Dom PAUL NAU
Monaco di Solesmes
UNA FONTE DOTTRINALE: LE ENCICLICHE
Saggio sull’autorità de loro insegnamento
Les Editions du Cèdre 13, Rue Mazarine PARIS
II.
Lettere di unità
È alla natura stessa delle Encicliche che vorremmo ora chiedere la soluzione dell’apparente antinomia tra i due caratteri che abbiamo appena scoperto in questi atti pontifici: le Encicliche sono lettere, sono lettere circolari indirizzate dal Papa ai Vescovi. Sono lettere. Senza dubbio questa parola può designare documenti che appartengono solo lontanamente al genere epistolare, di cui conservano solo l’indicazione del destinatario e quella dell’Autorità di provenienza. Le Bolle di canonizzazione dei santi sono Lettere, Litterae decretales, quelle che specificano i limiti di una diocesi o conferiscono poteri a un Vescovo sono anch’esse Litteræ Apostolicæ; è questo stesso nome che portano i Brevi delle indulgenze o di altri privilegi (Sotto il loro protocollo epistolare si nascondono veri e propri atti amministrativi o sentenze dogmatiche: beatificazione di un servo di Dio, delimitazione di un distretto territoriale, condanna di un errore, conferimento di un beneficio o privilegio. In tutto questo, come nelle nostre attuali lettere di credito o di scambio, non c’è nulla di una vera corrispondenza, di uno scambio di opinioni o di pensieri personali). Le Encicliche, invece, sono lettere in un senso molto più stretto (CICERONE specifica così l’oggetto della lettera e ci sono, come sapete, più tipi di lettere; ma tra tutte la più autentica … è quella a cui si deve l’invenzione stessa delle lettere, quella che è nata dal desiderio di informare gli assenti, quando era di interesse per loro o per noi che fossero istruiti in qualcosa”. (Lettera CLXXIII, A Curion (Fam. II, 4 ), trans. Constans. Ed. “Les Belles Lettres”, t. III, p. 170-172). Non senza dubbio in questo stile abbandonato della corrispondenza privata (Rileggiamo, se vogliamo cogliere la sfumatura, la corrispondenza così piena di verve e finezze indirizzata da Benedetto XIV al Card. del Tonchino DE HEECKEREN, Correspondance de Benoît XIV, Paris, Pion 1912, 2 vol.- Siamo lontani dalle Encicliche dello stesso Papa.). Non è più uno scambio amministrativo ma personale, una conversazione scritta, sia che assuma il tono dell’insegnamento e si rivolga alla mente, sia quello dell’esortazione per condurre all’azione. Siamo in una corrispondenza ufficiale, senza dubbio, ma sempre in una corrispondenza. Le Encicliche sono lettere; come stupirsi che non abbiano il rigore di espressione e la precisione dei termini propri dei testi legislativi o delle decisioni giudiziarie? Ma allo stesso tempo, queste lettere possono rivendicare un’autorità sovrana: come circolari del Papa ai Vescovi, emanano dal Pastore dei pastori. « Circulari » è infatti la traduzione latina della parola greca – εν κυκλος – « in cerchio ». Le Encicliche sono circolari indirizzate all’Episcopato. La loro formula di indirizzo è nota: “Ai nostri venerabili fratelli, i Patriarchi, Primati, Arcivescovi, Vescovi e altri Ordinari, in grazia e comunione con la Sede Apostolica, Pio XII, Papa… (Litteræ encyclicæ, Venerabitibus Pratribus, Patriarchis, Primatibus, Archiepiscopis, Episcopis aliisque locorum Ordinariis pacem et communionem cum Apostolica Sede habentibus. Pio Papa XII. Venerabiles Fratres Salutem et Apostolicam benedictionem. Summi Pontificatus; 20 ottobre 1939. BP. I, 198). A volte, oltre al corpo episcopale, sono indicati come destinatari il clero o anche i fedeli dell’universo. Questa estensione, tuttavia, rimane accidentale e non impedisce che le Encicliche siano soprattutto Lettere del Papa ai Vescovi. Una sola eccezione si può notare nei tempi moderni, che non fa che sottolineare ulteriormente il principio generale: quella dell’enciclica In Præclara, indirizzata da Benedetto XV, “ai professori e agli studenti di Lettere e Area del mondo cattolico”, in occasione del sesto centenario della morte di Dante (Dilectis Filiis Doctoribus et Alumnis Litterarum Artique optimarum Orbis Catholici In Præclara, 30 aprile 1921). È ai Vescovi che il Papa si rivolge nelle Encicliche, e parla loro come loro capo. Questo carattere appare già nella prima Enciclica dei tempi moderni, Ubi Primum, scritta da Benedetto XIV, all’inizio del suo pontificato (3 dicembre 1740. Epistola Encyclica et Commonitoria ad omnes Episcopos. S. D. N. Benedicti Papæ XIV Bullarium, Venezia 1778, p. 2). Il Papa si appella esplicitamente al suo ufficio di Pastore dei Pastori: « Ai nostri Venerabili Fratelli, Patriarchi, Primati, Arcivescovi e Vescovi, Benedetto XIV, Papa, Venerabili fratelli, saluti e benedizione apostolica. Non appena piacque a Dio, ricco di misericordia, di elevare la nostra umile persona al seggio supremo di Pietro e di affidarci il potere vicario di Nostro Signore Gesù Cristo di governare tutta la sua Chiesa… Ci è sembrato di sentire questa voce divina risuonare nelle nostre orecchie: “Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecore”. Con queste parole, il Pontefice di Roma, successore dello stesso Pietro, ha ricevuto dal Signore l’incarico di governare non solo gli agnelli del suo gregge, cioè i popoli di tutto il mondo, ma anche le pecore che sono i Vescovi, perché, come madri dei loro agnellini, generano i popoli in Cristo Gesù e li fanno rinascere. Accogliete dunque, Fratelli, in questa Lettera che vi indirizziamo, le parole del vostro Pastore; a voi che siete chiamati a partecipare all’ufficio che abbiamo ricevuto da Dio in pienezza, questi ammonimenti ed esortazioni faranno capire qual è la preoccupazione che ci spinge a non tralasciare nulla dei doveri del nostro ufficio e qual è la misura della nostra paterna carità nei vostri confronti (La lettera si conclude con un paterno invito rivolto ai Vescovi: “Con piena fiducia, venite a Noi che vi amiamo come Fratelli e aiutanti, come nostra corona nelle viscere di Gesù Cristo. Venite alla vostra Madre, che è anche la Madre, capo e padrona di tutte le chiese, la Santa Chiesa Romana, in cui la religione è nata, dove la fede poggia come su una roccia, dove l’unità del sacerdozio ha la sua fonte, dove la verità è insegnata senza corruzione. Non abbiamo desiderio più ardente, né più gradito, che unire i nostri sforzi ai vostri per procurare la gloria di Dio, la salvaguardia e la protezione della fede cattolica, e per ottenere la salvezza delle anime, per la quale siamo pronti a dare con gioia, se fosse necessario, il nostro sangue e la nostra vita. Ubi Primum. Bullarium, 