DOMENICA XVII DOPO PENTECOSTE – 2021 –
(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)
Semidoppio. – Paramenti verdi.
La storia di Tobia che si legge nell’Officio divino a questa epoca, coincide spesso con questa Domenica. Sarà dunque cosa utile, continuare a studiare la Messa in relazione col biblico racconto. Tobia sarebbe vissuto, sembra, sotto il regno di Salmanasar, verso la fine del secolo VIII prima di Cristo, al tempo della deportazione degli Israeliti in Assiria. Come Giobbe, questo santo personaggio, diede prova di costanza e di fedeltà a Dio in mezzo a tutte le sue afflizioni. « Non abbandonò mai la via della verità, distribuendo ogni giorno quanto poteva avere ai fratelli e a quelli della sua nazione, che con lui erano in prigionia e, quantunque egli fosse il più giovane nella tribù di Nephtali, nulla di puerile riscontravasi nei suoi atti ». Il Salmo dell’Introito può essergli applicato, poiché parla di un adolescente che fin dai suoi più teneri anni ha camminato nella legge del Signore. Fino dagli anni della sua fanciullezza, dice la Sacra Scrittura, «Tobia osservava ogni cosa conformemente alla legge di Dio. Sposata una donna della sua tribù, per nome Anna, ne ebbe un figlio cui diede il proprio nome e al quale insegnò fin dall’infanzia a temere Iddio e ad astenersi da ogni peccato. Condotto prigioniero a Ninive, Tobia di tutto cuore si ricordò di Dio, visitando gli altri prigionieri e dando loro buoni consigli, consolandoli e distribuendo a tutti del proprio avere, secondo quello che poteva. Nutriva chi aveva fame, vestiva quelli che erano nudi, e seppelliva con cura quelli che erano morti o che erano stati uccisi». Dio permise che divenisse cieco, affinché la sua pazienza servisse di esempio alla posterità come quella del sant’uomo Giobbe. « Avendo sempre temuto il Signore fin dalla sua infanzia ed avendo osservato i suoi comandamenti, non si rattristò contro Dio per essere stato colpito da questa cecità, ma rimase fermo nel timore di Dio, rendendogli grazie tutti i giorni della sua vita ». « Noi siamo figli dei santi, soleva dire, e attendiamo quella vita che Dio deve dare a coloro che non hanno mai cambiato la loro fede verso di Lui ». E poiché sua moglie insultava alla sua disgrazia, Tobia proruppe in gemiti e cominciò a pregare con lagrime (Allel.), dicendo parole che sono identiche a quelle dell’Introito: «Tu sei giusto, Signore, tutti i giudizi tuoi sono equi e tutti i tuoi disegni sono misericordiosi. Ed ora, o Signore, trattami secondo la tua volontà ». E, parlando a suo figlio Tobia, disse: « Figlio mio, abbi sempre in mente Dio tutti i giorni della tua vita, e guardati bene dall’acconsentire ad alcun peccato. Fa’ elemosina dei tuoi beni e non distogliere il tuo volto dal povero. Sii caritatevole in quel grado che puoi e quello che ti dispiacerebbe fosse fatto a te, guardati bene dal farlo ad altri ». Questo precetto dell’amore di Dio e del prossimo e la sua attuazione sono inculcati dall’Epistola e dal Vangelo: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, tutta l’anima tua e tutto il tuo spirito, e il prossimo tuo come te stesso» (Vang.). «Camminate in umiltà, dolcezza e pazienza, sopportandovi a vicenda con carità, sforzandovi di mantenere l’unità di spirito nei vincoli della pace » (Ep.). Tobia mandò suo figlio presso Gabelo a Rages, sotto la guida dell’Arcangelo Raffaele. Per via, l’Angelo disse a Tobiolo di prendere un pesce che lo aveva voluto divorare e di serbarne il fegato per scacciare ogni specie di demoni e gli indicò inoltre il mezzo per prendere in moglie Sara, senza che il demonio, che aveva già uccisi i suoi primi sette mariti, potesse fargli del male. « Il demonio, spiegò l’Arcangelo, ha potere su coloro che nel contrar matrimonio bandiscono Dio dal loro cuore e ad altro non pensano se non a soddisfare la loro passione». L’Orazione prega Iddio di dare al suo popolo la grazia di evitare i contatti diabolici, « affinché possa con puro cuore essere unito a te solo che sei il suo Dio ». « Come figli di Dio, noi non possiamo, dissero Tobia e Sara, sposarci come pagani, che non conoscono Dio», e «pregarono insieme istantemente il Signore che ha fatto il cielo e la terra, il mare, le sorgenti ed i fiumi con tutte le creature che contengono ». E Dio « benedisse il loro matrimonio, come aveva benedetto quello dei patriarchi, affinché essi avessero dei figli della stirpe di Abramo » (Graduale). Tobia ritornò con Sara e guarì suo padre dalla cecità e questi allora intonò un cantico di ringraziamento, una specie di Benedictus o di Magnificat, nel quale scoprì le grandiose aspettative messianiche: « Gerusalemme tu castigata per le sue opere malvagie, ma essa brillerà di fulgida luce e si rallegrerà nei secoli dei secoli. Dai lontani paesi verranno verso lei le nazioni, portandole delle offerte e adoreranno in essa il Signore. Maledetti saranno coloro che la disprezzeranno e quelli che la bestemmieranno saranno condannati. Beati, continua egli, coloro che ti amano! Io sarò felice se qualcuno della mia stirpe sopravvivrà per vedere lo splendore di Gerusalemme. Le sue porte saranno di zaffiri e di smeraldi e tutta la cinta delle sue mura sarà di pietre preziose. Tutte le pubbliche piazze saranno lastricate di pietre bianche e pure e nelle strade si canterà: Alleluia. La rovina di Ninive è vicina, poiché la parola di Dio non resta senza effetto ». È questo il « cantico nuovo che troviamo nel Salmo del Graduale « Dio è fedele alla sua parola; Egli dissipa i progetti delle nazioni e rovescia i consigli dei principi. Beato il popolo che Egli ha scelto per suo retaggio. Palesa, o Signore, la tua misericordia su di noi, secondo la speranza che abbiamo posta in te ». E il Salmo del Communio aggiunge: « Dio ha infranto tutte le forze nemiche, i re superbi sono stati abbattuti e i loro eserciti distrutti. Offrite dunque sacrifizi di ringraziamento a questo Dio terribile », poiché, continua l’Offertorio, « Egli ha gettato uno sguardo favorevole sul popolo in favore del quale il suo Nome è stato invocato ». – Gerusalemme, ove il popolo di Dio regna e ove affluiscono tutte le nazioni per lodare il Signore, è il regno di Dio, è la Gerusalemme celeste. Tutti vi sono chiamati con una comune vocazione a formarvi « un solo corpo », la Santa Chiesa, che è una nuova creazione, dice S. Gregorio Magno, e che è animata da « un solo Spirito, una sola speranza, un solo battesimo e una sola fede in un solo Signore » (Epistola). È Gesù Cristo, Figlio di Dio e Figlio di David, che il « Dio unico e Padre di tutti gli uomini, ha fatto sedere alla sua destra fino al giorno in cui tutti i suoi nemici, vinti, saranno