IL VERME RODITORE delle SOCIETA’ MODERNE (6)

CAPITOLO XII

INFLUSSO DEL PAGANESIMO CLASSICO SULLA LINGUA

Se è cosa innegabile che il paganesimo introdotto nella educazione della gioventù modificò profondamente i pensieri, e, in qualche guisa, l’essere dei popoli moderni, è pure innegabile che la forma del pensiero, cioè la parola e l’Arte, deve portare tracce non meno profonde di simile influsso. A quanto abbiamo detto della poesia e della letteratura aggiungiamo una parola sulla lingua ordinaria, la quale riceve più direttamente l’influsso della letteratura o della lingua dotta. Parleremo poscia dell’Arte. – Tutti sanno che lo stile è l’uomo; che la lingua di un popolo altro non è se non la forma esterna del suo pensiero, dei suoi gusti, del suo modo di giudicare e di sentire. Se un tal popolo è cristiano, la sua lingua sarà cristiana; se un tal popolo è profondamente cristiano, la sua lingua sarà profondamente cristiana. All’opposto, se un tal popolo è pagano, la sua lingua sarà pagana; s’esso è profondamente pagano, la sua lingua sarà profondamente pagana. Egli è questo un infallibile termometro per giudicare che fatta d’idee regni in un popolo egualmente che in un uomo. – Ora abbiamo veduto che da secoli il paganesimo, cioè il naturalismo ed il sensualismo, giungendo incessantemente per la grande strada dell’educazione alla radice stessa della società, penetrò profondamente fra i popoli d’Europa. Che la loro lingua portar ne debba l’innegabile suggello, il solo enunciare così fatta proposizione si è un dimostrarla: tuttavia, stabiliamola con fatti. Nel medio-evo, la lingua delle nazioni d’Europa è affatto calcata sulla lingua religiosa: essa ne è, per dir così, profumata. Lo spiritualismo ed il sovrannaturale si rinvengono d’ogni parte; le parole cristiane, i nomi sacri escono naturalmente d’ogni labbro: il sugo cristiano anima la parola e vivifica il pensiero. La parola, a volte grave, semplice, nobile, viva, abbondante, naturale, affettuosa e sempre vera, comunica tutte codeste qualità al pensiero. Nulla di più agevole a provare. Basta, per questo, aprire i Capitolari dei nostri re e le carte degli antichi tempi; di consultare i nostri storici, quali Joinville, Froissard o Davila; di leggere i discorsi dei cancellieri delle nostre Università, le Mercuriali dei presidenti dei nostri Parlamenti, ed altri documenti pubblici od ufficiali. – Giunge il paganesimo classico: tosto la lingua muta carattere. Essa comincia dal perdere la sua abbondanza e la sua semplicità. Fénélon medesimo non poté non farne l’osservazione. « La nostra lingua, egli dice, manca di un gran numero di parole e di frasi: mi sembra anzi che sia stata imbarazzata ed impoverita da cento anni in qua volendola purificare. È vero che era ancora un po’ informe e troppo verbosa. Ma la vecchia lingua si fa desiderare quando la troviamo in Marot, in Amyot, nel cardinale d’Ossat, nelle opere le più gaie e nelle più serie: essa possedeva non so che di breve, d’ingenuo, di ardito, di vivo, di appassionato (Lettera sull’eloquenza.). » Quindi il sugo cristiano diminuisce; il sovrannaturale diventa più raro; le antiche formule che l’esprimevano sì bene o spariscono del tutto, o sono notevolmente alterate. Se ancor ne rimangono vestigie, nella lingua del popolo fa mestieri cercarle: la lingua dei letterati ne è sprovveduta. Per lei, le parole cristiane paiono anticaglie. Essa non le pronuncia più se non se di raro e come a malincuore.Quindi l’adorabile nome di Nostro Signor Gesù Cristo non si trova una sola volta scritto in tutte lettere nei discorsi del mondo legale da più di sessant’anni in qua. Mentre l’uomo del mondo si fa una gloria di citare Orazio e Virgilio, non gli avviene mai di citare una massima dell’antico o del nuovo Testamento. I nomi dei filosofi pagani gli spuntano naturalmente sulle labbra; quelli degli Apostoli o dei Profeti mai o quasi mai. S’egli vuol fare l’elogio di una virtù, non dice già una virtù cristiana, ma sì una virtù antica; s’egli vuol offrirci il tipo di un grande carattere, non dice già un carattere cristiano, ma sì un carattere antico. Dovunque può, sostituisce parole pagane o profane, parole di significazione meramente naturale alle parole di significazione sovrannaturale. Per dire Iddio, dice Divinità, Essere supremo, Natura; per dire religione, culto; per dire fede, convinzioni od opinioni religiose; per dire carità, filantropia, umanità; per dire elemosina, assistenza. Sull’orlo della tomba, il requiescat in pace cattolico dà luogo alla formula pagana: la terra ti sia leggera. Facile cosa sarebbe il citare una quantità di altre sostituzioni, testimonio manifesto dell’alterazione del pensiero cristiano. Non parlo di un grandissimo numero di parole o di formule della lingua religiosa, che mai non si trovano in certi scritti, in certe storie, in certe opere sulle scienze fisiche o politiche, se non forse con accompagnamento di dispregio e di bestemmia. Ciò è così vero, che