I SERMONI DEL CURATO D’ARS: SULLA CARITÀ

I SERMONI DEL CURATO D’ARS

(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. IV, 4° ed. Torino, Roma; Ed. Marietti, 1933)

Sulla Carità.

(Frammenti)

Diliges Deum tuum in toto corde tuo.

( MATTH. XXII, 37).

Por servire il buon Dio perfettamente, ah! non basta credere in Lui. È vero che la fede ci fa credere tutte le verità che la Chiesa ci insegna, e che mancando la fede, tutte le nostre azioni sono senza merito agli occhi di Dio. La fede ci è adunque assolutamente necessaria per salvarci. Tuttavia, questa fede preziosa che ci mostra anticipatamente le bellezze del cielo, un giorno verrà meno, perché nell’altra vita non vi saranno più misteri. La speranza, che è dono del cielo, è anch’essa necessaria per farci operare con intenzioni rette e pure, pel solo fine di piacere a Dio in quanto facciamo, sia per meritare il cielo, sia per evitare l’inferno. Ma la carità ci conduce ad amar Dio, perché è infinitamente buono ed amabile, e merita perciò d’essere amato. Ma, direte voi, come adunque conoscere se abbiamo questa bella virtù tanto accetta a Dio e che ci fa operare con tanta generosità: cioè che ci porta ad amare Dio non per timore delle pene dell’inferno, né per la speranza del cielo, ma unicamente per le sue perfezioni infinite? — Ciò che ci deve indurre a desiderare e a domandare a Dio questa bella virtù, si è che essa ci seguirà nell’eternità. Più ancora: è la carità che deve formare tutta la nostra felicità, poiché la felicità dei beati consiste nell’amare. Questa virtù così bella, così capace di renderci fedeli anche in questo mondo, vediamo, Fratelli miei, se l’abbiamo, e cerchiamo i mezzi di acquistarla.

I . Se domandassi ad un fanciullo: Che cos’è la carità? Egli mi risponderebbe: È una virtù che ci viene dal cielo, per la quale amiamo Dio con tutto il nostro cuore, ed il prossimo come noi stessi, per amore di Dio. — Ma, mi domanderete voi, che cos’è amare il buon Dio al disopra di tutte le cose, e più di se stesso? — È preferirlo a quanto v’è di creato: è l’essere disposti a perdere le sostanze, la reputazione, i parenti, gli amici, i figli, il marito o la moglie ed anche la stessa vita, piuttosto che commettere il minimo peccato mortale.S. Agostino ci dice che l’amare Iddio perfettamente, è amarlo senza misura, quand’anche non vi fosse il cielo da sperare, né l’inferno da temere: è amarlo con tutta la potenza del cuore. Se me ne domandate la ragione, è questa: che Dio è infinitamente amabile e degno d’essere amato. Se l’amiamo davvero, né i patimenti, né le persecuzioni, né il disprezzo, né la vita, né la morte potranno rapirci l’amore che dobbiamo a Dio. Noi stessi lo sentiamo, F. M., che se non amiamo Dio noi siamo esseri sventurati, troppo sventurati. Se l’uomo è creato per amare Dio, non può trovare la sua felicità che in Dio solo. Fossimo pure padroni del mondo, se non amiamo Dio, non possiamo essere che infelici per tutta la nostra vita. Se volete meglio convincervene, vedete, interrogate coloro che vivono come se Dio non fosse. Vedete quelli che abbandonano la frequenza ai Sacramenti e la preghiera, vedeteli quando li colpisce un dolore, o la perdita d’una persona cara: ahimè! maledicono se stessi, sono nello strazio, o muoiono d’angoscia. Un avaro quando possiede molto, non è più felice di quando possedeva poco. Un ubriacone è forse più felice, dopo aver bevuto la tazza di vino nella quale credeva trovare tutto il suo piacere? È ancora lo stesso infelice. Un orgoglioso non ha mai quiete: teme sempre d’essere disprezzato. Un vendicativo, perché cerca di vendicarsi non dorme, né giorno né notte. Osservate altresì un infame impudico che crede di trovare la sua felicità nei piaceri della carne: arriva persino, non dico a perder la riputazione, ma gli averi, la sanità e l’anima, senza perciò poter trovarsi contento. E perchè, F. M., non possiamo esser felici possedendo quanto sembrerebbe doverci accontentare? Ah! perché, non essendo creati che per Iddio, non v’ ha che Lui solo che possa soddisfarci, cioè renderci felici quanto è possibile l’esserlo su questa povera terra. Ciechi che siamo ci attacchiamo alla vita, alla terra, ai suoi beni, ahimè! ai