sgabello ai suoi piedi». Questo Dio « sia benedetto nei secoli dei secoli » (Epistola). – L’unità della nostra fede, del nostro battesimo e delle nostre speranze, come pure dello Spirito Santo, di Cristo e di Dio Padre, dice S. Paolo, fa a tutti noi un dovere di essere uniti dai vincoli della carità, sopportandoci a vicenda. Il comandamento di Dio di amare il prossimo è simile a quello che ci fa amare Dio, poiché è per amor suo che amiamo il prossimo. « Doppio è il comandamento, dichiara S. Agostino, ma una è la carità ». E per consolidare il suo insegnamento agli occhi dei farisei, Gesù Cristo dà loro, in un testo di David, una prova della sua divinità. Dobbiamo dunque, nella fede e nell’amore, essere uniti a Cristo Gesù. « Interrogato circa il primo comandamento, Gesù rivela il secondo, che non è inferiore al primo, facendo loro comprendere che lo interrogavano soltanto per odio, poiché … la carità non è invidiosa » (I Cor. XIII, 4). Egli dimostra inoltre il suo rispetto per la Legge ed i Profeti. Dopo aver risposto, Cristo interrogò a sua volta, e dimostra che pur essendo figlio di David, ne è il Signore, essendo Egli il Figlio unico del Padre, e li spaventa dicendo che un giorno avrebbe trionfato su tutti coloro che si oppongono al suo regno, poiché Iddio farà dei suoi nemici sgabello ai suoi piedi. Con ciò dimostra la concordia e l’unione che esiste fra Lui e il Padre » (S. Giov. Crisostomo – Mattutino).
Incipit
In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.
Introitus
Ps CXVIII: 137;124
Justus es, Dómine, et rectum judicium tuum: fac cum servo tuo secúndum misericórdiam tuam.
[Tu sei giusto, o Signore, e retto è il tuo giudizio; agisci col tuo servo secondo la tua misericordia.]
Ps CXVIII: 1
Beáti immaculáti in via: qui ámbulant in lege Dómini.
[Beati gli uomini retti: che procedono secondo la legge del Signore.]
Justus es, Dómine, et rectum judicium tuum: fac cum servo tuo secundum misericórdiam tuam.
[Tu sei giusto, o Signore, e retto è il tuo giudizio; agisci col tuo servo secondo la tua misericordia.]
Oratio
Oremus.
Da, quǽsumus, Dómine, populo tuo diabólica vitáre contágia: et te solum Deum pura mente sectári.
[O Signore, Te ne preghiamo, concedi al tuo popolo di evitare ogni diabolico contagio: e di seguire Te, unico Dio, con cuore puro.]
Lectio
Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Ephésios.
Ephes IV: 1-6
“Fatres: Obsecro vos ego vinctus in Dómino, ut digne ambulétis vocatióne, qua vocáti estis, cum omni humilitáte et mansuetúdine, cum patiéntia, supportántes ínvicem in caritáte, sollíciti serváre unitátem spíritus in vínculo pacis. Unum corpus et unus spíritus, sicut vocáti estis in una spe vocatiónis vestræ. Unus Dóminus, una fides, unum baptísma. Unus Deus et Pater ómnium, qui est super omnes et per ómnia et in ómnibus nobis. Qui est benedíctus in sæcula sæculórum. Amen.”
[“Fratelli: Io prigioniero nel Signore vi scongiuro che abbiate a diportarvi in modo degno della vocazione, cui siete stati chiamati, con tutta umiltà e mansuetudine, con pazienza, sopportandovi con carità scambievole, solleciti di conservare l’unità dello spirito nel vincolo della pace. Un sol corpo e un solo spirito, come siete stati chiamati a una sola speranza per la vostra vocazione. Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è sopra tutti, che opera in tutti, che dimora in tutti. Egli sia benedetto nei secoli dei secoli. Così sia.”]
LA VOCAZIONE.
Come sono solenni e dense di significato le poche battute con cui si apre il brano domenicale della Epistola agli Efesini! Vi scongiuro, — dice l’Apostolo, e perché lo scongiuro sia più efficace e commovente, si chiama prigioniero di Dio (in Dio), — a camminare degnamente in quella che è la vostra vocazione. E il pensiero corre subito alla «vocazione » di Cristiani, quali erano proprio e tutti i suoi primi, immediati lettori. C’è sotto alle parole dell’Apostolo, una grande, una nobilissima idea di questa vocazione cristiana. È Iddio che chiama i suoi figli dalle tenebre del paganesimo, dalla penombra della religione naturale, alla luce del Cristianesimo. Ogni Cristiano è un chiamato da Dio. Molti lo hanno dimenticato, lo dimenticano. Credono che l’essere Cristiani sia la cosa più naturale del mondo: che si nasca Cristiani come si nasce bimani o bipedi, che la vocazione sia un privilegio di pochi, e precisamente di quei pochi che si avviano al Sacerdozio, oppure entrano in un Monastero. Idee piccole e false. Dio ci ha chiamati, tutti e ciascuno, noi Cristiani alla Religione nostra, al Cristianesimo, al Vangelo che è e rimane una grazia! Ci vuole Lui Cristiani. Manda i Suoi apostoli a battezzarci, a istruirci, a convertirci. Nobilissima vocazione, perché Dio ci chiama nel Cristianesimo mercè del Battesimo, ci chiama ad essere suoi figlioli: «ut fili Dei nominemur et simus. » Basta pronunciare bene, sillabando, meditando, questa parola fili Dei, per capire l’altezza di questa dignità e la gravità degli obblighi che ne conseguono. Bisogna rendersi, in qualche modo, degni del nome e del carattere di figli, ricevuti nel Santo Battesimo, con la bontà delle opere. Bisogna vivere da figli di Dio; vivere veramente da buoni Cristiani. C’è qui tutto un programma, riassunto ancor più largamente nelle parole di un Santo Pontefice, grande anima romana e cristiana, San Leone Magno: — Riconosci, o Cristiano, la tua dignità, e, diventato partecipe della natura divina (non è forse il figlio della stessa natura del padre?) non volere con una condotta degenere tornare all’antica bassezza e viltà. — Sentiamola questa dignità di Cristiani oggi meglio d’allora, oggi dopo quasi duemila anni di esperienza, dopo che, con la loro vita, milioni di Santi e di Eroi, ci hanno mostrato che cosa può produrre di eroico il Vangelo in un’anima, in una società. Diventare Cristiani col Battesimo, oggi, vuol dire ricevere una eredità gloriosa di bene, inserirsi in una corrente luminosa, calda, satura di ciò che vi è al mondo di più sacro e più augusto. E ciò non toglie che ciascuno di noi abbia anche una vocazione, una destinazione, una destinazione provvidenziale in un altro senso. Perché ognuno è chiamato poi dal Padre a servirLo in modo speciale. Nella Casa del Padre, ci sono molte mansioni, o funzioni, come in tutte le case bene ordinate, e ciascuno ha la sua, e tutte sono materialmente diverse ma tutte sono spiritualmente belle e nobili, perché nulla è ignobile nella casa del Padre Celeste, Iddio. E noi dobbiamo stare al nostro posto, fedeli e valorosi come soldati che montano la guardia, e lavorano, e combattono, sapendo di contribuire veramente a una sola, grande vittoria: la vittoria di Dio.