voi potete conversare a lungo con un letterato, non importa su quale argomento, sènza riconoscere al suo linguaggio s’egli è ebreo, protestante o seguace di Budda. Lo stesso ne è della maggior parte delle moderne scritture: l’impronta cattolica ne è talmente dileguata, che quasi sempre si può chiedere se l’autore ha una religione e se lo scritto vien da Parigi, da Ginevra o da Costantinopoli. Ora, tutto ciò è ad un tempo una ridicolezza, una vergogna ed uno scandalo; ma è il frutto legittimo del paganesimo classico. È una ridicolezza, poiché vi è lo strano contrasto delle parole pagane e delle anime battezzate; è una vergogna, perché vi è un sintomo dell’indebolimento e della perdita totale della fede; è uno scandalo, perché le nazioni non più potendo distinguere ciò che noi siamo in fatto di religione, vuoi al nostro linguaggio, vuoi ai nostri pubblici costumi, non sanno qual posto assegnarci fra i popoli. Questa ridicolezza, questa vergogna, questo scandalo, diventarono nel calendario repubblicano la lingua ufficiale della nazione, la quale, nutrita di paganesimo, cioè di sensualismo e di naturalismo, trovava affatto logico conformarsi ai suoi modelli così nel suo linguaggio come nelle sue istituzioni e nei suoi costumi. Pronta giustizia, è vero, fu fatta di una tale prova prematura. Nondimeno, se vogliamo sapere a qual grado di profondità il paganesimo sia penetralo nello spirito pubblico, con quanta forza si sia fermato nelle nostre idee, e quale immensa via ci abbia fatto fare, basta un semplice confronto, il cui profondo significato non potrebbe essere negato.Oltre l’interesse morale ch’esso offre, un tal confronto ha un interesse di curiosità altrettanto più vivo, in quanto che a mia saputa non fu mai fatto. Io lo rinvengo nel nome del vascelli, a tre secoli di distanza. Scelgo questo punto di confronto, perché gli elementi ne son certi; perché i due fatti paragonati sono una manifestazione autentica del pensiero dominante nelle due età; finalmente perché il fatto contemporaneo è talmente accettato, che non si potrebbe tentare di nulla cambiarvi senza cagionare un immenso stupore e senza suscitare una infinità di reclamazioni e di sarcasmi.Nel 1571 dunque, i vascelli delle grandi potenze marittime d’Europa si trovavano riuniti nel golfo di Lepanto, in cui dovevano riportare la celebre vittoria che annientò nelle onde la potenza invaditrice dell’Islamismo. In allora, sebbene il paganesimo classico fosse in tutto il suo fervore, non si trovavano ancora in una flotta di 204 navi se non due nomi pagani, quelli di Diana e di Sirena, mentre quella ci offre sessantotto nomi di santi o di sante. Ecco ora il secondo termine di paragone. Il quadro generale della marineria francese, pubblicato nel 1846, offre 371 navi di ogni grandezza. Di queste 371 navi non una sola porta un nome di santo (bisogna eccettuare il Santi-Petri che non è d’origine francese), mentre ottantacinque hanno nomi pagani, e quanto v’è di più pagano.—Questo confronto prova certamente qualche cosa, poiché il linguaggio, massime poi il linguaggio ufficiale, esprime le idee dominanti in un popolo, a quella guisa che il termometro è l’indicatore fedele dei gradi della temperatura. Ma se vogliamo sapere tutto ciò che prova, bisogna ricordarsi non solo che quei nomi pagani furono imposti ai nostri vascelli da uomini letterati, ma eziandio ch’essi non sono disapprovati da nessuno: bisogna ricordarsi inoltre, che, in tutto il rimanente la lingua seguì lo stesso moto, cosicché la nomenclatura pagana della marineria non è già un fatto isolato, ma semplicemente un punto di vista di un fatto universale. Ciò posto, per misurare con esattezza, se non matematica, almeno approssimativa, la strada percorsa dal paganesimo in Europa da tre secoli, bastano (sembra) le regole di proporzione seguenti: Nel secolo decimosesto, il paganesimo stava alla società come due sta a duecento quattro. Trecent’anni più tardi, oggidì, il paganesimo sta alla società come ottantacinque sta a trecento settantuno. Checché ne sia del valore assoluto di siffatto calcolo, non è però nien vero che, per nominare le più magnifiche opere del suo genio, di quel genio ch’ei ricevette da Dio e per la gloria di Dio; che, per porre i suoi vascelli sotto la protezione celeste; che per ispirare ai suoi marinai perduti frammezzo l’Oceano, lontani dalla patria, esposti a formidabili pericoli, consolanti e salutari pensieri, il Regno Cristianissimo non seppe pronunciare una volta sola il nome di un santo, non seppe volgere una sola volta i suoi sguardi verso il ciclo! In cambio seppe percorrere tutte le contrade pagane, rammentare tutti i nomi pagani, evocare tutti gli Dei celesti, terrestri e infernali per battezzar le sue navi e loro affidare i suoi naviganti! È un’altra Firenze, la regina della pittura, la quale colloca ogni sala della sua Galleria sotto il vocabolo di una divinità pagana. Dovunque, lo stesso linguaggio; dunque da per tutto la stessa idea.

