J.-J. Gaume: IL VERME RODITORE delle SOCIETA’ MODERNE (15)

CAPITOLO XXIX

DISEGNO D’UNA BIBLIOTECA CLASSICA CRISTIANA

Allevare i giovinetti nello spirito della società, di cui essi sono i figliuoli e di cui esser devono i continuatori, tale è la prima legge che il buon senso indica ad ogni popolo. Allevare cristianamente i membri d’una società cristiana, è l’applicazione necessaria di questa gran legge. L’educazione si fa colla trasmissione delle idee; la trasmissione delle idee si fa colla parola scritta o parlata. La parola scritta, la sola di cui qui ci occupiamo, si fa coi libri che si pongono in mano al giovinetto, dei quali lo si forza a nutrirsi durante più anni, che gli sono spiegati con cura, che gli si presentano come modelli, che è obbligato di sapere a menadito, in guisa di riprodurli nel suo linguaggio, e d’invocarli al bisogno come confermazione dei suoi pensieri e dei suoi giudizii. Tutti i popoli capirono l’influenza decisiva di questa parola scritta, sui destini dell’avvenire. I cristiani parteciparono come gli altri, dirò più degli altri, a questo buon senso che fa dipendere le idee ed i pubblici costumi dall’insegnamento dato alla gioventù. Gelosi di conservare intatto il sacro deposito della religione, essi allontanarono con un’estrema sollecitudine dalle labbra delle generazioni nascenti la tazza, per splendida che fosse, la quale contenere potente veleno. Questa condotta ò una legge, alla quale bisogna che noi ritorniamo sotto pena di perire. Ora, lo vedemmo, i soli libri classici, messi in mano alla gioventù dai padri nostri, sono: le Sacre Scritture, gli Alti dei martiri, e le opere dei Padri e dei Dottori della Chiesa. L’ammirabile loro sapienza si mostra qui sotto due aspetti ben gloriosi. Cristiani prima di tutto, e riconoscendo l’esistenza di una letteratura cristiana, come si riconosce, aprendo gli occhi, l’esistenza del sole, essi volevano che i loro figliuoli destinati ad essere cristiani come i padri loro, imparassero dapprima la lingua e la letteratura della società cristiana. Di più, sapevano che l’educazione è il tirocinio della vita. Per loro, la vita era cosa seria. Essa era una lotta continua, una lotta gigantesca, una lotta a morte contro il male. Sotto pena di essere vinto ed infelice di qua e di là dalla tomba, ogni cristiano deve essere un eroe. Nessuna cosa pareva loro più propria a fare dei loro figliuoli tanti eroi, quanto i possenti insegnamenti usciti dalla bocca di Dio stesso; quanto gli eroici esempi dei loro avi; quanto i sublimi incoraggiamenti di quegli immortali dottori, di quei Santi dell’Oriente e dell’Occidente che parlano colla triplice autorità della scienza, dell’eloquenza e della virtù. Cinquanta generazioni, come il mondo non ne vide mai, sono il glorioso monumento della giustezza del loro calcolo. – Fortemente nutriti del sugo cristiano, i loro adolescenti ottenevano il permesso di percorrere il mondo pagano, d’interrogare i suoi uomini, le sue arti, i suoi monumenti, i suoi costumi e le sue leggi. I nuovi ebrei potevano allora visitare l’Egitto, non solo senza correre pericolo di diventare suoi schiavi, ma ancora con la giusta fiducia d’impadronirsi delle sue ricchezze, per farle servire all’ornamento del tabernacolo. Così si trovavano conciliali e l’integrità dello spirito cristiano, ed il compiuto sviluppo della scienza. È chiaro: per i nostri padri tutto cominciava, tutto finiva colla religione. Tale è, per mille motivi, il cammino al quale bisogna imperiosamente ritornare. – Dapprima, pei popoli, quali essi siano, la religione è tutto. Il libro che la insegna deve essere il primo nelle mani del fanciullo, e l’ultimo nelle mani del vecchio. Tranne nei nostri tempi moderni, che non sono caduti nel caos se non per averla sconosciuta, sempre e dappertutto questa verità fu compresa e praticata. – Fra gli Ebrei, la Bibbia era tutto. Con la tradizione che la spiega, essa compone la scienza nazionale. Difesa sino al sangue, essa è rispettata come l’arca santa, amata come la patria. Fra i Maomettani, la legge del Profeta, accompagnata da qualche commento, è il