P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.
(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)
Graduale
Ps XXXII: 12;6
Beáta gens, cujus est Dóminus Deus eórum: pópulus, quem elégit Dóminus in hereditátem sibi.
[Beato il popolo che ha per suo Dio il Signore: quel popolo che il Signore scelse per suo popolo.]
Alleluja
Verbo Dómini cœli firmáti sunt: et spíritu oris ejus omnis virtus eórum. Allelúja, allelúja
[Una parola del Signore creò i cieli, e un soffio della sua bocca li ornò tutti. Allelúia, allelúia]
Ps CI: 2
Dómine, exáudi oratiónem meam, et clamor meus ad te pervéniat. Allelúja.
[O Signore, esaudisci la mia preghiera, e il mio grido giunga fino a Te. Allelúia.]
Evangelium
Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Matthæum.
Matt. XXII: 34-46
“In illo témpore: Accessérunt ad Jesum pharisæi: et interrogávit eum unus ex eis legis doctor, tentans eum: Magíster, quod est mandátum magnum in lege? Ait illi Jesus: Díliges Dóminum, Deum tuum, ex toto corde tuo et in tota ánima tua et in tota mente tua. Hoc est máximum et primum mandátum. Secúndum autem símile est huic: Díliges próximum tuum sicut teípsum. In his duóbus mandátis univérsa lex pendet et prophétæ. Congregátis autem pharisæis, interrogávit eos Jesus, dicens: Quid vobis vidétur de Christo? cujus fílius est? Dicunt ei: David. Ait illis: Quómodo ergo David in spíritu vocat eum Dóminum, dicens: Dixit Dóminus Dómino meo, sede a dextris meis, donec ponam inimícos tuos scabéllum pedum tuórum? Si ergo David vocat eum Dóminum, quómodo fílius ejus est? Et nemo poterat ei respóndere verbum: neque ausus fuit quisquam ex illa die eum ámplius interrogare”.
[“In quel tempo, accostandosi i Farisei a Gesù, avendo saputo com’Egli aveva chiusa la bocca ai Sadducei, si unirono insieme: e uno di essi, dottore della legge, lo interrogò per tentarlo: Maestro, qual è il gran comandamento della legge? Gesù dissegli: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, e con tutta l’anima tua, e con tutto il tuo spirito. Questo è il massimo e primo comandamento. Il secondo poi è simile a questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti pende tutta quanta la legge, e i profeti. Ed essendo radunati insieme i Farisei, Gesù domandò loro, dicendo: Che vi pare del Cristo, di chi è egli figliuolo? Gli risposero: di Davide. Egli disse loro: Come adunque Davide in ispirito lo chiama Signore dicendo: Il Signore ha detto al mio Signore: Siedi alla mia destra, sino a tanto che io metta i tuoi nemici per sgabello ai tuoi piedi? Se dunque Davide lo chiama Signore, come è Egli suo figliuolo? E nessuno poteva replicargli parola; né vi fu chi ardisse da quel dì in poi d’interrogarlo”.]
Omelia
(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. IV, 4° ed. Torino, Roma; Ed. Marietti, 1933)
Sull’amore di Dio.
“Diliges Dominum Deum tuum.”
(Luc. x, 27).
Leggiamo nell’Evangelo, Fratelli miei, che un giovane presentatosi a Gesù Cristo, gli disse: “Maestro, che cosa bisogna fare per conseguire la vita eterna? „ Gesù Cristo gli rispose: ” Che cosa sta scritto nella Legge? „ — “Amerai il Signore Dio tuo, replicò il giovine, con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le tue forze, ed il prossimo tuo come te stesso: tutto questo io lo faccio. „ — “Ebbene – soggiunsegli Gesù Cristo – va, vendi quanto hai, dallo ai poveri, ed avrai un tesoro in cielo. „ Questa espressione di Gesù: vendi quanto hai e dallo ai poveri, lo afflisse grandemente. Gesù Cristo voleva mostrargli che colle opere e non colle parole soltanto facciamo vedere se amiamo davvero Iddio. Se per amarlo, ci dice S. Gregorio, bastasse dire che lo si ama, l’amor divino non sarebbe tanto raro quanto lo è, perché non vi è nessuno che interrogato se ama il buon Dio, non risponda subito che lo ama con tutto il suo cuore: lo dirà il giusto ed anche il peccatore; il giusto lo dirà solo tremando, ad esempio di S. Pietro (Joann. XXI, 17); mentre il peccatore lo dirà forse con una franchezza che sembra persuaderne la sincerità; ma s’inganna assai, perché l’amor di Dio non consiste nelle parole, ma nelle opere (Joann. III, 18). Sì, F. M., amare Iddio con tutto il cuore è cosa tanto giusta, ragionevole, ed, in certo qual modo, naturale, che quelli di noi, la cui vita è più opposta all’amor del Signore, non lasciano però di pretendere e d’essere persuasi di amarlo. Perché tutti credono d’amar Dio, sebbene la loro condotta sia affatto contraria a quest’amore divino? Ah! F. M., perché tutti cercano la loro felicità, e solo questo amore può procurarla; perciò tutti vogliono persuadersi d’amare Iddio. Eppure, non v’è cosa tanto rara quanto questo amore divino. Vediamo adunque in che consista quest’amore, e come possiamo conoscere se amiamo Dio. – E per meglio intenderlo, consideriamo:
1°, da una parte, quanto Gesù Cristo ha fatto per noi;
2°, dall’altra, che cosa dobbiamo fare per Lui.
