19 Agosto: SAN GIOVANNI EUDES

19 AGOSTO: San GIOVANNI EUDES

[Mons. Carlo SALOTTI: I SANTI E BEATI del 1925 – S. E. I. Torino, 1927]

Giovanni Eudes fu canonizzato, insieme al Curato d’Ars, nel giorno della Pentecoste, il 31 maggio 1925. Ed io, che avevo già avuto l’onore di perorare, quale avvocato concistoriale, la sua causa di canonizzazione nel Concistoro pubblico del 2 aprile del medesimo anno, fui invitato a celebrarne le lodi nella Chiesa del Gesù il 4 giugno, giorno di chiusura delle solenni feste triduane.

Labora sicut bonus miles Christi Jesu.

( II Tim., II, 3)

Se vi fu, specialmente per la Francia, un secolo travagliato, agitato e abbastanza discusso nella storia, fu il secolo XVII. Secolo di luce e di ombre, di glorie e d’ignominie, di eroismi e di debolezze, di civiltà e di decadenza. Molti personaggi di quel tempo riflettono questo stato di cose nel loro temperamento personale e nelle loro pubbliche azioni. Il re Enrico IV, ripudiato per la seconda volta il Calvinismo e pubblicato l’editto di Nantes, si propone di rimediare ai mali della guerra civile, ch’egli stesso aveva provocato; e mentre riordinava le sorti della Francia e ne restaurava le finanze, promovendo nel tempo stesso il commercio e l’agricoltura, veniva trucidato per le mani di un fanatico, Francesco Ravaillac. Maria de’ Medici, che assumeva il potere, dopo aver contaminato il trono con intrighi e con amori colpevoli, finiva col morire in esilio. Luigi XIII, salendo sul trono, vede minacciata la Francia su tutte le frontiere; e, mentre combatteva con ardimento per ricacciare i nemici, il suo nome era oscurato dalle discordie intestine e dai favoritismi di corte. La sua sposa, Anna d’Austria, donna di grande bontà e di pietà sincera, sopraffatta dalle vicende di quel periodo turbinoso, è costretta a fuggire da Parigi. In mezzo a questi avvenimenti politici appare la porpora di due Cardinali, che ebbero tanta parte nel governo della pubblica cosa: Armando Richelieu e Giulio Mazarino. Il Richelieu. mente vasta e profondamente comprensiva, volontà ferrea e indomita, che non si piegava nemmeno dinanzi alle trame ed ai pericoli, genio assai pratico che passava dall’idea all’azione con sorprendente abilità. All’audacia che gli veniva dal genio accoppiava una inflessibilità assoluta, per la quale molti lo giudicarono un despota. Secondo il giudizio del Montesquieu, egli diede al Monarca il secondo posto nella monarchia, ed il primo nell’Europa; avvilì il re, ma illustrò il regno. I servigi che rese alla Francia furono immensi; poiché ne accrebbe la potenza politica e ne favorì il progresso sotto tutte le forme, dal commercio alle arti, dall’industria alla letteratura. Egli, ministro di Luigi XIII, poté giustamente vantarsi di governare non la sola Francia, ma l’intera Europa. È doveroso tuttavia riconoscere, che la grandezza dell’eminente uomo di Stato non andò scevra di colpe e di difetti, che difficilmente si potevano conciliare con la dignità del Cardinale. – Continuatore della sua opera fu il Cardinale Mazarino che, nominato primo ministro della regina Anna d’Austria, accrebbe ancora l’influenza della Francia in Europa, rese più compatta l’unità della nazione ed aprì la via al dispotismo di Luigi XIV. Luci ed ombre avvolgono la figura di quest’uomo di Stato, che ottenne ed esercitò una potenza straordinaria. Dietro di lui è Luigi XIV, che afferra il governo del suo Paese con tale energia, da divenire uno dei più potenti sovrani. Egli porta l’assolutismo della monarchia al più alto grado di espressione, il suo potere è senza limiti. Il re incarna in sé lo Stato, il quale alla sua volta proclama la sua supremazia sulla Chiesa. Potenza e soprusi, guerre ed amori, vittorie e dolori, grandezze e difetti accompagnano la vita di questo monarca, il quale, morendo, lascia un grande vuoto nello Stato, giacché tutto aveva concentrato nelle proprie mani. – Attorno a questi personaggi è tutto un affermarsi audace di errori e di sistemi perniciosi ai diritti della Chiesa e alle pure dottrine del Cattolicismo, e nel tempo stesso nocivi alla concordia degli animi e al benessere sociale. Il Gallicanismo alza la testa, e, assumendo proporzioni allarmanti, detta i famosi quattro articoli, coi quali veniva limitata l’autorità pontificia in Francia; e l’illustre vescovo di Meaux, Benigno Bossuet, ponendo il suo alto ingegno a servigio dei principi gallicani, contribuiva a separare lo spirito della sua nazione dalla Chiesa romana. Il Giansenismo, per il suo doppio carattere, ereticale e scismatico, attenta all’unità delle credenze, e, raffreddando la pietà e allontanando i fedeli dai Sacramenti, attraversa le vie della Chiesa, ne diminuisce il prestigio e le sottrae grande parte di quelle attività, che avrebbero potuto spiegarsi più efficacemente per la salute delle anime. Il Calvinismo, penetrato in Francia, diventa una forza poderosa, dinanzi alla quale lo Stato deve spesso patteggiare e cedere. Violento ed armato détta leggi, s’impone agli uomini del governo, divide i cittadini, provoca guerre, fa versare del sangue e disperde le energie