SALMI BIBLICI: “BENEDICTUS DOMINUS, DEUS MEUS” (CXLIII)

SALMO 143: BENEDICTUS DOMINUS DEUS MEUS

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS. 

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 143

Psalmus David. Adversus Goliath.

[1] Benedictus Dominus Deus meus,

qui docet manus meas ad prælium, et digitos meos ad bellum.

[2] Misericordia mea et refugium meum, susceptor meus et liberator meus; protector meus, et in ipso speravi; qui subdit populum meum sub me.

[3] Domine, quid est homo, quia innotuisti ei? aut filius hominis, quia reputas eum?

[4] Homo vanitati similis factus est; dies ejus sicut umbra prætereunt.

[5] Domine, inclina cœlos tuos, et descende; tange montes, et fumigabunt.

[6] Fulgura coruscationem, et dissipabis eos; emitte sagittas tuas, et conturbabis eos.

[7] Emitte manum tuam de alto: eripe me, et libera me de aquis multis, de manu filiorum alienorum:

[8] quorum os locutum est vanitatem, et dextera eorum dextera iniquitatis.

[9] Deus, canticum novum cantabo tibi; in psalterio decachordo psallam tibi.

[10] Qui das salutem regibus, qui redemisti David servum tuum de gladio maligno,

[11] eripe me, et erue me de manu filiorum alienorum, quorum os locutum est vanitatem, et dextera eorum dextera iniquitatis.

[12] Quorum filii sicut novellæ plantationes in juventute sua; filiæ eorum compositæ, circumornatæ ut similitudo templi.

[13] Promptuaria eorum plena, eructantia ex hoc in illud; oves eorum fœtosæ, abundantes in egressibus suis;

[14] boves eorum crassæ. Non est ruina maceriæ, neque transitus, neque clamor in plateis eorum.

[15] Beatum dixerunt populum cui hæc sunt; beatus populus cujus Dominus Deus ejus.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXLIII.

Il salmo canta la vittoria di Davide sul gìgante Goliath; ed in senso spirituale, predice la vittoria Cristo e della Chiesa sul demonio.

Salmo di David contro Goliath.

1. Benedetto il Signore Dio mio, il quale alle mani mie insegna a combattere, e alle mie dita a trattare l’armi.

2. Egli mia misericordia e mio asilo; mia difesa e mio liberatore; Protettor mio, e in lui ho sperato: egli che a me soggetta il mio popolo.

3. Signore, che è l’uomo, che a lui ti sei dato a conoscere? o il figliuolo dell’uomo, che tal tu ne mostri concetto?

4. L’uomo è divenuto simile al nulla: i giorni di lui passan come ombra.

5. Signore, abbassa i tuoi cieli, e discendi, tocca i monti e andranno in fumo.

6. Fa lampeggiare i tuoi folgori, e dissiperai costoro; scocca le tue saette, e li porrai in ispavento.

7. Stendi la mano tua dall’alto, e salvami; e liberami dalla piena dell’acque, dalla mano de’ figliuoli stranieri.

8. La bocca de’ quali di cose vane ragiona, e la loro destra, destra d’iniquità. (1)

9. 0 Dio, io canterò a te un cantico nuovo; inni di laude dirò a te sul salterio a dieci corde.

10. A te che dai salute ai regi, che liberasti David tuo servo dalla spada micidiale; liberami,

11. E toglimi dalle mani de’ figliuoli stranieri, la bocca de’ quali di cose vane ragiona, e la loro destra, destra d’iniquità.

12. I figliuoli de’ quali sono come piante novelle nella lor giovinezza. Le loro figliuole abbigliate, e ornate da ogni lato, come l’idolo di un tempio. (2)

13. Le loro dispense ripiene, e ridondanti per ogni lato. (3)

14. Feconde le loro pecore, escono fuori in branchi copiosi: pingui le loro vacche.

Da ruina sono esenti le loro mura, e da incursione; nè flebil grido si ode nelle lor piazze.