CAPITOLO XIII

INFLUSSO BEL PAGANESIMO CLASSICO SULLE ARTI

L’influsso pagano, che abbiamo provato sulla lingua, dovette di necessità pesare sulle arti, nuova manifestazione del pensiero. Ora, vi è un’Arte cristiana, come vi è una letteratura cristiana. Nata il primo giorno che il cristianesimo celebrò gli augusti suoi misteri, vuoi nel cenacolo di Gerosolima, vuoi nelle catacombe di Roma, cotale Arte lasciò da per tutto tracce di sua esistenza. Sviluppatasi cogli anni, essa aveva, molto tempo prima del secolo decimoquinto, raggiunto un alto grado di perfezione. – Il medio-evo aveva veduto il più prodigioso progresso artistico, di cui la storia d’un popolo faccia menzione. – Cominciando il secolo undecimo, il mondo cristiano pressoché tutto, ma specialmente l’Italia e le Gallie, preso ad un tratto da un divino entusiasmo, si pose a rinnovare le sue antiche basiliche, quantunque la maggior parte fossero in condizioni convenevole in ricchezza e di conservazione. Una sublime rivalità nacque tra i popoli a chi ergerebbe i più magnifici monumenti. Le flotte dei Pisani, dei Genovesi e dei Veneziani solcavano tutti i mari, visitavano tutte le isole per toglierne l’alabastro, il porfido ed i marmi i più rari. Non mai i Romani fecero scorrere, per edificare i giganteschi loro monumenti, le loro strade, i loro acquedotti, le loro naumachie, ì loro circhi ed i loro anfiteatri, fiumi d’oro sì abbondanti come quelli che i religiosi nostri antenati scorrer fecero per costruire le loro cattedrali e per ornarle. Detto sarebbesi che il mondo medesimo, scuotendo le vecchie sue vesti, avesse fretta di coprirsi, come di un manto di gloria, di chiese, di basiliche sfolgoreggianti d’azzurro, d’oro e di porpora. Lo stesso progresso continuò nei tre secoli seguenti. Sul finire di sì glorioso periodo, l’Europa apparisce agli occhi stupefatti risplendente di capi d’opera d’architettura, di scultura, di mosaico, di pittura e di cesellatura che noi possiamo bensì ammirare, eguagliare non mai. Infatti, mentre il genio della Fede, personificato in Italia, in Francia, in Inghilterra, in Alemagna, in una quantità di grandi uomini sconosciuti, lanciava negli spazii quelle cattedrali a proporzioni gigantesche e perfettamente armoniche, esso animava del divin suo soffio lo scultore che tagliava in merletto le miriadi di guglie, la cui punta slanciata sembrava recare la preghiera sino al cielo; poscia faceva uscire dalla pietra e dal marmo quei popoli interi di statue, i quali, per ammaestrare della vita il pellegrino, gli riponevano solt’occhio le auguste e formidabili reatà del mondo futuro, le battaglie ed i trionfi di coloro che preceduto l’avevano nel pellegrinaggio dal tempo alla eternità. – Guidato dalla mano immortale di Cimabue, di Pisano, di Giotto e di altri molti, il pennello cattolico scriveva sulle muraglie delle basiliche, e talora sulle pareti delle più umili cappelle, la meravigliosa epopea del Cristianesimo, ed innalzava l’arte ad una perfezione da far disperare i meno valenti. Il mosaicista smaltava, come un pavimento, lo spazzo e la volta del tempio di fiori immortali e di disegni a mille colori; il cesellatore incideva sui vasi sacri o i misteri dell’Uomo-Dio, o le vite dei santi, o gli emblemi delle Virtù: il vetraio, l’orefice, il ricamatore gareggiavano di zelo e di fortuna, in guisa che appena era dato d’incontrare un umile tempio, un povero monastero che non contenesse qualche prezioso oggetto d’arte. In una parola, grazie al cristianesimo, che in allora operava nella pienezza del suo potere, l’Europa fu un vero museo, ma un museo casto, morale, nel quale l’Arte, diventata ciò che esser deve, un sacerdozio, aveva tradotto in capi d’opera d’ogni genere il principio spiritualista che la inspirava. – A tale punto si era quando il paganesimo classico invase l’Europa. Ora egli è nella natura delle cose che le arti ricevano l’impulso dalla letteratura e camminino nella sua via. Diventata pagana, la letteratura comunicò dunque alle arti una direzione pagana. La pittura fu la prima a prestare il suo concorso a questa felice restaurazione del paganesimo in seno delle genti cristiane. A questa età, per la prima volta il pennello del pittore, che la religione consacrato aveva presso che esclusivamente a esprimere le cose sacre, fu prostituito a riprodurre le divinità e i fatti mitologici sulla tela, sulle pareti e persino sulle volte dei palazzi. Dalle dimore dei grandi si videro sparire i quadri religiosi per dare luogo alle infamie della favola. Per avere un’idea della licenza e dell’impudente oscenità delle pitture fatte a quest’epoca, basti dire che gli Dei e le Dee d’Olimpo, in uno stato di nudità totale e nelle più lubriche attitudini, ornano le gallerie delle case principesche, così che gli occhi i meno casti non le possono mirare senza che la