IL VERME RODITORE delle SOCIETA’ MODERNE (8)

CAPITOLO XVII

INFLUSSO DEL PAGANESIMO CLASSICO SULLE SCIENZE

Incertezze, tenebre, materialismo, errori mostruosi, caos intellettuale, ecco ciò che la filosofia moderna guadagnò facendosi discepola del paganesimo, malgrado il divieto sì positivo dei Padri della Chiesa e la riserva così eloquente dei secoli di fede. Ora, la filosofia è per eccellenza la cultura dell’idea, e l’idea governa il mondo. La filosofia esercita dunque un influsso inevitabile sulla scienza in generale, sulle arti, sulla letteratura, su tutte le manifestazioni del pensiero. Diventando pagana, essa dovette imprimere a tutte queste cose i suoi vari caratteri. Fatti costanti, universali, rendono palpabile la verità di questa induzione, incontestabile a priori. Cominciamo dalla storia. – Il primo carattere della moderna filosofia, figliuola della filosofia pagana, si è l’incertezza. Gli innumerevoli sistemi da essa generati, e che anche ogni giorno va generando, ne sono la prova. Un tal carattere fu dalla medesima comunicato alla storia. La storia è la scienza dei fatti, delle cagioni loro, delle loro relazioni, del loro scopo particolare e della tendenza loro verso un fine generale e supremo. Ora, i fatti della storia sono dovuti ad una doppia cagione: l’azione di Dio e la libertà dell’uomo, come essi sono coordinati a un doppio scopo: la gloria di Dio e la salute dell’uomo. Quindi, un doppio elemento nella storia: l’elemento divino e l’elemento umano. La cognizione di questo doppio elemento e della sua azione combinata nei fatti che empiono gli annali del mondo, è la filosofia o l’occhio della storia. È evidente che tutta questa filosofia dipende dall’idea che serve di punto di partenza. Arte monotona di registrare date e nomi propri, ecco la storia se questa idea non esiste; menzogna, sogni, se tale idea è falsa; delizioso studio, fonte dei più preziosi insegnamenti, se tale idea è vera. – Ma questa idea rivelatrice, chi mai la può comunicare all’uomo? Nessun altro che Quegli che può rivelare 1’umanità a se stessa, la sua origine, i suoi doveri, i suoi destini. È dire abbastanza che non appartiene che a Dio ed alla religione il darci la vera filosofia della storia. Ora, diventando pagana, la storia cessò di cercare la sua bussola nella religione: essa avrebbe arrossito, come la filosofia stessa, di chiedere lumi a colei che non si cessava dal rappresentare come la madre dell’ ignoranza e la regina della barbarie. Che dico! Non solo la storia lasciò repentinamente la scuola della fede, ma ancora tolse a sé la possibilità di rientrare nella medesima, declamando su tutti i tuoni e ad ogni proposito contro la Chiesa. A tale che, secondo la giusta osservazione del conte de Maistre, dopo il Rinascimento la storia è una permanente cospirazione contro la verità. D’ allora in poi, non più alcuna filosofia della storia; ogni storico si arrogò il diritto di scrivere sotto l’ispirazione delle sue opinioni, dei suoi pregiudizi, delle sue antipatie e delle sue simpatie personali. Quindi quella confusione veramente filosofica nello estimare i fatti i più volgari; quindi quelle riabilitazioni scandalose dei più grandi colpevoli; quindi, infìne, quelle condanne, più scandalose ancora, dei più grandi uomini e delle più belle azioni. Spogliata della sua maestà, la storia non fu troppo spesso che una cornice per mettere in mostra un sistema preconcetto od una tesi in favore di un interesse di setta e di partito. Nella semplice esposizione dei fatti, essa si mostra 1’eco fedele del paganesimo. Essa ci parla sul serio dello stato di natura; essa ci racconta che