – Il Cristianesimo è tutto nel solo Gesù Cristo, Dio-Uomo, vivente tuttora nella sua Chiesa, e insegnante e governante per mezzo di essa. Le verità, onde il Cristianesimo si compone, sono, indubbiamente, molte, come son molti i rami, i fiori, i frutti di un bell’albero e vigoroso, ma il ceppo loro è sempre un solo: Gesù Cristo vivo e parlante nella Chiesa Cattolica, Sposa amatissima di lui, Sposa, come insegna la Bibbia, senza grinze e immacolata. Ora quali sono mai le prove, onde risulta vero questo fatto centrale di tutta la fede Gesù Cristo essere Dio-Uomo e vivente e parlante nella Chiesa Cattolica? O, che è il medesimo, quali sono le prove del Cristianesimo, secondo che è professato dalla Chiesa benedetta Madre nostra, che ci ha ripartoriti alla vita nuova dell’eterna salute? Sono moltissime e di una indiscutibile gravità. Chi le volesse indicare ampiamente, ed ei dovrebbe scrivere chi sa quanti libri, i quali per verità non mancano: anzi ce ne furono e ce ne ha molti e di vario genere, in tutti i secoli della Chiesa. Al mio proposito basta però di farne un cenno fugace sì per meglio dichiarare che il nostro ossequio alla fede è ragionevole, sì per riposarci sempre più soavemente nelle ineffabili consolazioni che essa ci dona. E in prima qual è mai il genere di prove possibili quando si tratta del Cristianesimo? Forse le prove dirette, intrinseche e dedotte, come si hanno in un certo ordine di cognizioni scientifiche, quali sarebbero per esempio, quelle delle matematiche e della metafisica? Assolutamente no. Il Cristianesimo è un fatto storico; onde scaturiscono verità misteriose e insieme illuminatrici, che trascendono i nostri criterj, la nostra luce intellettuale e la nostra capacità; ma è sempre innanzi tutto un fatto storico. Come mai la prova di esso potrebbe scaturire da argomenti intrinseci? Forse che i fatti si provano così? E ancora, forse che le verità, le quali: superano il nostro intelletto e la nostra ragione, si potrebbero mai dedurre dal nostro intelletto e dalla nostra ragione? Chi pretenderebbe mai da un fanciullo ch’ei comprendesse gli ardui problemi dell’algebra e della trigonometria? E noi uomini, anche se ricchissimi di luce intellettuale, che altro siamo se non fanciulli, anzi bambini poppanti, al cospetto dell’infinito intelletto e dell’infinita Ragione di Dio? – Tutto il Cristianesimo, come è detto, si assomma in Gesù Cristo Dio e Uomo, vissuto prima trentatré anni nella Palestina a modo degli altri uomini, e vivente ora nella Chiesa trionfante e nella militante, come capo, e maestro, e vita, e anima, e amore ineffabile dell’uno e dell’altro regno. Ben provato questo fatto, tutte le verità dommatiche e morali, o che è il medesimo tutta la nostra fede resta provata con quel genere di prove indirette ed estrinseche, onde qualsiasi fede è capace. È le prove estrinseche e indirette di questa, dolcissima fede, che tanto ci sublima, sono moltissime. Ma soprattutto si ha da por mente che la maggiore loro efficacia si desume non tanto da ciascuna di esse, presa di per sé, quanto dall’armonia e dall’unione di tutte. Avviene delle prove estrinseche della fede quel medesimo, che accade di molti strumenti musicali, i quali suonino insieme. Il suono di ciascuno strumento, preso di per sé, diletta soavemente le orecchie ed è gradito; ma nessuno può dire quanta dolcezza invade l’anima allorchè suonino tutti insieme, con armonie e melodie trovate da un geniale e valente musicista. – Tra le principali prove esterne della fede va avanti a tutte la storia ammirabile del popolo di Israele sino a Cristo; la quale, illuminata dalle due luci dell’Unità di Dio e dell’aspettazione del Messia, abbellita da molti personaggi di santità e sapienza rara, guidata da un Libro, che per tanti rispetti si rivela divino, riesce essa stessa un proemio e una prova ammirabile del Cristianesimo. Seguono poi, come prove dateci dal Signore