SALMI BIBLIBI: “DOMINE, CLAMAVI AD TE, EXAUDI ME” (CXL)

SALMO 140: “DOMINE, CLAMAVI AD TE, exaudi me

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS. 

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 140

Psalmus David.

[1] Domine, clamavi ad te, exaudi me;

intende voci meae, cum clamavero ad te.

[2] Dirigatur oratio mea sicut incensum in conspectu tuo; elevatio manuum mearum sacrificium vespertinum.

[3] Pone, Domine, custodiam ori meo, et ostium circumstantiae labiis meis.

[4] Non declines cor meum in verba malitiæ, ad excusandas excusationes in peccatis; cum hominibus operantibus iniquitatem; et non communicabo cum electis eorum.

[5] Corripiet me justus in misericordia, et increpabit me: oleum autem peccatoris non impinguet caput meum, quoniam adhuc et oratio mea in beneplacitis eorum.

[6] Absorpti sunt juncti petræ judices eorum; audient verba mea, quoniam potuerunt.

[7] Sicut crassitudo terræ erupta est super terram; dissipata sunt ossa nostra secus infernum.

[8] Quia ad te, Domine, Domine, oculi mei; in te speravi, non auferas animam meam.

[9] Custodi me a laqueo quem statuerunt mihi, et a scandalis operantium iniquitatem.

[10] Cadent in retiaculo ejus peccatores: singulariter sum ego, donec transeam.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXL

Preghiera viva al Signore perché asterga nell’uomo le macchie dei peccati nel giorno contratte onde sicuro sia il riposo della notte.

Salmo di David.

1. Signore, a te ho alzate le grida, esaudiscimi; sii intento alla mia voce, quando io a te la rivolgo.

2. S’innalzi la mia orazione come l’incenso al tuo cospetto; sia l’elevazione delle mie mani come sacrifizio della sera.

3. Poni, o Signore, una guardia alla mia bocca; e un uscio alle mie labbra, che interamente le serri.

4. Non permettere che il mio cuore studii maliziose parole, ad accettare scuse a’ peccati, (1)

5. Come fanno gli uomini che operano iniquità; e io non avrò parte alle cose che ei pregiano.

6. Mi correggerà il giusto con misericordia, e mi sgriderà; ma l’olio del peccatore non impingui mai la mia testa. (2)

7. Perocché l’orazione mia tuttora sarà contro quelle cose, delle quali ei sin compiacciono; perirono i loro principi infranti alla pietra. (3)

8. Udiranno come le mie parole sono state efficaci: come una grossa zolla di terra nel campo si sbriciola; così le nostre ossa sono disperse fin presso al sepolcro. Ma giacché a te mirano, o Signore, o Signore, gli occhi miei, io ho sperato in te, non isperder l’anima mia.

9. Guardami dal laccio che mi hanno teso, e dalle insidie degli operai d’iniquità.

10. Nelle reti di essa cadranno i peccatori. Solitario son io fino al tempo del mio passaggio. (4)

(1) “Cum electis eorum”, non significa, come immaginano coloro che non hanno letto il testo ebraico, “cum viris electis”, ma “cum electis cibis, o, secondo il senso letterale e l’espressione ebraica, “cum dulcibus cibis eorum”.

(2) La seconda metà del versetto 5 ed il versetto 6 sono forse, dice M. Le Hir, il passaggio più difficile del salterio. Tuttavia noi non ammettiamo che il senso indicato dal sapiente interprete, « ora ancora, la mia preghiera è per i miei nemici, in mezzo ai loro contrattempi ed i loro mali. » Il testo ebraico recita “in malitiis eorum”, invece che “in beneplacitis eorum”; il profeta vuol dire dunque: « La mia preghiera si leverà contro i vizi ed i crimini nei quali essi si compiacciono ».