della Chiesa francese. Le conseguenze di questa triplice lotta, che si combatteva contro lo spirito genuino del Cattolicismo, furono funeste ed esiziali. Il clero di Francia era impotente ad arrestare l’onda sovvertitrice degli errori. Pur troppo esso erasi allontanato dalle sorgenti. Le correnti politiche lo avevano distolto dall’azione religiosa. Il suo atteggiamento non corrispondeva alla dignità dell’ufficio e del carattere sacerdotale. Si saliva sulle cattedre episcopali per protezionismo. Così i pastori di anime non erano più in grado di promuovere efficacemente la salute del gregge e gl’interessi della religione. Mancando sacerdoti idonei e zelanti, le popolazioni erano abbandonate a se stesse, e non posero più freno alle passioni che furono lasciate libere ad ogni sfogo. La voce di Roma non destava più un’eco in Francia. O era arrestata ai confini, o veniva soffocata sotto la tempesta suscitata dal genio del male. Di qui lotte civili, contrasti religiosi, confusione d’idee, corruzione di costumi, abusi senza limiti e sfrenate licenze. S. Vincenzo de’ Paoli con le sue opere benefiche, col suo apostolato evangelico, con i suoi consigli alla Corona, con gl’insegnamenti preclari delle sue virtù, cercò di opporsi alla iniquità dilagante. Ma l’organismo sociale era troppo inquinato di un veleno che minava la vita religiosa e sociale. – In queste condizioni aspre e difficili, si svolse l’apostolato di Giovanni Eudes, al quale noi oggi prestiamo il culto dei Santi. Nato all’alba di quel secolo XVII nella piccola borgata del comune di Ri, in terra normanna, egli fu l’operaio evangelico, il santo provvidenziale, che durante quella lunga epoca storica compì una grande missione, la quale, a mio modesto avviso, assunse un’importanza anche maggiore di quella che gli è stata universalmente riconosciuta. In lui è mestieri ravvisare il soldato valoroso, che in settantanove anni di vita consacrò tutto se stesso per riparare i mali prodotti dall’errore e dal malcostume, per conservare viva e operosa la fede nella sua patria. Egli fu fedele al monito di S. Paolo: labora sicut bonus miles Christi Jesu; e fu soldato forte, intrepido, coraggioso, che non si risparmiò giammai nel combattere incessantemente le più nobili battaglie. – Studiamo oggi l’opera multiforme e svariata di questo soldato di Cristo, che col suo travaglio, col suo valore, co’ suoi eroismi e con i suoi sacrifizi tenne alto in Francia il vessillo della fede, nobilitandolo con i sudori del suo apostolato, le cui benemerenze sono scritte a caratteri indelebili nei fasti della Chiesa e della civiltà.

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Vi ha una doppia specie di soldato: il soldato del re e della patria, il soldato di Cristo e della Chiesa. Il soldato del re offre la sua spada e il suo sangue per un ideale nobile, ma umano, quale è il trono, la patria, la libertà: ideali terreni, nei quali la passione può portare delle ombre e suscitare diversità di apprezzamenti. Ma il soldato di Cristo si consacra ad un ideale più alto, cioè al servizio del Re dei re, alla difesa della Religione, alla causa della Chiesa, alla elevazione spirituale dei popoli, al vero progresso civile e morale dell’umanità. Qui le finalità sono più pure, e s’innalzano al di sopra di tutte le passioni e delle contingenze della politica umana. Giovanni Eudes è il forte e magnanimo soldato di Cristo. La bandiera, sotto la quale si è schierato, è la stessa bandiera di Dio. Le finalità, per le quali lotta fino al sacrifizio, non sono gl’interessi umani e caduchi del tempo, bensì i supremi interessi delle anime, cioè a dire le alte ragioni di Dio. Sono varie e molteplici le armi, con le quali sogliono combattere i soldati di Cristo e gli apostoli del bene. Si combatte con l’azione multiforme e con l’organizzazione sapiente di opere salde e durature, come fecero S. Vincenzo de’ Paoli e il Venerabile Giov. Bosco. Si combatte con l’arma tagliente e vibrante della parola, che scuote, illumina e converte, come fecero S. Bernardino da Siena e S. Leonardo da Porto Maurizio. Si combatte con la penna, mercé la quale si difendono le grandi verità, e si stritolano gli errori perniciosi, come usarono San Tommaso d’Aquino e S. Francesco di Sales. Si combatte con la preghiera, che in certi periodi critici e dolorosi fu un mezzo potente per salvare la Chiesa e la società, come attesta la vita di S. Caterina da Siena e della Beata Anna Maria Taigi. Si combatte con l’esempio magnifico delle virtù, che ha tale eloquenza da sospingere i popoli verso la fede e la morale evangelica, come fecero tutti i santi del Cattolicismo. Si combatte infine col coraggio, che affronta tutte le difficoltà, che non si arresta dinanzi agli ostacoli, e che non teme lo sdegno dei forti e dei potenti, come praticarono S. Ambrogio di Milano e S. Francesco da Paola. Il nostro santo, Giovanni Eudes, non trascurò nessuna di queste armi nell’esercitare il suo ufficio di soldato di Cristo. – Egli è soldato fin dalla sua fanciullezza. Predestinato a cose grandi, si raccoglie nella preghiera e si esercita in atti