vi fu un tempo in cui gli uomini vivevano dispersi nelle selve, in cui si cibava di ghiande, in cui non avevano altra lingua se non un piccolo numero di segni per indicare i primi bisogni della vita materiale. Che bella idea questo ci dà della dignità umana e della bontà di Dio! Che mezzo eccellente di confermare fede alla verità del racconto Mosaico, base stessa della storia! Non basta il distruggere; su questi dati assurdi si fondano sistemi sovranamente avversi alla religione e all’ ordine sociale. Si sostiene, per esempio, che Dio non si è rivelato all’ uomo; che la religione, la società sono 1′ opera dell’uomo e del tempo. – Non solo una tale filosofia della storia copia il paganesimo, ma da figliuola bennata prende la difesa di suo padre. Essa pretende che i cristiani hanno calunniato Nerone, Decio, Diocleziano e gli altri persecutori; accusa le vittime dei delitti dei carnefici; pone a carico del Cristianesimo (che essa chiama fanatismo) una gran parte degli eccessi di cui il Cristianesimo ebbe a soffrire; accusa i sommi Pontefici, quei medesimi che salvarono 1’Europa dalla barbarie, d’ ambizione e di crudeltà. Su molti punti, la Chiesa non merita né la fiducia, né il rispetto, né la gratitudine delle nazioni: tale si è la conclusione di questo insegnamento filosofico della storia. Al carattere d’incertezza e di pirronismo universale si aggiunge il materialismo. Quelle magnifiche viste del genio cattolico che si trovano nei Padri della Chiesa , soprattutto in Sant’Agostino, quelle viste di complesso che incatenando gli avvenimenti gli uni agli altri, spiegano tutta un’epoca, disparvero dalla storia collo spirito che le inspirò. Dopo il Rinascimento, nessuno, tranne Bossuet, si alzò o seppe mantenersi alle cagioni supreme degli avvenimenti, a quel Moderatore supremo che nelle sue mani tiene le redini di tutti gli Imperi, che li innalza o che li abbassa a suo grado, e che guida il mondo mentre l’uomo si agita. Tito Livio, Sallustio, Tacito, Senofonte, Erodoto sono divenuti, e per lo spirito e per la lettera, modelli obbligati. Quindi, silenzio assoluto sull’azione della Provvidenza negli avvenimenti di questo mondo. – Scartato sistematicamente l’elemento divino, la storia riapparve sotto la penna degli autori cristiani, ciò ch’essa fu sotto la penna dei pagani, una lettera morta. Gli annali del genere umano, aperti a tutti gli occhi, cessarono di dare all’uomo la conoscenza di Dio e di se stesso, l’intelligenza della sua missione e della sua condizione sulla terra. Quali furono i risultati di questo ritorno al paganesimo? Per la storia, la degradazione; per l’uomo, il materialismo ed il fatalismo. Le altre scienze non furono guari più felici. Ostilità contro la religione e materialismo, tali sono i caratteri che esse rivestirono, i vantaggi che esse acquistarono diventando pagane. Superflua cosa sarebbe il verificare con lunghi particolari questo fatto evidente: contentiamoci di alcune osservazioni generali. Dapprima, chi di noi non udì il rumore dei sarcasmi lanciati da tre secoli contro la religione ed il medio-evo da tutte le bocche dotte d’Europa? Cotali sarcasmi, misti di sofismi, non formavano forse, nell’Enciclopedia e nella più parte delle opere moderne, come un’ immensa montagna innalzata contro il cielo dai moderni Titani? Oggigiorno ancora non è forse dall’alto di tale montagna che parlano il più gran numero dei dotti e dei maestri della gioventù? Non è forse di là che incessantemente discende quel1’odio cordiale dei letterati contro il Cattolicesimo, o il disprezzo, più insultante dell’odio? Non è forse di là che viene l’opinione ancor sì