(3) Noi propendiamo volentieri per il legame di questi versetti: “sicut crassitudo, etc.” con il seguente, ed il senso sarebbe: benché siamo stati a due passi dalla nostra perdita, io non ho cessato, Signore, di sperare in Voi. – “Sicut crassitudo terræ” come le zolle di terreno che disperde colui che lavora, le mie ossa sono state disperse ai limiti dell’inferno.

(4) “Singulariter”, cioè singularis, unicus, solus.

Sommario analitico

Davide, prevedeva la disfatta dell’armata del ribelle Assalonne (Secondo M. Le Hir, questo salmo sarebbe stato composto dopo la morte di Saul, e Davide vi protesta che egli non vuol prendere alcuna parte nel crimine di coloro che hanno causato la perdita di Saul, o ne gioiscono (3-6) e, poiché è ancora circondato da pericoli, prega il Signore di procurargli una liberazione completa,

I. Prima della vittoria, domanda:

1° la grazia di ben pregare, cioè che la sua preghiera:

a) sia esaudita a causa del suo fervore (1),

b) che si elevi a Dio come incenso,

c) che sia gradita a Dio come il sacrificio della sera (2);

2° la vigilanza sulle sue parole: a) egli chiede che sia messa una guardia alla sua bocca  perché egli parli sempre a sproposito, b) affinché non cerchi di scusare i suoi peccati (3, 4);

3° la fuga dalla società degli empi (4);

4° la pazienza:

a) per amare le reprimende dei giusti,

b) affinché abbia in orrore le adulazioni dei malvagi (5).

II. Dopo la vittoria, predice ed ammira:

1° la potenza della sua preghiera, che trionfa dei suoi nemici (6);

2° la rovina dei suoi nemici precipitati e schiacciati contro la pietra (6);

3° il ritorno e la docilità degli altri alle sue parole piene di forza e di dolcezza;

4° ma siccome, per il momento in cui parla, le sue forze sono dissipate come le zolle del terreno dopo il lavoro del contadino (7), si indirizza al Signore, lo prega di conservargli la vita a causa della sua preghiera piena di speranza (8), e di preservarlo dalle insidie dei suoi nemici (9);

5° egli annunzia la loro distruzione, congiuntamente con il suo ristabilimento sul trono (10).