15. Beato hanno detto quel popolo che ha tali cose; ma beato il popolo, che per suo Dio ha il Signore.

(1) Dextera eorum, dextera iniquitatis, Vale a dire, letteralmente: che porgono la mano per fare alleanze ingannevoli.

(2) Secondo il testo ebraico: le nostre figlie sono come delle pietre angolari tagliate come ornamento di un tempio o in un palazzo.

(3) Eructantia ex hoc in illud, letteralmente: fornente delle provvigioni di una specie ed altra, cioè di ogni specie.

Sommario analitico

Il Re-Profeta, persuaso che egli debba la sua vittoria, o su Golia, o sui popoli vicini congiurati contro di lui, al favore divino, testimonia a Dio la sua riconoscenza per i molteplici benefici che ha ricevuto, malgrado la sua debolezza e la sua indegnità, ed implora nuovamente la protezione divina.

I. – Egli rende grazie a Dio per la vittoria che ha riportato:

1° Benedicendo Dio che, a) con la sua saggezza ha istruito le sue mani al combattimento e le sue dita alla guerra (1);

2° Con la sua misericordia è stato:

a) suo rifugio dai nemici;

b) suo sostegno e liberatore, liberandolo da ogni pericolo al quale è stato esposto;

c) suo protettore, dandogli sua speranza tra i combattimenti, e sottomettendogli il suo popolo (2);

3° Abbassandosi egli stesso,

a) si riconosce indegno di conoscere Dio, indegno perché Dio si possa degnare di pensare a lui (3);

b) spiega la causa di questa indegnità: il nulla dell’uomo e la brevità della sua esistenza (4);

II. –  Implora il soccorso di Dio contro i suoi nemici, e gli domanda:

1° che i suoi nemici siano distrutti da Dio stesso,

a) abbassando i cieli,

b) colpendo con fulmini queste montagne orgogliose (5), e facendo brillare i suoi fulmini onde dissiparli,

c) lanciando contro di essi i suoi dardi per riempirli di terrore (6);

2° Che sia liberato dai perfidi disegni dei suoi nemici, e adduce come ragione i loro discorsi ispirati dalla menzogna e dalla vanità, e l’iniquità delle loro opere (7, 8).

III. – Promette a Dio delle nuove azioni di grazie per le nuove vittorie che egli spera dalla sua misericordia:

1° promette di cantare un cantico nuovo per ringraziare Dio per averlo salvato e liberato dalla mano di figli di stranieri (9-11);

2° porta come ragioni in appoggio alla sua preghiera, l’orgoglio dei suoi nemici, prodotto dalla prosperità e dall’abbondanza di cui godono:

a) col numero dei loro figli, pieni di linfa e di vigore (12);

b) dalla bellezza e splendore delle loro figlie (12);

c) dall’abbondanza dei loro raccolti (13);

d) dal numero e dalla fecondità delle loro greggi;

e) dalla solidità delle loro abitazioni;

f) dalla calma e tranquillità che li circonda (14);

3° all’opinione del mondo, che proclama felici cloro che possiedono questi beni, egli oppone il proprio pensiero, espressione della verità, e cioè che il popolo veramente felice è quello di cui è Signore Dio (15).