fervorosi di pietà. A nove anni, schiaffeggiato da un compagno, non si vendica, ma offre eroicamente ad una nuova offesa l’altra guancia. A dodici anni, riceve per la prima volta con l’ardore dei santi il pane eucaristico. A quattordici anni si consacra definitivamente a Dio col voto di perpetua castità. Inviato a Caen nel collegio reale diretto dai padri Gesuiti, si segnala presto nello studio e nella pietà, facendo meravigliosi progressi. Destinato dai parenti ad essere sposo di una onesta fanciulla, ricca di fortuna, di bellezza e di virtù, respinge l’offerta e si mantiene fedele alle promesse fatte al suo Dio. Nella lotta coi genitori è saldo e fermo. I diritti dello spirito sono da lui difesi con incrollabile energia. La sua vocazione è il sacerdozio, ed egli lo raggiungerà. Sarà Giovanni Eudes sacerdote secolare o religioso? Con volontà più che mai risoluta delibera di entrare nella Società dell’Oratorio, fondata a Parigi dal P. De Bérulle, per realizzare i suoi disegni. Il suo padre lo tratta da inumano e da ingrato, che calpesta i doveri di figlio per correre dietro ad una chimera, che una fantasia troppo accesa gli aveva creato nell’anima. La tempesta è grave. Impetuoso è l’assalto. I soldati deboli tentennano e cedono al primo irrompere delle forze nemiche. Giovanni non cede. La voce di Dio nel suo cuore è più forte di quella del sangue. Egli vince la resistenza paterna, parte per Parigi, entra nella casa dell’Oratorio, e si prepara nella solitudine, nello studio, nella preghiera ed in una più intima unione con Gesù Cristo al grande atto. Il 20 dicembre 1625 egli è religioso e sacerdote. Qui comincia la sua azione apostolica. L’attività, l’organizzazione e la predicazione sono tre forme di apostolato, che in lui si accoppiano insieme e procedono di pari passo. Sono tre armi che vengono adoperate dal giovane soldato simultaneamente e con immenso successo. – Nell’anno 1627 il terribile flagello della peste cominciò a portare lo sterminio in molte regioni francesi. Le campagne nei dintorni di Argentan erano desolate dalla morte, che seminava dovunque innumerevoli vittime. Giovanni rimase commosso dinanzi all’abbandono in cui erano lasciate le sue terre native, e sente di non potere rimanere più oltre inoperoso sotto la tenda, mentre i suoi compatrioti morivano senza assistenza e senza conforti. Egli lotta contro la resistenza dei superiori, che temevano di lui per la temerità dell’impresa; e, riuscito vincitore, prende il suo breviario, un po’ di biancheria, un altare portatile, una scatoletta per riporvi le specie Eucaristiche, e solo prende la strada della Normandia. Il coraggio, col quale a ventisei anni, sprovvisto di mezzi e di cautele, affrontava l’ardua impresa, rivela l’anima del soldato già temprata all’asprezza delle battaglie e al pericolo dei cimenti. Il santo non trova né un gentiluomo né un prete che gli offra ospitalità. Affidato al suo Dio, percorre impavido i paesi straziati dal morbo, visita gl’immondi abituri come le case dei ricchi, confessa gli appestati, somministra il viatico agli agonizzanti; è l’angelo consolatore che porta sollievo alle anime e rinfranca i corpi abbattuti. Pari zelo dispiega nella città di Argentan, ove conforta i morenti, rianima i superstiti, e, consacrata con pubblico voto solenne la città alla Vergine, ottiene la cessazione del flagello. – Rientrato in una casa dell’Oratorio, a Caen, per prepararsi alle missioni, manifesta un’altra volta il suo spirito di sacrifizio, quando, quattro anni dopo, la peste venne a desolare questa città. Egli, offerta a Dio la sua vita, corre sollecito al letto degli appestati, e mentre tutti fuggono e si riversano nelle campagne, il santo è l’anima consolatrice degli infermi e dei desolati; sale e scende le scale delle case, ove si soffre, si agonizza e si muore; assiste anche i suoi confratelli colpiti dal morbo, converte un calvinista che chiuso in casa con sua moglie era agli estremi, e, poste le immagini della Madonna come salvaguardia a tutte le porte della città, vede la peste rallentare e poi cessare del tutto. Il soldato eroico aveva compiuto il suo dovere. – Dal capezzale degli appestati eccolo quindi salire sui pergami a combattere col vigore della sua parola l’ignoranza, i vizi e la corruzione sfrenata del tempo. La Società dell’Oratorio si era proposta di evangelizzare i popoli. E ve ne era veramente bisogno, massime nella Normandia, che ancora risentiva le conseguenze funeste dell’eresia calvinista. Gesù Cristo non era più conosciuto. La fede o era interamente perduta, o si era illanguidita al punto da non informare più la vita dei cittadini. Delitti orrendi, vizi vergognosi, cupidigie sfrenate, violenze inaudite, superstizioni ridicole, costituivano il fondo di quel quadro storico, che richiamò a sé le cure di pochi ma ferventi apostoli, i quali, commossi da sì triste spettacolo, si dedicarono ad evangelizzare la Francia. Giovanni Eudes è uno di questi eroi. Primo tra i primi si slancia nell’agone della battaglia. Egli predica, catechizza, confessa, illumina, converte. Acceso di ardore divino e