I. — È certissimo, F. M., che Dio ci ha creati per amarlo e servirlo. Tutte le creature della terra sono fatte per amare Iddio, perché, F. M., Dio ci ha dato un cuore, i cui desiderii sono così vasti e così estesi, che nessuna cosa è capace di saziarlo. E per sforzarci, in certo modo, a non attaccarci che a Lui, a non amare che Lui; perché, Egli solo, può farci contenti. Quand’anche possedesse l’universo intero, l’uomo non sarà mai pienamente soddisfatto: gli resterà sempre qualche cosa da desiderare, sicché nessuna cosa creata lo potrà mai saziare. Sì, noi siamo così persuasi d’esser creati per la felicità, che non cessiamo neppure per un istante della nostra vita dal cercarla, e dal fare quanto dipende da noi per procurarla. Da che deriva adunque che malgrado tutte le nostre ricerche, e fatiche, e cure, non ci troviamo ancora contenti? Ahimè! È perché non volgiamo i nostri sguardi o i movimenti del nostro cuore verso l’oggetto che solo è capace di colmare la vasta estensione dei nostri desideri, Dio solo. No, F. M., non potrete mai essere soddisfatti e pienamente felici, almeno quanto è possibile esserlo in questo mondo, se non disprezzate, almeno col cuore, le cose create per attaccarvi soltanto a Dio. Dobbiamo adunque rivolgere tutte le nostre cure ed i movimenti del cuore a non desiderare né cercare che Dio solo in quanto facciamo; altrimenti la nostra vita passerà nel cercare invano una felicità che non troveremo giammai. Ci siamo adunque ingannati sino ad ora; poiché, malgrado quanto abbiamo fatto per esser felici, non ci siamo riusciti. Credetemi, F. M., cercate l’amicizia di Dio, ed avrete trovato la vostra felicità. Mio Dio! come l’uomo è cieco di non amarvi; poiché Voi potete così bene soddisfare il suo cuore! Ma, F. M., per impegnarvi ad amare un Dio così buono, degno di essere amato, e capace di soddisfare tutti gli affetti del nostro cuore, diamo uno sguardo a quanto Egli ha fatto per noi; seguiamolo nel corso della sua vita mortale, e anche dopo la sua morte. – Vedetelo, F. M., dal momento della sua Incarnazione fino all’età di trent’anni: non sono grandi le prove del suo amore per noi? Che cosa ha fatto nell’Incarnazione? Si è fatto uomo come noi e per noi. Colla sua nascita ci ha elevati alla dignità più eminente, alla quale una creatura possa essere innalzata; è divenuto nostro fratello!… Ah, qual amore per noi! l’abbiamo mai compreso bene? Nella Circoncisione si è fatto nostro Salvatore, Mio Dio! quanto è grande la vostra carità!.. . Nella Epifania divenne nostra luce, nostra guida. Nella Presentazione al tempio, divenne nostro pontefice, nostro dottore: oh! che dico, F. M.? Si è offerto al Padre suo per redimerci tutti. Più tardi, cioè nella casa di S. Giuseppe, divenne nostro modello nell’amore e rispetto che dobbiamo ai nostri genitori e superiori. Dirò ancor più: ci ha mostrato che dobbiamo condurre una vita nascosta e sconosciuta al mondo, se vogliamo piacere a Dio suo Padre. Seguiamo Gesù Cristo nella sua vita pubblica, quanto ha fatto, tutto lo fece per noi: le sue preghiere, le sue lagrime, le sue veglie, i digiuni, le predicazioni, i viaggi, le conversazioni, i miracoli: sì, tutto questo è stato fatto per noi. Vedete, F. M., con quale zelo ci ha cercati, nella persona della Samaritana (Joann. IV, 6); vedete con quale tenerezza accoglie i peccatori, — e tutti siamo di questo numero — nella persona del figliuol prodigo; vedete con qual bontà si oppone alla giustizia del Padre suo, che vuol punirci nella persona della peccatrice.
2. Nella sua Passione, ahimè! quante ingiurie, quanti tormenti Egli ha sofferto? Fu legato, flagellato, accusato, condannato, ed infine crocifisso per noi. Non è Egli morto per noi in mezzo ad obbrobri e dolori ineffabili? – Ah! F. M., chi potrebbe comprendere quanto il suo buon cuore ha fatto per noi?… Entriamo più addentro nella piaga di questo Cuore pietoso. Sì, Gesù Cristo poteva soddisfare alla giustizia del Padre suo pei nostri peccati con una stilla del suo sangue, con una lagrima; che dico? con un solo sospiro: ma ciò che bastava a placare la giustizia del Padre suo, non bastava a soddisfare la tenerezza del suo Cuore per noi. E il suo amore per noi gli ha fatto soffrire anticipatamente nel giardino degli Ulivi i patimenti che doveva provare sulla croce. O abisso di amore d’un Dio per le sue creature!… Gesù Cristo si è accontentato di amarci sino alla fine? No, F. M., no. Dopo morto, la lancia, o meglio il suo amore, squarciò il suo Cuore divino per aprirci come un asilo, in cui andremo a ripararci e a consolarci nelle nostre pene, nei dolori, nelle miserie nostre. Ma proseguiamo ancora, F. M. Questo divin Salvatore vuole spargere per noi fino l’ultima goccia del suo sangue prezioso, per lavarci di tutte le nostre iniquità. Dopo espiati i nostri peccati di orgoglio coll’incoronazione di spine; col fiele e coll’aceto i peccati che abbiam la disgrazia di commettere colla lingua e che sono tanto numerosi; tutti i peccati d’impurità colla crudele e dolorosa flagellazione; tutti quelli commessi colle cattive azioni, colle piaghe dei piedi e delle mani; volle altresì espiare tutti i nostri peccati colla ferita al suo divin Cuore, perché dal cuore nascono tutti i peccati. O prodigio d’amore d’un Dio per le sue creature!… È stato offeso da noi e si lascia punire per noi; e sopra sé medesimo fa vendetta delle offese che gli abbiamo fatto!