Spiegazioni e considerazioni

I. — 1-4.

ff. 1, 2. – Cosa dite, o Profeta? Che Dio insegna a far la guerra, a darsi ai combattimenti, a preparare delle armate in battaglia? Sì, senza dubbio, e non ci si inganna ad attribuirgli le vittorie così riportate … ma vi è un’altra guerra più spaventosa, in cui il soccorso dall’alto ci è soprattutto necessario: è la guerra che dobbiamo sostenere contro le potenze nemiche (Ephes. VI, 12). E ciò che rende questa guerra più spaventosa è che queste potenze siano di una natura differente dalla nostra, di una natura invisibile, e che non si tratti di interessi senza importanza: sono in gioco la nostra salvezza o la nostra perdita! Le  vittime di questa guerra non si possono vedere; è impossibile prevedere né il tempo, né le difficoltà, né i luoghi, né le altre circostanze del combattimento (S. Chrys.). – Due lezioni sono comprese in questi versetti: la prima: che è necessario considerare Dio come l’Autore ed il principio di ogni bene, di ogni successo riportato sui nostri nemici temporali o spirituali; la seconda è: che la protezione del Signore consiste tanto nell’istruirci, che nel fortificarci (Berthier). –  « Egli è mia misericordia, etc. » Noi vediamo qui in quale ordine Dio ha dato la vittoria a Davide, ed in quale ordine pure la darà a  noi, se riponiamo in Lui ogni nostra speranza. Innanzitutto Dio lo ha considerato con misericordia. La misericordia divina è, in effetti, l’origine di tutti i beni e previene assolutamente ogni tipo di merito. – Una volta prevenuto e chiamato dalla misericordia celeste, Davide ha rivolto gli occhi al Signore, e mettendo in Lui tutte le sue speranze, si rifugia nel suo seno. – Dio, dal suo canto, gli tende la mano, gli promette il suo soccorso: Egli è il suo difensore. – Ma non basta, Dio lo libera e, dopo averlo liberato, continua a proteggerlo, per sottrarlo ad ogni pericolo; in altri combattimenti Egli è il suo protettore; infine come pure Dio ha sottomesso a Davide il popolo sul quale egli doveva regnare, Egli ammorbidisce la fuga delle nostre passioni, ce le assoggetta e ce ne rende padroni. – In effetti, nella guerra contro i nemici della salvezza, l’operazione più difficile e necessaria è il renderci padroni del nostro popolo, cioè delle nostre facoltà, dei nostri sensi, della nostra immaginazione, della nostra memoria, del nostro spirito, della nostra volontà (Bellar., Berthier, Duguet)