fronte arrossisca. Si è senza dubbio per questo, che l’accesso a tali gallerie non è lecito a tutti, ma solo alle persone d’una classe elevata, e solo nei giorni di ricevimento; certo, in quei giorni, e per tali persone, quei quadri non hanno nulla che offender possa il pudore! Non bastò il riempiere le case di Veneri, di Ninfe, di prostitute; la licenza dell’Arte, fatta pagana, giunse sino a macchiare la santità dei templi del vero Dio. L’antichità cristiana aveva sempre abbigliato di vesti e di eleganti drappi gli angeli, rappresentati nell’atteggiamento d’un pudore tutto celestiale; in questo secolo furono affatto svestiti, e presentati agli occhi dei fedeli sotto la forma di Genii pagani. Si andò anche più lontano, dipingendo i santi e le virtù. Uomini e donne per metà nude, tali furono i santi, le sante e le virtù che furono offerte alla venerazione dei cristiani. Fra mille esempi, ne citerò un solo, il Giudizio finale di Michelangelo. In questo quadro, in cui la carne domina ben più che non lo spirito, in cui la nudità delle membra cancella l’idea cristiana, si ammirano la perizia del pittore, il vigore del suo pennello, la possanza del suo genio: ma il sentimento cristiano non vi si trova quasi, e la pietà ancora meno. Come, per esempio, sopportare l’idea che il supremo Giudice dei vivi e dei morti abbia l’aria irritata d’un semplice mortale, l’atteggiamento convulsivo di Giove che lancia il fulmine, o di Nettuno che biasima i flutti? In questa mancanza di verità traspare l’influsso del mito olimpico sovra il genio dell’artista cristiano. Raffaello medesimo fu trascinato dal torrente. Il mirabile ingegno ch’egli aveva ricevuto dal cielo per predicare lo spiritualismo cristiano, fu da lui prostituito troppo spesso al sensualismo pagano. Primieramente ei non arrossì dal riprodurre, non so quante volte, la più infame delle Dee; poscia dal macchiare i suoi quadri religiosi, anche i più pregiati, colle figure di meretrici. Lo stesso ne è del Tiziano, di Giulio Romano e di tutti gli altri pittori, discepoli del Rinascimento. Per giudicare d’un solo colpo d’occhio la fatale influenza del paganesimo sulla pittura, basti visitare la galleria del palazzo Pitti a Firenze. Qui comincia il pagano sensualismo; qui, per consacrare in qualche guisa le rimembranze della sua culla, esso riunisce la più parte delle opere capitali dovute alla sua ispirazione. Vi si vede cogli occhi, vi si tocca colle mani questa verità, che il Rinascimento fu in pittura ciò che esso fu in letteratura: il culto della forma e l’apostolato del sensualismo. Questo tempio della pittura si divide in quindici cappelle o sale. Non una ha ricevuto una denominazione cristiana; tre hanno nomi insignificanti: sale della Stuffa, dei Ragazzi, dei Poccetti. Le altre dodici hanno il nome di una divinità pagana o d’un semideo: sala di Venere, sala d’Apollo, sala di Marte, sala di Giove, sala di Saturno, sala dell’ Iliade, sala dell’Educazione di Giove, sala di Ulisse che ritorna in Itaca, sala di Prometeo, sala della Giustizia, sala di Flora, sala della Musica. Per tema che non si capisca il pensiero che presiedette a tali disposizioni ed a tali denominazioni, le ultime sale sono le più magnifiche, quella di Venere è la prima. Ogni divinità tutelare è dipinta sul soffitto della sua sala coi suoi casti attributi, ossia nello adempiere qualche azione mitologica; azioni, l’una più dell’altra capace di ispirare celesti pensieri!! Al disotto, sulle quattro pareti del santuario, voi vedete brillare i quadri dei grandi maestri del Rinascimento. Si direbbero degli ex voto che testifichino la gratitudine degli artisti per il Dio o per la Dea alla cui ispirazione essi sembrano dichiararsi debitori delle opere del loro pennello. – Oso sfidare di trovare una traduzione più letterale del pensiero artistico nel secolo sedicesimo, che non tutto questo spettacolo così perfettamente pagano; una testimonianza più irrecusabile dell’alleanza adultera della pittura e del paganesimo, avvenuta a questo tempo. La Galleria di Firenze non dice forse al giovine artista costretto di visitarla, come il tirone è costretto di fare il suo giro della Francia: « Innalza gli occhi al soffitto delle mie sale; ecco gli Dei della pittura, ecco quelli che ispirarono i capi d’opera che brillano ai loro piedi. Tu non devi cercare nel cielo dei cristiani ispirazioni e modelli: l’Olimpo ti basta, la strada ti è aperta dalle luminose tracce dei grandi maestri: lavora, imita, spera ». E che mai deve egli imitare? Ciò che ha sotto lo sguardo? E che cos’ha egli sotto lo sguardo? Quadri che si dividono in due grandi classi: gli argomenti profani e gli argomenti religiosi. – I primi sono trattati dai maestri con una perfezione che rammenta certi affreschi di Pompei; si vede che furono dipinti con entusiasmo. Ve qualche figura