1. c.). » Questa stessa enfasi si troverà in tutte le Encicliche inaugurali. All’inizio di ogni Pontificato, la prima preoccupazione di colui che è stato appena elevato alla sede di Pietro è di rafforzare i legami che lo uniscono al corpo episcopale di cui è a capo, di assicurare tra lui e i Vescovi l’unità di programma nel governo della Chiesa, l’unità di dottrina contro gli errori del giorno. E per raggiungere questo scopo, ricorre all’organo di un’Enciclica. Non possiamo passare in rassegna tutti i Pontificati, ma alcuni esempi saranno sufficienti. – Dopo la Rivoluzione Francese, fu da Venezia, dove si era svolto il Conclave, che Pio VII riprese il contatto con i Vescovi che erano stati isolati dalla Santa Sede per troppo tempo. Fu la consapevolezza del dovere affidatogli di “confermare i suoi fratelli” che lo invitò anche a prendere la sua penna: « Sono già passati due mesi… da quando Dio ha imposto alla nostra infermità il pesante fardello di guidare la sua Chiesa. Alla fine, dobbiamo obbedire, non tanto a un’usanza dei tempi più antichi, quanto a un nero affetto per voi. Formata molto tempo fa nelle relazioni di confraternita, la sentiamo oggi meravigliosamente accresciuta e giunta al suo culmine; perciò, niente è più dolce per Noi e più piacevole che conversare con voi almeno in queste Lettere. La natura del dovere particolare e principale del nostro ufficio, registrato ed espresso nelle parole: “Conferma i tuoi fratelli”, è ciò che ci impegna anche potentemente e ci determina a farlo. Perché in questi tempi – così sfortunati e così travagliati – Satana non meno che in passato “ha cercato di setacciarci tutti come il grano” (Dia Satis, 15 maggio 1800. BP. 240.). » – È quasi negli stessi termini che Gregorio XVI si scusa per non aver potuto indirizzare prima la lettera ai Vescovi, « sollecitato più dal suo affetto per loro e dal dovere del suo ufficio, che da un’antica usanza ». Se la tempesta sorta all’inizio del suo Pontificato ha ritardato l’espressione del suo pensiero, non ha fatto altro che mettere in maggiore evidenza il pericolo di errori minacciosi, e l’Enciclica insiste più particolarmente sulla necessità dell’unione nella difesa della fede: « … Agiamo in unità di spirito per la nostra causa comune o, per meglio dire, per quella di Dio; e di fronte ai nemici comuni uniamo la nostra vigilanza, … uniamo i nostri sforzi. Agamus idcirco in unitate spiritus communem nostram seu vertus Dei causant et contra communes hostes, pro totius populi salute, una omnium sit vigilantia, una contentio. » Lo scopo dei vostri sforzi e l’oggetto della vostra continua vigilanza deve quindi essere quello di custodire il deposito della fede in mezzo a questa vasta cospirazione di uomini empi che vediamo, con il più grande dolore, formata per dissiparlo e perderlo. Si ricordi che il giudizio sulla sana dottrina di cui il popolo deve essere nutrito, e il governo e l’amministrazione di tutta la Chiesa, appartengono al Romano Pontefice… Quanto ai Vescovi in particolare, il loro dovere è di rimanere inviolabilmente attaccati alla Cattedra di Pietro, di custodire il santo deposito con scrupolosa fedeltà, e di pascere il gregge di Dio che è loro sottoposto… » (Mirari Vos, 15 agosto 1832. BP. 205). Quest’ultima citazione ci aiuterà a capire il ruolo proprio delle Encicliche dottrinali. – Partendo da un’esortazione a conservare il deposito, Gregorio XVI mostra qui la procedura: l’unione dei vescovi intorno al Papa. Questo è infatti il principio stesso della costituzione della Chiesa, come ci ricorderà Pio IX (Per esempio Amantissimus Humani Generis dell’8 aprile 1862, Acta Pii IX, v. III, p. 425. Ut autem haec fidei, doctrinaeque unitas semper in sua servaretur Ecclesia, Petrum ex omnibus selegit unum, quem… inexpugnable Ecclesiæ suæ fundamentum et caput constitua, ut… pasceret oves et agnos confirmaret Fratres… ), e specialmente Leone XIII. Quest’ultimo Papa dedicò un’intera Enciclica a spiegare “il piano e lo scopo di Dio nella costruzione della società cristiana” (Satis Cognitum, 29 giugno 1896. BP. 5, 47.). – Questo è il piano. L’Autore divino della Chiesa, avendo decretato di darle l’unità di fede, di governo e di comunione, scelse Pietro e i suoi successori per stabilire in loro il principio e il centro dell’unità. Ecco perché San Cipriano scrive: « Il Signore si rivolge a Pietro: “Io ti dico che tu sei Pietro… Su uno solo costruisce la Chiesa… E sebbene dopo la sua risurrezione Egli dia uguale potere a tutti e dica loro: “Come il Padre mio mi ha mandato…”, tuttavia, per dare piena visibilità all’unità, Egli stabilisce in uno solo, con la sua autorità, l’origine e il punto di partenza di questa stessa unità. Nessuno, quindi, può avere una parte nell’autorità se non è unito a Pietro (Ibid.). È a Pietro, il fondamento della Chiesa, che è stata promessa l’indefettibilità. Da allora in poi, il modo per non fallire sarà quello di rimanere uniti a Pietro, di allineare il proprio insegnamento al suo. – Ma come rimanere uniti a Pietro, come conformare il proprio insegnamento a quello di Pietro? È qui che entra in gioco il ruolo delle Encicliche dottrinali. Senza dubbio in certe circostanze si può stabilire un contatto diretto tra il Papa e i Vescovi. Questo è il caso delle visite ad limina e soprattutto dei Concili Ecumenici. A volte, in caso di errore manifesto, il Papa interviene con una sentenza formale di condanna. Ma è in ogni momento che il nemico si aggira, quærens quem devoret, che l’errore minaccia, che diventa insidioso, che, tra i pastori come tra il gregge, può sorgere l’esitazione. È allora che una lettera Enciclica indicherà ai Vescovi i punti più particolarmente minacciati, per rafforzare le loro certezze e per portare loro luci sicure per rettificare i fuorviati o per rassicurare i timidi. I capi delle diocesi dovranno solo fare propri questi insegnamenti di Roma (non sono solo portavoce del Papa, ma Pastori essi stessi, anche se subordinati), trasmetterli, spiegarli ai loro fedeli e portarli alla portata dei più umili. – La prima Enciclica di Benedetto XIV non aveva a che fare con questioni dottrinali. Sei anni dopo, nell’Italia settentrionale, sorse una discussione sulla legittimità di certi contratti. Questo era precisamente il caso dei prestiti ad interesse, la cui errata interpretazione sarebbe stata alla base degli abusi del capitalismo moderno. Il Papa ha indirizzato un’Enciclica ai Vescovi della regione dove era sorto il dibattito. Benedetto XIV non qualifica direttamente l’opinione errata, non la censura. Ma