penetrato da una virtù celeste, corre dovunque è chiamato. Alla parola gagliarda dell’apostolo non si resiste; si ridesta la fede, si migliorano i costumi, si riaccende il coraggio cristiano, e perfino i protestanti ritornano sulle vie della verità. L’efficacia della sua predicazione, come la forza del suo esempio riescono spesso a trionfare di tutti gli ostacoli. E là, dove i soldati del re non valgono a restaurare l’ordine fra i cittadini, che erano in preda al terrore, questo soldato di Cristo calma gli spiriti e ristabilisce la pace. – Nel fervore delle sue battaglie, egli si era convinto che non poteva migliorarsi il popolo, se prima non si riformasse il clero; giacché principale ostacolo al successo delle missioni era la corruzione dei pastori di anime. Come convertire il gregge, e come farlo poi perseverare in propositi di bene, se il clero, ignorando l’eccellenza del sacerdozio e la importanza de’ suoi obblighi, era con la sua condotta motivo continuato di scandalo ai fedeli? Di qui nasce nel santo e si matura lentamente, ma inesorabilmente, il primo disegno di fondare una nuova società che intendesse a trasformare radicalmente il clero, attraverso l’opera dei seminari, nei quali avrebbe dovuto essere preparato adeguatamente per corrispondere alle finalità della sua missione. Egli prega, si consiglia, discute. Il suo disegno non arride a molti de’ suoi confratelli, i quali prevedono che, per attuarlo, Giovanni Eudes sarebbe uscito dalla Società dell’Oratorio. Essi ben conoscevano la tempra dell’Uomo, che, quando si vedeva chiamato da Dio ad un’ardua impresa, non vi rinunziava facilmente. – L’opposizione frattanto si accentuava. Il santo, che ama il suo Istituto e che non riesce a fargli abbracciare l’idea ch’egli perseguiva con tanto entusiasmo, soffre immensamente. La sua anima è lacerata da una terribile lotta. È una dolorante tragedia che si svolge nel suo cuore. Ma, scoccata l’ora di Dio, non tentenna, e non si ritrae indietro. Pur sentendosi desolato e trafitto dal pensiero di dover abbandonare luoghi così cari e persone così venerate, si distacca coraggiosamente dall’Oratorio. Tale distacco gli procura il titolo di orgoglioso, di ambizioso e di ribelle. Non importa. Si può combattere lo stesso nemico anche in altre trincee, purché si militi sotto la stessa bandiera, si serva la medesima causa e si dilati il regno del condottiere supremo, Cristo, nostro Signore. L’oratore e il missionario diventa così organizzatore. Come un soldato, assurgendo alla condizione di capitano, organizza una milizia e prepara il suo piano di battaglia per sconfiggere i nemici della patria, così il valoroso soldato di Cristo, desiderando di abbattere l’iniquità che imperversava sulla sua nazione, organizza la Congregazione di Gesù e Maria e si accinge alle più aspre battaglie per la difesa della fede e della morale. Nacque così dal suo cuore, in un impeto di amore gagliardo a Cristo, il nuovo sodalizio, che si proponeva due scopi precipui: formare, con gli esercizi del seminario e dei ritiri, dei buoni ecclesiastici, e suscitare lo spirito cristiano nel popolo mediante le missioni, le predicazioni e l’amministrazione dei Sacramenti. Il rinnovamento del clero e del popolo fu il suo nobile obbiettivo. Con un clero ricco di coltura e di pietà, pieno di spirito di sacrificio, e posto a disposizione del Papa e dei Vescovi, si sarebbero restaurate le sorti della Religione, e, con queste, quelle della società civile. A tredici chilometri da Caen, verso il mare, in un santuario dedicato a Maria, si raccoglie il primo manipolo di eroi, che sotto la guida del santo giurano dinanzi all’altare di consacrarsi a quest’epoca di restaurazione. Per conseguire il primo de’ suoi scopi, la rinnovazione del clero, occorreva santificare i membri della sua Congregazione, rendendoli strumenti adatti a formare nuovi ecclesiastici, degni di esercitare poi santamente il loro ministero. Qui convergono i primi sforzi del fondatore. Né gli fu difficile creare una milizia di santi fra i suoi seguaci. L’esempio del maestro era un fascino per i discepoli. Alla scuola del suo esempio e della sua dottrina integra ed illuminata cresce e giganteggia il manipolo dei valorosi. Preghiera e studio, azioni di pietà ed edificanti letture, alternate coll’esercizio del ministero, sono il loro cibo quotidiano. Il progresso spirituale li accompagna di giorno in giorno. Lo spirito di povertà, di semplicità, di candore viene ad informare le loro anime; lo zelo più ardente le eccita a promuovere seriamente la causa di Dio; la fiamma della carità le pervade e le accende, stimolandole a suscitare in tutti faville d’amore e sante aspirazioni. Quei prodi, corroborati settimanalmente in questa scuola di virtù sode e robuste, nei giorni festivi si recavano nelle diverse parrocchie per diffondere nei cuori altrui quelle spirituali ricchezze ond’essi erano ricolmi. Ad ecclesiastici di tal fatta si poteva affidare sicuramente la riforma del clero. – Con l’aiuto di questi uomini, Giovanni Eudes forma dei preti secondo lo spirito di Cristo, si studia poi di rivederli