piaceri; diciamo meglio, ci attacchiamo a tutto quanto può renderci infelici! Come, F. M., furono più saggi di noi i Santi, che hanno tutto sprezzato per non cercar che Dio solo. Chi ama davvero il buon Dio fa poco conto di quanto v’ha sulla terra! – Quanti grandi del mondo, anche principi, re, imperatori, non vediamo noi, che tutto lasciarono per servire Iddio più liberamente nei deserti o nei monasteri! Quanti altri per mostrare al buon Dio il loro amore, salirono sui patiboli, come vincitori sul trono! Ah! F. M., quanto è felice chi ha la fortuna di staccarsi dalle cose del mondo per non attaccarsi che a Dio solo! Ahimè! quanti ve ne sono fra noi che hanno venti o trent’anni, e non domandarono mai a Dio quest’amore che è un dono del cielo, come ve lo insegna il catechismo. Non dobbiam quindi meravigliarci, F. M., se siamo così terreni e così poco spirituali! Questo modo di comportarci non può che condurci ad una fine ben sventurata: la separazione da Dio nell’eternità! Ah! F. M., è possibile che non vogliamo rivolgerci verso il nostro vero bene, che è Dio solo? Ma lasciamo quest’argomento, sebbene tanto interessante.

I ..La carità forma tutta la gioia e la felicità dei Santi in cielo. Ah! “bellezza antica e sempre nuova, „ quando non ameremo che voi sola? Se domandassi ora ad un fanciullo: “Che cos’è la carità verso il prossimo? „ Egli mi risponderebbe: La carità verso Dio deve farcelo amare più dei nostri beni, la sanità, la riputazione, e della stessa vita: la carità che dobbiam avere pel prossimo deve farcelo amare come noi stessi, di modo che tutto il bene che possiam desiderare a noi, dobbiam desiderarlo al nostro prossimo, se vogliamo aver questa carità, senza della quale non si può sperare né il cielo né l’amicizia di Dio. Ahimè! Quanti Sacramenti profanati da questa mancanza di carità, e quante anime condotte all’inferno! Ma che devesi intendere con questa parola: il nostro prossimo? Niente di più facile a comprendersi. Questa virtù si estende a tutti, anche a coloro che ci hanno fatto del male, che hanno danneggiato la nostra riputazione, ci hanno calunniati e fatto qualche torto, quand’anche avessero attentato alla nostra vita. Dobbiamo amarli come noi stessi, ed augurare a loro tutto il bene che possiamo desiderare a noi. Non solo ci è proibito di voler loro alcun male, ma dobbiamo render loro servizio ogni volta che ne hanno bisogno, e lo possiamo. Dobbiam rallegrarci quando riescono nei loro affari, rattristarci quando sono vittima di qualche disgrazia, di qualche perdita; prendere le loro difese quando se ne parla male, dire il bene che ne sappiamo, non fuggire la loro compagnia, anzi trattenerci piuttosto con loro che con quelli che ci hanno reso qualche servizio: ecco, F. M., come il buon Dio vuole che amiamo il nostro prossimo. Se non facciamo così, possiam dire di non amare né il prossimo né Dio; siamo cattivi Cristiani; ed andremo dannati. Vedete, F. M., la condotta che tenne Giuseppe verso i fratelli, che avevano voluto farlo morire, che l’avevan gettato in una cisterna, e dipoi venduto a mercanti stranieri. Solo consolatore gli rimase Iddio. (Gen. XXXVII). Ma siccome il Signore non abbandona chi l’ama, quanto Giuseppe era stato umiliato, altrettanto fu esaltato. Divenuto quasi padrone del regno dei Faraoni, i suoi fratelli, ridotti alla più gran miseria, vennero da lui senza conoscerlo. Giuseppe vede arrivar coloro che avevano attentato alla sua vita, e l’avrebbero fatto morire se il primogenito non li avesse dissuasi. Egli ha in mano tutti i poteri da Faraone, potrebbe farli prendere e farli morire. Nulla poteva impedirlo: al contrario era anzi cosa giusta punire i delinquenti. Ma Giuseppe che cosa fa? … la carità che ha nel cuore gli fa dimenticare i maltrattamenti ricevuti. Non pensa che a beneficarli… piange di gioia, domanda subito notizie del padre e degli altri fratelli: per meglio far loro sentire la grandezza del suo amore, vuole che vengano per sempre presso di lui (Gen. XLII – XLVII). – Ma, mi direte, come si può conoscere se si ha questa bella e preziosa virtù, senza la quale la nostra religione non è che un fantasma? Anzitutto, F. M., chi ha la carità non è orgoglioso, non