dopo aver preso il consiglio dei Cardinali e dei teologi competenti, indica ai Vescovi il principio delle decisioni che essi stessi dovranno prendere, e detta loro ciò che d’ora in poi, e senza ammettere ulteriori discussioni, dovrà servire come base del loro insegnamento: In questo modo sarete istruiti in tutto questo, Venerabili Fratelli, e quando terrete i sinodi, parlerete al popolo e lo istruirete nella dottrina cristiana, nulla di contrario ai sentimenti che abbiamo riferito sarà mai avanzato. Vi esortiamo di nuovo a usare tutta la vostra cura affinché, nelle vostre diocesi, nessuno abbia l’audacia di insegnare il contrario, né oralmente né per iscritto (Vix Pervenit, del 1° novembre 1745, trans. TIBERGHIEN, Tourcoing, 1914). – È allo stesso modo per assicurare tra i membri del corpo episcopale, del collegio docente della Chiesa, l’unità della dottrina, che saranno scritte tutte le grandi Encicliche, da Gregorio XVI a Pio XII. Abbiamo avuto modo di citare Mirari vos, e dovremmo almeno menzionare Quanta cura e tutta la serie di lettere in cui Leone XIII ricorda ai Vescovi, i principi su cui deve essere costruita la società umana e quelli che devono guidarla nelle sue relazioni con la Città di Dio. – Non fu un pensiero diverso, come abbiamo visto, quello che portò Pio X a scrivere la Pascendi, per delineare ai Vescovi le regole da seguire per arginare la marea montante del modernismo e contrastarla con la sana dottrina. Questo sembra essere ancora lo scopo di Pio XII nel trittico delle sue tre grandi Encicliche. “Nel suo messaggio inaugurale, espone i presupposti di un ordine per la ricostruzione individuale, sociale e politica dei popoli. Con Mystici Corporis, fa luce sulla vita interna della Chiesa nei suoi fondamenti dogmatici. Mediator, infine, mira alla vita intima ed esterna della Chiesa nel suo culto, mettendo in evidenza gli errori teorici e pratici che stanno proliferando negli ultimi anni (Mons. Fiorenzo ROMITA, Bollettino Ceciliano, Maggio-Giugno 1948). Conserveremo alcuni passaggi di Pio XI, più espliciti sul ruolo delle Encicliche come collegamento tra l’insegnamento del Sommo Pontefice e quello dei Vescovi. All’inizio del suo Pontificato, il desiderio di questo Papa sarebbe stato quello di raccogliere intorno a sé il collegio dei Vescovi riprendendo le sessioni interrotte del Concilio Vaticano. In mancanza di questo contatto personale, l’Enciclica porterà il suo incoraggiamento e il suo pensiero a tutti. Ci avete dato una testimonianza impressionante del vostro zelo quando… in occasione del Congresso Eucaristico di Roma, siete venuti quasi tutti nella Città Eterna da tutte le parti del mondo. Questa assemblea di pastori… Ci ha suggerito l’idea di convocare a tempo debito… una simile assemblea solenne per applicare i rimedi più appropriati dopo un tale sconvolgimento della società umana… Tuttavia, non osiamo risolverci a procedere senza indugio alla ripresa del Concilio Ecumenico aperto dal santissimo Papa Pio IX… che ha portato a termine solo una parte, anche se molto importante, del suo programma. In queste circostanze… la coscienza del nostro ufficio apostolico e dei nostri doveri paterni verso tutti, Ci ispira e Ci fa una specie di obbligo di aggiungere come nuove fiamme al fuoco che vi divora, nella certezza che le nostre esortazioni vi porteranno a dedicare una cura ancora più attenta alla parte di gregge che il Maestro ha affidato a ciascuno di voi… (Ubi Arcano, 23 dicembre 1922. BP. I, 165-166. ). Più tardi, quando fu istituita la festa di Cristo Re, un’altra Enciclica, Quas Primas, avrebbe portato ai Vescovi il tema del loro insegnamento pastorale: « Spetterà poi a voi rendere accessibile all’intelligenza e al sentimento del popolo tutto ciò che Noi diciamo sul culto di Cristo Re, per far sì che la celebrazione annuale di questa solennità porti frutti in molti modi, fin dall’inizio e in futuro. Vestrum erit quidquid… dicturi su mus, ad popularem intelligentiam et sensum accommodare. » (Quas Primas, 11 dicembre 1925. BP. S, 67. ). Qui vediamo in azione il processo stesso di custodire l’unità della fede nella Chiesa, come stabilito da Gregorio XVI, Pio IX e Leone XIII. Emanata dal Sovrano Pontefice, centro stesso dell’unità, l’Enciclica, rivolta ai Vescovi di tutto il mondo, spiegata e insegnata ai fedeli, sarà la sicura garanzia della comunità della dottrina e della fede. Pio XI tornerà più esplicitamente su questo punto nella Mortalium Animos, in relazione alle deviazioni dell’ecumenismo: « La coscienza del nostro Ufficio Apostolico ci proibisce di permettere che errori perniciosi conducano fuori strada il gregge del Signore. Perciò, Venerabili Fratelli, ci appelliamo al vostro zelo per impedire un tale male. Perché siamo convinti che con i vostri scritti e le vostre parole, ognuno sarà in grado di far comprendere facilmente ai suoi fedeli i principi e le ragioni che stiamo per esporre; e i Cattolici ne trarranno una regola di pensiero e di condotta per l’opera di riunire, in qualsiasi modo, in un solo corpo, tutti coloro che rivendicano il nome cristiano. Confidimus enim, per verba et scripta cujusque passe facilius et ad populum per-tingere et a populo intëlligi quæ mox principia rationes proposituri sumus, unde catholici accipiant quid sibi sentiendum agendumque » (Mortalium Animos, 6 gennaio 1928. BP. 4, 67. Vedi nello stesso senso Leone XIII, Cum Multa dell’8 dicembre 1882: « Spetterà a voi, cari Figli e Venerabili Fratelli, essere gli interpreti del nostro pensiero al popolo, e fare in modo, per quanto vi sarà possibile, che tutti conformino la loro condotta ai nostri consigli. BP. 7, 55. Vedi anche ard. SALIÈGE, 26 febbraio 1943: « È dovere del Vescovo far sentire la parola del Papa; provo gioia francese e orgoglio cristiano nel farvela sentire » citato in: Menus propos du Card. Saliège, I. Le Chrétien, ed. l’Equipe, Toulouse, p. 8). Se le Encicliche sono dunque il mezzo di unità tra il Papa e i Vescovi, i loro caratteri, che prima ci sembravano opposti, sono al contrario perfettamente armonizzati. Come stupirsi che non abbiano l’asciuttezza di un testo legislativo o giudiziario? Che ricordino la dottrina o denuncino l’errore, rimangono sempre lettere. Ma le lettere del Dottore supremo agli altri Dottori, per dare coesione all’insegnamento di tutti, procedono dalla più alta Autorità dottrinale sulla terra, sono al principio stesso del Magistero universale della Chiesa e dell’unità della fede, e la loro autorità e importanza non potrebbero quindi mai essere esagerate.