di secolo in secolo, le profezie, che anticipatamente palesarono Cristo e la sua mirabile vita; tutte pienamente verificate. Viene di seguito la chiara affermazione, che Cristo fece della propria divinità, efficacemente dimostrata da molti miracoli d’ una evidenza, d’una semplicità, d’una bellezza morale inarrivabile: Ancora, le varie prove sono accresciute ed arricchite, come un tempio da una cupola d’ oro, sì dalla storia stupenda della età apostolica, anche essa abbellita da molti portenti, sì dalla prodigiosa diffusione del Cristianesimo. La quale diffusione, come notò sottilmente l’Alighieri con sant’Agostino, o avvenne per effetto di molti miracoli, e dunque fu divina; o avvenne senza miracoli di sorta, e allora essa stessa fu un miracolo maggiore di tutti.
Se il mondo si rivolse al Cristianesmo.
Diss’io, senza miracoli, quest’uno
È tal, che gli altri non sono il centesmo!
Oltre a ciò anche bella e convincente prova del Cristianesimo sono i milioni di martiri che lo testimoniarono col testimonio del sangue. Anche il martirio cristiano l’umano intelletto non vale a spiegarlo senza miracolo, particolarmente se si guardi alla cagione, per la quale i martiri morivano, ai tormenti che soffrivano, all’infamia che spesso ne derivava loro, e al numero, all’età, alle condizioni differentissime dei volontariamente e lietamente pazienti. – Del rimanente tutte le prove addotte sin qui, ben si assommano nella prova del miracolo, considerato in diverse forme. Però la miscredenza già da secoli si sforza a tutto potere di battere in breccia la prova dei miracoli, senza che abbia fatto un sol passo avanti nell’assalto. Dopo tanta luce di scienza, oggi si oppugnano i miracoli proprio come lo si faceva ai tempi di Giuliano Apostata. I miscredenti gridano tutti a più non posso contro i miracoli; e le grida loro, per quanto diverse, son sempre queste medesime. Un coro d’increduli grida, il miracolo è impossibile: un altro coro grida, no, è possibile, ma nessun miracolo è provato: l’ultimo coro infine dice, il miracolo è possibile, si può ben provare, ma non è parola di Dio e testimonio di verità. Queste furono le grida delle età passate; queste ci suonano all’orecchio nell’età presente; e queste, si può metter pegno, che saranno le grida dell’età ventura. Sono tre affermazioni, che l’una contradice all’altra; e non hanno ombra di prove gravi. Gli stessi razionalisti spregiudicati convengono di ciò. E d’altra parte il fatto costante è che il genere umano, e la coscienza di ciascun uomo retto hanno accettato e accettano sempre i miracoli, corredati da prove gravi e molteplici, come testimonio indubitabile di verità. – Intorno al valore della prova dei miracolo, la cosa è stata sottilmente e ampiamente discussa da san Tommaso e da altri; ma poiché io non scrivo un libro polemico, mi basterà di accennare quale sia, secondo il Cattolicismo, il significato del miracolo nell’ordine generale della Provvidenza. Nell’ universo sono assolutamente immutabili le leggi del pensiero e di tutte quelle verità assolute, che si hanno da considerare come un raggio della divina natura. Sono anche immutabili, ma assai diversamente, le leggi del mondo creato, le quali, poiché non son punto necessarie, ma date da Dio, dipendono dal libero volere di lui e ad esso obbediscono. Però Iddio, volendo sapientissimamente far servire il mondo fisico al mondo religioso e morale, decretò, prima e fuori d’ogni tempo, insieme con le leggi naturali, alcune sospensioni di esse, dette miracoli. Le decretò; e, poiché egli solo le può produrre, volle che fossero la parola, onde ei parla di sé, dei suoi misteri e dell’eterna salute degli uomini. Or tutti questi miracoli da Adamo a Cristo, e da Cristo all’ultimo Santo, che opererà prodigi, e Cristo stesso miracolo dei miracoli, sono il centro luminoso e fiammeggiante, che, illuminando l’ampia sfera delle verità religiose, le rende