cerca di dominare sugli altri: non l’udrete mai biasimare la loro condotta, non parla di ciò ch’essi fanno. Chi ha la carità non esamina l’intenzione degli altri nelle loro azioni, non crede mai di far meglio di essi; non si mette al di sopra del suo vicino; anzi crede che gli altri facciano sempre meglio di lui. Non si inquieta se altri vengano preferiti a lui; se è disprezzato non è meno contento, perché pensa di meritare anche un disprezzo maggiore. Chi ha la carità evita, per quanto il può, di dar pena ad altri, perché la carità è un manto regale che sa nascondere le colpe dei fratelli, e non lascia mai credere che si sia migliori di loro. Inoltre quelli che hanno la carità ricevono con pazienza e rassegnazione alla volontà di Dio, tutte le disgrazie che posson loro capitare, le malattie, le avversità, pensando che tutto ciò ci ricorda che siamo peccatori, e che la nostra vita quaggiù non è eterna. Nei dispiaceri, nelle pene, nelle malattie o nella perdita dei beni li vedete sempre sottomessi alla volontà di Dio, e non si disperano mai, pensando che adempiono la divina volontà. Vedete il santo Giobbe sul suo letamaio (Job. II, 8): non è contento? Mi domandate perché non si lascia andare alla disperazione? Perché ha la carità nell’anima e sottomettendosi alla volontà di Dio, acquista meriti pel cielo. Vedete ancora il santo Tobia che divien cieco dando sepoltura ai morti (Tob. II, 11): non si dispera ed è tranquillo. Perché questa tranquillità? sa di fare la volontà di Dio, e di glorificarlo in questo stato… Poi chi ha la carità non è avaro, e non cerca d’ammassare beni di questo mondo. Lavora perché Dio lo vuole, ma senza attaccarsi al lavoro, né al desiderio di accumulare per l’avvenire; si riposa con fiducia nella Provvidenza, la quale mai abbandona chi l’ama. Regnando la carità nel suo cuore, tutte le cose della terra sono nulla per lui: vede che tutti coloro che corron dietro ai beni del mondo sono i più infelici. Per suo conto, impiega, quanto può, in opere buone, per redimere i suoi peccati e meritarsi il cielo. È caritatevole verso tutti, e non ha preferenze per alcuno: tutto il bene che fa, lo fa in nome di Dio. Assiste il povero bisognoso, sia amico o nemico. Egli imita S. Francesco di Sales, che allorché non poteva fare che una sola elemosina la offriva a chi gli aveva fatto qualche affronto, piuttosto che a chi gli aveva reso servigi. La ragione di questa condotta è che tale azione era a Dio assai più accetta. Se avete la carità, non esaminate mai se quelli ai quali date, vi hanno fatto alcun torto, o vi hanno talvolta ingiuriato; se sono buoni o no. Vi domandano a nome di Dio: date. Ecco quanto bisogna fare perché le vostre elemosine sian degne di ricompensa. Leggiamo nella vita di S. Ignazio, che un giorno, preoccupato da un affare, rifiutò l’elemosina ad un povero. Ma bentosto corse dietro al povero per fargliela, e da allora promise al buon Dio di non mai rifiutare l’elemosina, quando gli fosse domandata in suo nome. Ma, penserete voi, se si dà a tutti i poveri, ben presto diventeremo poveri anche noi. Ascoltate quanto disse il santo Tobia al figliuol suo: “Non ritener mai il salario degli operai, pagali sempre la sera dopo il lavoro; e, quanto ai poveri, dà a tutti se lo puoi. Se hai molto, dà molto: se poco, dà poco: ma sempre di buon cuore; perché l’elemosina cancella i peccati e spegne le fiamme del purgatorio. „ (Tob. IV). Del resto possiam dire che una casa che dà ai poveri non cadrà mai in rovina, perché il buon Dio farà un miracolo piuttosto che permetterlo. Vedete S. Antonio che vende i suoi beni per darli ai poveri, e che va in un deserto, dove si abbandona interamente nelle mani della Provvidenza. Vedete un S. Paolo eremita, un Alessio che si spogliano completamente dei loro beni per condur vita povera e disprezzata (Ribadeneira). Vedete un S. Serapione, che non solo vende beni e vestiti, ma anche se stesso per riscattare un prigioniero (Vita dei Padri del deserto. S. Serapione il Sindonita). – Quanto siamo colpevoli, quando non facciamo l’elemosina, e disprezziamo i poveri, respingendoli, diciamo che sono fannulloni, che possono ben lavorare!