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Le Encicliche sono gli organi di coesione dottrinale tra i membri del corpo episcopale e il loro Capo, la garanzia dell’unità con l’insegnamento pontificio e quindi della fedeltà al deposito affidato da Cristo. Forse le nostre conclusioni si riveleranno affrettate. Non avremmo preso troppo alla lettera formule che sono indubbiamente molto solenni, ma che, a causa del loro carattere un po’ ieratico, siamo abituati a sorvolare rapidamente senza insistere troppo sul loro significato? Non potremmo trovare, a parte le Encicliche stesse e le loro formule stereotipate, il pensiero dei Sommi Pontefici chiaramente esposto? Nessuno di loro ha mai pensato di spiegarci, in un testo positivo, la natura e lo scopo delle Encicliche? Forse Benedetto XIV aveva previsto questo desiderio. In ogni caso, ha risposto in anticipo. Appena qualche anno dopo l’invio di Ubi Primum, il Papa pubblicò il suo Bollario o raccolta dei suoi atti pontifici, tra i quali fece inserire le sue Encicliche. L’ha preceduta con una prefazione dedicatoria, indirizzata “ai dottori e agli studenti di diritto dell’Università di Bologna“, che può essere giustamente considerata l’atto di nascita delle Encicliche moderne (Benedictus Papa XIV, Doctoribus et Scholaribus universis Bononiæ commorantibus et Juri canonico et civili studentibus. Bullarium. p. III.). È sorprendente non vedere questo documento citato più spesso, anche se è essenziale per lo studio delle Encicliche. Per comodità dei nostri lettori, riproduciamo qui i passaggi essenziali: Neque illud a Nobis prætereundum est, Romanis Pontificibus morem perpetuo fuisse, ut Episcopos universos, vel alicujus tantum Provinciæ ad Catholicam Fidem custodiendam, morumque disciplinam aut servandam, aut restaurandam Literis Encyclicis excitarent. Qua in re postremis hisce temporibus, usi sunt opera Congregationum… Divinæ targitatis beneficto ad summum Pontificatum evecti, Literas Encyclicas ad universos Episcopos, vel alicujus Provinciæ et nonullas etiam privatim ad aliquos episcopos dedimus, prout temporum ratio postulabat, quæ huic primo Volumini adjunguntur. Nel suo autem conscribendis Epistolis, veterem Prædecessorum nostrorum (si postrema tempora excipiantur) consuetudinem revocandam duximus, qua tpsi per se Literas Episcopis dabant, rati majorem vim id habiturum, cum amjyliorem Pontificiæ benevolentiæ significationem ipsius Pontificis Epistolæ testari videantur Episcopis, quibuscum Me Fraternitatis vinculo conjungitur quam quæ ab aliis, auctoritate licet Summi Pontificis, conscribuntur. p. IV). Il Papa doveva avvertire i lettori: era infatti la prima volta che documenti diversi da Costituzioni o Bolle, e da importanti Brevi, venivano inseriti in una raccolta di questo tipo (2 S) Il Papa fa qui appello ai suoi ricordi personali: Has Literas Præsules, qui erant a Secretis earum Congregationum, plerumque exorabant… Id nos diligentissime exequuti sumus, cum adhuc in minoribus munus a Secretis Congregationis Concilii per decern et amplius annos vbivimus. Typis emittimus hoc primum Volumen, quod nostras Constitutiones, videlicet Bullas, et aliqua Brevia, Literas Encyclicas, et alia hujusmodi complectitur. Ibidem, p. III. 2). Questa innovazione, inoltre, non è stata l’unica, né la principale, sulla quale il Sovrano Pontefice ha dovuto spiegarsi. Le Encicliche erano senza dubbio tradizionali nella Chiesa, e Benedetto XIV, nel riprendere il loro uso, si riferisce espressamente a questa antica usanza. Ma sotto i Pontificati precedenti, i Papi avevano cessato di usare loro stessi questo modo di insegnare e ne avevano abbandonato l’uso alle congregazioni romane (Non è stato quindi inutile, nell’inserire le Encicliche nel Bollario, ricordare la vera natura di queste Lettere, e far conoscere in ogni caso il motivo della loro ricomparsa tra gli altri testi pontifici. Questa ragione, secondo Benedetto XIV, è la stessa che in passato aveva portato i Papi a scrivere personalmente ai Vescovi: dare maggior peso alle Encicliche. Le lettere del Papa stesso non saranno forse un segno più certo di benevolenza verso i Vescovi, suoi fratelli nell’episcopato, che se fossero emesse da altri firmatari, anche su mandato del Sommo Pontefice? (lbid., p. IV, testo citato sopra). – Ma perché questo segno di benevolenza, se non per rendere più stretti i legami dei Vescovi, non solo con l’amministrazione pontificia, ma con lo stesso Capo del Collegio Apostolico, per stringere e rafforzare attorno al Pastore supremo la coesione del corpo dei pastori della Chiesa? Inoltre – e il grande canonista Benedetto XIV non aveva paura di scendere a questi umili dettagli – le Encicliche, atti personali del Sovrano, non dovranno essere rivestite di quelle formalità di cancelleria, garanzie di autenticità, che erano le pergamene speciali, le scritte complicate, i sigilli tradizionali delle Bolle e dei Brevi (Le Bolle scritte su pergamena ruvida, spessa, in una scrittura gotica molto ornata, e difficile da leggere, era sigillata con una palla di metallo (piombo o oro). Erano datate in Calende e Idi, e l’anno veniva contato non dal primo gennaio, ma dall’anniversario dell’Incarnazione, il 25 marzo. I Brevi, su membrane più sottili e in lettere latine, erano sigillati, su cera rossa, con il famoso anello del pescatore). Come garanzia contro i falsari, basterà che queste lettere siano stampate a Roma sotto gli occhi del Papa, sulla generosa e comoda carta dei torchi vaticani, e che la loro raccolta sia depositata negli archivi, in due copie firmate dallo stesso Sovrano Pontefice (Quia fortasse non deest aliquis, aut etiam non defuit, qui acceptis nostris Literis, Romæ licet impressisi nostroque Nomine inscriptis, dubius tamen incertusque haereat, utrum Ños ipsarum Auctores essemns; (quasi vero temeritas hominum eo devenire possit, ut aliquis, Nobis vitam agentibus, Literas Encyclicas nostro Nomine falso inscríbese, casque Romanis Typis commettere audeat) ad omnem dubitationem tollendam reponi jussimus duo codicis hujus exemplaria, quæ manu nostra subscripsimus, nostroque Signo obfirmavimus, unum in Archivio Castri S. Angeli, alterum in Archivio secreto Vaticano, ut hæc monumenta certa, ac perpetua faciamus, nec ulto unquam tempore Literis Encyclicis, aut alìis in hunc codicem relatis, sfides imminuatur. (Prefazione al Bullarium, p. IV.). – Possiamo vedere quanto preziosi possano essere questi documenti nel rafforzare la coesione del corpo episcopale intorno al suo capo. Come atti personali del Papa, le Encicliche non possono non essere ricevute con attenzione dai Vescovi, mentre, come semplici lettere stampate, alleggerite di ogni inutile formalità, possono essere rapidamente inviate a tutte le estremità della cristianità per sbarrare la strada agli errori che rinascono continuamente. Non sosteniamo, tuttavia, che questa mancanza di solennità nella loro forma minimizzi la loro importanza: come abbiamo appena visto, questa semplicità è solo una conseguenza del loro carattere di atti personali del Sovrano Pontefice. E questi atti autentici del “Pastore dei Pastori”, indirizzati a coloro che partecipano al potere di governare e insegnare la Chiesa, hanno come oggetto proprio le questioni essenziali di questo ufficio: la vostra fede e la disciplina dei costumi. Tale era infatti, secondo Benedetto XIV, il loro contenuto nell’uso antico: Neque illud a Nobis prætereundum est Romanis Pontificibus morem perpetua fuisse, ut episcopos universos vel alicujus tantum provinciae ad catholicam fidem custodiendam, morumque disciplinam aut servandam aut restaurandam, Litteris encyclicis excitarent (Bullarium, p. IV, 1). – Questo antico uso è proprio quello che il Sovrano Pontefice vuole reintrodurre. Non possiamo quindi pesare troppo questi termini: fede e morale. Questo è precisamente l’oggetto della missione affidata dal Signore a Pietro e agli Apostoli e ai loro successori, il terreno sul quale l’assistenza divina è promessa loro nella misura in cui rimangono uniti al centro dell’unità, a Pietro, il fondamento incrollabile della Chiesa. – È necessario insistere di più sull’importanza capitale di questi documenti, grazie ai quali, dal suo stesso centro, si rafforza l’unità, si assicura la comunità di dottrina e di governo. Essi permettono ai pastori dispersi di avere un solo insegnamento e una sola azione in comune con il Pastore Supremo. Non è sorprendente, quindi, che Benedetto XIV abbia ordinato che le Encicliche fossero inserite nel Bollario e, alla fine della Lettera ai Dottori di Bologna, che questa raccolta fosse inclusa nel corpo stesso della Legge, nella raccolta “autentica” dei documenti emessi dalla Chiesa. La prefazione al Bollario di Bologna, tuttavia, è un ottimo esempio di questo. – La prefazione al Bollario di Benedetto XIV corrobora così pienamente la conclusione a cui la stessa lettura delle Encicliche ci aveva portato: queste Lettere, indirizzate dal Papa come Supremo Pastore ai Vescovi, suoi co-pastori, sono il vincolo della loro unità di dottrina e di governo, e come tali, stanno al principio dell’unità di fede e di disciplina nella Chiesa.