credibili e indirettamente le prova tutte. – Intanto un’altra prova ben poderosa della nostra fede cattolica, una prova che splende dirò così di luce interiore, è quella che si desume da un esame attento, profondo e meditativo delle sue dottrine e dalla loro piena armonia con quanto vi ha di grande, di nobile, di vero, di consolante nella natura umana. Chi volge una rapida occhiata a tutte le dottrine del Cristianesimo, d’un tratto ei s’avvede che esse, altre sono dommatiche e altre morali. Nella parte dommatica della nostra fede, vi ha alcuni misteri, che trascendono la nostra intelligenza, e non se ne ha cognizione, né se ne potrebbe avere, neppure dagli intelletti più alti, senza la rivelazione. Questi misteri da noi non si comprendono appieno, ma il non comprenderli non c’impedisce d’averne una notizia bastevole, per farci scoprire in essi tesori di carità, di bontà, di bellezza, di sapienza infinita. Tali sono, per esempio, i misteri profondi e pur dolcissimi dell’Incarnazione e del Sacramento e Sacrifizio eucaristico. L’uomo, quanto più li pensi e li mediti questi misteri, tanto più ci trova amore, e sempre amore, e sempre forme, sacrifizj ed entusiasmi di amore nuovo e inenarrabile. Altre verità, come la esistenza e l’unità di Dio, benché anche esse molto alte e nobili, non sono tali, che non si possano raggiungere con la ragione, come è accaduto in parte dei filosofi pagani e poi molto più dei Cristiani. Anche queste verità accertate, chiarite, determinate e raffermate dal Cristianesimo, sono di una tale nobiltà e perfezione, che la maggiore non si può neanche pensare. – Le verità dommatiche dunque della nostra fede, considerate in sé stesse e intrinsecamente; non solo negli animi retti non riescono intoppo al credere, ma anzi lo agevolano. – Che dire poi della parte morale del Cristianesimo? Essa risplende di tanta luce di bellezza, di nobiltà e di purezza, è tanto profondamente consolatrice e adatta a tutti i bisogni dell’anima umana, che la miglior prova della morale cristiana è la morale cristiana essa stessa. Come mai avviene questo? Pel modo che ora sono per dirvi. Noi sentiamo tutti nelle misteriose profondità della nostra coscienza una legge morale e imperativa; ma la sentiamo spesso tentennante, incerta, e, perché combattuta dalle passioni, non abbastanza chiara e autorevole, da mantenere la sua signoria sopra tutto l’uomo. Questa legge che ci parla nella coscienza, rassomiglia a una voce esile, la quale, quando è coperta dallo strepito delle passioni, poco o punto si sente. Ebbene la legge morale cristiana, penetrando nella nostra coscienza, a volte assonnata, a volte confusa, a volte tentennante e a volte turbata, la sveglia, la illumina, la rinvigorisce; la eccita con divina autorità, e infine la infiamma per modo, che, tra la morale venutaci di fuori per divina rivelazione, e quella scritta di dentro nella nostra coscienza, si vede e si sente un’armonia piena e bellissima. Allora la morale naturale prova la rivelata, e questa quella; di che tutte due specchiandosi l’una nell’altra, si provano, s’illuminano e si avvalorano insieme. Inchinati, come siamo, al bello, al nobile, al santo, e a tutto ciò che consola lo spirito inquieto; la bellezza, la nobiltà, la santità e l’efficacia consolatrice della morale cristiana ce la provano vera. E poiché le verità morali e le dommatiche sono nel Cristianesimo, come due corde della medesima lira, le quali, toccate da una mano esperta, rendono un medesimo e dolcissimo suono; ne segue che le verità della morale cristiana, più facili a conoscersi e a gustarsi dagli animi nobili e puri, riescano ai credenti una prova poderosa e convincentissima della verità anche della parte dommatica, e però di tutta la fede nostra. – In tutte le cose dette fin qui si assommano le prove del Cristianesimo, e però i motivi della nostra fede. Ma, in quella guisa che, da un sommario conciso e