innanzi alla quale il chirurgo può fare un corso di anatomia. La dolcezza, la forza, lo splendore, le più delicate gradazioni della carnagione; le fibre, i nervi, i muscoli, i più piccoli tendini; il complicato congegno degli organi, la loro dilatazione o la loro contrazione, secondo l’impressione naturale del piacere o del dolore, nulla vi manca. A tutte queste doti vanno congiunte la regolarità delle proporzioni, l’esatta naturalezza delle posizioni, la bellezza del colorito che rapisce. La forma materiale e la sensazione fisica si trovano espresse con una indicibile perfezione. – Quanto agli argomenti religiosi, s’indovina ciò ch’ei possono essere: il pittore li fece a sua immagine com’ei medesimo si era fatto a immagine dei modelli pagani e profani. La forma materiale nulla e quasi nulla lascia a desiderare. Voi avete begli uomini e belle donne, delle Grazie, delle Ninfe, delle Dee; ma di santi e di sante poco o niente. Voi scoprite, anche senza volerlo, nei santi, nelle sante, nei martiri, negli angeli, un’aria di famiglia con Apollo, con Giove, colle Muse, cogli eroi e colle eroine dell’antichità, la quale vi rende palpabile la pagana ispirazione. Si cerca il cielo, non si trova se non l’Olimpo: l’occhio ammira, ma il cuore non prega. Un intero ordine di sentimenti, d’idee, d’immagini, deposto in noi dalla religione e che compone il fondo del nostro essere sovrannaturale, rimane senza traduzione. Il pittore non ci capisce; il suo linguaggio non è il nostro: egli parla di carne, e noi parliamo di spirito. Essere muta per lo spiritualismo è la prima disgrazia della pittura discepola del Rinascimento; come il primo rimprovero che le si deve fare, si è di esser diventata il più pericoloso apostolo del sensualismo. Essa ne merita un altro, molto più grave. Prima del suo divorzio, essa non dipingeva il nudo. Ciò per due motivi; il primo, perché la religione cristiana, essenzialmente spiritualista e morale, lo vieta. Ora la pittura, docile figliuola della sua casta madre, prendeva se stessa in considerazione, e considerava sé come un sacerdozio destinato a tradurre un ordine d’idee, di sentimenti e di bellezze, superiore ai sensi; il secondo motivo, conseguenza del primo, perché la pittura del nudo non era per nulla necessaria alla perfezione dell’Arto cattolica. Si procurava esclusivamente di rendere la bellezza spirituale, la cui sola vista innalza al disopra dei sensi. Ora, cotale bellezza si riflette unicamente negli occhi e nei lineamenti del viso. Quindi l’incomparabile purezza delle figure ed il tipo veracemente divino, che distinguono le opere dei grandi maestri anteriori al Rinascimento. Si vede che questa parte assorbiva le loro cure ed il loro ingegno. Tutto il rimanente, riguardato quale un accessorio, è trattato con una certa negligenza, diventato il soggetto eterno di rimproveri spinti sino all’ingiustizia. Questa dignità, questa santa missione dell’Arte fu sconosciuta dai nuovi artisti. Formati alla scuola del paganesimo, essi non videro abitualmente se non se la beltà materiale, e, per farla spiccare, dipinsero il nudo, e, infelici! lo dipinsero con un’abbondanza e con frontatezza tale che fa abbassare gli occhi alla virtù, e che coprirà per sempre di rossore la fronte la meno pudica. È egli questo un progresso? È egli questo l’uso legittimo dell’arte? Non ne è forse la profanazione? Dio ha Egli dato all’uomo il genio per corrompere con maggiore perizia? – Sotto l’influsso del paganesimo la pittura cessa dunque, tranne sempre onorevoli eccezioni, di essere la lingua dello spiritualismo, per diventare la lingua del sensualismo. Pel fondo, essa ha perduto infinitamente di più che non abbia guadagnato nel rivolgimento del quindicesimo secolo. Quanto alla forma, si potrebbe egli provare che, rimanendo cattolica, l’Arte non avrebbe raggiunto quella correzione di disegno, quella regolarità di lineamenti, quella perfezione di posizioni, di drappi ed altri accessori che il Rinascimento si vanta di averle dato, e che l’esperienza le avrebbe dato senza di quello? Colui che può il più, può il meno. L’arte cattolica si era innalzata sino alla bellezza ideale e sovrannaturale: un po’ di pratica le avrebbe dato il segreto della bellezza sensibile, i cui modelli sono palpabili. Si possono allegare per prova i capi d’opera di Giotto, del Beato Angelico, del Gaddi e di altri molti. La Cappella degli Spagnuoli, in Roma, possiede varie figure antiche così belle di stile e di espressione come quelle di Raffaello, e i cui pensieri sono più profondi ed i concetti più vasti. La Madonna di Santa Maria in Cosmedin; Nostra Signora, nella Chiesa dei santi Cosma e Damiano sul Foro, sono per ogni verso ammirabili: tale si è la maestà delle figure che Michelangelo, Raffaello e tutti i pittori che li hanno seguiti non poterono mai raggiungerla.