libro unico. In questo libro il fanciullo impara a leggere, il giudice cerca la ragione delle sue sentenze, l’uomo d’ogni condizione e d’ogni età la sua regola di condotta. Libro sacro! Quando i fanciulli sono giunti a conoscerne un capitolo, è un avvenimento, che si celebra con una pubblica festa. Posto su d’un ricco veicolo, circondato da faci, il libro nazionale è portato in trionfo nelle vie, seguito dai fanciulli e dai maestri, salutato con rispetto dai parenti e dalla intera popolazione: la gioia è nel cuore della società, di cui questa manifestazione annuncia la perpetuità dello spirito che l’anima. Dopo lo studio d’ogni capitolo, la festa ricomincia. – Ora, per le nazioni cristiane, l’Evangelio è lutto: esso è la loro vita intellettuale, morale, domestica, civile, politica, letteraria, artistica, scientifica; in questo immenso oceano di luce esse devono vivere come il pesce nel mare. La Chiesa cattolica, loro madre, non cessa di proclamare questa grande verità. Non una vi ha delle sue solenni adunanze, in cui essa non collochi su d’uno splendido trono il libro degli oracoli religiosi e sociali. Pure, bisogna dirlo, da più secoli l’Evangelio è nulla, o quasi nulla nella nostra pubblica educazione. Come stupirsi ch’esso sia più nulla o quasi nulla nelle idee e nei costumi? Come stupirsi, in altri termini, che noi cessiamo d’essere cristiani? O ritornare a resipiscenza, o morire. Di più, lo stato presente del mondo non permette, a questo proposito, né ritardo né concessione. La rapida formazione di due grandi unità, quella del bene e quella del male, regine dell’avvenire senza rivali, non è più un problema per nessuno. Innalzato all’ultima sua potenza, il male si formula oggidì con una negazione assoluta. Una negazione assoluta non può combattersi se non da un’affermazione egualmente assoluta. Il Cattolicesimo, il Cattolicesimo in tutta la sua integrità, il cattolicismo professato da martiri, può solo lottare contro la società del male. Ma una cosa sola può ricondurre in tutto il suo vigore ed in tutta la sua purezza il Cattolicesimo in seno all’Europa, cioè un’educazione fortemente cattolica. – Simile educazione non è possibile se non con classici cristiani. Per conseguente, noi supplichiamo che si voglia ben ripigliare per evangelio, in fatto di educazione, la condotta dei secoli cristiani. Ciò posto, ecco le nostre idee ed il nostro disegno. – Pei popoli cristiani, noi l’abbiamo detto, l’Evangelio è tutto. Tutto deve uscire di là, tutto deve ricondurre colà. Intorno a questo divino perno deve evidentemente girare tutto quanto il sistema della educazione. Ora, l’Evangelio è un centro posto in mezzo al mondo, al quale riescono per due correnti opposte i secoli che lo precedono ed i secoli che lo seguono. Per iniziare il fanciullo alla conoscenza dell’Evangelio, noi gli facciamo studiare nel più bello fra i libri la preparazione quattro volte secolare di questo gran fatto. I magici racconti della Bibbia, non già in un latino del secolo 18°, ma nel latino primitivo e consacrato della Volgata, diventano il primo libro della sua vita di collegio, come furono il primo libro della sua vita di famiglia. Di più, l’Evangelio è un codice, ed il fanciullo lo studia. Ogni codice vuol essere spiegato. Le opere dei Padri ne sono il commento verbale il più perfetto, ed il fanciullo se ne nutrisce. Gli Atti dei Martiri e dei Santi ne formano la spiegazione pratica, ed il fanciullo la conosce; e la sua vita diviene evangelica. Tale è il principio che ci ha servito di bussola. Quanto al nostro disegno, eccolo in poche parole:

1° Supponendo che si mantenga la divisione per classi, tutti i classici, sino alla quarta inclusive, debbono essere cristiani. È d’uopo tutto quel tempo, almeno coll’attuale metodo d’insegnare le lingue, per insegnare convenientemente il latino cristiano ed iniziare allo studio della lingua greca cristiana. Inoltre esso è necessario per nutrire fortemente di Cristianesimo le giovani generazioni, uscite troppo spesso da famiglie poco cristiane e destinate a vivere in una società che è ancor meno cristiana.