accreditata, che la fede non si può trovare negli animi se non in ragione inversa dei lumi? la superba pretesa di non mai chiedere alla religione lo scioglimento d’alcun problema? L’affettazione sostenuta di non mai pronunciare il suo nome nella esposizione delle scientifiche teorie? – Che cosa guadagnò la scienza con questa pagana ostilità? Privo della fede che sola può rivelargli i segreti del mondo morale, 1′ umano spirito si trovò inabile a tutte le scienze di un ordine superiore: alla scienza delle sue relazioni con Dio; alla scienza delle sue relazioni coi suoi simili, sì nell’ordine civile che nell’ordine domestico. Chi non arrossirebbe vedendo l’ignoranza funesta in cui l’Europa è caduta, di tutte le cognizioni veramente degne dell’ uomo? Quale scioglimento seriamente accettevole sa essa dare da tre secoli in qua a tutti i grandi problemi, dai quali dipende la pace delle nazioni ed il solido progresso del genere umano? Non fa egli pietà il vedere le questioni le più semplici di religione, di libertà religiosa, civile, domestica, di patriottismo cristiano, (questioni elementari nei secoli di fede), oltrepassare le nostre sommità intellettuali e mettere in fallo le capacità dei nostri moderni Licurghi? – Il discredito delle scienze le più nobili e le più necessarie ecco il primo frutto del paganesimo classico. La profanazione di queste stesse scienze ne è un secondo. Altre volte, tale era la potenza dello spirito cristiano, ch’esso spiritualizzava in qualche modo le scienze materiali facendole volgere all’avanzamento della religione. Noi vedemmo ciò, parlando delle celebri scuole d’Inghilterra e d’Irlanda; noi lo vediamo ancora nell’ordine gerarchico indicato da San Tommaso e generalmente seguito in Europa prima del Rinascimento. Oggidì tale si è la potenza dello spirito pagano, ch’esso fa servire anche le scienze morali a raffermare il materialismo ed a propagare il suo regno. – Ad esempio, che di più morale nella sua essenza e nel suo scopo quanto la scienza di governare le nazioni? Ebbene! Osservate ciò che avviene in Europa da tre secoli. La legislazione non spogliò essa forse il suo carattere religioso? La scienza del diritto non cessò forse affatto di appoggiare le sue basi sul diritto primordiale, la volontà suprema di Dio, manifestata nella Scrittura e nelle decisioni della Chiesa? Quale relazione vi è mai tra le Carte moderne ed i Capitolari dei nostri antichi re o le Costituzioni degli imperatori cristiani? La politica non è forse ridotta all’arte di materializzare i popoli? Non la udite voi, d’accordo colla sua moderna compagna, la scienza economica, proclamare che un popolo nulla ha a desiderare dacché può dormire tranquillo, dacché ha pane da mangiare, vino da bere, letto da riposarsi, teatri per divertirsi, strade ferrate per trasportarsi, macchine per vestirsi a buon prezzo e gas per rischiararsi? – Non è forse a procurargli questi vantaggi che tendono esclusivamente i suoi sforzi ed i suoi calcoli? Se essa insegna la morale alle popolazioni, non è forse ancora nell’interesse dell’ordine materiale e della tranquillità dei suoi godimenti? Essa può applaudire ai suoi propri successi, poiché sotto l’influsso di questa politica tutta pagana, i popoli cristiani sono giunti a credere che difatti l’uomo non viva se non di pane; che ogni scienza la quale non si traduce in godimenti materiali sia una chimera; che ogni insegnamento che non rende onore e vantaggio sia un inganno; che la felicità sia tutta quanta quaggiù. Ed i popoli non sanno più chiedere se non ciò, non sanno più lavorare se non per ciò, non sanno più combattere se non per ciò!