Spiegazioni e considerazioni

I. — 1-5.

ff 1, 2. — San Crisostomo, iniziando la spiegazione di questo salmo, indirizzava ai semplici fedeli del suo tempo le seguenti riflessioni, che non potremmo malauguratamente indirizzare ai Cristiani dei giorni nostri, ma che sono di un’applicazione rigorosa e scuotente per i sacerdoti che non conoscono le parole di questo salmo, che si canta in ogni età della vita, ma che sono pochi a conoscerne il vero senso. Ora, non meritiamo severi rimproveri lo quando si canta tutti i giorni, quando sulle labbra si hanno le parola di cui non si cerca di penetrare il senso e la forza? Voi, se intravvedete un’acqua pura e limpida non potete dispensarvi dal tuffarvi entro le vostre mani, dal dissetarvi. Colui che passeggia frequentemente in una prateria, non vuole uscirne senza aver raccolto qualche fiore. Ma per voi che, fin dai giovani anni fino all’estrema vecchiaia, non cessate di cantare questo salmo, non ne ricordate che le parole, mentre siete seduto su di un tesoro nascosto, portate da un fianco e dall’altro una borsa che resta chiusa: la curiosità non vi ispira il desiderio di comprendere ciò che significhi questo salmo … nessuna ricerca, ma elusione? Tuttavia non potete asserire che questo salmo sia così chiaro, da favorire la negligenza e non vi dia modo di cercare un senso che si presenta da solo (S. Chrys.). – « Signore io ho gridato verso di Voi, esauditemi. » Solo perché avete gridato, pretendete di essere esaudito e basando su questo motivo l’efficacia della vostra preghiera. Bisognerà dunque per pregare una voce forte e chiassosa? … No, il Profeta vuol parlare di un grido interiore che parta da un’anima infiammata di amore e da un cuore contrito. Colui che manda le sue grida, impiega tutte le sue forze, così come colui che grida dal fondo del cuore applica tutte le forze della sua anima (S. Chrys.) – Colui che non prega dal fondo del cuore, non prega, non si dà pena di dare alla voce della sua preghiera la forza e il fulgore delle gride. Può succede che coloro che cantano per abitudine o per interesse le lodi di Dio, gridino nel tempio o nella società dei fedeli, ma queste grida non saranno la preghiera del Profeta; non si verificherà mai che un uomo solo, ai piedi del suo oratorio, emetta grida nella sua preghiera, senza che un cuore sia toccato dal desiderio di ottenere ciò che desideri. Queste grida, del resto, sono più nel cuore che nella voce (Berthier). – Voi pensate che sia cosa finita quando avrete detto: « Io ho gridato verso di voi. »? Voi avete gridato per questo in piena sicurezza. Se la tribolazione è cessata, cessate egualmente le vostre grida; ma se restano ancora alla Chiesa ed al Corpo di Cristo delle tribolazioni da soffrire fino alla fine del mondo, il Corpo di Cristo non deve dire soltanto: io ho gridato verso di Voi, esauditemi; bisogna invece che dica ancora: « Siate attento alla voce della mia supplica, mentre grido verso di Voi. » La nostra indigenza non avrà per termine se non la nostra vita, e le nostre preghiere non devono cessare se non con il nostro ultimo sospiro. (S. Agost.). – Notate che il Profeta non dice: l’estensione delle mie mani, ma l’elevazione delle mie mani, perché l’estensione è ben diversa dalla elevazione. Un uomo può estendere le sue mani dietro di sé, o ai suoi lati, cioè verso i vizi, come Dio rimproverava al suo popolo: « Quando voi stenderete le vostre mani verso di me, io non vi ascolterò. » (Isai. I, 15). (S. Girol.). –  Tutte le qualità della preghiera sono contenute in questo versetto. Che la mia preghiera sia diretta verso di Voi come il fumo dell’incenso. Essa deve essere diretta dal Signore, perché senza il soccorso dello Spirito-Santo, noi non sapremmo, dice l’Apostolo, ciò che dobbiamo chiedere. – Essa deve essere fatta con purezza di intenzione, senza la quale non può salire, come l’incenso, fino al trono di Dio. – Essa deve essere sostenuta dall’attenzione dello spirito, perché, come il minimo soffio respinge il vapore dell’incenso ed impedisce di elevarsi nell’aria, così le distrazioni dello spirito dissipano la preghiera e rompono il corso che essa dovrebbe prendere verso il cielo. – Essa deve essere nell’ordine della volontà di Dio, così come i sacrifici della legge non potevano piacergli se non erano conformi al rito che Eli aveva prescritto. – Essa deve essere umile e fatta in spirito di sacrificio, qualità nominatamente espressa dalla comparazione di cui si serve il Profeta. – Essa deve essere fervente e partire da un cuore bruciante d’amore. L’incenso, di per se stesso è di odore gradevole, ma è sotto l’azione del fuoco che sprigiona tutto il suo profumo. Così la preghiera è buona di sua natura, ma diventa di molto migliore ed emette un odore più soave quando parte da un fuoco ardente. così come quando si pone l’incenso sul braciere acceso e sui carboni ardenti. – Essa deve essere costante, tal come i sacrifici della legge che non cessavano mai e si rinnovavano ogni giorno, mattino e sera. – Essa deve avere come scopo l’offerta per la santificazione delle nostre opere da Dio, ciò che il Profeta indica con l’elevazione delle mani. – Avete notato questo incenso che brucia nei nostri templi, nel giorno delle nostre grandi solennità? Vedete come si consuma al fuoco dell’altare, come si spande nel sacro ambiente, come si alza dolcemente verso i cieli! Sotto questo emblema materiale, la luce della fede spande un incenso misterioso che esce dal cuore dei Cristiani, si riunisce, si consuma nello stesso focolaio della carità, e di là risale verso Dio, come un profumo che bruci in coppe d’oro. Ma non è sufficiente che l’incenso sia nella coppa per bruciare e profumare lo spazio sacro, bisogna che si lasci polverizzare e che riposi su carboni ardenti; (Eccli. IV); solo allora si muta in vapori leggeri, ed il suo profumo è tanto più soave di quanto si possa ottenere con gli odori più delicati e variati. Così è per l’incenso e per la preghiera: esso non brucia e non si eleva fintanto che il fuoco dell’amore non lo abbia consumato, e più i carboni accesi del suo cuore sono ardenti, più il vapore è penetrante e profumato. Se ogni parte intima dell’anima, se ogni fibra del cuore ha dato ciò che possiede di più soave e di più divino, non saprebbe concepirsi nulla di più delizioso che il profumo di questa preghiera. O felice combustione dell’anima per mezzo della preghiera! O santa combustione dell’intelligenza, del cuore, della memoria, della volontà, dell’essere tutto intero! Felice l’uomo, dice San Crisostomo, che fa della sua anima un incensiere, che tutti i giorni vi pone carboni ardenti, vi riversa i suoi pensieri, i suoi desideri, le sue affezioni, come un profumo preso e portato dalle regioni più ricche dell’Oriente! Felice l’uomo la cui vita è un incenso che brucia. (Mgr LANDRIOT. Prière, I, 46).