nelle riunioni da lui organizzate, per rassodarli nella vocazione e nei propositi di bene. Quando si recava ad evangelizzare una città od una campagna, affrettavasi a riunire gli ecclesiastici della contrada, e li intratteneva con molta cordialità su quanto potesse contribuire alla loro perfezione individuale, ad un più efficace esercizio del loro ministero e ad un adempimento più scrupoloso dei loro doveri sacerdotali. Erano veri cenacoli di pietà e di studio, nei quali talvolta si contavano fino a trecento gli ecclesiastici che vi prendevano parte. Da questi ritiri spirituali, ravvivati dalla rugiada di celesti consolazioni, l’anima del clero usciva commossa e rinnovata. All’opera di questi ritiri si aggiunse la fondazione dei seminari di Caen, di Coutances, di Lisieux, di Rouen, di Evreux e di Rennes, scuole autentiche di santi, nelle quali i compagni di Giovanni Eudes lavoravano a formare, istruire ed esercitare coloro che aspiravano al sacerdozio o che l’avevano raggiunto. Da quei seminari, che la pietà e lo zelo del santo avevano aperto e consolidato, uscirono legioni di sacerdoti, che perpetuarono la missione del fondatore e fecero risuonare un’altra volta sotto i cieli di Francia il nome benedetto di Cristo. Il primo scopo prefìssosi dal santo era raggiunto. La restaurazione del clero era in gran parte compiuta. Da per tutto si scorgevano preti operosi e zelanti, tutti intenti alla salvezza delle anime. La buona reputazione degli ecclesiastici, cresciuti alla scuola dell’Eudes, venne universalmente riconosciuta. In quasi tutte le diocesi si notava una trasformazione confortante. I Vescovi ne godevano. La società ne intese influssi benefici e duraturi. – Mercé la sua Congregazione, ove il nostro eroe formò missionari pieni di zelo, che correvano per tutte le regioni di Francia, predicando la fede e la morale cristiana, riuscì a rinnovare interamente paesi, città e provincie. Egli fu l’anima di quest’apostolato. Oratore nel più alto grado della parola, possedeva tutte le qualità fisiche e morali, che lo rendevano eloquente e gli assicuravano il successo. Voce, gesto, vivacità di sguardo, espressione di viso, dominio assoluto del pubblico, andavano congiunti ad una dottrina soda, ad una facilità di comunicativa, ad uno slancio, ad una prontezza che gli permettevano di conquistare fin dall’inizio il cuore delle masse. La fiamma poi della grazia lo investiva talmente, che in lui tutti riconoscevano il santo e il messaggero di Dio. Ad un santo i popoli non resistono mai, e gli si danno in una dedizione completa. Giovanni Eudes fu un vero conquistatore di anime. Predicava, catechizzava, confessava per settimane intere, per mesi interi. Quando terminava la sua missione in una località, trasportava altrove le sue tende e ricominciava lo stesso lavoro. Furono ben poche le terre di Francia, che non ebbero la fortuna di giovarsi del suo apostolato. Folle imponenti si gettavano ai suoi piedi; i peccatori più ostinati gli si arrendevano; i vizi più disonoranti erano estirpati; riparate le ingiustizie; abolite le cattive pratiche; ricomposte le paci; bruciati i libri nefandi; maledetta la bestemmia; impugnati gli errori; combattuto il giansenismo; trionfante la fede; Gesù Cristo amato e adorato. Che più? I figli, camminando sulle orme del padre, sono come le squadre volanti che rapidamente si recano da una diocesi ad un’altra per predicare la buona novella e per sradicare la immonda zizzania. È una milizia agguerrita, pronta a respingere tutti gli assalti ed a difendere con vigore le posizioni e le dottrine del Cattolicismo. Mentre il santo dava tutta la sua esuberante attività a quest’opera di apostolato, creava insieme l’Istituto di Nostra Signora della Carità, generosa milizia femminile, destinata da Dio ad uno sviluppo veramente straordinario, giacché i suoi due rami, quello del Rifugio e quello del Buon Pastore, contano oggi circa 15.000 Suore, che in diverse parti del mondo si adoperano generosamente per la redenzione e riabilitazione delle infelici vittime del vizio. Molte famose peccatrici, dopo aver ascoltato il nostro missionario, toccate dalla grazia avevano formato il proposito di abbandonare la loro vita colpevole. Di qui sorse in lui l’idea di costituire un Ordine religioso, con la missione esclusiva di ricondurre le Maddalene a Gesù e di farle perseverare nel bene. Donne magnanime si ascrissero a quell’Ordine, legandosi, oltreché coi tre voti ordinari di religione, con un quarto voto, quello cioè di consacrarsi alla santificazione delle pentite. In questo voto audace e sublime, che rispecchia la misericordia di Gesù, s’innalza come sopra una roccia la nuova religiosa famiglia, che per virtù del suo fondatore e per lo spirito di sacrificio che egli seppe comunicarle, fiorisce ancora rigogliosa, testimone perenne di quell’azione provvidenziale, spiegata dall’eroico soldato di Cristo. – Oltreché con la parola, con l’orazione e con la organizzazione di due poderosi Istituti, egli combatté altresì valorosamente con la penna. Se questa nelle mani di un eretico o di un miscredente è causa di