… Ahimè! se non fossimo ciechi come siamo, riconosceremmo che le nostre mani veramente l’hanno immolato sulla croce! Ma, ancora una volta, F. M., io chiedo a voi, perché tanti prodigi d’amore? Ah! lo sapete: è per liberarci da ogni sorta di mali, e meritarci ogni sorta di beni nell’eternità. E se ciò non ostante torniamo ancora ad offenderlo, vediamo che è pronto a perdonarci, ad amarci, ed a ricolmarci di ogni bene se vogliamo amarlo. O quanto amore per creature così insensibili e così ingrate! Ma il suo amore va anche più lontano. Vedendo che la morte lo separava da noi, e volendo restare in mezzo a noi, fece un miracolo grande: istituì il gran Sacramento d’amore, in cui ci lascia il suo Corpo adorabile ed il suo Sangue prezioso per non abbandonarci più sino alla fine del mondo. Quale amore per noi, F. M., che un Dio voglia nutrire l’anima nostra colla propria sostanza e farci vivere della sua vita! – Per mezzo di questo grande ed adorabile Sacramento Egli si offre ogni giorno alla giustizia del Padre suo, soddisfa di nuovo pei nostri peccati, e ci attira ogni sorta di grazie. – Vedete altresì, F. M., questo tenero Salvatore, che morto per la nostra salvezza ci apre il cielo. Per condurvici tutti vuol essere Lui stesso il nostro Mediatore; Egli stesso presenta le nostre preghiere al Padre (Hebr. VII, 6), e chiederà grazia per noi ogni volta che sventuratamente cadremo in peccato. Egli, F. M., ci aspetta nel luogo della felicità, in quel soggiorno dove lo si ama sempre e non si pecca mai… – No, F. M., voi non avete mai considerato bene quanto amore Dio ha verso di noi. Possibile viver solo per offenderlo, mentre amandolo possiamo esser felici? Se io vi domandassi: Amate voi Iddio? Senza dubbio, mi rispondereste che l’amate: ma non basta; bisogna darne la prova. Ma dove sono, F. M., queste prove che manifestano la sincerità del nostro amore per il buon Dio? Dove i sacrifici fatti per Lui? Dove le penitenze? Ahimè, il poco bene che facciamo, è in gran parte senza fervore, senza retta intenzione. Quante viste umane!… quante buone opere fatte per sola inclinazione naturale, e senza vera divozione! Ahimè, F. M., che miseria!…
II. — Ora, F. M., se volete sapere come possiamo conoscere se amiamo davvero Iddio, ascoltate bene quanto sono per dirvi, poi giudicherete voi stessi se veramente l’amate. Ecco quanto ci dice Gesù Cristo medesimo: ” Chi mi ama osserva i miei comandamenti (Joan, XIV), ma chi non mi ama non li osserva. „ Vi è quindi facile sapere se amate il Signore. I comandamenti di Dio, e la sua volontà, F. M., non sono che la medesima cosa. Vi ordina e vuole che adempiate esattamente tutti i doveri del vostro stato, con intenzioni pure e rette, senza malumore, impazienza, negligenza, frodi contro la verità o la buona fede. Dobbiamo avere un amore generoso verso il buon Dio, amore che ci faccia preferire la morte alla infedeltà. Di ciò, F. M., ne abbiamo esempi all’infinito in tutti i Santi, e specialmente nei martiri, dei quali molti si lasciarono tagliare a pezzi, piuttosto che cessare d’amar Dio. Eccone un bell’esempio nella persona della casta Susanna ~Dan. XIII ~ . Andata un giorno al bagno, due vecchioni, giudici del popolo d’Israele, avendola vista, decisero di sollecitarla al peccato: la inseguirono, e le manifestarono il loro infame desiderio, del quale essa ebbe orrore. Alzando gli occhi ai cielo, disse: “Signore, sapete che vi amo, sostenetemi. „ — “Mi veggo in angustia d’ogni parte, disse ai vecchioni; siamo qui alla presenza di Dio, che ci vede: se ho la disgrazia d’acconsentire alla vostra passione vergognosa, non sfuggirò alla mano di Dio; Egli è il mio giudice, so che dovrò rendergli conto d’una azione così infame e peccaminosa. Se invece non acconsento ai vostri desideri, non sfuggirò al vostro rancore; veggo bene che mi farete morire: ma preferisco morire anziché offendere Dio. „ Quei miserabili, vedendosi così respinti, partirono incolleriti, e pubblicarono che Susanna era stata colta in adulterio, che essi avevano visto un giovane commettere del male con lei. Sventuratamente, ahimè! furono creduti, e sulla loro testimonianza fu condannata a morte. Mentre veniva condotta al supplizio, un fanciullo di dodici anni, il piccolo Daniele, gridò in mezzo alla folla: Che fai, popolo d’Israele; perché condanni il giusto? vi dichiaro ch’io non prendo parte al delitto che state per commettere, versando il sangue di questa innocente. „ Il giovine Daniele, avvicinatosi, disse: “Fate venire i due vecchi. „ Separatili l’uno dall’altro, li interrogò. Si contraddissero nelle loro parole in tal guisa, da non potersi dubitare che essi erano i colpevoli, e non Susanna: e ambedue furono condannati a morte. Così fa, F. M., chi ama il buon Dio, mostrando alla prova di amarlo veramente, di amarlo più di se stesso. Susanna non poteva darne segno più grande, poiché preferì la morte al peccato. Non v’ha dubbio che quando bastano delle parole per dire che si ama Dio, non costa fatica. Tutti credono d’amare Dio, ed osano persuadersene: ma se Dio li mettesse alla prova, quanto pochi avrebbero la fortuna di resistervi! Vedete ancora quanto accadde sotto il regno di Antioco (II Macc. VI). Questo tiranno crudele comandò ai Giudei, sotto pena di morte, di mangiare carne proibita dal Signore. Un santo vecchio di nome Eleazaro, che era vissuto nel timore e nell’amor di Dio, rifiutò coraggiosamente d’obbedire; e fu condannato a morte. “Non dipende che da te, dissegli un amico, il salvar la vita, come facemmo noi. Ecco della carne che non fu offerta agli idoli: mangiane; questa piccola dissimulazione calmerà il tiranno. „ Il santo vecchio rispose: “Credete ch’io sia tanto attaccato alla vita da preferirla all’amore che debbo al mio Dio? E quand’anche sfuggissi al furore del tiranno, credete ch’io possa sfuggire alla giustizia di Dio? No, no, amici miei, preferisco morire che offendere il mio Dio che amo più di me stesso. No, non si dirà mai che a novant’anni io abbia abbandonato il mio Dio e la sua santa legge. „ Mentre lo si conduceva al supplizio, ed il carnefice lo tormentava crudelmente, fu inteso esclamare: “Mio Dio, sapete ch’io soffro per voi. Sostenetemi; sapete che è perché vi amo: sì, mio Dio, per vostro amore io soffro! „ Tale fu il suo coraggio nel veder maltrattare e straziare il suo