ff. 3, 4. — Due cose sono necessarie perché esca ciò che debba uscire, e non esca ciò la cui uscita è interdetta: un portiere ed una porta; una porta senza portiere non è sufficiente, perché questa porta sarebbe necessariamente o sempre aperta o sempre chiusa; un portiere senza porta non avrebbe un facile servizio; bisognerebbe sempre essere sul chi vive, e avere tanta forza per impedire l’entrata e l’uscita a chiunque volesse violare la consegna. Ma con una porta ed un portiere, ogni cosa diventa più sicura e più facile. (Bellarm.). – Il Re-Profeta comincia la sua preghiera con ciò che può essere, senza grande vigilanza, la causa di tutti i mali, e divenire, al contrario, per un’anima attenta, il principio di tutti i beni … così come è inutile avere una casa, una città, dei merli, delle porte, delle aperture, se nello stesso non ci sono anche dei guardiani che sappiano quando bisogna aprire e quando chiudere, così la lingua e la bocca non sono di alcuna utilità qualora non siano dirette dalla ragione; ad essa Dio ne ha affidato la cura con l’aprirle e con il chiuderle con ogni vigilanza, con tutta la circospezione possibile, filtrando le parole che deve lasciar uscire e quelle che deve invece ritenere. «La spada ne ha fatto perire meno della lingua. » – Così l’autore sacro dell’Ecclesiastico ci fa questa raccomandazione: mettete alla vostra bocca delle porte e delle sbarre, fate una bilancia per le vostre parole; (Eccli. XXVIII, 28); e in altra parte: « Chi darà una sentinella alla mia bocca, chi metterà un sigillo inviolabile sulle mie labbra, affinché io non cada, e la mia lingua non causi la mia perdita? » (XXII, 33). Dio solo lo può: « è dell’uomo – dice Salomone – preparare la propria anima, e del Signore governare la sua lingua. » – Noi abbiamo qui la nostra parte di azione, ed è per questo che il saggio ci dà il precetto di mettere alla nostra bocca una porta e delle sbarre. Ma egli vi fa pure implorare il soccorso di Dio, se noi vogliamo che i nostri sforzi siano coronati da successo. Poniamo dunque una guardia costante alla nostra bocca, che la nostra ragione le serva da chiave, non per tenerla sempre chiusa, ma per non aprirla se non in tempo opportuno. Talvolta il silenzio è più utile della parola, altra volta la parola è preferibile al silenzio. Se la bocca doveva essere sempre costantemente aperta, che bisogno c’era di mettervi una guardia? Se insieme ci sono delle porte ed una guardia, è perché noi facciamo ogni cosa nel tempo opportuno. (S. Chrys.). – Quali sono queste parole di malizia da cui il Profeta chiede a Dio di preservarlo? Esse sono numerose e di tipo diverso: le parole insidiose e perfide, quelle che fanno oltraggio a Dio, che ispirano l’allontanamento dalle virtù e l’amore del vizio, quelle che, spargendo cattive dottrine, risentendo dell’eco di costumi perversi, si fanno ascoltare con piacere, e molte altre simili, quelle cioè che sono parole di malizia, e che provengono da un cuore profondamente corrotto. (S. Chrys.). – Le parole di malizia più pericolose sono quelle che cercano di scusare i peccati, e che malauguratamente, mascherano sì abilmente le colpe che appena si riconoscono. – Una delle vie che conducono più direttamente alla morte, è lo stato di un’anima peccatrice che, liberandosi di ogni timore, cerca dei pretesti per coprire il proprio lassismo. Il peccato è un gran male, sicuramente, ma un male ben più spaventoso è negare il peccato dopo che sia stato commesso. (S. Chrys.). – Non c’è colpevole che non abbia le sue ragioni; i peccatori non hanno fatto molto se non aggiungono l’audacia di scusare la loro colpa a quella di commetterla; e se poco era l’iniquità con lo spingerci a seguirla, essa si ingrandisce ancor più con il difenderla. Sempre, o qualcuno ci ha indotto, o qualche incontro imprevisto ci ha spinto nostro malgrado; diversamente, avremmo fatto … lo stesso. E se fuor di noi non troviamo su chi far ricadere la colpa, cerchiamo qualche cosa in noi che non venga da noi stessi, il nostro umore, la nostra inclinazione, la nostra natura. È il linguaggio ordinario di ogni peccatore. Così, noi non abbiamo più bisogno di cercar delle scuse; il nostro crimine basta a se stesso, e non cerchiamo un mezzo più forte per la nostra giustifica, se non nell’eccesso della nostra malizia (BOSSUET, Sur l’effic. de la Pén.). – Occorre non aver nessun rapporto – soprattutto di intimità – con coloro che fanno il male e non prendere parte i festini o ai piaceri di questi uomini di iniquità. È nella società dei peccatori che si impara non solo a conoscere il crimine, ma a giustificarlo, a rivestirlo addirittura dei colori della virtù. I peccatori orgogliosi sono come la donna adultera di cui parla il saggio. Dopo il suo crimine, ella sembra ancora piena di fiducia, « … ella mangia, asciuga la bocca e dice: non ho fatto alcun male (Prov. XX, 20).