CAPITOLO XVIII

SEGUITO DEL PRECEDENTE

Parlerò io delle scienze fisiche e naturali? Qui soprattutto si fa sentire, in tutta la sua estensione, la funesta influenza del paganesimo classico. L’universo è un magnifico specchio in cui si riflettono sotto mille sembianze diverse le perfezioni di Dio che sfuggono all’occhio umano. Il firmamento con i suoi innumerevo lisoli, la terra con le sue infinite ricchezze sono due predicatori eloquenti, la cui lingua, intelligibile a tutti i popoli, annunzia incessantemente la gloria del Creatore. Sulla fronte dei cieli, come sulla superficie del grano di sabbia, Dio impresse in caratteri scintillanti la prova della sua esistenza, della sua potenza, della sua saggezza e della sua bontà. Ecco perché, girando uno sguardo scrutatore sulla creazione tutta quanta che Dio aveva tratta dal nulla, il supremo Artefice disse che tutte le cose erano buone. Ecco perché i saggi d’Oriente dicevano: L’universo è una lira di cui Dio è il musico. Chi oserà negare che il vero scopo delle scienze fisiche sia di ricercare nella natura ciò che l’occhio divino vi ha veduto? che la loro gloria sia quella di trovarlo, ed il progresso dell’uomo di servirsene come d’una scala per innalzarsi alla cognizione più perfetta ed all’amore più fedele del Creatore, sua felicità e suo fine? O, per parlare come la teosofia indiana: chi oserà negare che la felicità dell’uomo sia quella d’essere iniziato ai segreti divini di questa misteriosa armonia? Poiché l’uomo pure non è egli forse, in un senso, il dio e quindi il musico dell’universo? Non bisogna forse, quindi, che le corde armoniche d’una tale lira, accordata dal Creatore medesimo, fremano sotto la dotta sua mano? Cercare il mondo spirituale nel mondo materiale, tale è lo scopo principale cui bisogna correr dietro leggendo il gran libro della natura; scoprirvi dei mezzi di guarigione e di benessere materiale non è che il secondo. L’ordine provvidenziale consiste nello armonizzare questo doppio scopo; il disordine consiste nel dimenticare il primo per non occuparsi che del secondo: è ciò il materialismo, è ciò la profanazione della scienza, poiché è la schiavitù della natura alla iniquità, e la degradazione della intelligenza. Docili alla voce del Creatore medesimo, così compresero lo studio della natura ed i Profeti ed i Padri della Chiesa, ed i secoli di fede. Nulla è paragonabile alle sublimi lezioni di Giobbe e d’Isaia, ai trattati immortali di S. Basilio, di Sant’Ambrogio, di San Gregorio da Nissa, di San Crisostomo e di Sant’Agostino sull’opera delle Sei Giornate. Oltre lo scopo altissimo della scienza, ch’essi stupendamente raggiunsero, essi diedero ai più difficili problemi soluzioni che la scienza moderna è ben obbligata di ammettere sotto pena di sragionare perpetuamente. Così la capirono nei tempi moderni alcuni geni abbastanza forti per resistere al fascino del materialismo pagano. « La maggiore utilità, dicono eglino, che trarre si possa dallo studio della natura, si è di eccitarsi alla pietà. Non vi è soggetto di riflessione più desiderabile dei fenomeni della natura, quando sono riferiti ad un autore intelligente. Egli è un vedere l’universo come un tempio in cui noi siamo in adorazione permanente. Invece di non pensare a Dio se non di rado, come ciò avviene a coloro che non vi sono avvezzi, ci diventa in qualche guisa impossibile il non legare le idee di Dio con tutti gli oggetti che colpiscono i nostri sguardi. Non un solo corpo organizzato esiste, che, nei mezzi che ha di conservarsi e di riprodursi, non dimostri la cura particolare che il Creatore gli concesse sotto questi riguardi. La è dunque una stessa intelligenza che ha tutto ordinato; la stessa intelligenza s’interessa a tutti gli esseri creati. Sotto le leggi di questo Essere noi viviamo; la nostra esistenza, la nostra felicità sono in sue mani, e quanto noi abbiamo a sperare deve venire da Lui. Nell’immenso quadro che ci offre la natura, noi vediamo che nulla fu tralasciato, e che lo stesso grado di attenzione e di cura fu concesso ai più piccoli oggetti. Come potrebbe mai venirci in mente che noi saremo dimenticati o negletti giammai (Linneo, Saggio, etc.)