brevissimo d’un libro appena si ha un’idea incompleta del libro stesso; così si ha da dire della fede. Chi ne vuol conoscere addentro le prove, e anche le bellezze, ed egli studii e studii sempre, preghi e preghi molto, e si sentirà irradiato da una luce sempre più viva. Nondimeno alle prove, che abbiamo sin qui addotte, intorno alla fede nostra, si suole opporre che la verità, quando sia corroborata di prove sufficienti, gli uomini la accettano di pari consentimento tutti. Come mai dunque accade il contrario della nostra fede cattolica? Quanti anzi in tutte le età, conosciuta e abbracciata la fede, la ripudiarono? E oggi, più che mai, perché questo torrente del miscredere preme così fortemente anche gli animi dei battezzati? A questa obiezione vi ha una risposta data dall’altissimo e nobilissimo intelletto del Leibnitz; la quale, anche sola, basterebbe a persuadere e ad acchetare gli uomini di mente sana. Supponete, ei dice, che le verità delle matematiche avessero contro di loro tante passioni, quanto ne hanno le verità di religione e di morale; e io credo che si dubiterebbe di quelle assai più di quel che non si dubita di queste. Invero, anche che si tratti di quelle verità morali, le quali splendono di tanta luce nella coscienza dei buoni; dimmi, tu che leggi, quale uomo, per esempio, che prenda diletto dell’inebriarsi, avrà mai intelletto così sereno e lucente, da conoscere quanto grave sia l’ebrietà? Sino gli adulteri o i ladri o gli omicidi trovano ragioni apparenti per negare che questi tre gravissimi mali siano veramente mali. Io ho poi notato, durante la mia vita sacerdotale ed episcopale, che i figliuoli della Città del mondo accettano di buon grado tutte quelle parti della morale cristiana, che da essi non è violata, e non è violata il più delle volte, perché non ne hanno bisogno né desiderio. Per lo contrario, i medesimi uomini negano o rimpiccioliscono tutte quelle verità, la cui violazione torna ad essi o in diletto o in utilità. Oggidì anzi evvi pure una scuola di superbi sofisti, la quale vuole dimostrare, a suo modo, che le idee del bene e del male sieno affatto soggettive. Grandissimo accecamento dell’intelletto è indubbiamente questo! Ma esso stesso riesce a provare ciò che sin qui è detto delle umane passioni, e che l’Alighieri insegna nella Monarchia, sentenziando così: “La cupidità è essa sola la corruttrice dei nostri giudizi” (Monarch. l. 13.). Or questo, che vale per la morale naturale, vale molto più nelle verità dommatiche e morali della nostra fede. Contro al domma sorge battagliero l’accecamento dell’orgoglio: contro la morale quello dell’orgoglio, dell’egoismo e di tutte le altre turpitudini, che essa combatte. A ciò si aggiunga che, mentre le prove di molte verità naturali ci cadono sott’occhio di per sé, o con una grandissima facilità; quelle della fede cattolica è mestieri che la mente nostra le cerchi, le studi più o meno profondamente, le mediti con animo sereno e riposato. È poi nessun’altra verità al mondo è stata sin dai primordj, e soprattutto ai nostri giorni, combattuta quanto la fede cristiana. Di qui segue che i credenti siamo come viaggiatori, messi in una via, nella quale ad ogni passo noi si incontra un intoppo, uno sterpo, un precipizio, e talvolta un torrente, che o ci rallenta, o c’impedisce il cammino. Il quale cammino, del rimanente, riesce anche difficile, perché agli impedimenti esteriori, che ci vengono dai cattivi libri spesso dotti e pieni di attraimenti, dalle scuole, dalle conversazioni, dai giornali, e oggidì dall’aria malefica che ci spira intorno, si aggiungono gl’impedimenti che nascono dentro di noi stessi. Dentro di noi, chi nol sa, anzi chi nol sente, sono due leggi, pugnanti l’una contro dell’altra, o piuttosto due uomini, l’uno carnale e che piega verso il senso, l’altro spirituale, che eleva le ali dell’intelligenza e dell’amore ai beni Spirituali, e aspira