ff. 3, 4. – Ci è necessaria una doppia conoscenza, che questo salmo ci dà in successione: la conoscenza di noi stessi, la conoscenza di Dio. – Per l’uomo è un grande onore conoscere il Creatore. In questo noi differiamo dagli animali, perché noi conosciamo il nostro Creatore, mentre gli animali non lo conoscono affatto. La direzione stessa del nostro corpo sembra cercare il suo Creatore. Gli altri animali guardano a terra, i loro occhi seguono la direzione del loro ventre, i nostri occhi, al contrario, sono levati al cielo, affinché, anche se la nostra anima è cieca, noi non cessiamo mai di guardare il cielo con gli occhi del corpo. (S. Girol.). – Il Re-Profeta non intende marcare le differenze tra Dio e l’uomo. L’intervallo è infinito, e non c’è nell’uomo alcun termine che possa servire da regola e da proporzione. « Che cos’è l’uomo, e cosa siete Voi o Signore? » È tutto ciò che può dire questo grande Profeta; il suo spirito entra in una sorta di estasi, si perde in questi due abissi, l’uno di perdizione e l’atro di debolezza (Berthier). « Signore, che cos’è l’uomo? » Tutto ciò che egli è, lo è perché Voi gli avete concesso di conoscervi. « Che cos’è l’uomo perché gli abbiate concesso di conoscervi? O il figlio dell’uomo perché ne facciate conto? » Voi lo considerate, fate gran caso di lui, lo apprezzate di grande valore: gli date un rango, Voi sapete sopra di chi porlo, Voi sapete sopra di chi lo avete posto. La stima su misura dal prezzo che si dà ad una cosa; e quale stima ha fatto dell’uomo Colui che ha versato per lui il sangue del suo Figlio unigenito? « Cosa è l’uomo perché gli abbiate concesso di conoscervi? » A chi lo avete concesso? Chi lo ha concesso? « Cos’è il figlio dell’uomo perché Voi lo consideriate? » E ponendo un prezzo così alto, stimandolo di un tal valore, Voi dimostrate che egli è qualcosa di prezioso; perché Dio non stima l’uomo, come l’uomo stima se stesso. Quando si compra uno schiavo, lo si paga meno di un cavallo. Vedete quando Dio vi stimi, perché possiate dire: « Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? » (Rom. VIII, 31). A qual prezzo elevato, vi ha stimato, Egli che non ha risparmiato suo Figlio, ma lo ha offerto per noi! « Come non ci avrebbe dato ogni cosa con Lui? » (ibid.). Egli che ha dato un tal nutrimento al combattente, cosa riserva al vincitore? (San Agost.). – « L’uomo è diventato simile alla vanità, i suoi giorni passano come l’ombra. » I nostri giorni sono veramente come l’ombra: io ero un bambino, sono stato adolescente, giovane, sono diventato un uomo fatto, cioè ho raggiunto l’età perfetta, senza accorgermene, sono diventato vecchio, e la morte si appresta a succedere alla vecchiaia. Io cambio ogni giorno, non sento che sono nulla. Noi non restiamo un solo istante della nostra vita nel medesimo stato, ma sempre ci accresciamo o decresciamo. L’uomo dunque cambia ad ogni istante, e muore nel momento che meno immagina. Vecchio, mi ricordo di ciò che sono stato, ciò che ho fatto da piccolo, giocare, correre qua e là, io mi vedo ora curvo sotto il peso degli anni. « I suoi giorni passano come l’ombra. » (S. Gerol.) – « L’uomo è divenuto simile alla vanità! » A quale vanità? Ai tempi che passano e scorrono. In effetti, i tempi possono essere chiamati una vanità, in confronto alla verità che resta eternamente e non può morire. Ma questa creatura è al suo posto. In effetti, « Dio, come è scritto, ha riempito la terra dei suoi beni. » (Eccli. XVI, 30). Che significa « Dei suoi beni? » Dei beni che gli convengono. Ma tutti questi beni terrestri sono cangianti e passeggeri, se li si compara a questa verità per eccellenza che ha detto: « Io sono colui che sono » (Es. III, 14); tutto ciò che accade si chiama col nome di Vanità; perché tutto ciò svanisce nel tempo, come il fumo nell’aria. E cosa dirò di più di ciò che ha detto l’Apostolo San Giacomo, con l’intenzione di richiamare all’umiltà l’orgoglio degli uomini? « Cos’è – egli dice – la vostra vita? un vapore che appare per un po’ di tempo e che dopo sarà disperso. » (Giac. IV, 15). « L’uomo è dunque divenuto simile alla vanità. » E peccando, « … egli è divenuto simile alla vanità; » perché, quando è stato creato, è stato fatto in origine simile alla verità; ma poiché ha peccato ed ha ricevuto il castigo, « è divenuto simile alla vanità. » (S. Agost.). –  I giorni dell’uomo passano come l’ombra. Questo paragone è completo: l’ombra diminuisce di forma, a misura che cresce; crescendo si avvicina alla sua fine, e sparisce nel momento in cui ha maggiore estensione. I nostri giorni diventano più deboli man mano che il loro numero aumenta, e si spengono completamente quando hanno raggiunto la somma che Dio ha loro assegnato. Non resta a colui che è giunto alla vecchiaia se non il ricordo delle sue diverse età, e questo ricordo è ancora nel suo spirito come un’ombra che si affievolisce con il progredire dei giorni, e si spegne del tutto al momento della morte. (Berthier).