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La Lettera ai Dottori di Bologna non solo delinea i tratti essenziali di queste Encicliche, che vengono incluse per la prima volta nel Bollario, ma le presenta anche come eredi di una tradizione antica quanto la Chiesa: Veterem Prædecessorum nostrorum… consuetudinem revocandam duximus. È a questa tradizione, dunque, che dobbiamo fare riferimento se vogliamo portare alla luce la vera natura di questi documenti. In un recente articolo sull’Unione dei Vescovi e il Vescovo di Roma nei primi due secoli della Chiesa (La Vie spirituelle, supplemento, 15 maggio 1950, pp. 181-205), M. Jean Colson ha richiamato l’attenzione sul ruolo svolto nei primi secoli dalle lettere episcopali nel mantenere l’unità nella fede. Dopo aver ricordato alcuni degli scambi epistolari di cui si è conservata traccia, M. Colson conclude: « Tale è questa unione fraterna dei Vescovi che crea e mantiene l’unità della Chiesa attraverso una corrispondenza incessante, controllando la conformità delle opinioni di ogni Vescovo con tutto l’episcopato. Tutti i Vescovi, stabiliti fino ai confini della terra, mantengono così una comunicazione reciproca nello Spirito di Gesù Cristo (s. IGNAT. D’ANT. Eph., III, 2). E così è anche, come scrive Sant’Ireneo, che questa predicazione che la Chiesa ha ricevuto… sebbene sia sparsa in tutto il mondo, la custodisce con cura come se avesse una sola anima e un solo cuore, e con perfetta armonia la predica, la insegna e la trasmette, come se avesse una sola bocca. E se le lingue sulla superficie del mondo sono diverse, la forza della Tradizione è una e identica… (Adv. Hær, I, X, 2. PG. 7, 551). – Questa unità della Tradizione, fondamento dell’unità della Chiesa, è realizzata dall’episcopato. Il Vescovo nella sua comunità non è che un portavoce di quel grande corpo episcopale in cui si incarna lo Spirito di Gesù Cristo. È quindi importante che egli sia una voce fedele secondo l’insegnamento comune e tradizionale di cui è custode, in solidarietà con i suoi colleghi. Da qui la preoccupazione di ogni Vescovo, la necessità di sentirsi in comunione di pensiero con gli altri Vescovi, di controllare le sue idee e la sua condotta secondo il consiglio e la pratica dei suoi fratelli nell’episcopato (Vie spir., 1. e , p. 185). – È proprio questo stesso ruolo di collegamento tra Vescovi che, in un’opera dotta (De Litterìs Éncyclicis Dissertatio Francisci Dominici Bencini, abbatis sancti Pontii, ad Magnum Victorium Amedeum, Sardiniæ Regem. Augustæ Taurinorum MDCCXXVIII), un contemporaneo di Benedetto XIV, François Dominique Bencini, abate di Saint Pons, si mostrava essere quello delle Encicliche. « È di essi – scrive nella sua prefazione – che i prelati della Chiesa si sono serviti per conservare la purezza dei dogmi e l’unità dei cuori. Questa, se non mi sbaglio, è la ragione per cui le prime chiese apostoliche e quelle che fondarono furono in grado di mantenere il deposito della Santa Dottrina immacolato e libero da ogni macchia, interpolazione o frode. Questa è la pietra di paragone che ci permette ancora, come ai nostri padri, di verificare la tradizione autentica di ogni dogma e che garantisce l’antichità, l’universalità e l’unità della fede contro le novità profane di tutti i tempi, e questo senza difficoltà, ma con piena sicurezza » (Prœmium operis, II). In tutta la sua opera, gli piace sottolineare questo obiettivo essenziale delle Encicliche: « mantenere pura e integra l’unità della fede e dei costumi … (Fidei et morum integritatem puritatemque, (Prooemium IV) et animarum concordiam, fidei unitatem et consonam constantemque dogmatum confessionem » (§ 20, III). – Queste espressioni, almeno per quanto riguarda l’idea che esprimono, ricordano troppo da vicino la prefazione del Bollario perché il confronto non sia necessario. Sembra difficile, inoltre, che Benedetto XIV non conoscesse questa Dissertazione. Come poteva lo storico dei costumi della Chiesa, il Cardinale Lambertini, e l’autore del De institutionibus Ecclesiæ, la cui prima preoccupazione dopo la sua elevazione alla sede papale fu di far continuare dai fratelli Ballerini la pubblicazione delle Lettere dei Papi, iniziata da Dom Coustant. (Epistolæ romanorum pontificum… a S. Clemente I usque ad Innocentinm III …studio et labore Domni Pétri Coustant, presbyteri et monachi Ördinis S. Benedicti e Congregatione S. Mauri. Tomus 1, ab anno Christi 67 ad annum 440. Parisiis, MDCCXXL – La pubblicazione è stata prematuramente interrotta dalla morte dell’autore. Solo il primo volume è stato pubblicato). Come, finalmente, questo avido collezionista di libri nuovi (Cf. DE HEEG. Corrispondenza di Benedetto XIV, vol. I, p. 320, lettera del 26 aprile 1747), poteva egli ignorare un’opera pubblicata a Torino su un argomento che gli stava tanto a cuore, solo quattro anni prima della sua elevazione alla sede di Bologna? In ogni caso, i dettagli forniti da Bencini, non solo sul ruolo delle Encicliche, ma sul modo stesso della loro efficacia, gettano una luce singolare sulle linee concise del Bollario. Per l’abate di Saint-Pons, come per Benedetto XIV, le Encicliche sono effettivamente lettere circolari. Il loro nome deriva dal fatto che i loro destinatari sono ovunque, e Bencini cita Esichio che definisce il termine: “quod ubique circumit, ubique permeat“. Erano ancora chiamate “cattoliche” da καθολος universus, nella misura in cui erano rivolte all’universalità del mondo cristiano; così le Epistole cattoliche potrebbero essere considerate le prime Encicliche. – Tuttavia, si era soliti riservare l’espressione “lettera Enciclica” a quelle indirizzate a tutti i Vescovi, o almeno a un grande gruppo di essi, da altri Vescovi e soprattutto dal Sommo Pontefice o dai patriarchi orientali (Quelle inviati annualmente ai loro suffraganei dai Patriarchi di Alessandria sono rimaste famose. Non solo tenevano i Vescovi d’Egitto in stretta comunione, ma erano indirizzate a Costantinopoli, dove venivano lette nella festa di Pasqua, mentre allo stesso tempo la lettera del patriarca di Costantinopoli veniva letta ad Alessandria. (PREDESTINATUS, Hær. I,, 89, PL. 53, 619). Sant’Epifanio parla anche di 70 Encicliche indirizzate da Sant’Alessandro ai vescovi della Palestina riguardo ad Ario. (EPIPH. Hær, LXIX, 4. P. G. 42-210.). Queste circolari, affidate a messaggeri scelti con cura (A volte Vescovi, per lo più diaconi. Cfr. BENCINI, § IX, De Dominicis cursoribus), dovevano essere pubblicamente ricevute, se non sempre sottoscritte dai loro destinatari… come segno di comunione con le chiese da cui emanavano queste lettere (Ursazio e Valente tentarono invano di fare pressione sui Vescovi per ottenere questa firma, per la loro stessa lettera: aut subscribite, aut ab ecclesia recedite. Episodio. S. Athanasii ad Solitarios. PG. 25, 733). Così, firmare un’Enciclica scritta da un eretico significava rendersi partecipe dei suoi errori, mentre rifiutare di aderire a una lettera di Roma o di ricevere la sua approvazione significava tagliarsi fuori dalla comunione cattolica (Esigenda di Papa Liberius nei confronti degli ariani che, in caso di rifiuto, dovevano