naufragio e di morte per tante anime, nelle mani di Giovanni Eudes fu strumento di vita e di propaganda cristiana. I molti libri vergati dalla penna dell’infaticabile missionario, erano un vero arsenale di sapienza e di dottrina non comune, ed un focolare ardente di pietà. È veramente da deplorarsi che gran parte di quei tesori sia andata perduta. Quei che sono rimasti, rivelano il suo immenso amore a Cristo ed alla Vergine, i due radiosi ideali, che gli palpitavano nell’anima e gl’infondevano l’ardore nelle lotte dell’apostolato. Il suo libro « Vita e regno di Gesù nelle anime cristiane », è un’eco fedele dei sentimenti di chi si era proposto di far vivere e regnare Gesù Cristo in tutte le intelligenze, in tutte le volontà, in tutti i cuori, e sottomettere al suo impero tutte le potenze e facoltà dell’anima e del corpo. In quel libro è come una visione profetica del regno sociale di Cristo, di cui egli fu un ardito precursore ed un assertore illuminato. Quello che poi scrisse di Maria intorno alla sua ammirabile fanciullezza ed al suo Cuore di Madre, è quanto di più squisito poteva sgorgare da un’anima, amante appassionata di questa celeste regina. Fin dalla età di diciotto anni aveva scelto Maria come sua sposa; e più tardi firmava col suo sangue gli sponsali mariani, che sono il canto d’amore da lui sciolto alla sua diletta, il dolce e magnifico epitalamio, scritto con accenti di tenerezza commossa, che solo il grande amore poteva ispirare. Altra arma potente di battaglia fu per lui la preghiera. Tutta la sua vita può dirsi un atto continuato di orazione. Dinanzi all’altare, prima e dopo la Messa, egli bruciava di ardore divino ed era assorto nei sublimi misteri. Le sue missioni erano precedute e accompagnate dall’aroma della preghiera, alla quale sola affidava i successi del suo ministero. Conquistava le anime dei popoli più con la preghiera che con l’azione; questa senza di quella sarebbe stata sterile e incapace di produrre tante trasformazioni e conversioni; ravvalorata invece dalla preghiera, fu una forza incoercibile che dominava gli spiriti e li rinnovava. La sua attività, privata e pubblica, era plasmata di quello spirito di orazione, che la rendeva feconda ed efficace. Parlare, predicare, confessare, organizzare, scrivere era per lui pregare. Il presidio più valido, che lo sostenne durante le vicende dolorose e angoscianti della sua vita, fu la preghiera. Se non fosse appoggiato a questa forza soprannaturale, avrebbe dovuto soccombere. Uomo di orazione e di contemplazione, fu un gigante che combatté e vinse, conquistando la palma degli eroi. – Il buon soldato di Cristo si segnala altresì con l’esercizio indefesso delle virtù cristiane, la cui potenza d’attrazione sulle masse è immensa. Il popolo non bada tanto alla scienza quanto alla santità. La scienza potrà interessare i dotti, ma la santità conquista tutti; e questa si manifesta nello splendore delle virtù, esercitate eroicamente giorno per giorno con la costanza propria dei santi. In Giovanni Eudes rifulse in maniera speciale l’amore di Dio, forte, sincero, puro, che gli traboccava dall’anima, e fu la sorgente di tutte le opere che intraprese a vantaggio del prossimo. Egli non visse un giorno solo per sé; non conobbe affatto l’egoismo di una gran parte degli uomini, che si racchiudono nella cerchia della propria individualità, e non si curano che di se stessi; arse invece di fervido zelo che lo spinse a consumare le sue forze e la sua vita in un lavoro nobilissimo per la salvezza delle anime. Per strappare i peccatori al vizio, all’errore e all’inferno, non badò a fatiche, a sacrifici, ad ostacoli, a minacce. Un mare di lacrime e di sangue – egli diceva – non basterebbe a piangere il danno delle anime che si perdono per mancanza di operai apostolici. Fermo e saldo nell’avversa fortuna, paziente ed inalterabile fra i disprezzi e le persecuzioni, tranquillo e perseverante nella sua propaganda, sottomesso in tutti gli eventi alla volontà divina, retto nei suoi intendimenti, puro nei pensieri e nelle opere, fu modello di bontà, di giustizia e di santità alla sua patria. Sul letto di morte coronava la sua vita di santo con un atto sublime di fede, di umiltà, di amore e di sacrifizio, allorché, accasciato e morente, volle lasciare il suo giaciglio e inginocchiarsi sul nudo pavimento per ricevere l’Ostia santa. Dinanzi a questa dichiarò di fare ammenda dei suoi peccati, chiese perdono ai suoi confratelli, e si strinse a Dio in un palpito supremo, che era il compimento dell’immolazione e l’ultimo grido di amore al Padre, che andava a raggiungere nei cieli. – Verrei meno al mio dovere di panegirista e di storico, se passassi sotto silenzio quel coraggio eroico, del quale il santo dette continue prove durante il suo lungo apostolato. Il soldato deve essere per sua natura coraggioso; deve affrontare con petto impavido tutti i pericoli; né deve sgomentarsi per le durezze dei cimenti o ripiegare la bandiera dinanzi all’irrompere delle forze nemiche. Giovanni Eudes, forte e valoroso soldato di Cristo, nell’adempimento della sua missione, non conobbe