… F. M., facciamo l’elemosina quanto possiamo, perché è la cosa che ci deve rassicurare al punto di morte; e se ne dubitate, leggete il Vangelo, dove Gesù Cristo ci parla del giudizio: ” Ebbi fame etc.. ,, (Matth. XXV). Volete lasciare dopo di voi figli buoni e felici? Date loro l’esempio d’essere elemosinieri e caritatevoli verso i poveri, vedrete un giorno come Dio li  benedirà. Questo aveva capito bene santa Bianca, quando diceva: “Figlio mio, saremo sempre abbastanza ricchi se amiamo il buon Dio, e procuriamo di far del bene ai fratelli. „ – Se abbiamo veramente la carità, questa virtù così cara a Dio, non ci comporteremo come i pagani, i quali fanno del bene a chi ne fa loro, o a quelli da cui ne sperano: ma faremo del bene al prossimo, solamente per piacere a Dio e soddisfare ai nostri peccati. Che ci siano riconoscenti o no, ci facciano del bene o del male, ci disprezzino o ci lodino, non ce ne deve importar affatto. Vi sono molti che operano con mire puramente umane; se hanno fatto un’elemosina, reso un servigio ad alcuno, e non sono ricambiati, si indispettiscono, e si rimproverano d’essere stati ingenui. Siete puro, avete fatto le vostre opere buone per Iddio, o pel mondo? Se le avete fatte per essere stimati e lodati dagli uomini, avete ragione di voler esser pagati con la riconoscenza: ma se le faceste solo per redimere i vostri peccati e piacere a Dio, perché lamentarvi? È da Dio solo che ne aspettate la ricompensa. Dovete piuttosto ringraziare il buon Dio di vedervi compensati con ingratitudine, perché la vostra ricompensa sarà più grande. Ah! quanto siamo fortunati! Perché avremo dato qualche piccola cosa, il buon Dio ci darà in cambio il cielo! Le nostre piccole elemosine ed i nostri piccoli servigi saranno dunque ben ricompensati. Sì, F. M., preferiamo sempre fare del bene a chi non potrà mai rendercelo, perché se ci vien reso arrischiamo di perderne il merito. – Volete sapere se avete la vera carità? Eccone il segno: Vedete a chi preferite di far l’elemosina o di render qualche servizio. Forse a coloro che vi han fatto alcun torto… od a coloro che vi sono attaccati, che vi ringraziano? Se a questi, non avete la virtù della carità, e nulla avete a sperare per l’altra vita: tutto il merito delle buone azioni è dunque perduto. (Far l’elemosina agli amici, render loro servigio, è una carità minore senza dubbio della prima, ma che non manca d’un certo merito, d’un certo diritto alla ricompensa nell’altra vita, purché sia fatta con intenzione soprannaturale). Sono persuaso che se volessi entrare nei particolari di tutti i difetti nei quali cadiamo a questo riguardo, non troverei quasi nessuno che abbia nell’anima questa virtù, così come la vuole Iddio. Per esser premiati del bene che facciamo al prossimo, cerchiamo solo Dio, e operiamo solo per Lui. – Quanto è rara questa virtù fra i Cristiani. Diciam meglio: è tanto difficile trovarla, come è difficile trovare dei santi. E perché meravigliarsi? Dove sono quelli che la domandano a Dio, che fanno qualche preghiera o qualche opera buona per ottenerla? Quanti hanno già raggiunto i venti ed anche i trent’anni, e non l’hanno domandata? La prova ne è convincente. L’hanno domandata coloro che hanno solo vedute umane? Vedete voi stessi quale ripugnanza sentite di far subito del bene a chi vi ha fatto qualche torto od ingiustizia. Non conservate un certo rancore, od almeno freddezza a suo riguardo? A mala pena lo salutate, ed acconsentite di parlargli come fate con ogni altro. Ahimè! mio Dio! quanti Cristiani conducono una vita tutta pagana, eppur si credono buoni Cristiani: aihmè! come si troveranno disillusi quando il buon Dio farà loro vedere che cos’è la carità, e le qualità che doveva avere per render meritorie le loro azioni. – Non è necessario mostrarvi che una persona che ha la carità è libera dal vizio infame dell’impurità, perché una persona che ha la fortuna d’aver questa preziosa virtù nell’anima, è talmente unita al buon Dio, ed agisce secondo la sua santa volontà, che il demonio dell’impudicizia non può entrare nell’anima sua. Il fuoco dell’amor divino infiamma talmente il cuore di lei, l’anima ed i sensi tutti, che resta sicura dagli assalti del demonio dell’impurità. Sì, F. M., possiamo dire che la carità rende una persona pura in tutti i suoi sensi. O felicità ineffabile, chi ti comprenderà mai ?