all’eterno e all’infinito. È dunque naturale che l’uomo carnale in noi oscuri la verità della fede nostra, e prenda tutte le occasioni per impicciolirla, per combatterla e per rubarcela dal cuore. – Nonpertanto questa fede cattolica vive e resiste nelle anime di moltissimi: e ciò perché alla luce e alla forza derivanti in noi dai motivi e prove, che ce la fanno credibile, si aggiunge una luce e una forza interiore assai più vivace, penetrante e calda, che si chiama grazia. Questa luce celestiale e soavissima della grazia, che è il principio vero e sustanziale della nostra fede, si sposa dolcemente in misterioso nodo con le prove umane delle verità di religione, e produce quel convincimento certissimo e fermo, quel riposo dell’anima nella verità soprannaturale insegnataci dalla Chiesa, il quale è detto fede. Né s’ha da credere che nell’uomo semplice e indotto, poniamo nel villico, che conduce gli armenti e faticosamente coltiva la terra, e nell’operajo, tutto intento al lavoro di mano, la fede sussista solo per effetto di grazia, o per consuetudine, senza che il suo intelletto grossolano e incolto cerchi e trovi qualche motivo della sua credibilità. Una delle maggiori perfezioni del Cattolicismo è appunto questa, che esso si attagli benissimo ai più alti e nobili intelletti, come ai più semplici e piccoli. Però la fede cattolica ha una certa luce, che assai variamente e in diverso grado, sfavilla agli occhi degli uni e degli altri, sempre che gli uni e gli altri, avendo ascoltata la Buona Novella di Gesù Cristo, non servano al peccato ma a Dio, e non siano sordi alla voce di Lui, che parla al cuore con la grazia e parla a tutto l’uomo per molti altri modi ancora. Molti Cattolici ignoranti credono nella fede cattolica da essi, come da tutti, ricevuta per dono divino nel Battesimo, sia perché non essendo guasti dalle passioni, sentono dentro di sé le bellezze ineffabili delle verità morali della fede, sia per altre ragioni. Alcuni, illuminati dalla grazia, credono perché mettono fiducia nelle parole, poniamo, del proprio curato pio e buono o perché sanno che tanti uomini di cuore d’ingegno, di bontà abbracciano la fede: altri credono perché, mentre ascoltano misteriosamente dentro la voce interiore della grazia, che li invita a credere, si confermano nella fede, avendo notizia dell’eroismo e dei miracoli dei Santi e della Madonna. Insomma i motivi di credibilità li hanno ancora i semplici, i poveri, i rozzi a lor modo: e anche in essi si uniscono con la grazia divina per nutrire la loro fede. – Dalle cose dette sin qui ci sarà agevole il comprendere come e perché la fede sia una virtù soprannaturale nel Cristiano, e anzi la prima radice d’ogni virtù sua. In vero la virtù cristiana noi la dobbiamo considerare come un odoroso fiore di giardino, che spunta nella volontà umana, s’abbellisce e si perfeziona grado grado, e poi con altri fiori, che nascono dalla medesima pianta, forma ghirlanda. La grazia divina, la quale piove dall’alto, quasi rugiada celeste; è la luce che, fecondando la nostra libera volontà, e quasi ad essa disposandosi, produce ogni fiore di virtù. Or il primo e più olezzante fiore di virtù nel Cristiano è questo della fede. Né a ciò può fare impedimento il pensare, che la fede un assentimento dell’intelletto nostro alle verità di religione, intanto che ogni virtù ha da nascere e fiorire nel nostro libero volere. Perciocchè l’assentimento dell’intelletto nostro, non libero ma necessario nelle verità di per sé evidenti, è poi al tutto libero nelle verità della fede: però nasce e si matura nella volontà. Ed è libero questo assentimento nostro alle verità della fede cattolica; perché noi liberamente cerchiamo i motivi della nostra credibilità, liberamente allontaniamo tutti gli ostacoli intellettuali che ci si presentano, liberamente vinciamo le passioni che, annebbiando il giudizio, c’impediscono di accettare la fede, liberamente