ff. 5. – « Ecco il senso del Profeta. Io non voglio aver alcun rapporto con coloro che mi propongono un linguaggio ingannevole per perdermi; io mi lego di preferenza a coloro che, più severi, mi indirizzano rimostranze utili, scoprono i miei peccati e riprendono le mie colpe. » In effetti, uno delle più grandi caratteristiche della misericordia e della carità è curare le ferite dell’anima. (S. Chrys.). – « Ma l’olio del peccatore non ingrasserà la mia testa. » Ma direte: cosa posso fare? Io sono preda degli ingannatori, essi non cessano di mormorare alle mie orecchie. Adulatori, ingannatori, mendaci, essi lodano in me ciò che non vedo, lodano in me ciò che non stimo, e ciò che mi è più caro,  invece in me lo riprendono … Che il peccatore non ingrassi la vostra testa con il suo olio; vale a dire, non vi rallegrate di simili parole, non le accettate, non vi acconsentite, non vi felicitate. Egli vi avrà presentato l’olio dell’adulazione, ma la vostra testa resti intatta, non si gonfi, non abbia rigonfiamenti. (S. Agost.). – Il Profeta compara le adulazioni dell’uomo perverso e corrotto ad un profumo velenoso; questi ha l’odore di un profumo squisito, ma porta la morte come il più fatale dei veleni. (Berthier). – Diffidiamo dunque delle lodi e dei complimenti degli uomini. Guardatevi dall’adulatore che spande profumi sulla vostra testa: sappiate che egli non fa scoprire il suo gioco, con questa immensa profusione di lodi che sparge a piene mani, egli si prende la libertà di denigrare la vostra condotta, o anche tradirvi senza essere sospettato. Chi non ti odierebbe o adulazione corruttrice della vita umana, con i tuoi perfidi abbracci ed i baci velenosi, perché sei tu che dai il divin Salvatore tra le mani dei suoi nemici implacabili? (BOSSUET, III Serm. p. le Vend. Saint.).  