nessuna di quelle debolezze, che potrebbero oscurare la luce dell’eroe; e in tutte le circostanze più aspre e difficili combatté con coraggio di Cristiano e di apostolo. Al cospetto dei nobili e dei magistrati predicò ugualmente la verità, senza attenuarla in qualsiasi maniera. Di fronte ai potenti del secolo non usò blandizie di sorta, né ricorse ad alcuna di quelle accortezze, che potrebbe suggerire la prudenza o la pusillanimità. Nelle sue frequenti relazioni con i sovrani, aborrì dalle servilità del cortigiano, come dalle facili e mendaci approvazioni dell’adulatore. Ai potenti ed ai despoti si curvano sempre le schiene in un servilismo ributtante. È la storia di tutti i paesi e di tutti i tempi. Il nostro santo, che aveva a schifo cotesti sistemi, in tutti i suoi atti s’ispirava alla semplicità del Vangelo, ai diritti della verità, alle esigenze della giustizia. I suoi memoriali alla reggente Anna d’Austria, con i quali la richiamava ai suoi doveri di regina, erano capolavori di dignità e di ardimento. Nell’additarle le piaghe del tempo, e nel chiedere provvedimenti contro gli abusi e le iniquità che desolavano la Francia, e contro i danni che l’audacia del Giansenismo produceva nelle anime, non ricorreva a circonlocuzioni, né si valeva di eufemismi poco sinceri, ma scriveva con precisione e con energia, come gli dettava la sua coscienza di sacerdote. Nel 1660, chiudendo un corso di missioni a Parigi, non si peritò d’indirizzarsi pubblicamente alla regina madre, supplicandola con vivo ardore di fede, perché estirpasse le vecchie e nuove eresie, e rimuovesse le cause di tante miserie. Nell’anno appresso, mentre predicava in una festa solenne, non appena scórse la predetta regina, che era venuta ad ascoltarlo, cambiò il soggetto del suo discorso; e, prendendo motivo dal fuoco, che due giorni prima aveva incendiato al Louvre la galleria del re, ne trasse argomento per ammonire che se il fuoco temporale non aveva risparmiate le case del re, il fuoco eterno non perdonerebbe né ai principi e sovrani, né a principesse e regine, se non vivessero cristianamente e non impiegassero la ‘loro autorità a distruggere la tirannia del peccato e del demonio, ed a stabilire nelle anime dei sudditi il regno di Dio. Non per questo si offese Anna d’Austria, che era solita dire: « Ecco come bisogna predicare; coloro che ci adulano, c’ingannano, e dovrebbero invece dirci con tutta franchezza la verità ». Invitato nel 1671 dal re a predicare il Giubileo di Clemente X al castello di Versailles, accettò l’incarico, e dinanzi al potente sovrano Luigi XIV ed alla sua sposa Teresa d’Austria, parlò con franchezza cristiana in quella corte, ove si trascorreva il tempo di festa in festa, e non mancavano cortigiani che facevano a gara nel lusingare le passioni del re. Due anni dopo predicava a Saint-Germain en Laye alla presenza del re, della regina, delle dame e dei gentiluomini di corte, e col suo coraggioso linguaggio commosse tutto l’uditorio e suscitò nel cuore dei monarchi sentimenti più vivi di cristiana pietà. In grazia dei suoi ardimenti, il santo vinse ben dure battaglie per la fede e per Cristo. Con pari animo tenne fronte alle persecuzioni che gli vennero mosse, alle tempeste che gli si scatenarono contro, all’uragano che tentò di rovesciare con lui i suoi disegni e le sue opere. Rare volte nella storia si legge di persecuzioni ostinate, ingiuste e violente, quali furono quelle che ebbe a subire il nostro santo. Offese ed ingiurie, provenienti non solo da uomini sregolati e corrotti, ma anche da preti e religiosi, da curati e vicari, che dal pulpito e nel confessionale lo attaccavano con inaudita animosità; accuse di spergiuro, di sacrilegio e di ribellione, che gli furono formulate; miserabili libelli pubblicati per distruggere la sua reputazione e per prevenire in suo danno le autorità ecclesiastiche e civili; calunnie infamanti, per le quali lo si qualificava uomo senza fede, senza pudore, senza religione; odio implacabile che giunse al punto da fare interdire la cappella del suo seminario di Caen; maneggi ignobili per suscitare contro di lui le diffidenze o le inimicizie di personaggi eminenti, di Vescovi e degli stessi monarchi; tutte le armi più disoneste e sleali furono adoperate a fine di annientare l’opera sua, paralizzare la sua azione, e creare il vuoto e la solitudine attorno all’uomo che combatteva con purezza d’intendimenti per salvare le anime, per restaurare la Francia, per difendere la causa della Religione. Altri al suo posto avrebbe finito col cedere le armi. Egli non si perdette mai di coraggio; fissando gli occhi sulla croce, rinfrancava le sue speranze; e impavido atleta giurava di morire combattendo per il Signore. Làbora sicut bonus miles Christi Iesu. Il forte soldato di Cristo non si arrestò mai nel suo lavoro; proseguì animosamente la sua battaglia; e, sopportando con animo invitto tutte le persecuzioni, insegnò col suo esempio che non ai deboli ed ai pusillanimi, ma solo ai generosi ed eroici lottatori è riserbata, nella storia e nella luce dell’immortalità, la corona e la gloria.