CAPITOLO XIV

SEGUITO DEL PRECEDENTE

Sebbene la pittura si sia troppo spesso prestata, dal principio della Rinascenza, a secondare il sensualismo pagano, bisogna riconoscere ch’essa non s’allontanava ldalla religione se non a malincuore. La scuola fondata da fra Bartolomeo e dal Beato Angelico lottò a lungo contro l’invasione, e ottenne magnifici trionfi. Altrettanto non si può dire della scultura. Appena il culto del paganesimo fu inaugurato, gli scultori ed i loro patroni si lasciarono trascinare ad un fanatismo, e quasi ad un delirio incredibile per gli antichi modelli. Dapprima, non si ebbe risparmio né a spese, né a lavori, per scoprire le statue delle divinità dell’Olimpo e dei grandi uomini dell’antichità: gli scavi furono coronati dal successo. Mentre i secoli cristiani riserbavano l’entusiasmo loro per la scoperta di qualche celebre martire ed il loro oro per ergere templi agli eroi della Fede, si vide, oh tempi! oh costumi! l’entusiasmo, riserbato solo per gli Dei della favola, manifestarsi con feste e pubbliche allegrezze, e l’oro cristiano consacrato a edificare sontuosi palazzi per albergarvi le divinità e gli uomini del paganesimo. Si trovava egli una statua di Venere, di Giove, di un Satiro, che dico io? una statua! un frammento di statua, un braccio, un piede, un torso, una mano, un naso? e tosto voi avreste visto le accademie adunarsi, e con grandissima serietà ordinare investigazioni. Commentari apparivano d’ogni parte, e le intere città, percorse in ogni verso dagli amatori, passavano dall’agitazione all’allegrezza, come se la scoperta di tali oggetti avesse assicurato la salvezza della repubblica. Quindi esse statue di Dei e di personaggi del paganesimo, le iscrizioni, i vasi, le urne, le tombe ed i monumenti di ogni genere, andavano a popolare non solo i musei (il che era permesso, e sino ad un tal punto, degno di elogio), ma i palazzi e le case. Da quanto avveniva in Roma stessa, si giudichi di ciò che altrove si faceva. Un giorno si annunzia che operai hanno trovato nei dintorni di Sette-Sale un gruppo in marmo d’un ammirabile scalpello greco. A questa notizia , gli artisti e i dotti accorrono ai Giardini di Tito. Essi hanno riconosciuto il Laocoonte quale Plinio Io ha descritto: l’entusiasmo è al colmo. – La sera, tutte le campane delle chiese suonano per annunziare la felice scoperta. I poeti non dormono di notte; essi preparano, per salutare il ritorno del capo d’opera antico alla luce, sonetti, inni, canzoni: alla domane tutta Roma è in festa. La statua, ornata di fiori e di verzura, attraversa la città a suon di musica; le signore sono ai veroni, e applaudono colle mani; i sacerdoti, schierati d’ambo i lati si scoprono alla vista del capo d’opera; tutto il popolo è nelle vie, accompagnando cogli allegri suoi canti il Laocoonte, che fece il suo trionfale ingresso nel Campidoglio. Collocata la statua sul suo piedestallo, Giulio II si ritrae nelle sue stanze, ed allora una nuova festa incomincia, in cui il cardinale Sadoleto, col capo coronato di edera, canta il felice avvenimento in un’ode che tutti gli umanisti sanno a memoria (Ecce alto terra e tumulo, etc.). La sera, il Sadoleto trova nella sua camera un bel manoscritto di Platone: era un dono del Papa. Quanto a Felice de Fredis, che aveva scoperto la preziosa statua, il sommo pontefice gli diede parte delle entrate della gabella di Porta San Giovanni in Laterano e lo creò notaio apostolico. Non fa mestieri aggiungere che i fanatici partigiani del Rinascimento abusarono nel più strano modo di questi pontificii incoraggiamenti. – Infatti per timore che il popolo non fosse privo della vista dei casti oggetti, di cui la scoperta era stata cagionata dagli scavi, vennero essi esposti nei quadri vii e sulle pubbliche piazze; si posero sulle facciate dei palazzi e delle case, colà ove la pietà degli antichi cristiani collocava l’augusto segno della croce e le immagini dei santi. Ma, da una parte, queste reliquie della superstizione pagana non erano tanto a buon mercato, e pochi potevano procurarsele; d’altra parte, non un solo onest’uomo, non una famiglia agiata che non ne volesse avere. Perciò, come si erano tradotte in volgare, per bene del popolo, le più oscene opere della antichità, gli scultori cristiani riprodussero a gara le antiche statue di tutti gli Dei e di tutte le Dee dell’Olimpo, gli uni in marmo ed in bronzo, gli altri in terra cotta, in gesso ed in pietra. Le incisioni le moltiplicarono all’infinito, e spesso ancora aggiunsero alla oscenità del modello. Con questo mezzo, tutte le infamie mitologiche diventarono sì comuni che ogni cristiano, per quanto povero ei fosse, si vide in stato di potersi procurare, invece dei ritratti di nostro Signore e della Santa Vergine, l’incisione o la statua di Giove, di Venere, di Cupido, di Diana e degli altri. Allora il sensualismo, scorrendo a piena onda dallo scalpello dello scultore, dal bulino dell’incisore e dal pennello del pittore, inondò delle sue onde impure tutta quanta l’Europa cristiana. Dai palazzi, ove essi avevan preso il luogo del Salvatore, di Maria, dei Martiri e dei Santi; Giove, Giunone, Apollo, Venere, le Grazie, le Ninfe, i Satiri, gli Dei e i semi-dei discesero trionfanti sulle piazze delle città, ornarono le fontane, popolarono i pubblici passeggi ed abbellirono i parchi e i giardini delle case di campagna, dando a tutti, e ad ogni ora, le più eloquenti lezioni di oscenità. Il fanciullo stesso trovò nel domestico focolare, od almeno non ne poté