2° Partendo dalla terza sino alla rettorica, i classici possono essere cristiani e pagani. In questo momento lo studio del paganesimo offre minor pericolo, poiché, secondo il detto di Tertulliano, lo spirito ed il cuore dei fanciulli sono sodamente temprati alle fonti cristiane. D’altra parie, questo tempo basta per studiare e per leggere gli autori profani, in quanto lo richiede l’esame del baccellierato.

3° Quanto alla scelta particolare dei classici cristiani, noi diremo solo qui, che fu deciso, dopo maturo esame e molti consigli, che l’esecuzione letteraria di questo importante lavoro sia affidata ad uomini, i cui lumi e la cui esperienza offrono al clero ed ai laici tutti i pegni di fiducia che si possono desiderare. Possiamo inoltre affermare che nel suo complesso tale scelta è buona, ottima; e lo possiamo affermare senza essere accusati di vana pretensione. Da un lato noi la troviamo indicata anticipatamente da tutta la tradizione cristiana; dall’altro lato essa è formalmente raccomandata dalla Chiesa.«L’uomo essendo inclinato al male sin dalla puerizia, dice il 5° Concilio generale del Laterano, l’educazione della gioventù è cosa della maggiore importanza. Perciò noi decretiamo e regoliamo che tutti i maestri di scuola ed i professori siano tenuti non solo d’insegnare ai fanciulli ed ai giovani la grammatica, la retorica ed altre cose simili, ma eziandio che siano obbligati ad istruirli nella religione, ed a far loro conoscere gli inni sacri, i salmi e le vite de Santi; di più, è loro proibito, nei giorni festivi, di insegnare a quelli altra cosa, tranne ciò che spella alla religione ed ai buoni costumi (Conc. Laler. V, sess. VIII, an. 1512). Più tardi noi sentiamo il santo Concilio di Trento, questo grande ristoratore della Chiesa e della società, esprimersi in termini non meno formali sulla necessità dello studio classico della Scrittura, non solo nei seminari, ma ancora nei collegi o pubblici ginnasi. I motivi sui quali si appoggia l’augusta assemblea sono gli stessi da noi esposti nel corso di quest’opera: lo studio del codice sacro è necessario alla difesa ed all’accrescimento della fede, alla conservazione ed alla propagazione della sana dottrina; in una parola, se non si nutre di Cristianesimo la gioventù, la società cesserà d’essere cristiana (Sess. V). Tale è il giudizio dell’immortale Concilio. – Il lettore vedrà che noi non siamo novatori: i novatori sono quelli che introdussero il paganesimo nell’educazione; né uomini d’immaginazione e discepoli del nostro senso privato : gli uomini d’immaginazione sono quelli che credono conservare cristiane le generazioni da essi saturate di paganesimo ed alle quali lasciano ignorare il cristianesimo; i discepoli del senso privato sono quelli che, spregiando e la pratica costante delle età di fede ed i precetti della Chiesa universale, impongono le loro teorie siccome regole infallibili. Si concederà pure, amiamo sperarlo, che i l bisogno il più imperioso del tempo nostro quello sia di rendere cristiana la educazione, e per conseguenza di familiarizzare di buon’ora le nascenti generazioni con le idee, con gli uomini, con i fatti, con gli esempi, con le massime, con gli scritti, in cui trovasi con maggiore abbondanza e purezza il sugo vivificatore del Cristianesimo. Finalmente, quando la scelta dei classici sarà conosciuta, si concederà, lo speriamo, che la indicata biblioteca sia tale da raggiungere questo scopo necessario. – Ma non si mancherà di chiederci perché noi la pubblichiamo, mentre già si pubblicano classici cristiani? Non è forse ciò un voler fare un libro a fianco ad un libro parimente buono? Ecco