II. — 5-8.

ff. 5, 6. – Il Signore ha abbassato i cieli ed è sceso quando si è annientato fino ad unirsi all’uomo. Egli ha colpito le montagne, quando ha umiliato i superbi ed i grandi della terra. – Ciò che succede nelle regioni dell’aria, quando Dio vi eccita delle tempeste, è un’immagine dello stato in cui si trova l’anima toccata dalla grazia e penetrata dal timore dei giudizi di Dio. Sembra allora che i cieli si abbassino, che i fulmini della collera divina giungano fino a tutto l’interno. Che Dio lanci i suoi colpi e ferisca tutte le parti del cuore un tempo fiero, ribelle ed insensibile (Berthier). – Nel linguaggio della Scrittura, dice S. Agostino, vi sono dei buoni e dei cattivi monti. I buoni rappresentano la grandezza spirituale; i cattivi designano il rigonfiamento del cuore. – Questi ultimi sono la figura di quelle persone che fanno professione di religione e che, pieni di sentimenti di più alta pietà, non respirano che Dio e la sua gloria, sagge nella loro condotta e severi nelle loro massime, ma incapaci, tra tutto questo, di ricevere un avvertimento: gente meravigliosa nel dire le verità agli altri, ma insensibili fino alla fiacchezza, quando sono obbligati ad ascoltare le loro; delle montagne, dice la Scrittura, per l’apparenza della loro elevazione, ma montagne presto fumanti quando si giunge a toccarle (BOURD. Am. et crainte de la Vér.)

ff. 7. 8. – « Mandate dall’alto del cielo la vostra mano e liberatemi. » La potenza di Dio non si esercita solamente per punire, ma per salvare. La mano di Dio, è il suo soccorso, la sua protezione. Queste acque figurano l’irruzione disordinata e violenta dei nemici ed il loro attacco tempestoso. Una prova, in effetti, che il Profeta non parla qui delle acque in senso proprio, è che egli aggiunge: « Dalla mano dei figli dello straniero. » Questi figli stranieri sono a mio avviso, coloro che sono estranei alla verità: come noi riguardiamo tutti i fedeli come nostri parenti e fratelli, così consideriamo gli infedeli come degli stranieri, ed è per questo che noi distinguiamo lo straniero da colui che ci è unito dai legami di affetto. Io considero mio fratello colui che riconosce la stesso padre mio, partecipa alla medesima tavola, piuttosto che colui che non mi è unito che per il sangue. Questa parentela è ben più perfetta dell’altra, ed anche l’incompatibilità che risulta dai sentimenti contrari è molto più pronunziata di quella che proviene dalla diversità delle famiglie. Non vi fermate dunque a questo pensiero secondo cui viviamo sotto lo stesso cielo ed abitiamo la stessa terra; io voglio un’altra unione che è al di sopra dei cieli. « È là che è il nostro regno e la nostra vita. » Noi non abitiamo più la terra, noi veniamo trasportati nella città dei cieli. Noi abbiam un’altra vera luce, un’altra patria, altri concittadini, altri parenti. Ecco perché San Paolo diceva: (Ephes. II, 19) « Voi non siete più stranieri né ospiti, ma concittadini dei Santi. » (S. Chrys.).

III. — 9-11.

ff. 11. – Vediamo ora i segni con i quali possiamo distinguere lo straniero dal prossimo: dai loro discorsi, dalle loro opere. Chi sono questi stranieri? Sono coloro che vivono nel crimine, che amano l’iniquità, che fanno discorsi insensati, e dicono parole inutili: quindi è dai loro discorsi, dalle loro parole che potete riconoscerli, come dichiara Gesù-Cristo; (Matth. VII, 16); « dai frutti li riconoscerete. » (S. Chrys.). – Parole di menzogna e di vanità. Azioni ingiuste, opere inique: è da qui che li riconoscerete.