… La carità non è invidiosa: non soffre tristezza pel bene che può capitare al prossimo, sia nello spirito, sia nel corpo. Non vedrete mai chi ha la carità rattristarsi perché un altro riesce meglio di lui, o perché più amato, più stimato. Lungi dall’affliggersi della fortuna del suo prossimo, ne benedice il Signore. Ma, mi direte, non sono afflitto che il mio prossimo faccia bene i suoi affari, che sia ricco, felice. — Convenite però con me che sareste più contenti, se questo capitasse piuttosto a voi che a lui. — Sì, certamente. — Ebbene! se è così, non avete la carità quale il buon Dio vuole che l’abbiate, come vi comanda, e per piacergli… Chi ha la carità non è soggetto alla collera, perché S. Paolo ci dice che la carità è paziente, buona, dolce con tutti (1 Cor. XIII, 4). Vedete come siamo ben lontani dall’aver questa carità. Quante volte per un nulla ci affliggiamo, mormoriamo, ci adiriamo, parliamo con arroganza e stiamo in collera per più giorni!… — Ma, mi direte, è il mio modo di parlare: non sono adirato per questo. — Dite allora piuttosto che non avete la carità, che è paziente, dolce; e che non agite da buon Cristiano. Ditemi, se aveste la carità nell’anima, non sopportereste forse con pazienza, ed anche con piacere, una parola che si dice contro di voi, un’ingiuria, od anche un piccolo torto che vi si fa? — Egli intacca la mia riputazione. — Ahimè! amico mio, qual buona stima volete si abbia di voi dopo che tante volte l’avete demeritata?… Non dobbiamo considerarci fin troppo fortunati che ci si sopporti tra le creature, dopo che abbiam trattato così indegnamente il Creatore?… Ah! F. M., se avessimo questa carità, saremmo sulla terra quasi come i Santi in cielo! Chi, dunque, sa donde ci vengono tutti questi affanni che proviamo gli uni e gli altri; e perché tanti nel mondo soffrono ogni sorta di miserie? Tutto questo è perché non abbiamo carità. Sì, F. M., la carità è una virtù così bella, rende tutto ciò che facciamo così accetto al buon Dio, che i santi Padri non sanno quali frasi adoperare per farcene conoscere tutta la bellezza ed il valore. La assomigliano al sole, che è il più bell’astro del firmamento, e dà agli altri tutto il loro splendore e la loro beltà. Al pari di esso, la virtù della carità comunica a tutte le altre virtù la loro bellezza e purezza, e le rende meritorie ed infinitamente più care a Dio. La assomigliano al fuoco, che è il più nobile ed attivo di tutti gli elementi. La carità è la virtù più nobile ed attiva di tutte: porta l’uomo a disprezzare tutto ciò che è vile e  spregevole e di poca durata, per non attaccarsi che a Dio solo ed ai beni che non periranno mai. La assomigliano ancora all’oro, il più prezioso dei metalli, e che forma l’ornamento e la bellezza di quanto abbiamo di prezioso sulla terra. La carità forma la bellezza e l’ornamento di tutte le altre virtù: il più piccolo atto di dolcezza o di umiltà, fatto con la carità nel cuore , è d’un pregio che sorpassa quanto possiamo pensare. Dio ci dice nella sacra Scrittura (Cant. IV, 9) che la sua sposa. gli aveva ferito il cuore con uno de’ suoi capelli; per farci comprendere che la minima opera buona fatta con amore, con la carità nell’animo, gli è tanto cara, che gli trapassa il cuore. La minima azione, per quanto piccola, gli è sempre accetta, niente infatti vi è di così piccolo come i capelli del capo. O bella virtù! quelli che ti possiedono quanto sono felici; ma, ahimè, quanto son rari! … I Santi la assomigliano ancora alla rosa, che è il più bello di tutti i fiori, ed il più odoroso. Similmente, ci dicono, la carità è la più bella delle virtù: il suo profumo arriva fino al trono di Dio. Diciam meglio: la carità ci è tanto. necessaria per piacere a Dio e render tutte le nostre azioni meritorie; quanto l’anima nostra è necessaria al nostro corpo. Una persona che non ha la carità nel cuore è un corpo senz’anima. Sì, F. M., è la carità che sostiene la fede e la ravviva: senza la carità, questa è morta. La speranza, come la fede, non è che una virtù languente, che senza la carità non durerà a lungo.