ci sforziamo di vincere le obiezioni che o ci nascono nell’animo o ci vengono di fuori. – Abbiamo veduto che la fede, per alcuni rispetti, ben si paragona a un fiore. Ma guardata in un’altra luce, mi apparisce come il tronco verdeggiante d’un grande albero. Potremmo anche dire che essa rappresenti l’Albero della vita, da Dio posto nel giardino dell’Eden; un albero che non è mai appassito, ma che da Gesù benedetto è stato ridonato a tutto il genere umano. Intanto è da por mente che, a quel modo, onde dal ceppo spuntano i ramoscelli, i fiori, i frutti; così dalla fede nascono tutte le virtù cristiane. Nascono invero sì per effetto di nuova rugiada di grazia celestiale, sì per effetto della nostra libera volontà. E quando la volontà nostra non coopera alla grazia, quel primo tronco della fede rimane infruttifero, a poco a poco vegeta meno, ed è come morto. Anzi, stando alla terminologia teologica, una fede siffatta, senz’altro, si dice fede morta. Per lo contrario è detta fede viva quella, che germoglia in virtù e in opere buone, come germoglia l’albero, il quale è messo presso la corrente di un fiume. Talvolta però disgraziatamente avviene che lo stato di languore nella fede, infruttifera o morta che sia, s’accresce di grado in grado tanto, che il ceppo stesso della fede non ha più vegetazione di sorta, è colpito da morte, e l’uomo ridiventa infedele, com’era prima d’aver da Dio questo ineffabile e grandissimo dono. Anzi quasi sempre la via del miscredere nei battezzati è questa: appagarsi per un certo tempo della fede morta, e poi perdere la fede stessa. Benediciamo dunque il Signore di averci dato la fede, senza alcun nostro merito, e sforziamoci di custodirla, come la gemma più bella e più ricca dell’anima nostra. Faccia Iddio, che ciascuno di noi possa ripetere alcune parole del Newman, dottissimo e piissimo uomo, il quale, dopo quarant’anni di burrasca interiore, e di ricerche erudite, afferrò il porto della fede cattolica. E le parole son queste: “Dal dì che io son cattolico, vivo in una pace e in un’allegrezza piena; perciocché non mai più l’ombra di un dubbio ha offuscata e turbata la mia mente. Da quel dì fui come un viaggiatore, il quale, dopo la tempesta, raggiunse il porto, e la gioja di quel soave riposo, passati già molti anni, mi dura tuttora. Non è già che io non senta le difficoltà, che si possono muovere e si muovono contro le verità della religione; ma diecimila difficoltà non bastano per creare in un intelletto ponderato e grave un dubbio ragionevole. In vero un uomo assennato ben può rammaricarsi di non sapere il modo, onde si risolve un problema di matematica, senza dubitare per questo che il problema abbia una propria e verissima soluzione.” (Istoria delle mie opinioni, ecc., pag. 367 e seg.) – E ora, prima che io proceda avanti a parlare delle altre virtù, o fede benedetta, che mi sei stata compagna cara e indivisibile sin dalla fanciullezza, che pietosamente mi hai condotto giovanetto nella Casa di san Filippo, e hai custodito il mio cuore sempre, e sei stata la illuminatrice della mia mente nel governare me stesso, negli studj, e in tutto ciò che scrissi: o fede dolcissima, che mi hai tante volte consolato nelle burrasche, nei dolori, nelle tentazioni e nelle angosce, e pur tante volte hai nobilitata e santificata la mia allegrezza: o fede benedetta, che mi hai fatto e mi fai tuttora vivere nella dolce conversazione della madre, del padre, dei congiunti, degli amici morti alla terra, ma, come spero, viventi al Cielo e alla gloria eterna: o fede, che sei stata sempre e sei la mia consigliera nel mio ministero pastorale, non mi abbandonare mai, insino alla estrema ora della vita. Mostrami anzi sempre più le caste e ineffabili bellezze tue, sino al giorno in cui, come spero, mercé la divina misericordia, tu, o fede, diventerai per me visione e amore perfetto di quel Signore Iddio, che a me si donò.