? ». – Dal canto suo, trattando di una sciènza particolare, della quale il paganesimo moderno lungo tempo e crudelmente abusò, Cuvier seppe indicare lo scopo al quale bisognava ricondurla. Ei stabilì che la geologia dimostra che gli annali della terra s’accordano cogli annali dei popoli e meravigliosamente confermano il racconto di Mose. « È questo, dice Cuvier, uno dei risultati i meglio provati insieme ed i meno aspettati di questa scienza; risultato tanto più prezioso, in quanto lega con una catena non interrotta la storia naturale e la storia civile. Io penso dunque coi sig. Deluc e Dolomieu, che se v’ha qualche cosa dimostrata in geologia, sia questa, che la superficie del nostro globo fu vittima d’una grande e subitanea rivoluzione, la cui data non può rimontar guari al di là di cinque a sei mila anni; che tale rivoluzione ascose e fece sparire il paese abitato prima dagli uomini e dalle specie di animali i più conosciuti in oggi; ch’essa, all’opposto, pose a secco il fondo dell’ultimo mare e ne formò i paesi ora abitati; che dopo tale rivoluzione il piccolo numero d’individui dalla medesima risparmiati si sono sparsi e propagati sui terreni nuovamente messi a secco, e per conseguente che dopo simile epoca soltanto le nostre società ripigliarono il progressivo loro cammino, ch’essi formarono stabilimenti, raccolsero fatti naturali e combinarono sistemi scientifici ». Far servire la natura alla gloria del suo Autore ed al bene spirituale dell’uomo, senza escludere alcuno dei risultati materiali dell’investigazione, tale è l’ordine, tale è, sotto l’ispirazione del Cristianesimo, la magnifica missione della scienza. Chi dirà la parte vergognosa alla quale il paganesimo moderno l’ha condannata? Sta scritto che i Filistei, dopo essersi impadroniti di Sansone, gli recisero i capelli, gli strapparono gli occhi e Io condannarono a far girare innanzi loro una macina da mulino per divertirli sino al giorno che il forte d’Israello li seppellì sotto le mine del loro tempio, trasformato in teatro. Ecco quello che il paganesimo fece delle scienze fisiche. Esso se ne impadronì, le spogliò della forza e della luce poste in quelle acciò rendessero testimonianza al Creatore; le torturò in ogni guisa per strappar loro delle bestemmie, e vietò alle medesime di pronunziare mai il nome di Dio, in luogo del quale pose sulle loro labbra la parola NATURA: la natura fece quanto noi vediamo; la natura pose l’istinto nelle sue creature; la natura impose l’immobilità ad alcune delle sue creature: la natura dovunque, la natura sempre, senza mai dire che cos’è questa donna. Dopo avere degradato le creature, le costrinse, con lunghi e perseveranti sforzi, a rivelargli i loro segreti, ad aprirgli le loro viscere, e si servì degli uni ed esplorò le altre per procurarsi grossolani godimenti, e se ne inebbriò, e ne inebbriò la società tutta quanta, la quale vacilla sulle sue basi aspettando di trovare una tomba in questa orgia senza nome, in cui l’ateismo forzato della creazione va unito all’incredulità degli animi ed al sensualismo dei cuori. – Degradare la natura, condannarla a tacersi sulla religione e ricondurre il mondo moderno al sibaritismo del secolo di Tiberio, ecco ciò che il paganesimo classico fece delle scienze fisiche. È tutto? Non ancora. Invece di lasciar loro, per esprimersi, parole cristiane ed intelligibili, compose ad esse un inintelligibile gergo che non è di alcun