in due parole la risposta. Noi pubblichiamo siffatta biblioteca, perché cosa indispensabile il dare all’insegnamento un seguito logico che assicuri il buon esito dello studio, graduando il lavoro, ed uno sviluppo sufficiente per nutrire di Cristianesimo tutte le facoltà della gioventù, dal suo entrare in collegio sino al suo uscirne. – Ora, i saggi comparsi sinora, sebbene utili in sé, sebbene concetti colle più lodevoli intenzioni, ci sembrano lungi dal soddisfare alla doppia condizione. Da un lato essi si limitano ad alcuni tratti isolati, che annegati in mezzo ai libri pagani, non possono dare alcun serio risultato né sotto il riguardo letterario, né sotto il riguardo morale. I pregevoli autori di quegli opuscoli non tennero conto abbastanza, almeno così ci sembra, dell’esistenza benissimo distinta delle due lingue latine. S’essi l’avessero riconosciuta, come non avrebbero essi visto che, facendo camminare di pari passo lo studio del latino cristiano e lo studio del latino pagano, il giovinetto non imparerebbe altro che un gergo, barbara composizione dell’idioma cristiano e dell’idioma pagano? Non è forse ciò un voler fare studiare in pari tempo l’italiano e lo spagnolo, per esempio? Questo miscuglio, sgraziato nel risultato, accresce singolarmente la difficoltà nella pratica. Quale confusione ancor più deplorevole non deve produrre nello spirito del giovinetto lo studio simultaneo delle idee pagane e delle idee cristiane? Dove sarà per esso la pietra di paragone che gli farà discernere la vera virtù, la vera gloria, la vera saggezza, da quella che non ne ha che l’apparenza? Prima di lasciargli frequentare i pagani, aspettate (come vuole san Basilio) ch’egli sia fortemente cristiano. – Considerato sotto un altro riguardo, questo miscuglio di Cristianesimo e di paganesimo è un sistema all’atto logoro. Al punto in cui siamo, non vi sono più oggidì nella educazione, nonché in religione, in politica, in filosofia ed in tutto il rimanente, se non due sistemi in piedi: il sistema cristiano ed il sistema pagano; cattolicesimo o socialismo; tutto o nulla. Uomini e cose, tutto ciò che non è , tutto ciò che non sarà francamente l’uno o l’altro, o non conta più, o è morto prima d’essere nato. D’altra parte, i trattati o brani, di cui si tratta, mancano di gradazione logica. Infatti, essi offrono a studiare, ad esempio, S. Girolamo prima di S. Gregorio. L’opposto deve avere luogo. L’immortale pontefice è il tipo della bella latinità cristiana. Soltanto dopo averlo bene studiato si può, senza pericolo pel gusto letterario, passare a S. Girolamo, il cui stile rammenta ancora spessissimo la forma pagana. I l dottore di Betlemme deve essere la transizione tra la lingua cristiana e la lingua pagana. Tale è i l posto ch’egli occupa nella nostra biblioteca.

CAPITOLO XXX

VANTAGGI PARTICOLARI DI QUESTA BIBLIOTECA

Facendo rientrare logicamente, gradualmente, compiutamente il Cristianesimo nella educazione, noi facciamo rientrare negli animi il gusto del bello, poiché, amiamo dirlo di nuovo, il bello è lo splendore del vero. Questo scopo, oggidì sì desiderevole, è raggiunto in modo tanto più certo in quanto tutti i nostri classici sono, sotto il punto di vista meramente letterario, al di sopra d’ogni paragone. Ci sia permesso d’insistere su questo punto importante. L’influenza del paganesimo fu tale che un gran numero di persone perdettero il gusto del bello in fatto di letteratura cristiana, ancor più che non in fatto di pittura e di architettura. Ora, lo ripetiamo; la Sacra Scrittura, gli Atti dei Martiri e le opere dei Padri, tali sono i modelli che noi proponiamo alla gioventù.