II. — Comprendiamo ora, F. M., il valore di questa virtù, e la necessità di possederla per salvarci. Abbiamo almeno premura di domandarla tutti i giorni a Dio, poiché senza di essa non facciamo nulla per la nostra salute. Possiamo dire che quando la carità entra in un cuore, vi porta con sé tutte le altre virtù; essa purifica e santifica tutte le nostre azioni; essa perfeziona l’anima; essa rende le nostre opere degne di meritare il cielo. Sant’Agostino ci dice che tutte le virtù sono nella carità, e la carità è in tutte le virtù. È la carità, ci dice, che conduce le nostre azioni a termine, e dà loro accesso presso Dio. S. Paolo, che fu ed è ancora il luminare del mondo, tanta è la confidenza e la stima che aveva di questa virtù, da dirci che essa sorpassa tutti i doni del cielo. Scrivendo ai Corinti, esclama: “Quand’anche parlassi la lingua degli Angeli, se non ho la carità, sono simile ad un cembalo risonante, il quale non dà altro che suono. Quand’anche avessi il dono della profezia e tanta fede da poter trasportare le montagne da un luogo ad un altro, se non ho la carità, sono un nulla. Quand’anche distribuissi tutto il mio ai poveri, ed abbandonassi il mio corpo alle sofferenze, tutto questo non mi servirebbe a nulla se non ho la carità nel cuore, e se non amo il prossimo come me stesso „ Comprendete ora, F. M., quale necessità abbiamo di domandare a Dio con tutto il cuore questa incomparabile virtù, poiché tutte le altre sono nulla senza di essa? – Ne volete un bell’esempio? Vedete Mosè: quando suo fratello Aronne e sua sorella Maria, mormorarono contro di lui, il Signore li punì; ma vedendo Mosè sua sorella ricoperta di lebbra in pena della sua ribellione: O Signore! disse, perché punite mia sorella? sapete bene che giammai v’ho domandato vendetta; perdonatele, di grazia. Perciò lo Spirito Santo ci dice che egli era il più dolce degli uomini che fossero allora sulla terra (Num. XII – Act. VII, 59). Ecco, F. M., un fratello che ha veramente la carità nel cuore, poiché si affligge di veder punita la sorella. Ditemi, se vedessimo punito qualcuno che ci ha fatto qualche oltraggio, faremmo noi come Mosè? ci affliggeremmo noi, domanderemmo al buon Dio di non punirlo? Ahimè! quanto sono rari quelli che hanno nell’anima questa carità di Mose! F. M. Ma, mi direte, quando ci si fanno delle azioni che non meritiamo, è ben difficile amarne gli autori. — Difficile F. M.?… Vedete S. Stefano: mentre lo si uccide a colpi di pietre, alza le mani e prega Iddio di perdonare ai carnefici, che gli tolgon la vita, il peccato che commettono (Act.).— Ma, pensate voi, S. Stefano era un Santo. — Era un Santo, F. M.? Ma se non siamo santi, è gran disgrazia per noi: bisogna che lo diventiamo; e sino a quando non avremo la carità nel cuore, non diventeremo mai santi. Quanti peccati, F. M., si commettono contro l’amor di Dio e del prossimo! Desiderate sapere quanto spesso pecchiamo contro l’amore che dobbiamo a Dio? – L’amiamo noi con tutto il nostro cuore? Non gli abbiam spesso preferito i parenti, gli amici nostri? Per andare a visitarli senza necessità non abbiam sovente tralasciato le funzioni, i vespri, il catechismo, la preghiera della sera? Quante volte avete fatto tralasciar le orazioni ai vostri figli, per timore di far loro perdere qualche minuto? Ahimè! Per guidar al pascolo le vostre gregge?… Mio Dio! qual preferenza indegna!