uscire, senz’incontrare immagini che macchiando la sua giovine immaginazione, volgevano il cuor suo verso la terra e i sensi: meno felice del fanciullo del medio-evo, il quale nella paterna dimora e nelle vie delle città o sull’orlo delle strade, era certo di incontrare le sante immagini, le ingenue statue di Gesù e di sua Madre o degli antichi patroni dell’Europa cattolica. E facile il capire quanto questa continua visione del mondo superiore, predicando lo spiritualismo il più elevato, nobilitasse il cuore ed incoraggiasse la virtù. Tuttavia non bastava al sensualismo pagano d’avere macchiato i luoghi e gli edifici profani; esso osò penetrare persino nei templi del vero Iddio. Le tombe, che sino a questa età la pietà degli antichi artisti aveva abbellite di figure, di emblemi e d’ornamenti cristiani, cominciarono ad essere edificate nel gusto pagano. Statue indecenti vi rappresentarono le Virtù cristiane. Da principio, lo scandalo fu spinto sì lungi, che invece di onorare la memoria dei morti, le figure erano molto più proprie ad eccitare le passioni dei vivi, e si fu più tardi obbligati di coprirle con una veste di bronzo. Quindi si fecero sparire dai mausolei tutti gli emblemi cristiani, per surrogarli con emblemi o pagani o profani. Così che se non era il tempio in cui sono posti, meno assai per abbellirlo che per macchiarlo, nulla in somiglianti monumenti potrebbe far ravvisare tombe cristiane. Altre volte (ciò che non è meno sacrilego sebbene più ridicolo) si fece un bizzarro miscuglio del Cristianesimo e del Paganesimo. La Religione ed il Tempo, la Speranza e l’Amore, uniti insieme, ciascuno coi suoi attributi cristiani o mitologici, ridussero i mausolei a un non so che senza nome. Fra mille esempi citerò la tomba del Delfino, posta in mezzo del coro della metropolitana di Sens. Ma, siavi o no miscuglio sulle tombe come ai tavoli degli altari o altrove, tutte le figure sono eseguite secondo il tipo pagano. I Genii diventano gli Angeli; Diana, la Santa Vergine; Endimione od Apollo, Mostro Signore e i Santi; Cesare e Nettuno, Mose; i filosofi, San Giuseppe ed i Profeti. – Diciamo tuttavia, per esser giusti, che la scultura come la pittura, conservò qualcosa di cristiano, anche dopo la generale invasione del paganesimo: ma l’architettura, nulla affatto. Dal principiare del sedicesimo secolo, essa si allontanò affatto dal tipo cristiano. Partendo da tale età, l’opinione pubblica dichiarò che non solo i palazzi, le case, i teatri e tutti gli edifici profani, ma ancora le chiese, dovevano essere costrutte nello stile greco e romano. Il che era diametralmente contrario all’uso costante della Chiesa. È ben vero che quando i cristiani d’altre volte non avevano né i mezzi né il tempo necessario per erigere una chiesa, ei si servivano, per adorare il vero Iddio, dei templi delle false divinità dopo di averli purificati e spogli d’ogni vestigio d’idolatria. Ma quando loro fu dato di costruire nuove chiese, giammai un architetto cristiano prese a modello un tempio pagano. Perciò, dalla visita dei monumenti cristiani che ci rimangono, risulta questo fatto innegabile, che dall’origine della Chiesa sino al sedicesimo secolo, veruna chiesa nuova fu creata nello siile pagano. Non lo si attribuisca né a mancanza di danaro, né a mancanza di modelli. Da un lato, i Cesari furono non prima cristiani che non risparmiarono a spese per dare alla religione templi magnifici; dall’ altro, i più celebri templi pagani di Grecia e d’Italia sussistevano ancora in tutta quanta la loro interezza. Ma gli architetti cristiani li sdegnarono con ragione poiché trovavano lo stile pagano improprio al culto ed opposto al genio cattolico. Sotto il nome di architettura bizantina si stabilì pertanto un nuovo modo di ergere le chiese. Da Costantinopoli, ove esso era nato, passò in Occidente. Modificata dallo studio profondo delle relazioni tra l’Arte e la Fede, aiutata in ispecie dai consigli dei Vescovi, che accuratamente esaminavano il disegno dei nuovi edifici e spesso lo davano ei medesimi, questa architettura giunse, sotto il nome di architettura gotica, al più alto grado di perfezione. A lei si devono le immense, magnifiche, meravigliose cattedrali di Francia, d’Inghilterra e d’Alemagna, in cui l’eleganza, la grazia, la ricchezza, la brillante varietà delle forme vanno unite alla maestà del complesso, e fanno risplendere in tutta la sua gloria il genio della Fede che le ispirò. Ma quando, sul finire del secolo quindicesimo, si cominciò a ripetere che le opere de’ pagani erano il tipo del bello in ogni genere, non solo nelle lettere, ma anche nelle arti; che elleno dovevano essere i soli modelli degni dell’ artista e del letterato; 1’architettura cristiana, consacrata dall’ uso di quindici secoli, illustrata da innumerevoli capi d’opera, fu subito trattata di barbara ed esiliata dalle città cristiane. Acciocché non rimanesse vestigia delle sue opere, si videro gli architetti, o piuttosto i Vandali di quell’età insensata, trasportati dal cieco furore che aveva spinto i barbari del quindicesimo e del sedicesimo secolo a rovesciare gli osceni templi del paganesimo, sforzarsi di distruggere i pii, i venerabili Santuari delle età cristiane. Così, per non citare che un solo esempio, l’antichissima e venerabilissima basilica di San Pietro in Vaticano, monumento incomparabile non solo della religione dell’intera Europa, della pietà dei fedeli, della munificenza dei papi e dei re, ma eziandio, a giudizio dello stesso Bramante, vero