povero corpo. Ebbene, F. M., eccovi ciò che si chiama amare veracemente il Signore. Questo buon vecchio, che dà la sua vita con tanta gioia per Iddio, non si accontenta di dire che l’ama; ma lo mostra colle opere. Tutti noi, è vero, diciamo d’amare il buon Dio; ma quando tutto va a seconda dei nostri desideri, quando niente contraddice al nostro modo di pensare, di parlare e di agire. Quante volte una sola parola, un’aria di disprezzo, od anche solo di freddezza, un pensiero di rispetto umano non ci fanno abbandonare Dio? Ho detto, F. M., che se vogliamo dimostrare a Dio di amarlo, dobbiam compiere la sua santa volontà, la quale esige che siamo sottomessi, rispettosi coi nostri parenti, superiori e con tutti coloro che Dio pose sopra di noi per guidarci. La volontà di Dio è che i superiori dirigano i loro inferiori senza alterigia, senza asprezza: ma con carità e bontà, come vorremmo esser trattati noi; è volontà di Dio che siamo buoni e caritatevoli verso tutti; e se veniamo lodati, invece di crederci qualche cosa, pensiamo che veniam burlati, come ci dice benissimo S. Ambrogio: “Se veniamo disprezzati, non dobbiamo affliggerci, ma pensare che se si conoscesse bene che cosa siamo, si direbbe assai più male di noi, di quanto se ne dice. „ O come ci dice S. Giovanni: “Se ci insultano, è volontà di Dio che perdoniamo di buon cuore e subito: e che siam pronti a render servigio ogni volta se ne presenti l’occasione. „ È volontà di Dio che nei pasti non ci lasciamo andare alla intemperanza; che nelle conversazioni procuriamo di nascondere e scusare i difetti del prossimo, e che preghiamo per lui. È volontà di Dio che nelle nostre pene non mormoriamo, ma le sopportiamo con pazienza e rassegnazione; cioè Dio vuole che in tutto quello che facciamo ed in tutto quello che ci manda, ricordiamo che tutto viene veramente da Lui, e tutto è pel nostro bene, se sappiamo farne buon uso. Ecco, F. M., che cosa ci ordinano i comandamenti di Dio. Se amate Dio, come dite, voi farete tutto questo, vi comporterete in questo modo; altrimenti, potete ben dire d’amarlo: ma san Giovanni vi dice che siete menzogneri, e la verità non trovasi sulle vostre labbra (I Joan. II, 4) . Esaminiamo, F. M., la nostra condotta e la vita nostra, e vediamo minutamente tutte le nostre azioni. Non bisogna fermarsi ai buoni pensieri, ai buoni desideri ed agli affetti sensibili che proviamo, come ad esempio quando ci sentiam commossi leggendo un libro buono, od ascoltando la parola di Dio e facciamo ogni sorta di belle risoluzioni: questo non è che illusione, se poi non ci impegniamo a fare quanto Dio ci ordina coi suoi comandamenti, e se non evitiamo quanto ci proibisce. Vedete, F. M., come siete in contraddizione con voi stessi. Mattina e sera giungendo le mani per pregare, voi dite: “Mio Dio, vi amo con tutto il mio cuore e sopra ogni cosa; „ credete di dir la verità? Eppure alcuni momenti dopo le mani vostre sono occupate nel rubare al prossimo, o forse in qualche azione vergognosa. Quante volte non avete adoperato queste mani a riempirvi di vino ed abbandonarvi alle gozzoviglie; questa stessa bocca che ha pronunciato un atto d’amor di Dio, eccola, appena presentasi l’occasione, imbrattarsi con bestemmie, delazioni, maldicenze, calunnie, ed ogni sorta di discorsi che offendono o disonorano quello stesso Dio, al quale avete detto che l’amate con tutto il vostro cuore. Ahimè! F. M., diciamo di amare Dio con tutto il cuore! dove sono le prove che ci assicurano esser vero quanto diciamo? Si dice comunemente che i veri amici si conoscono nell’occasione: è vero, che occorrono delle prove per sapere se gli amici sono sinceri; lo si comprende facilmente. Infatti, se vi dicessi che sono vostro amico, e non facessi niente per mostrarvelo, al contrario facessi mille cose per farvi dispetto; se in tutte le occasioni in cui potessi attestarvi il mio attaccamento, non vi dessi che segni di avversione, voi non vorreste credere che vi amo, sebbene ve l’abbia detto di frequente; altrettanto, F. M., riguardo a Dio. Potete ben dirgli cento volte al giorno: “Mio Dio, vi dono il mio cuore; „ non basta. Bisogna dargliene le prove in quanto facciamo ogni giorno, perché non ve n’ha alcuno in cui non siamo obbligati a fare qualche sacrificio pel buon Dio, se non vogliamo offenderlo, e se vogliamo amarlo. Quante volte il demonio ci manda pensieri d’orgoglio, di odio, di vendetta, d’ambizione, di gelosia; moti di collera e d’impazienza; quanti pensieri o desideri contro la santa virtù della purità! ed altre volte, quanti pensieri e desideri d’avarizia! Ahimè! il nostro miserabile corpo ci porta senza posa al male, mentre la voce della coscienza e le ispirazioni della grazia ci spingono al bene. Ebbene! F. M., ecco che cos’è piacere a Dio, amarlo: è combattere, resistere coraggiosamente a tutte le tentazioni. Ecco come daremo le prove dell’amore che abbiamo per Iddio: ecco quanto ci metterà nella disposizione continua di tutto sacrificare piuttosto che offenderlo. Dite di amare Dio, od almeno che desiderate di amarlo: siete un bugiardo. Perché adunque lasciate entrare nel vostro cuore quel pensiero di orgoglio? perché vi abbandonate a quelle mormorazioni, a quelle gelosie, a quelle maldicenze, a quelle compiacenze di voi stesso? Perché siete un ipocrita. Voi ne siete spiacenti; lo credo: voi ne sarete ben afflitti… Ahimè! quanto pochi amano Dio!… Diciamolo, a disonore del Cristianesimo, quasi nessuno lo ama di questo amore di preferenza, sempre pronto a sacrificare tutto per piacergli, e sempre timoroso di offenderlo. Vedete, F. M., come si diportò S. Eustachio con tutta la sua famiglia; vedete la sua costanza ed il suo amore per Iddio. Si narra nella sua vita ~ Ribadeneira 20 sett.