… Quante volte abbiamo tralasciato anche noi le preghiere nostre: o le abbiam recitate stando a letto, vestendoci, camminando? Ci siamo dati cura di riferire a Dio tutte le nostre azioni. tutti i nostri pensieri, desiderii? Ci siamo consacrati a Lui dall’uso della ragione, e gli abbiamo dato quanto avevamo? S. Tommaso ci dice che i padri e le madri debbono aver gran cura di consacrare i loro figli a Dio, fin dall’età più tenera, e che, ordinariamente, i figli consacrati a Dio dai loro parenti, ricevono una grazia ed una benedizione particolarissima, che altrimenti non riceverebbero. Ci dice che se le madri avessero ben a cuore la salvezza dei loro figliuoli li offrirebbero a Dio prima che venissero al mondo. – Ho detto che quelli che hanno la carità ricevono con pazienza e rassegnazione alla volontà di Dio tutto quanto può loro accadere, le malattie, le calamità, pensando che tutto questo ci ricorda che siamo peccatori, e la nostra vita quaggiù non è eterna… Noi pecchiamo ancora contro l’amor di Dio, quando stiamo troppo a lungo senza pensare a Lui. Quanti, ahimè! passano una parte ed anche la metà del giorno senza fare una elevazione del loro cuore verso Dio, per ringraziarlo di tutti i suoi benefizi, soprattutto di averli fatti Cristiani, di averli fatti nascere nel grembo della sua Chiesa, di averli preservati dall’essere morti in peccato. L’abbiamo ringraziato di tutti i Sacramenti che ha istituiti per la nostra santificazione, della nostra vocazione alla fede? L’abbiamo ringraziato di quanto ha fatto per la nostra salvezza, della sua Incarnazione, Passione e della sua Morte? Non abbiamo invece avuto indifferenza pel servizio di Dio, trascurando, sia di frequentare i Sacramenti, sia di correggerci, sia di ricorrere spesso alla preghiera? Non abbiam omesso di istruirci sul modo di comportarci per piacere al Signore? Quando abbiamo udito qualcuno bestemmiare il santo Nome di Dio, o veduto commettere altri peccati, non siamo stati indifferenti, come se ciò non ci riguardasse? Non abbiamo pregato senza gusto, senza intenzione di piacere a Dio; piuttosto per toglierci l’imbarazzo d’un dovere che ci incomba che per attirare le sue misericordie su di noi, e nutrire la povera anima nostra? Non abbiam passato il santo giorno di Domenica, accontentandoci della Messa, dei Vespri; senza fare alcun’altra preghiera, né la visita al Ss. Sacramento, né la lettura spirituale? Abbiamo provato disgusto quando dovemmo mancare alle funzioni? Abbiam procurato di supplirvi con tutte le preghiere che ci era possibile? Avete fatto perdere le funzioni ai vostri figli, ai domestici senza gravi ragioni?… Abbiam combattuto tutti quei pensieri di odio, di vendetta, di impurità? Per amare il buon Dio, F. M., non basta dire che lo si ama: bisogna, per ben assicurarci se è vero, vedere se osserviamo i suoi comandamenti, e li facciamo osservare a coloro, dei quali abbiamo la responsabilità davanti a Dio. Ascoltate nostro Signore: “In verità vi dico, non colui che dirà: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli; ma colui che farà la volontà del Padre mio„ (Matth. VII,21). Noi amiamo Dio, quando cerchiamo di piacergli in tutto ciò che facciamo. Non si deve desiderare né la vita, né la morte; tuttavia, si può desiderare la morte per aver la felicità d’andare a Dio (Desìderium habens dissolvi, et esse cum Chriti, multo magis melius. Philipp, I, 3). S. Ignazio aveva un sì gran desiderio di veder Dio, che quando pensava alla morte, ne piangeva di gioia. Tuttavia, aspettando questa gran fortuna, diceva a Dio, che resterebbe sulla terra quanto voleva. Gli premeva tanto la salute delle anime, che un giorno, non potendo convertire un peccatore ostinato, andò ad immergersi fino al collo in uno stagno ghiacciato per ottenere da Dio la conversione di quel disgraziato. Andando a Parigi, un suo scolaro gli rubò in viaggio tutto il denaro che aveva. Ammalatosi costui a Rouen, il buon Santo fece il viaggio da Parigi a questa città, a piedi e senza scarpe, per ottenere la guarigione di chi gli aveva rubato tutto il denaro. Ditemi, M. F., non è questa carità perfetta? Certo pensate dentro di voi, che in questo caso era già molto l’aver perdonato. Eppur fareste la medesima cosa, se aveste la medesima carità di questo buon Santo. Se troviamo che sono così poche le persone che farebbero ciò, F. M., è perché assai poche hanno la carità nel cuore. Quanto è consolante poter amare Dio ed il prossimo, senza essere sapienti o ricchi! Abbiamo il cuore: esso basta per questo amore.Leggiamo nella storia che due