museo e capo d’opera unico dell’Arte cristiana, fu senza pietà rovesciato da capo a fondo per dar luogo all’edificio greco-romano che il Rinascimento gli ha sostituito. Né le grida, né le collere di quel grande artista poterono fermare il martello distruttore. Lo stesso vandalismo stese dovunque le sue rovine. Chi conterà le antiche chiese, le cappelle, le torri, le tombe od affatto distrutte, o sepolte nelle viscere della terra, o sfigurate da mutilazioni più indegne ancora, acciocché l’Europa intera più non contasse alcun edificio antico o moderno, che non fosse nello stile greco, e coll’impronta del paganesimo? Ben di più; nel medio-evo, l’architettura civile stessa aveva preso un carattere religioso e prodotto superbi edifici, come si può vederlo ancora a Venezia in particolare, ed in alcune città di Francia, del Belgio e dell’Inghilterra. Ora, il sedicesimo secolo imprese a rinnovare od a restaurare anche le chiese nello stile pagano. Il fanatismo giunse a tale, che senza la viva opposizione dell’ autorità ecclesiastica, gli antichi monumenti cristiani, che erano sfuggiti al furore dei barbari, sarebbero caduti sotto i colpi dei cristiani medesimi. Questa opposizione, la quale, devesi confessarlo, non durò sempre, fu lungi dal salvare tutti i nostri edifici. « Durante i secoli 17° e 18°, il fanatismo per uno stile di architettura recentemente adottato, era tale, che il sistema di restaurazione applicato agli antichi nostri edifici religiosi, fu per essi una disgrazia, non solo sotto il punto di veduta dell’arte, ma eziandio sotto quello della loro solidità. Essi furono trattati a dispetto del principio di loro costruzione; loro si rimproverava di non essere in armonia con ciò che allora si riguardava come il bello in architettura, e venivano torturati per sottoporli al gusto del giorno ». E v’è da meravigliarsi di tanti atti di vandalismo, che ci fanno gemere oggidì? E v’ ha parimenti da meravigliarsi che il divorzio tra 1′ architettura e la religione si sia mantenuto sino ai dì nostri con una specie di buona fede e frammezzo un concerto di lodi che saranno uno dei maggiori stupori dell’avvenire? E v’è insomma da meravigliarsi dell’aberrazione a cui esso trascinò lo spirito pubblico, quando si sentono gli uomini i più celebrati per senno e per buon gusto, dire, quasi un doppio assioma, che1’architettura pagana è il tipo del bello, e 1’architettura cristiana il tipo del brutto? – Dopo di avere citato un pomposo elogio del nuovo tempio di San Pietro in Vaticano, in cui la più avida curiosità e la più dotta trova di che soddisfarsi; in cui gli artisti in ogni genere i più critici ed i più esperti vengono ad ammirare e ad istruirsi, Feller termina così il suo articolo su Giulio II: « Egli incoraggiò la pittura, la scultura, l’architettura; ed ai suoi tempi le arti belle incominciarono ad uscire dalle macerie della gotica barbarie ». Ma ecco un’altra autorità. Parlando dell’ architettura cristiana, Fénélon si esprime così: « Gli inventori dell’architettura che dicesi gotica, e che è , dicesi, quella degli Arabi, credettero senza dubbio di aver sorpassato i greci architetti. Un edificio greco non ha ornamento alcuno che non serva che ad ornare l’opera; i pezzi necessari per sostenerlo o per porlo al coperto, come le colonne e la cornice, si volgono solo in grazia colle loro proporzioni: tutto è semplice, tutto è misurato, tutto è limitato all’uso: non vi si vede né ardire, né capriccio che impongano agli occhi; le proporzioni sono sì giuste che nulla sembra troppo grande, sebbene tutto lo sia; tutto si limita a contentare la vera ragione. All’opposto, l’architettura gotica innalza, su pilastri assai piccoli, un’immensa volta che sale sino alle nubi; si crede che tutto sia per cadere, ma tutto dura per molti secoli; tutto è pieno di finestre, di rosoni e di punte; la pietra sembra intagliata come cartone; tutto è a giorno, tutto è nell’aria. Non è egli naturale che i primi architetti gotici si siano lusingati d’aver sorpassato col loro vano raffinamento la semplicità greca? Cangiate solo i nomi, ponete i poeti e gli oratori in luogo degli architetti: Lucano doveva naturalmente credere d’essere più grande di Virgilio; Seneca il Tragico poteva pensare ch’egli spiccava ben più di Sofocle ; il Tasso poté sperare di lasciarsi indietro Virgilio e Omero. Questi autori, così pensando, si sarebbero ingannati ». – Voi lo sentite; quanto l’arte cristiana ha mai prodotto di più perfetto non è se non un’opera di cattivo gusto, che non può sostenere il paragone delle opere del paganesimo. Architetti e poeti cristiani non sono al confronto dei pagani se non ciò che Lucano è al confronto di Virgilio, e Seneca di Sofocle! – Riassumendo quanto precede ed applicando all’architettura ed alla scultura le riflessioni che facemmo sulla pittura, noi diciamo che, ogni cosa esaminata a sangue freddo e senza passione, il Rinascimento altro non fu se non il risorgimento del Paganesimo nell’arte, come pure nelle lettere, e la distruzione del Cristianesimo nell’arte, come pure nelle lettere; la rivincita del sensualismo pagano, vinto già dallo spiritualismo cristiano; un immenso passo retrogrado e non un immenso progresso; una fonte d’errori e di vergogna per 1’Europa e non già un principio di luce e di gloria. Tali sono i grandi vantaggi che noi abbiamo raccolto, e che ancor raccogliamo dal paganesimo classico. Altri ve ne sono, che faremo conoscere nei Capitoli seguenti.

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.