II. — 6 – 10.

ff. 6, 7. Nulla di più facile e di così comune che l’avere compiacenza per coloro che ne hanno nei nostri riguardi: adulare coloro che ci adulano, amare coloro che ci amano, e divenire simile a loro. -Non soltanto, dice il Re-Profeta, non voglio le loro perniciose adulazioni, né le loro reprimende, ma mi dichiaro apertamente contro la loro lussuria, e lungi dall’accettare la loro falsa compassione, opporrò la mia preghiera ai loro colpevoli desideri. (S. Chrys.). – Il Profeta, in questi versetti, predice dapprima il castigo, poi il ritorno e la riconciliazione di una parte dei suoi nemici: gli uni precipitati e battuti contro la pietra, gli altri arrendevoli alla sua voce. (Berthier). – Parola di Dio è potente ed efficace, particolarmente sulla bocca di un uomo animato dallo spirito di Dio e santo, come Davide. Pure la terra più dura si apre sotto lo sforzo del vomere dell’aratro; così il cuore dell’uomo non resiste alla potenza ed all’efficacia della parola divina. – « Essi comprenderanno le mie parole, perché esse hanno prevalso. » Le mie parole hanno prevalso sulle loro parole. Essi hanno parlato da uomini loquaci, ed io, io ho detto la verità … Perché esse hanno prevalso? Perché sono state predicate da uomini che non avevano paura. Non avevano paura di cosa? Dell’esilio, della rovina, della morte, della croce. Non solo non temevano la morte, ma non temevano la morte di croce, che sembrava fra tutte, la più ignominiosa, perché l’aveva scelta il Signore. Dunque, è per essere state predicate da uomini senza paura che esse hanno prevalso. (S. Agost.). Questo è il ritratto vivo di un giusto gravemente tentato o ingiustamente perseguitato: le sue ossa, cioè la forza della sua anima, sono indebolite. Noi abbiamo sofferto mali estremi, dice il Re-Profeta; come una terra strappata, scavata in ogni senso, siamo stati dispersi, votati a rovina certa, portati all’orlo della tomba. Noi siamo sull’orlo del precipizio, e tutto ciò che possiamo fare, è non cadere. (S. Chrys.) 