~ che trovandosi alla caccia inseguiva un cervo di straordinaria grandezza: slanciatosi su d’una roccia e cercando il mezzo di raggiungerlo, scorse tra le sue corna un bel crocifisso, che gli disse d’andare a ricevere il battesimo e ritornare, che gli farebbe conoscere quanto doveva soffrire per suo amore; che perderebbe i beni, la riputazione, la moglie, i figli, e finirebbe coll’essere arso vivo. S. Eustachio ascoltò tutto questo senza la minima paura o ripugnanza, e senza fare alcun lamento. Infatti, poco dopo scoppiò la peste nelle sue gregge e nei suoi schiavi, non risparmiandone neppur uno. Tutti cominciavano a fuggirlo, e nessuno voleva dargli aiuto. Vedendosi ridotto così misero e disprezzato, decise d’andare in Egitto, dove aveva ancora qualche possedimento. Egli e la sua consorte presero per mano i loro bambini e si affidarono alla provvidenza di Dio. Passato il mare, il padrone della nave in pagamento del viaggio si ritenne la moglie di Eustachio, e lasciati il padre ed i figli a terra, fece vela per altri lidi. Ecco S. Eustachio privato di una delle sue maggiori consolazioni. Sopportando tutto, senza mai lamentarsi della condotta di Dio a suo riguardo, ci dice l’autore della sua vita, prese un piccolo crocifisso tra le sue mani, e baciandolo rispettosamente continuò la sua via. Un po’ più avanti dovette attraversare un fiume abbastanza largo ecc…. Questo, M. F., possiamo chiamare amore vero, poiché nulla è capace di separare Eustachio da Dio. Aggiungo inoltre, F. M., che se amiamo davvero il buon Dio, dobbiam desiderare grandemente di vederlo amato da tutti. Ne abbiamo un bell’esempio nella storia, esso ci offre una bella scena di amore per Iddio. Fu vista nella città di Alessandria, una donna che teneva in una mano un vaso pieno d’acqua, e nell’altra una fiaccola accesa. Quelli che la osservarono, stupiti le chiesero che cosa pretendeva fare con quell’apparato. Vorrei, rispose essa, con questa fiaccola incendiare il cielo e tutti i cuori degli uomini, e coll’acqua spegnere il fuoco dell’inferno, affinché d’ora innanzi non si amasse più il buon Dio per la speranza della ricompensa, o per timore del castigo riservato ai peccatori: ma unicamente perché Egli è buono e degno d’essere amato. „ Bei sentimenti, F. M., degni della grandezza d’un’anima che conosce che cosa è Dio, e come Egli merita tutti gli affetti del nostro cuore. – Si racconta nella storia dei Giapponesi, che quando si annunciava loro il Vangelo, e venivano istruiti intorno a Dio, specialmente quando si insegnavano loro i grandi misteri della nostra santa Religione, e tutto ciò che Dio ha fatto per gli uomini; un Dio che nasce in una povera stalla, vien disteso su d’un po’ di paglia nei rigori dell’inverno, un Dio che patisce e muore sopra una croce per salvarci: erano così sorpresi da tante meraviglie che Dio aveva fatto per la nostra salvezza, che si udivano esclamare in un trasporto d’amore: “Oh! come è grande! oh, come è buono! oh, come è amabile, il Dio dei Cristiani! „ E quando poi si diceva loro che v’è un comandamento che ordinava d’amare Dio, e li minacciava di castighi se non l’amavano, ne eran talmente stupiti, che non potevan riaversi dal loro sbalordimento. “Ecchè! dicevano, fare ad uomini ragionevoli un precetto d’amare un Dio che tanto ci ha amati?… ma non è la più gran fortuna l’amarlo, e la più gran disgrazia il non amarlo? Ecchè! dicevano ai missionari, i Cristiani non sono sempre ai piedi degli altari del loro Dio, penetrati della grandezza di sua bontà, e tutti infiammati del suo amore? „ E quando sentivano che non solo v’era chi non l’amava, ma anche chi l’offendeva: “O popolo ingiusto! popolo barbaro! Esclamavano con indignazione; è possibile che vi siano Cristiani capaci di tale oltraggio verso un Dio così buono? In qual terra maledetta adunque abitano questi uomini senza cuore e senza sentimento?„ – Ahimè! dal tratto che adoperiamo verso Dio, non ci meritiamo purtroppo che questi rimproveri! Sì, F. M., verrà giorno che le nazioni lontane e straniere faranno testimonianza contro di noi, ci accuseranno e condanneranno dinanzi a Dio. Quanti Cristiani passano la vita senza amare Dio! Ahimè! forse ne troveremo al giorno del giudizio molti che non avranno dato neppure un sol giorno tutto intero al buon Dio. Ahimè! quale sventura!… S. Giustino ci dice che l’amore ha ordinariamente tre effetti. Quando amiamo alcuno, pensiamo spesso e volentieri a lui, ci diamo volentieri per lui, e soffriamo per lui: ecco, F. M., quanto dobbiamo fare pel buon Dio, se l’amiamo davvero.
1° Dobbiamo pensare spesso a Gesù Cristo. Niente è più naturale che pensare a chi si ama. Vedete un avaro: non è occupato che de’ suoi beni o del mezzo di aumentarli; solo od in compagnia, niente è capace di distrarlo da questo pensiero. Ecco un libertino: la persona che è l’oggetto del suo amore, è continuamente con lui, come il respirare: vi pensa tanto, che il suo corpo ne è spesso così affranto, che si ammala. Oh! se avessimo la fortuna di amare tanto Gesù Cristo, quanto un avaro ama il suo denaro o le sue terre, un ubriacone il vino, un libertino l’oggetto della sua passione, non saremmo noi continuamente occupati dell’amore e delle grandezze di Gesù Cristo? Ahimè, M. F., ci occupiamo di mille cose che, quasi tutte, terminano in nulla: quanto a Gesù Cristo, passiamo delle ore e dei giorni interi senza ricordarci di Lui, ovvero ci ricordiamo così languidamente da credere appena a quanto pensiamo. Mio Dio, perché non siete amato? Eppure, M. F., fra i nostri amici ve n’ha forse alcuno più generoso, più benefico di Lui? Ditemi: se avessimo pensato bene che, ascoltando il demonio, il quale ci trascinava al male, abbiamo grandemente afflitto Gesù Cristo, l’abbiam fatto morire una seconda volta, avremmo noi avuto questo coraggio?… non avremmo invece detto: Come potrei offendervi, mio Dio, Voi che ci avete tanto amati? Sì, mio Dio, giorno e notte il mio spirito ed il mio cuore non saranno occupati che di Voi.