paese, ma che ha il vantaggio di portare il doppio suggello del paganesimo greco e del paganesimo latino. Come non protestare, in nome del buon senso e del buon gusto, nonché in nome della scienza medesima, contro la terminologia barbara, introdotta dal Rinascimento nel nostro linguaggio scientifico? Lo faremo per mezzo d’uomo non sospetto. « Certo, una scienza non potrebbe limitarsi ai termini volgari: essa è costretta ad averne di particolari. Le parole hanno d’uopo di essere definite, cioè semplicemente spiegate con altri termini più volgari e più semplici, e la sola regola di queste definizioni è quella di non introdurvi alcun termine che abbia d’uopo esso stesso di essere spiegato, cioè che non sia chiaro di per sé o già prima spiegato. « I termini scientifici non essendo inventati se non dalla necessità, egli è chiaro che non si deve così a caso caricare una scienza di termini particolari. Sarebbe pertanto a desiderare che si abolissero quei termini scientifici, e per così dire barbari, che non servono se non ad abbagliare; che in geometria, ad esempio, si dicesse semplicemente proposizione invece di teorema; conseguenza invece di corollario; osservazione invece di scholio, e così degli altri. La più parte delle parole delle nostre scienze sono tratte dalle lingue dotte in cui erano intelligibili al popolo stesso, poiché non erano spesso se non se termini volgari o derivati da essi termini. Perché non conservare loro un tal vantaggio? Le parole nuove, inutili, bizzarre o tratte troppo da lontano sono quasi così ridicole in materia di scienza che in materia di gusto. Non si può mai rendere il linguaggio di ogni scienza troppo semplice, e per così dire troppo popolare; non solo è questo il mezzo di facilitarne lo studio, ma è eziandio un togliere un pretesto di screditarla al popolo, il quale s’immagina o vorrebbe persuadersi che il linguaggio particolare d’una scienza ne fa tutto il merito, e che è un baluardo inventato per impedirne gli accessi (D’Alembert, Enciclop., art. Elementi.) ». Forse il popolo non si è sempre ingannato. Checché ne sia, sinché le scienze parleranno francese od italiano o tedesco od inglese, in greco ed in latino, o piuttosto un idioma barbaro, miscuglio bizzarro di due lingue morte, esse non diventeranno mai popolari. La più graziosa di tutte, la botanica, rimarrà soffocata sotto il peso della sua non intelligibile nomenclatura. È questo un novello benefizio di cui esse vanno debitrici alla nostra fanatica ammirazione per i pagani. Ve n’ha un altro. Diventando pagana, la scienza diventò affatto materiale, o, come si dice, affatto positiva. La sua gloria consistette nello studiare la materia, niente altro che la materia; essa moltiplicò le osservazioni e le esperienze, ed accumulò fatti numerosi. Lo ripeto, è questa la sua gloria; essa non ne rivendica alcun’altra. Ma i fatti soli sono essi la scienza? No: non più di quello che il corpo senz’anima non è l’uomo, non più di quello che i materiali accumulati confusamente qua e là sul suolo non sono un edificio; non più di quello che i colori, per ricchi che siano, gettati senz’ordine sulla tela, non sono un quadro. Ciò che manca alla scienza attuale, si è la vita; si è un pensiero fecondo che l’animi, che ne armonizzi, ne coordini tutte le parti: e ciò manca alla scienza perché la fede manca alla agione. In una parola, finché la scienza, diventata pagana con il Rinascimento, non sarà di nuovo diventata francamente cristiana, non sarà se non un cieco che senza guida percorre paesi sconosciuti, un ignobile meccanico condannato a strappare con pena dal seno della terra le pietre del fabbricato che la sua mano non edificherà: il genio che crea è figlio della fede.Da questa mancanza della fede derivano ancora e l’impotenza assoluta di innalzarsi ad alcuna