ff. 12.-14. – Non è dunque li la felicità? Io lo chiedo ai bambini del regno dei cieli; io lo chiedo alla razza che deve resuscitare per l’eternità; io lo chiedo al corpo di Cristo, ai membri del Cristo, al tempio di Dio: dunque la felicità non è l’avere figli vigorosi, figlie ornate, cantine ricolme, greggi numerose; avere non solo delle muraglie, ma delle aie senza brecce né aperture, non sentire nelle strade né tumulti, né clamori, ma possedere il riposo, la pace, le ricchezze e l’abbondanza di tutti i beni nelle case e nelle città? Non è dunque lì la felicità? I giusti devono rifuggire da questa felicità? Non troverete mai la casa del giusto ricolma di tutte queste ricchezze e piena di questa beatitudine? La casa di Abramo non abbondava in oro, in argento, in figli, in servi ed in greggi? (Gen. XII, 5 e XIII, 2-6). Il santo patriarca Giacobbe, fuggitivo in Mesopotamia davanti alla faccia del fratello Esaù, e tenuto a servizio di Labano, non vi si è arricchito? Al suo ritorno non ha reso grazie a Dio di ciò quando passando il Giordano, con un bastone solo, tornava con una moltitudine di greggi e di figli? (Gen. XXXI, 18; XXXII, 7-10). Non è li la felicità? Certo, è una felicità ma viene dalla sinistra. Che vuol dire dalla sinistra? Una felicità temporale, mortale, materiale. Io non esigo che voi la evitiate, ma io non voglio che la scambiate con la felicità della destra; perché questi uomini non erano malvagi e vani perché possedessero questi beni in abbondanza; ma perché essi ponevano a destra i beni che dovevano lasciare a sinistra. Cosa devono porre alla loro destra? Dio, l’eternità, gli anni indefettibili di Dio, di cui è detto:  « I vostri anni non avranno fine. » (Ps. CI, 28). Là è la nostra destra. Usiamo la sinistra per il tempo, aspiriamo a destra per l’eternità. (S. Agost.). – Gli uomini mostrano le loro figlie per essere spettacolo di vanità ed oggetto della pubblica cupidigia, e « le preparano come si fa con un tempio. », Essi trasportano gli ornamenti che il vostro tempio solo dovrebbe avere, a questi cadaveri ornati, a questi sepolcri imbiancati e sembra che abbiano deciso di farli adorare nella vostra piazza. Essi nutrono la loro vanità e quella degli altri; riempiono altre figlie di gelosia, gli uomini di voluttà; tutto questo, di conseguenza, è errore e corruzione. O fedeli, o figli di Dio, non abusate di queste false concupiscenze. Perché volgete le vostre necessità in vanità? Voi avete bisogno di una casa come di una difesa contro le ingiurie dell’aria; è una debolezza; voi avete bisogno di nutrimento per restaurare le vostre forze che si esauriscono e si dissipano in ogni momento: altra debolezza; voi avete bisogno del letto per riposarvi dalla vostra stanchezza e lasciarvi andare al sonno che lega e seppellisce la vostra ragione: altra deplorevole debolezza. Voi fate di tutti questi testimoni e di tutti questi monumenti della vostra debolezza uno spettacolo alla vostra vanità, e sembra che vogliate trionfare dell’infermità che vi circonda da ogni parte. Mentre il resto degli uomini si inorgoglisce dei propri bisogni, e sembra voler ornare le sue miserie per nasconderle a se stesso, tu almeno, o Cristiano, discepolo della verità, distogli i tuoi occhi da queste illusioni. Ama nella tua tavola il sostegno necessario del tuo corpo, e non questo apparato sontuoso. Felici coloro che, ritirati umilmente nella casa del Signore, si dilettano nella nudità della loro piccola cella e del modesto armamentario di cui hanno bisogno in questa vita, che non è che ombra di morte, per non vedervi che la loro infermità ed il giogo pesante di cui il peccato li ha caricati! Felici le vergini consacrate, che non vogliono essere lo spettacolo del mondo, e che vorrebbero nascondersi a se stesse sotto il velo sacro che le circonda! Felice la dolce costrizione ai loro occhi per non vedere le vanità, per dire con Davide: « Allontanate i miei occhi al fine di non vederle! » Beati coloro che abitando secondo il loro stato in mezzo al mondo, come questo santo re, non ne sono toccati, che lo traversano senza legarvisi; « che usano – come dice San Paolo – di questo mondo come se non ne usassero; » che dicono con Esther sotto il diadema: « Voi sapete, o mio Signore quanto disprezzi questo segno di orgoglio e tutto ciò che può servire alla gloria degli empi, e che la vostra serva non si è mai rallegrata se non di Voi solo, o Dio di Israele; » che ascoltano questo grande precetto della legge: « non seguite i vostri pensieri ed i vostri occhi, contaminandovi con diversi oggetti, » che sono la corruzione e, per parlare con il sacro testo, la fornicazione degli occhi; infine coloro che prestano ascolto a San Giovanni, che, penetrato da tutta l’abominazione che è legata agli sguardi, tanto di uno spirito curioso che gli occhi catturati dalla vanità, non cessa di gridar loro: « Non amate il mondo che è pieno di illusioni e di corruzione per la concupiscenza degli occhi. » (BOSSUET, Traité de la concup., ch. IX.)