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Chi mai sostenne e confortò Giovanni Eudes fra le vicende di quelle terribili persecuzioni? Quando un povero mortale è per cadere sotto il peso della sventura, se ha un cuore amico che gli batte vicino, se la parola tenera di una madre gl’infonde balsamo e vita, egli non cade e non dispera. Il dolore non lo abbatte. Una grande speranza lo sorregge e lo guida. Quando un soldato, circondato da tanti nemici, è per soccombere sul campo di battaglia, se al suo fianco vede agitarsi la bandiera, nelle cui pieghe palpita il cuore della patria, egli riprende tosto vigore e combatte da eroe, compiendo generosamente tutto il suo dovere. Allorché sui campi lombardi i soldati, che si erano uniti per la vita e per la morte, si videro circondati dalle compatte falangi tedesche, in quell’ora fatale fissando il Carroccio, in cui l’ideale della patria e della fede parlava al loro cuore, quei giovani figli d’Italia, in un impeto gagliardo che travolse l’esercito del Barbarossa, salvarono l’onore della patria e la libertà dei Comuni. – Anche al santo, nei suoi aspri e lunghi cimenti, sorrisero due bandiere, nelle quali erano scolpiti due cuori: il Cuore santissimo di Gesù e quello di Maria. Queste furono le sue più belle e dolci devozioni. Con una fede che ha del sublime, e con una costanza che ha del meraviglioso, erasi fatto propagatore delle due devozioni. Per più di mezzo secolo fece sventolare queste due fiammanti bandiere sotto il cielo di Francia, difendendole contro il giansenismo imperante e contro le varie opposizioni congiurate a disperdere il culto liturgico dei Sacri Cuori, che trionfò pienamente. Egli moriva sulla breccia, salutando quelle due bandiere gloriose, che lasciava come retaggio di salvezza alla Francia e come pegno di riscossa alla Chiesa. La devozione ai Cuori di Gesù e di Maria, divulgata per l’apostolato di Giovanni Eudes, salvò veramente la Francia nel periodo più funesto e più tragico della sua storia. Ricordiamo una pagina che ci riporta ai tempi del Terrore. Luigi XVI, balzato dal trono, è rinchiuso nella prigione del Tempio. La sposa Maria Antonietta, la sorella Elisabetta e la principessa di Lamballe, anch’esse sono gettate nel fondo del carcere. Quest’ultima, di sangue e di stirpe italiana, aveva voluto dividere la sorte degl’infelici monarchi. Condannata a morte, è trucidata ferocemente da alcuni miserabili che le mozzarono il capo e, conficcatolo in cima ad una picca, lo mostrarono alle finestre del carcere, ove era chiusa la famiglia regale. In quell’ora di crudele martirio Elisabetta, serena e forte, è l’angelo che consola quelle anime martoriate. Il monarca è tratto al patibolo, e vi lascia la testa perdonando e pregando. La stessa sorte è riserbata più tardi a Maria Antonietta, che affronta il supplizio con un coraggio ed una dignità che toccano la cima dell’eroismo. Rimane Elisabetta, la sorella del re. Anche per essa è aperta la via del patibolo. Quando i commissari della rivoluzione frugano nelle sue tasche, non vi trovano che due cose: un libretto di devozione, entro il quale era una immagine dei due Cuori di Gesù e di Maria, ed un foglio di quattro pagine intitolato: Consacrazione della Francia al Sacro Cuore di Gesù. Quella immagine dei due Cuori santissimi ci richiama l’apostolato di Giovanni Eudes, e il pegno di salvezza che egli aveva lasciato alla sua patria. Senza l’apostolato del santo, quante più gravi iatture sarebbero state riserbate alla Francia! Senza la sua opera restauratrice, continuata con ardore dai suoi figli e coadiuvata da quella di altri campioni della fede, il clero ed il popolo cristiano sarebbero stati travolti interamente dalla rivoluzione. La resistenza non sarebbe stata possibile in alcuna maniera. Ecco la luce più fulgida che abbellisce la fronte dell’apostolo. Il clero ed il popolo francese, per quanto gli editti di proscrizione e di morte lo permettessero, resistettero impavidi contro la bufera. Ogni paese ed ogni città di quella nazione ebbe i suoi martiri e le sue catacombe. Gli eroismi di quei confessori, che vennero trucidati nel Carmine ed a S. Firmino, tra i quali si contano non pochi figli del Santo, non sarebbero stati così cospicui, se il germe che produsse gesta tanto gloriose, non fosse stato seminato nel secolo antecedente da questo apostolo. Giovanni Eudes aveva lasciato alla Francia due grandi patrimoni: una fede ed una fiamma; la fede restaurata nel clero e nel popolo; la fiamma di due cuori divini, che creò la forza di quella Chiesa militante. La Francia cristiana sotto i colpi formidabili di quella rivoluzione satanica che uccideva preti, bruciava altari, chiudeva chiese ed aboliva il culto cattolico, cadde, è vero, intrisa di sangue e gemette per tante ferite. Ma dopo la tempesta risorse più gagliarda e più giovane, in virtù di quella fede e di quella fiamma. – Io saluto il soldato invitto, l’eroe magnanimo, l’alfiere impavido e l’intrepido condottiero, che amando e soffrendo, evangelizzando e combattendo, salvò la sua patria. Onore all’eroe! – I martiri della rivoluzione levino la testa dai loro avelli, benché deturpata dal ferro dei manigoldi, e con tutti gli spiriti immortali della Francia cantino l’epopea gloriosa di questo eroe, il cui solo nome basta ad illustrare la fede e la grandezza di un popolo. – O santo, Roma ha rivendicato giustamente il tuo merito ed i tuoi sacrifici; giacché non solo approvava le tue opere e benediceva i tuoi Istituti, ma afferrava dalle tue mani la bandiera dei Sacri Cuori e, inalberandola su tutti gli altari, realizzava il tuo nobile ideale. Ma Roma, la città di Dio, la patria delle anime, la città pontificale che gusta tutta la bellezza e il dono della sua cattolicità, ti ha posto anche sulla fronte l’aureola dei santi, ed oggi in questo tempio farnesiano ti offre le primizie del culto, che ti sarà reso in ogni terra. Roma eterna, che vive d’immortalità, ed è la sola città del mondo che può dispensare agli uomini l’immortalità, ha consacrato il tuo nome non sulla fragile pietra o sul marmo muto, ma nei cuori riconoscenti dei fedeli, nella poesia sublime della fede, nel canto suggestivo del culto, nel plauso e nell’ammirazione della storia.

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.