essere esclusi dalla Chiesa). Possiamo vedere quale arma facile fossero le Encicliche, sempre a portata di mano, per chiudere ogni via di fuga agli errori e denunciarli a tutta la cattolicità. Per condannare uno scisma, non c’era bisogno di convocare un Concilio di Vescovi; soprattutto in tempi di persecuzione, quando tali riunioni risultavano impossibili, le Encicliche costituivano una sorta di Concilio permanente (Aug. Ad Bonif. I, 4. PL. 44, 638: …ut vero congregatione Synodi opus erat ut aperta pernicies damnaretur; quasi nulla hæresis aliquando sine Synodi congregatione damnata sit. Cfr. BENCINI, Dissertatio, proœmium, XIII: Erat nimirum, instar synodorum ipsa præsulum constabilita inter se… (B. elenca qui le varie forme di Encicliche) communicatio dogmatum fidei imitas et recta Divinarum Traditionum intelligentia). Infatti, una volta sottoscritte dai Patriarchi e dai loro suffraganei, e soprattutto con l’approvazione romana, se non emanavano dal Sommo Pontefice, le Encicliche diventavano in un certo senso un atto del Magistero universale della Chiesa, in ogni caso, un segno indiscutibile della fede unica e cattolica e di conseguenza dell’autenticità del dogma (Così l’Enciclica sottoscritta da Papa Vigilio e dai Patriarchi di Alessandria, Antiochia e Gerusalemme con la quale si condanna l’origenismo. LIBERATUS, Brev. c. 23. Acta Conc. Oec. Berlino, II, 5, p. 140. Vedi anche Cassiano, De Inc. I, c. Ult. PL. 50, 29: Sufficere ergo sotus nunc ad confutandum hæresim consensus omnium; quia indubitata veritatis manifestatio est auctoritas nniversorum; – e BENCINI, Dissertatio. § 4, ÎX: Encyclicas. communi episcoporum in suis cathedris sedentium consensu firmatas, representare Magisterium Ecclesiæ, earumque osares nota hæresis esse puniendos).Con il loro stesso rifiuto di aderire, i dissidenti si classificano tra gli eretici o scismatici. Non dobbiamo quindi sorprenderci di sentire Sant’Alessandro di Alessandria parlare delle Encicliche come del “rimedio per eccellenza”, remedia præcipuo (Lettera I contro Arius, PG. 18, 570. 5), contro l’errore, San Gregorio di Nazianzo vedendo in essi i “segni di comunione”, communionis indices (S. GREG. DE NAZ. Epist. I ad Cledonium, PG. 37, 177), grazie al quale i Vescovi fedeli si distinguono dagli apollinaristi, e Sant’Avit assegna loro come obiettivo proprio quello che li farà riprendere da Benedetto XIV: stringere i legami di carità tra i Vescovi (Cfr. Epist. 27, 5 5 , 8 0 , 8 7 . P. L. 59, col. 243 e seguenti). Segni di accordo tra le Chiese, le Encicliche erano considerate come testimonianze sicure della tradizione universale solo se avevano ricevuto almeno un’approvazione da Roma: Se infatti – citiamo ancora M. Côlson, che riassume Sant’Ireneo – i Vescovi di tutto il mondo sono i custodi dell’unica e identica Tradizione, la predicano, la informano, la trasmettono, con una sola anima, un solo cuore, una sola bocca, il Vescovo di Roma appare come il “sacramento” o segno efficace dell’unità della Chiesa universale, o nelle parole di Sant’Ireneo, la manifestazione più piena dell’unità e dell’identità della fede vivificante conservata nella Chiesa dagli Apostoli fino ai giorni nostri e tramandata con verità. Egli non è il custode della Tradizione. Ogni Vescovo nella sua chiesa custodisce questa Tradizione. Infatti, la Tradizione degli Apostoli è manifesta in tutto il mondo; chiunque voglia trovare la verità deve solo cercare in qualsiasi chiesa dove si possono enumerare i Vescovi istituiti dagli Apostoli e dai loro successori fino a noi. Il Vescovo in ogni chiesa è per i fedeli il sacramento dell’unità cattolica, è la bocca della Chiesa, predica, insegna, trasmette la Tradizione, la stessa cosa, in una lingua diversa. Qui e là egli incarna la Chiesa universale. Ma lo incarna solo nella misura in cui è nell’unità della cattolicità. E il ruolo del Vescovo di Roma è proprio quello di essere il sacramento di questa unità cattolica, perché è con la sua Chiesa e per l’autorità della sua origine, che ogni chiesa, cioè tutti i fedeli di ogni luogo, deve concordare, ed è in lei che, attraverso questi fedeli” (Ad. Hær. III, 2, PG. 7, 849. Il significato delle ultime parole, t ab his qui sunt undique, è molto contestato. Vedi JACQUIN, Année Thèologique, 1948, p. 95 e seguenti; e Revue des Sciences religieuses, gennaio 1950, p. 72; Christine MOHRMANN, Vigiliæ christianæ, gennaio 1949, p. 57 e seguenti), è stata conservata la Tradizione che viene dagli Apostoli (Art. citato, p. 203-294). Non ci stupiremo, quindi, di vedere i Papi affermare la necessità di questa approvazione da parte loro delle lettere episcopali. San Innocenzo si rivolge in questi termini ai Padri del Sinodo africano che avevano chiesto la conferma del decreto che volevano comunicare alle altre province: I Padri, nei tempi passati, sotto un’ispirazione non solo umana, ma divina, decisero che qualsiasi cosa fosse fatta nelle province lontane non avrebbe avuto un valore definitivo finché non fosse stata sottoposta alla Santa Sede e avesse ricevuto dalla sua autorità tutta la sua forza (Epist. 29, 1. PL. 20, 582). È dunque di questa sanzione del capo della cattolicità che i difensori della fede amano avvalersi nelle loro controversie con gli eretici. Il diacono Rustico, per esempio, nel basarsi sulle Encicliche di San Cirillo contro Nestorio, non manca di sottolineare che esse “sono state approvate da Roma: Epistolæ Cyrilli ad Nestorium quas et sanctissimus Cœlestinus Papa Magnæ Romæ ut proprias suscepit; e inoltre: Istas epistolas, id est suas, et orientalium de pace, transmissas, Cyrillus, Romanae ecclesiae Sedi, a sanctissimo Xisto confirman sategit (Disp. adv. Acephalos, P. L. 67, 1173 e 1176). Gli eretici, a loro volta, cercano di mettere questa autorità dalla loro parte e di sorprendere la vigilanza del Sommo Pontefice: “Se otterremo l’approvazione di Liberio“, dicono Ursatio e Valente, “non tarderemo a trionfare” (S. ATHANASUS, Ad. Solitarios, PG. 25, 733). – L’imperatore stesso non si tirava indietro nell’offrire doni per ottenere l’adesione di Roma. Ma conosciamo la fiera risposta di Liberio: “Anche se rimango solo, la causa della fede non sarà diminuita, etiamsi solus sim, fidei tamen causa non ideo minuitur” (THEODORETO, Hist. Ecc, I, 2, c. 16. PG. 82, 1035). – Se l’approvazione romana era sufficiente a dare tanta forza alle lettere dei Vescovi provinciali o dei sinodi, quale accoglienza deve essere stata per un’Enciclica scritta dal Papa stesso. Era veramente considerato il segno per eccellenza dell’unità e della comunione di tutto il mondo cattolico “Velut prœlucens fax aderat et verae communionis tessera habebatur” (BENCINI, Dissertatio, § 6, XII). Questo segno di unità non è mai mancato nella Chiesa. Abbiamo già visto Pio VII, nella sua Enciclica inaugurale, rivendicare una “usanza che risale ai tempi più remoti”. Ora è un’espressione quasi simile quella usata da Giovanni Diacono nella vita di San Gregorio Magno, dove riferisce che egli “secondo l’antica usanza dei suoi predecessori, secundum priscum decessornm morem, inviò la sua Enciclica di presa di possesso ai patriarchi di Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme” (Gregorii Magni Vita, II, 8. PL. 75, 88.). Il Papa ricordava i doveri dei pastori, esponeva la professione di fede e denunciava gli eretici (Epis. 25. PL. 77, 468. Cfr. Enciclica inaugurale di San Gelasio, ep. II, PL. 59, 19). – Purtroppo, molte di queste Encicliche dei primi secoli sono andate perdute. Tuttavia, ci vorrebbero pagine intere solo per riassumere il ruolo svolto nella storia della Chiesa da quelle di cui abbiamo conservato le tracce. Qui possiamo solo ricordare rapidamente alcuni fatti e raccogliere alcune testimonianze. Fu una lettera di San Vittore ai Vescovi d’Oriente che unificò la Chiesa e fissò la festa della Pasqua. Conosciamo le reazioni provocate dalle sanzioni con cui il Pontefice ha minacciato i recalcitranti. L’autorità del suo messaggio, tuttavia, non fu messa in discussione e fu riconosciuta da Vescovi come quello di Efeso, che potevano comunque rivendicare le più venerabili tradizioni apostoliche (Eusebio, H. E. V., 23, 24, PG. 20, 490-507. Un rapido riassunto si trova in COLSON, art. cit, p. 198-201). Nel caso di quest’ultimo, saranno le Encicliche di San Cornelio ai sinodi africani a condannare gli errori di Novatiano e il suo atteggiamento nei confronti dei lapsi. La corrispondenza di San Cipriano dovrebbe essere riletta, perché è piena di indicazioni su questo argomento. Possiamo accontentarci di conservare una parola della sua lettera ad Antonianum, di cui trasmise gli scritti al Papa, affinché quest’ultimo potesse essere sicuro che Antonianum “comunico con lui, cioè con la Chiesa cattolica; ut… jam sciret te secum, id est cum catholica ecclesia communicare” (Ep. ad Antonianum, I. PL. 3, 768). L’identificazione della comunione romana con l’appartenenza a tutta la Chiesa cattolica è rivelata anche dalla richiesta dei Vescovi riuniti in sinodo a Tiana, verso i loro fratelli orientali: aderire alle lettere di Liberio e dei Vescovi italiani, comunicare con loro e dare prova scritta della loro unione (Sozomene, Hist. Eccl., VI, 12 PG. 67, 1322-1323). Questa esigenza fu peraltro formulata dallo stesso Liberio nella sua Enciclica: “i recalcitranti daranno per scontato di essere, in compagnia di Ario, dei suoi discepoli e di altri serpenti, sabelliani, patripassiani ed eretici di ogni genere, rimossi ed esclusi dalla comunione della Chiesa che non ammette figli adulteri” (Ep. XV. PL. 8 , 1381. Diamo l’indirizzo e il saluto di questa lettera, dove troviamo, come nei suoi contemporanei, formule quasi simili a quelle delle nostre encicliche moderne. Urbis Romæ episcopus, ad universos Orientis orthodoxos episcopos. Dilectis Fratribus et comministris, …(seguendo i nomi di 64 vescovi) et omnibus Orientis orthodoxis episcopis, Liberius episcopus Italiæ, et Occidentis episcopi, in Domino sempiternam salutem). Di fronte al pelagianesimo, i Papi Innocenzo e Zosimo a loro volta alzarono la voce in Encicliche che i Padri furono d’accordo nel riconoscere come risolutive della controversia senza appello. « Perché esigere di nuovo un esame già istituito dalla Sede Apostolica? – scrive S. Agostino all’eretico Giuliano – Non si tratta più di far esaminare l’eresia dai Vescovi, ma di farla sopprimere dai poteri cristiani » (Ad.. Julianum, I, 2. c. 103, PL. 45, 1183). « Con la risposta del Papa la causa è chiusa… e grazie alle lettere di Innocenzo ogni esitazione su questo punto è rimossa » (Ad Bonif, 1, 2. c. 3. PL. 4 4 , 574). Capræolus di Cartagine non parla diversamente dell’enciclica di San Zosimo, conosciuta sotto il nome di Tractatoria (Così chiamata da Marius Mercator, probabilmente perché scritta dopo una discussione (tractatus) in un sinodo, o indirizzata ad uno synod. Cfr. DU CANGE; BENCINI, Dissertatio, § 1, VI), a cui si aggiungevano le adesioni episcopali: « A che serve appellarsi al Concilio per cercare di difendere errori già riprovati dalla Sede Apostolica e dalla sentenza unanime dei Vescovi… Mettere in dubbio la dottrina già giudicata è entrare in dubbio contro la fede sempre professata finora » (Lettera al Sinodo di Efeso, PL. 63, 845-847). San Prospero unisce le Encicliche dei due Papi in un omaggio comune: Una volta Innocenzo con la sua spada apostolica decapitò l’errore… e papa Zosimo, di santa memoria, ratificando i Concili d’Africa, mise nelle mani dei Vescovi, per abbattere gli empi, la stessa spada di Pietro: ad impiorum detruncationem, gladio Pétri dexteras omnium armavit antistitum (Adv. Collat, c. 21. PL. 51, 271). È necessario sottolineare questo testo che mette in evidenza il ruolo esatto della lettera pontificia indirizzata all’episcopato: dargli le armi sostenendolo sull’autorità della Pietra indefettibile. Troviamo lo stesso pensiero, ma presentato sotto l’altra faccia, quella dell’unanimità dei Vescovi intorno a Pietro, in queste parole di Papa San Celestino, alludendo a sua volta alle firme episcopali apposte alla Tractatoria: « La fede cattolica fu finalmente in pace quando Oriente e Occidente avevano colpito gli errori di Pelagio con i colpi di una sola frase: telis unitæ sententiæ » (Epist. XIII ad Nest. PL. 50, 469). Queste righe sono state scritte nel 430. Dieci anni dopo, San Leone salì alla sede papale, le cui lettere eclisseranno quelle di tutti i suoi predecessori nella loro brillantezza. Sono spesso citati dai Papi (Per esempio, Leone XII, che nella sua enciclica inaugurale Ubi Primum, del 5 maggio 1824, si riferisce a San Leone e lo cita per sottolineare il ruolo del Papa nel mantenere l’unità: Si quis malorum omnium, quæ huc usque deploravimus, et aliorum. .., veram originem inquirere velit, intelliget profecto… semper eam fuisse et esse pertinacem contemptum auctoritatis Ecclesiæ, ejus nempe Ecclesiæ quæ docente S. Leone Magno (sermo 2 de nat. P.), ex ordinatissima caritate in Pétri Sede Petrum suscipit, In Petro ergo omnium fortitudo munitur, et divinæ gratiæ ita ordinatur auxilium, ut firmitas quæ per Chris tu m Petro tribultur, per Petrum apostolis conferatur. – Bullarii Rom. Cont., t. VIII, p. 53-57.), e colui tra loro che, per la tredicesima volta, renderà illustre il nome di Leone sulla Sede di Pietro, vi farà affidamento in quasi tutte le sue Encicliche, come per meglio sottolineare, attraverso quindici secoli, la continuità ininterrotta della stessa tradizione. Non è nostro compito qui seguirli nella storia, ma solo raccogliere alcune testimonianze dell’ineguagliabile autorità che è sempre stata riconosciuta loro. Conosciamo l’accoglienza riservata al Tomo di Leone dai Padri del Concilio di Calcedonia: “Quelli che hanno turbato il sinodo di Efeso poco tempo fa… aderiscano alla lettera di Leone, altrimenti siano condannati e considerati scomunicati” (Sed ant consentiant epistolis Leonis Papae, aut damnationem suscipiant et sciant quia excommunicati sunt. MANSI, vol. VII, 55 B). E la stessa sentenza di scomunica è pronunciata contro Dioscoro per la sola ragione che, al “brigantaggio” di Efeso, si era opposto alla lettura dell’Enciclica pontificia (Concilio di Calcedonia, atto III. HARDUIN, t. 2, p. 379). Non è solo il Tomo a Flaviano, ma tutte le lettere di San Leone che i Papi hanno imposto come regola di fede, allo stesso modo dei decreti dei Concili. Così tra le condizioni di pace proposte all’imperatore dai legati di Ormisda, è stipulata “l’accettazione del santo Concilio di Calcedonia e le lettere del santo Papa Leone” (Corpus S.E.L. 35, 519. Questo e la maggior parte dei testi citati di seguito si trovano in: Textus et Documenta. 