solitari domandavano a Dio da lungo tempo, che volesse loro insegnare il modo di amarlo, e di servirlo a dovere, giacché non avevano abbandonato il mondo che per questo. Intesero una voce che disse loro d’andare ad Alessandria, dove dimoravano un uomo chiamato Eucaristo, e la sua moglie che si chiamava Maria. Costoro servivano Dio più perfettamente dei solitari, ed avrebbero loro insegnato come si doveva amarlo. Contentissimi di questa risposta, i due solitari si recano in fretta ad Alessandria. Arrivati, chiedono informazioni, durante parecchi giorni, ma senza poter trovare quelle due sante persone. Temendo che la voce li avesse ingannati, stavano per tornare al loro deserto, quando scorsero una donna sulla porta di sua casa. Le domandarono se non conoscesse per caso un uomo chiamato Eucaristo. “È mio marito, rispose ella. „ — “Voi dunque vi chiamate Maria? le dissero i solitari. „ — “Chi v’ha detto il mio nome? „ — “L’abbiam saputo, come quello di vostro marito, da una voce soprannaturale, e veniamo qui per parlarvi. „ Sulla sera arriva il marito, conducendo un piccolo gregge di montoni. I solitari corsero tosto ad abbracciarlo, e lo pregarono di dir loro qual fosse il suo metodo di vita. “Ah! padri miei, io non sono che un povero pastore. „ — “Non è questo che vi domandiamo, gli dissero i solitari; diteci come vivete, e come voi e vostra moglie servite il Signore. „ — “Padri miei, tocca a voi di dirmi che cosa occorra per servire il buon Dio: io non sono che un povero ignorante. „ — “Non importa! siam venuti da parte di Dio a domandarvi come lo servite. „ — “Poiché me lo comandate, ve lo dirò. Ebbi la fortuna d’aver una madre timorosa di Dio, che fin dalla mia infanzia mi raccomandò di tutto fare e tutto soffrire per amor di Dio. Io soffriva le piccole correzioni che mi erano fatte, per amor di Dio; riferivo tutto a Dio: al mattino, alzandomi, facevo la mia orazione e tutto il mio lavoro per amor suo. Per suo amore oggi ancora prendo il mio riposo ed il cibo, soffro la fame, la sete, il freddo e il caldo, le malattie e tutte le altre miserie. Non ho figli: vissi con mia moglie come con una sorella, e sempre in gran pace. Ecco tutta la mia vita e così quella di mia moglie. „ I solitari, ammirati di trovar anime così accette a Dio, gli domandarono se possedesse. “Io ho poco, ma questo piccolo gregge di montoni che mio padre mi lasciò è per me sufficiente, me ne avanza. Faccio tre parti della mia piccola rendita: ne do una parte alla Chiesa un’altra ai poveri, ed il resto serve a mia moglie ed a me. Mi nutro poveramente: ma non mi lamento mai; soffro tutto per amor di Dio. „ — “Avete dei nemici, gli chiesero i solitari? „ — “Ahimè, padri miei, chi non ne ha? Procuro di far loro tutto il bene che posso, cerco di far loro piacere in ogni circostanza, e mi sforzo di non far male a nessuno.„ A queste parole, i due solitari furon colmi di gioia per aver trovato un mezzo così facile di piacere a Dio e d’arrivare ad alta perfezione. Vedete, F. M., che per amare il buon Dio ed il prossimo non è necessario d’essere né sapienti né ricchi: basta cercare soltanto di piacere a Dio in tutto ciò che facciamo: di far del bene a tutti, ai cattivi come ai buoni, a quelli che lacerano la nostra riputazione, come a quelli che ci amano, e che prendiamo Gesù Cristo per nostro modello: vedremo quello che ha fatto per tutti gli uomini, e particolarmente pe’ suoi persecutori. Vedete come domanda perdono, misericordia per loro: li ama, offre per loro i meriti della sua Passione e Morte; promette loro il perdono. Se non abbiamo questa virtù della carità non abbiamo nulla: non siamo che larve di Cristiani. O ameremo tutti, anche i nostri più accaniti nemici, o saremo riprovati. Ah! F. M., poiché questa bella virtù viene dal cielo, rivolgiamoci adunque al cielo per domandarla, e siamo sicuri di ottenerla. Se possediamo la carità, tutto in noi piacerà a Dio, e con ciò ci assicureremo il paradiso. È la felicità che vi auguro.