La Scrittura. Se l’eccellenza dello stile dei libri sacri su quanto noi abbiamo di più perfetto fra i migliori scrittori di ogni tempo, potesse essere dubbia agli occhi di qualcheduno, o prevenuto, o superficiale, o indifferente, noi lo preghiamo di meditare il seguente passo di un autore non sospetto. Ecco il paragone che Sterne fa tra l’eloquenza profana e l’eloquenza Sacra: « V’hanno, dice il celebre scrittore inglese, due sorta di eloquenza, una delle quali appena ne merita il nome. Essa consiste in un numero fisso di periodi acconciati e compassati, e di figure artificiali, in diamantate di paroloni pretensiosi. Questa eloquenza abbaglia, ma rischiara poco l’intendimento. Ammirata, affettata dai semi-dotti, il cui giudizio è così falso come ne è viziato il gusto, essa è del tutto estranea agli scrittori sacri. Se fu sempre riguardata come al di sotto dei grandi uomini di ogni secolo, quanto (a più forte ragione) dovette sembrare indegna di quegli scrittori che lo spirito d’eterna sapienza animava nelle loro veglie, e che dovevano raggiungere quella forza, quella maestà, quella semplicità che l’uomo solo non raggiunse mai! « L’altra sorta di eloquenza è affatto contraria a quella che ho censurato, e caratterizza veramente le Sacre Scritture. La sua eccellenza non deriva da un linguaggio lavorato e recato da lungi, ma da un misto meraviglioso di semplicità e di maestà: doppio carattere così difficilmente riunito, che ben raramente si trova nelle composizioni puramente umane. Le sacre pagine non sono caricate di ornamenti superflui ed affettati. L’Essere Infinito, avendo voluto acconsentire a parlare il nostro linguaggio per recarci la luce della rivelazione, si compiacque dotarlo di quelle forme naturali e graziose, che penetrar dovevano nelle nostre anime. – « Osservate che i più grandi scrittori dell’antichità, vuoi greci, vuoi latini, perdono infinitamente delle grazie del loro siile quando sono tradotti nelle nostre lingue moderne. La famosa apparizione di Giove nel libro I di Omero, la sua pomposa descrizione d’una tempesta, il suo Nettuno che fa crollare la terra e che la squarcia per metà sino al suo centro, la bellezza dei capelli della sua Pallade; tutti questi passi, in una parola, ammirati di secolo in secolo, appassiscono e spariscono quasi del tutto nelle traduzioni latine. Si leggano le traduzioni di Sofocle, di Teocrito, di Pindaro stesso: vi si troverà egli altro se non alcune vestigia leggiere delle grazie che ci rapirono negli originali? Concludiamo con dire che la pompa dell’espressione, la soavità dei numeri e la frase musicale costituiscono la maggior parte delle bellezze dei nostri classici autori, mentre quelle delle nostre Scritture consistono piuttosto nella grandezza, delle cose stesse che non in quella delle parole. Le idee vi sono così sublimi di loro natura, che devono sembrare sublimi per necessità nel loro modesto abbigliamento: esse brillano attraverso le più deboli e le più letterali traduzioni della Bibbia ». Quale eloquenza più degna delle anime serie e dei popoli cristiani!