vista complessiva, e la strettezza, l’individualismo in qualche modo, che pone il suo triste conio su tutti i lavori attuali dell’intelligenza. Le divisioni, le sotto-divisioni, vera epidemia della scienza, hanno invaso ogni parte delle cognizioni umane. Quindi ne viene che gli uomini i più distinti sono condotti a questa notevole confessione, che le scienze le più in onore di presente non fecero un passo dopo Aristotele. « La fisiologia comparata, dice il signor Bourdon, è rimasta tale, quasi, quale la troviamo nelle immortali opere di Aristotele, senza accrescimento, senza nuova luce. A forza di distinguere ogni cosa sino a gradi quasi infiniti, le generalità che formano le scienze furono quasi generalmente neglette. Ad eccezione di tre o quattro naturalisti, le cui opere fanno la gloria delle scienze moderne, la più parte di coloro che si occuparono della storia della natura ne fecero una scienza piena di puerilità (Principri di fisiol. Comp., p. 45) ». Buffon tiene lo stesso linguaggio: « La storia degli animali di Aristotele, dice, è forse ancora oggidì ciò che noi abbiamo di meglio fatto in tal genere… Dal suo lavoro sembra ch’ei li conoscesse meglio forse, e sotto viste più generali che non si conoscano di presente (Modo di studiare la stor. natur., t. 1, p. 43, 44.) ». A queste testimonianze facil cosa sarebbe aggiungerne ben altre. I progressi nelle scienze fisiche, presentano il lato bello della storia della ragione, diventata incredula diventando pagana. A Dio non piaccia che noi le disputiamo alcuno dei successi reali di cui essa si glorifica; ma questi medesimi successi, lo diciamo arditamente, furono funesti al vero progresso dell’umano spirito, cioè al suo cammino progressivo verso la verità: la verità, cioè Dio, ed essi l’hanno allontanato da Dio.Né solamente inclinarono lo spirito umano verso la materia presentandogliela come l’unica fonte dei suoi godimenti e della sua gloria, ma ancora esagerando ai suoi occhi l’importanza delle scienze naturali e di tutte quelle che vi si connettono. Vedendo le innumerevoli opere scientifiche di fisica, di storia naturale, di geologia, di matematica, pubblicate da un secolo in ispecie; vedendo i viaggi intrapresi per terra e per mare, le spese prodigiose fatte dai particolari e dai governi; vedendo gli onori concessi a coloro che effettuarono qualche progresso, gli elogi dati a codeste scienze ed il posto ch’esse occupano nell’insegnamento, non si direbbe forse che l’uomo non è creato se non se per conoscere le proprietà della materia, e che un tale conoscimento è il primo fra tutti per la sua dignità, pel suo vantaggio, e per la sua certezza? Qui traspare il pensiero che anima, forse a loro insaputa, i continuatori del Rinascimento. Ei decorarono del titolo esclusivo di scienze esatte le matematiche, introduzione alle scienze fisiche, e dissero: « Fatti semplici, ben veduti e ben confessati, ecco il punto di partenza necessario d’ogni scienza. Seminate geometri, e da questa semente feconda nasceranno dovunque filosofi (Encicl., art. Elementi e Geometria) ». Difatti il mezzo non è mal trovato. Quando voi sarete riusciti a persuadere che nulla v’ha di esatto, cioè di vero, se non ciò che si può toccare colla mano, vedersi coll’occhio, provarsi con A più B, egli è evidente che non avrete più se non uomini empi e scettici. Tutte le verità che non saranno suscettibili di questo genere di prova, non innalzandosi più ai vostri occhi al disopra della verisimiglianza o della probabilità, cesseranno di essere per l’uomo illuminato punti di credenza e regole obbligatorie di condotta. Creare il materialismo in morale, il pirronismo in religione, in istoria ed in filosofia, ecco l’ultima parola delle scienze naturali diventate pagane. Se questo è un progresso, omaggio al Rinascimento!