2° Se amiamo davvero il buon Dio gli daremo quanto è in nostro potere di dargli, e con grande piacere. Se abbiamo beni, facciamone parte ai poveri; è come se si desse a Gesù Cristo in persona; è Lui che ci dice nel Vangelo: “Quanto darete al minimo dei miei, cioè ai poveri, lo considero come dato a me stesso ~Matt. XXV, ~ . „ Qual felicità, M. F., per una creatura, potere esser liberale verso il suo Creatore, il suo Dio, il suo Salvatore! Non solamente i ricchi possono dare; ma tutti i Cristiani, anche i più poveri. Non tutti abbiamo dei beni per darli a Gesù Cristo nella persona dei poveri; ma tutti abbiamo un cuore, ed è proprio di questa offerta che Egli è più geloso: è questo che Egli domanda con tanta insistenza. – Ditemi, F. M., potremmo rifiutargli ciò che Egli ci domanda con tante istanze, Egli che ci ha creati per sé? Ah! se vi pensassimo bene, non diremmo al divin Salvatore: ” Signore, sono un povero peccatore, abbiate pietà di me: eccomi tutto per voi? „ Come saremmo fortunati se facessimo questa offerta universale al buon Dio! quanto sarebbe grande la nostra ricompensa!…
3° Ma tuttavia il miglior segno d’amore che possiamo dare al buon Dio, è il soffrire per Lui; perché, se ben consideriamo quanto Egli ha sofferto per noi, non potremo esimerci dal soffrire tutte le miserie della vita, le persecuzioni, le malattie, le infermità, la povertà. Chi non si sentirà commuovere alla vista di tutto quello che Gesù Cristo ha sofferto durante la sua vita mortale? Quanti oltraggi non gli fanno patire gli uomini colla profanazione dei Sacramenti, col disprezzo della sua santa Religione, che tanto gli costò per stabilirla? Qual cecità, M. F., non amare un Dio così amabile, e che cerca, in tutte le cose, solo il nostro bene! Ne abbiamo un bell’esempio nella persona di santa Maddalena, divenuta celebre in tutta la Chiesa pel suo grande amore a Gesù Cristo ~ XXVI, 18 ~ . Una volta datasi a Lui, non l’abbandonò più; non solo col cuore, ma anche realmente, seguendolo nei viaggi, soccorrendolo del suo, ed accompagnandolo sino al Calvario. Ella fu presente alla sua morte, preparò gli aromi per imbalsamarne la salma e di buon mattino accorse al sepolcro ~Joan. XX ~ . Non trovandovi più il corpo di Gesù Cristo, si lamenta col cielo e colla terra; supplica gli Angeli e gli uomini di dirle dove sia il suo Salvatore: perché vuol trovarlo a qualunque costo. Il suo amore era così ardente che può ben dirsi essere stato impossibile a Gesù Cristo il nascondersi; perché essa aveva pensato soltanto a Lui, Lui solo aveva desiderato, Lui solo voluto; per ella ogni altra cosa è nulla; non ebbe né rispetto umano, né timore d’esser disprezzata o derisa: abbandonò tutti i suoi averi, calpestò gli ornamenti ed i piaceri per stare al seguito del suo diletto: tutto il resto non fu più nulla per lei. Ascoltate ancora la lezione che ci dà S. Domenico ~Ribad. 4 Agosto ~ Questo santo patriarca, che dall’amore di Dio sentiva soddisfatti tutti i suoi desideri, dopo aver predicato tutto il giorno, passava le intere notti in contemplazione: si credeva di già in cielo, e non sapeva comprendere come si possa vivere senza amare Dio, poiché in ciò è riposta tutta la nostra felicità. Un giorno che fu preso dagli eretici, Dio fece un miracolo per salvarlo dalle loro mani. “Che avreste fatto, gli disse un amico, se avesser voluto uccidervi? „ — Ah! li avrei scongiurati di non farmi morire d’un tratto, ma di tagliarmi a pezzettini; poi di strapparmi la lingua e gli occhi; e, dopo aver immerso il resto del mio corpo nel mio sangue, di tagliarmi la testa. Li avrei pregati di non lasciare alcuna parte del mio corpo senza sofferenze. Ah! allora sì avrei avuto la fortuna di dire a Dio che veramente l’amo. Sì, vorrei esser padrone dei cuori di tutti gli uomini, per farli tutti ardere d’amore.„ Qual linguaggio esce da un cuore ardente d’amore divino! In tutta la sua vita questo gran santo cercò il mezzo di morir martire, per mostrare a Dio che veramente l’amava. Vedete pure S. Ignazio martire, vescovo di Antiochia, ~ 1 febbraio ~ che fu condannato dall’imperatore Traiano ed esser esposto alle fiere. Provò tanta gioia udendo la sentenza che lo condannava ad essere divorato dalle fiere, che credé morirne di consolazione. Non aveva che un solo timore, questo, che i Cristiani gli ottenessero la grazia. Scrisse loro dicendo: “Amici miei, lasciate ch’io divenga la preda delle belve, e venga macinato come un grano del frumento di Dio per divenire pane di Gesù Cristo. Io so, amici miei, che m’è assai utile il soffrire; bisogna che i ferri, i patiboli, le belve feroci facciano strazio delle mie membra e stritolino il mio corpo, e che tutti i tormenti si riversino su di me. Tutto per me è buono, purché arrivi al possesso di Dio: ora ad amare Gesù Cristo; ora sono suo discepolo. Per le cose della terra ho soltanto disgusto, non sono affamato che del pane del mio Dio, che mi deve saziare durante l’eternità; non sono avido che della carne di Gesù Cristo, il quale non è che carità. „ Ditemi, M. F., si può trovare un cuore più in fiammato d’amor di Dio? Infatti fu divorato dai leoni, che lasciarono solo alcuni avanzi del suo corpo. Che devesi concludere da tutto questo, F. M., se non che ogni nostra felicità sulla terra è di attaccarci a Dio? Cioè, bisogna che in quanto facciamo, il buon Dio sia l’unico fine; poiché sappiamo tutti, per nostra esperienza personale, che nulla di creato è capace di renderci felici, che il mondo intero con tutti i suoi beni e piaceri non potrebbe soddisfare il nostro cuore. Non perdete di vista, F. M., che tutto ci abbandonerà. Verrà un momento in cui quanto abbiamo passerà in altre mani … Mentre se abbiamo la grande fortuna di possedere l’amore di Dio, ce Io porteremo in cielo, e sarà la nostra felicità in eterno. Amar Dio, non servir che Lui solo, e non desiderare che di possederlo: ecco la bella sorte che vi auguro di cuore.
Offertorium
Orémus
Dan. IX: 17;18;19
Orávi Deum meum ego Dániel, dicens: Exáudi, Dómine, preces servi tui: illúmina fáciem tuam super sanctuárium tuum: et propítius inténde pópulum istum, super quem invocátum est nomen tuum, Deus.
[Io, Daniele, pregai Iddio, dicendo: Esaudisci, o Signore, la preghiera del tuo servo, e volgi lo sguardo sereno sul tuo santuario, e guarda benigno a questo popolo sul quale è stato invocato, o Dio, il tuo nome.]
Secreta
Majestátem tuam, Dómine, supplíciter deprecámur: ut hæc sancta, quæ gérimus, et a prætéritis nos delictis éxuant et futúris.
[Preghiamo la tua maestà, supplichevoli, o Signore, affinché questi santi misteri che compiamo ci liberino dai passati e dai futuri peccati.]
Communio
Ps LXXV: 12-13
Vovéte et réddite Dómino, Deo vestro, omnes, qui in circúitu ejus affértis múnera: terríbili, et ei qui aufert spíritum príncipum: terríbili apud omnes reges terræ.
[Fate voti e scioglieteli al Signore Dio vostro; voi tutti che siete vicini a Lui: offrite doni al Dio temibile, a Lui che toglie il respiro ai príncipi ed è temuto dai re della terra.]
Postcommunio
Orémus.
Sanctificatiónibus tuis, omnípotens Deus, et vítia nostra curéntur, et remédia nobis ætérna provéniant.
[O Dio onnipotente, in virtù di questi santificanti misteri siano guariti i nostri vizii e ci siano concessi rimedii eterni.]
PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)