9, S. Leonis Magni Tomus, Romæ, 1932), e la formula di fede imposta cinque anni dopo al Patriarca di Costantinopoli recita: « Noi riceviamo e approviamo tutte le lettere del Beato Papa Leone che trattano della religione cristiana » (Corpus, 35, 521). – Ancora Papa Agapito richiederà alle autorità religiose e politiche di Costantinopoli di firmare una formula simile: probantes per omnia atque amplectentes epistulas beatæ memoriæ Leonis omnes, quas de fide conscripsit (Corpus, 35, 339.). – San Gelasio arriverà al punto di colpire con l’anatema chiunque rifiuti la Lettera di Leone a Flaviano o che osi discuterne anche solo una parte (Decretum Gelasii de Libris recipendis, Texte und U, 38, 4, 1912, p. 37), un anatema che San Gregorio non teme di rinnovare assimilando il rifiuto del Tomo a quello dei quattro concili (S. GREC. MAGN. p. VI, 2. Mon. Germano. Hist. Epis 1.1. p. 382). – Si vede che i Papi del XIX e XX secolo, invocando l’autorità apostolica per le loro lettere, non hanno innovato. Fin dall’inizio, le Encicliche furono considerate come una regola di fede; allontanarsi dalla loro dottrina significava separarsi dalla Chiesa. Forse anche questa autorità rigorosa indiscutibilmente riconosciuta alle lettere dei Papi di un tempo potrebbe fornire un pretesto per un’obiezione: questi venerabili documenti sono i primogeniti delle moderne Encicliche? Non è un grave errore equiparare le une alle altre? Senza dubbio le lettere di San Leone trattano gli articoli del simbolo in modo più diretto di quelle di Leone XIII, dove le conseguenze dei dogmi nella vita sociale sono più studiate. Tuttavia, come Benedetto XIV ha visto chiaramente, hanno tutti lo stesso oggetto: la fede e la morale. Sono anche ispirate dallo stesso pensiero: quello di rafforzare i legami di carità fraterna tra il Papa e i vescovi. Non abbiamo dimenticato i termini in cui Benedetto XIV e Pio VII hanno espresso i loro sentimenti. Non sono un’eco lontana di quelle in cui San Leone, ricevendo le risposte dei suoi fratelli nell’episcopato, lasciava traboccare la sua gioia: “Questa gioia è il frutto dell’amore fraterno del corpo episcopale, che ci permette di gustare in questo scambio epistolare tutto segnato dalla grazia, come la presenza di coloro le cui lettere leggiamo con cuore grato” (Omnium quidem litteras sacerdotum gratum nos relegere animo, fraterni collega charitas faeit, cum per spiritualem gratiam tamquam præsentes amplectimur, quibus sermone epistolis mutuo eommeantibus sociamur. Ep. VI ad Anastasium, I. PL. 54. 617). – Linee come queste non sono testi legislativi o giuridici? Non ricordano piuttosto quella semplicità di corrispondenza fraterna in cui abbiamo già riconosciuto una delle caratteristiche delle Encicliche moderne, e che crea un ultimo tratto di somiglianza tra le Lettere dei primi Papi e le loro controparti più giovani? Questo carattere di ampia e tranquilla esposizione, San Leone stesso lo rivendica per le sue Encicliche: Non è una nuova dottrina che il volume porta, ma un semplice richiamo a « ciò che la Chiesa cattolica crede e insegna universalmente sul mistero dell’incarnazione del Signore » (Epist. 29, PL. 54, 783.). « Le nostre lettere insegneranno alla vostra carità ciò che riteniamo divinamente rivelato e ciò che predichiamo senza cambiare nulla » (Epist. 34. PL. 54, 802, Ep. 33. PL. 54, 799.). E il loro scopo dichiarato è ancora lo stesso che noi, con Benedetto XIV, abbiamo riconosciuto nelle Encicliche: assicurare in tutta la Chiesa l’unità della fede: “ut abolito hoc, qui natus videbatur errore, in laudem et gloriam Dei per totum mundum una sit fides et una eademque confessio. Non dobbiamo quindi stupirci di vedere storici come Harnack e Mons. Batiffol attribuire questo stesso carattere alle lettere di San Leone. Batiffol scrive: « Non dobbiamo cercare nella lettera a Flaviano l’abbondante dottrina di Cirillo o di Teodoreto, ancor meno la scolastica di Leone di Bysanzio. Nessuna definizione della natura o della persona. Leone prende le sue prove dal simbolo battesimale, dalla Scrittura, vuole prove di fatto, concrete, elementari. Non anticipa le obiezioni. Pretende solo di dire ciò che ha imparato. Non si può dire che la sua lettera segni un progresso teologico e dogmatico in relazione all’unione ipostatica. È la cristologia media che il Papa impone come disciplina acquisita ai polemisti orientali e senza entrare nei problemi da loro sollevati (Dic. Thèol. Cat. IX, 1926). Nihil novi, niente di nuovo, disse Harnack a sua volta (Lehrbuch der Dogmengeschichte, II, 42), è portato dalla lettera di Leone. Le Encicliche dei primi secoli, come quelle dei nostri giorni, non sono infatti destinate a modificare il dogma: semplici dichiarazioni della fede romana, la loro ambizione è solo quella di unire in uno stesso insegnamento, intorno a quello di Pietro, i Vescovi di tutto il mondo, e di assicurare così la loro dottrina contro ogni possibilità di errore. Ritroviamo così, alla fine del nostro studio, queste due caratteristiche che una rapida lettura ci aveva fatto riconoscere nelle Encicliche dei tempi moderni e che ci sembravano opposte tra loro. Ma alla luce di un’indagine più precisa sulla natura di queste Lettere e sul loro ruolo proprio, questa antinomia si è risolta per rivelare, al contrario, una mirabile armonia. – Le Encicliche, lettere dei Papi ai loro fratelli nell’episcopato, non sono né decreti né leggi. Sono l’esposizione autentica della dottrina insegnata da Roma, sono situati all’articolazione stessa del Magistero pontificio e di quello della Chiesa universale, sono situati nel punto preciso in cui Pietro, fedele al suo dovere di confermare i suoi fratelli, propone loro il suo insegnamento come pietra incrollabile, fondamento e causa dell’assoluta indefettibilità della Chiesa. Qui siamo d’accordo con la conclusione di M. Colson: « Il Vescovo di Roma è il legame della fraternità episcopale che realizza l’unità di fede e di amore della Chiesa. Egli presiede, lui e la sua chiesa – perché è un tutt’uno del Vescovo con la sua Chiesa – nella carità universale, ed è da questo ruolo che derivano tutti i suoi privilegi, specialmente quello dell’infallibilità che, solo, permette alla successione episcopale di Roma di svolgere il suo ruolo e di essere, nelle parole di Sant’Ireneo, la manifestazione più piena dell’unità e dell’identità della fede vivificante che è stata conservata nella Chiesa fin dagli apostoli e trasmessa con verità » (COLSON, loc. cit. p. 205. 1). La parola infallibilità è stata appena pronunciata. Le Encicliche avrebbero un titolo per rivendicarne il beneficio? Questa è proprio la domanda che era posta all’inizio del nostro studio. Questo studio può averci fornito alcuni degli elementi necessari per abbozzare una risposta. Sarebbe ora avventato tentare una conclusione?