ff. 8-10. – « Nel segreto mi hanno teso un laccio lungo la strada sulla quale avanzavo, » tanto quanto è ad essi possibile fare, perché lo hanno posto vicino alla via. « Voi ignorate, dice la scrittura, che avanzate in mezzo alle insidie, » (Eccli. IX, 20). Che vuol dire: « in mezzo alle insidie? » Sulla via del Cristo, da ogni lato ci sono insidie, insidie a destra, trappole a sinistra; a destra la prosperità del secolo, a sinistra l’avversità del secolo; le trappole di destra sono delle promesse, quelle di sinistra, delle minacce. Quanto a voi, camminando in mezzo alle insidie, non uscite dalla vostra strada; non vi lasciate né sedurre dalle promesse, né abbattere dalle minacce. « Nella via in cui avanzavo, mi hanno teso un laccio in segreto. » (S. Agost.). – Sempre ci vengono poste insidie, o dagli eretici, o dagli empi, o dai demoni. Le vie hanno una certa affinità con le virtù. I demoni mi tendono una trappola nella elemosina, se apro le mie mai ai poveri per essere visto dagli uomini, e apparendo nel fare il bene, cado nel vizio e nel peccato di vanagloria. Se do la mia tunica a mio fratello per essere visto da un altro, mi è teso ancora un laccio. (S. Girol.). –  Due cose sono da temere per la morte dell’anima: 1° le insidie del demonio che sono o la concupiscenza della carne, o la concupiscenza degli occhi, o l’orgoglio della vita; 2° i cattivi esempi e gli scandali di coloro che vivono secondo i desideri della loro carne, degli avari e degli orgogliosi. – Il Profeta domanda due cose: la prima, di conoscere le insidie che gli tendono i suoi nemici; la seconda di essere preservato dalla protezione del Signore (Berthier-Duguet). – Il Profeta non ignora i pericoli che corre la sua speranza, quando dice: « guardatemi dalla insidia che mi hanno teso e dagli scandali di coloro che operano l’iniquità. » Dappertutto in effetti, ci sono insidie, dappertutto scandali; il mondo è pieno di imboscate che ci sono mosse dal principe di questo mondo, o dagli spiriti di malizia sparsi nell’aria, o dai figli della disobbedienza nei quali opera lo spirito di errore. Insidie ci vengono tese dagli uomini di cattivo consiglio, o da pericolosi esempi, quando ci eccitano a prendere parte alle voluttà ed ai piaceri del mondo; quando manifestano empietà contro Dio in seno alla prosperità; quando con i loro insulti ed oltraggi, seminano turbamenti ed agitazione nella nostra volontà. Ora, l’insidia o il laccio, differisce dallo scandalo: l’insidia è una eccitazione alla voluttà, ad un’azione illecita che, come un’insidia, allaccia colui che si lascia prendere; lo scandalo è una sposa senza religione, un figlio dalla cattiva condotta, un fratello blasfemo, avaro, invidioso o schiavo di vergognosi vizi. Questi sono posti là come soggetti di scandalo che ci mettono nella necessità di irritarci, di riprendere, di reprimere, di punire ed uscire dalla calma abituale della nostra fede (S. Hilar.). – È una proposizione assoluta e senza restrizione, che i peccatori cadranno prima o dopo nelle insidie che essi avranno teso agli uomini giusti ed alla virtù. – in mezzo alle insidie che coprono la terra, il miglior partito che c’è da prendere è il ridursi alla solitudine, sempre che lo stato in cui ci si trovi possa permetterlo. « Io sono solo, fino a quando io passi.» Non sembra che egli si paragoni ad un uomo impegnato in una via difficile, o circondato da nemici che lo pressano e gli impediscono il passaggio? Non si crederebbe che si trovi all’entrata di una oscura foresta o di un fiume pericoloso, e che non aspiri che a lasciare questo cattivo stato più presto che gli sarà possibile? Questa è la vita di ogni uomo che giunga al termine che è l’eternità. Egli deve dire: … che il mondo, con le sue frivolezze, mi lasci tranquillo, « … fino a che io passi. » Cosa mi interessa tutta la grandezza umana, dal momento che « … io passo. »? Perché, durante questo passaggio, intraprenderò di soddisfare le mie passioni? Io non mi stabilirò su questa terra che non è il mio termine, e sulla quale non faccio che transitarvi. Un viaggiatore non si arresta, passa; questa è la sua unica cura, e non ne desidera che il fine, fine che non debba essere un luogo di passaggio, ma un soggiorno fisso ed immutabile (Berthier).