ff. 15. – « Si dice felice il popolo che gioisce dei suoi beni; no, ma felice il popolo che come solo padrone, possiede Dio. » – Spesso in un popolo giunto alla fine prossima, i germi di morte che esso contiene in seno sono dissimulati sotto le apparenze della prosperità. Le nazioni vicine ammirano questo popolo, lo proclamano il più felice tra i popoli, mentre Dio lo ha già condannato ed i suoi giorni sono contati. – Quel serio e triste soggetto di riflessione per la nostra Francia! « Perché, dopo tutto, nessuno degli elementi ordinari che costituiscono la prosperità di una nazione ci viene rifiutato. Il frumento, che è la vita dell’uomo, riempie e sovraccarica i nostri granai, troppo ripieni di abbondanza; tutti i mari sono solcati da navigli che portano i loro tesori al nostro continente, e lo stato non riesce a marcare con la sua effige l’oro che affluisce da noi dall’estremità della terra;  » e ciò che la saggezza di tutti i popoli, conforme agli insegnamenti della Scrittura, ha sempre segnalato come la principale ricchezza di un paese, la patria è dotata di una popolazione numerosa, di una gioventù lussureggiante. L’arte si è aggiunta alla natura per moltiplicare sul nostro suolo i pascoli e le greggi, e la fecondità non manca alle nostre pecore, né il sovrappeso ai nostri buoi. Appena sussiste nelle nostre città ed anche nei nostri borghi, una abitazione che cela la miseria e della quale la rovina affligga gli occhi del viaggiatore. Il grido della destrezza non si fa intendere per le strade e sulle piazze. Non c’è l’uso di chiamare felice il popolo che ha tutte queste cose? – E tuttavia, fenomeno inspiegabile! In mezzo a tutte queste condizioni di benessere, noi proviamo tutte le angosce dello scioglimento: noi siamo poveri nell’abbondanza, tremanti in seno alla pace; ciò che, in altri tempi faceva la ricchezza e la sicurezza di una nazione, non ci porta che perturbazione e timore. Chi dunque ci ha messo in questo stato? Le sante Scritture e la storia del popolo di Dio ci rispondono: che se è la giustizia che eleva una nazione, è il peccato che la rende infelice. Così il più grande e il solo ostacolo alla tranquillità pubblica, è la nostra opposizione a Dio, è la nostra ingiustizia nei riguardi della verità, è la nostra simpatia perseverante per la menzogna, è l’iniquità che lasciamo ristagnare nel fondo delle nostre anime. Ecco il terribile avversario della patria; il nemico mortale della repubblica, dell’impero, del reame, di tutte le forme che il diritto pubblico e l’autorità possono rivestire tra noi. È l’empietà!  (Mgr PIE. Disc. et Instruct. I, p. 356, 357.) – Che altri felicitino dunque la nostra patria di tutti questi vantaggi. Io mi consento di aggiungere la mia voce alla loro voce, purché mi si lasci aggiungere: « Felice il popolo che, arricchito dal grasso della terra, non lasci di implorare la rugiada del cielo! Felice il popolo potente e religioso ad un tempo, forte e sottomesso, che sa comandare alla natura ed obbedire al Creatore! Felice, in una parola, il popolo grande e fedele di cui il Signore è sempre il Dio! » (Idem, t. I, 45).