Gli Atti dei Martiri. Dopo la Scrittura, nulla vi è più degno d’ammirazione e di rispetto degli Atti dei Martiri. Se i libri sacri sono dovuti all’ispirazione di Dio stesso, le risposte dei martiri agli interrogatori dei giudici furono, giusta la promessa del Salvatore, dettate dallo Spirito Santo. Sotto il punto di vista puramente letterario, esse presentano lo stesso genere di bellezze della Bibbia. La semplicità delle parole e l’eloquenza delle cose ne formano i l continuo e sublime carattere. In faccia ai padroni del mondo, armati di sofismi, di minacce, di promesse, seguiti da un lungo corteggio di littori, di proconsoli, di prefetti, di giudici, di carnefici e di belve feroci, voi scorgete uomini del popolo, donne, fanciulli, poveri schiavi ridurre al nulla, colla semplicità, colla fermezza, colla chiarezza del loro linguaggio, i sofismi dei filosofi, le questioni capziose dei magistrati, i discorsi patetici dei parenti afflitti. A misura che il coraggio del martire s’innalza all’eroismo, il suo carattere si spiega, la sua parola sfavilla in tratti della più sublime eloquenza. Diventando più stringente, il dialogo diventa più vivo, più interessante. E la grandezza della causa che si discute, ed il contrasto tra la forza del tiranno e la debolezza della vittima, tra la brutalità ed il furore dell’ uno, e l’innocenza e la calma dell’altra, tutto ciò commuove alle lacrime i cuori i più freddi, cioè tutto il dramma finisce col raggiungere la più alta poesia. Sublimità e semplicità, unzione e vigore, grazia ed ingenuità, rapidità che trascina e particolarità commoventi, tali sono le doti letterarie che caratterizzano il racconto di quelle tenzoni senza esempio nei fasti del mondo. Da ciò viene che gli Atti de’Martiri, come tutto quello che è veramente bello di fondo e di forma, godono del privilegio di appassionare i fanciulli medesimi e di fare le delizie dei più grandi uomini dei secoli i più celebri. Fra mille esempi potrei recare quello di Santa Teresa; ma tutti lo conoscono. Fra mille testimonianze, citerò solo quella del celebre Giuseppe Scaligero. « La lettura degli Atti dei Martiri, dice quel dotto critico, è sì commovente, che lo spirito non può mai sfamarsene. Ognuno può averlo provato secondo il grado di sensibilità e d’intelligenza di cui egli è dotato; ma per me, confesso che nulla mai lessi nella Storia ecclesiastica, a più forte ragione nella storia profana, che abbia eccitato nel mio cuore moti sì straordinari ad una e sì violenti, che nel lasciare cotal libro non conosco più me stesso (Annot. ad Euseb., Hist. Eccl.) ».

I santi Padri. Quasi sulla stessa linea della Scrittura ispirata da Dio, delle risposte dei martiri dettate dallo Spirito Santo, compaiono i Padri della Chiesa. I loro scritti sono i monumenti i più insigni del Cristianesimo ed i più bei titoli di gloria del genio dell’uomo. Gli insegnamenti, le parole di quegli uomini, se pure si deve dar questo nome a quegli esseri eccezionali che paiono innalzarsi sino al cielo per contemplarvi la verità, sono ben meno gli insegnamenti e le parole di semplici particolari, che non gl’insegnamenti e le parole della Chiesa universale. Ivi i cristiani d’ogni secolo e d’ogni stato possono imparare ciò che si deve rigettare, ciò che si deve conservare, ciò che si deve odiare, ciò che si deve amare, ciò che si deve evitare, ciò che si deve fuggire, ed anche ciò che si deve ammirare sotto il punto di vista puramente umano della poesia e dell’eloquenza. A giusto titolo pertanto quei geni incomparabili, quei grandi uomini, da Dio suscitati per essere insieme i custodi e gli interpreti del Testamento del suo Figliuolo, sono chiamati nella storia gli specchi della eterna luce, gli organi dello Spirito Santo, i troni della sapienza, gli araldi dell’impero di Dio, le colonne della religione, i vendicatori della verità, i modelli della virtù, i duci del popolo cristiano, i maestri del genere umano, le faci della Chiesa, i fari dell’universo. Ma ciò che bisogna notare qui, si è che gli scritti dei Padri non solo sono fonti di sapienza divina, ma anche tesori di eloquenza e d’erudizione d’ogni genere. Su questo punto non v’ha che una voce nel mondo veramente dotto. Persino gli uomini i più classici del secolo il più appassionato pei Greci e pei Romani pagarono il tributo di loro ammirazione al letterario ingegno dei Padri della Chiesa.: « – Un Padre della Chiesa, un Dottore della Chiesa! grida Labruyère: quali nomi! quale tristezza nei loro scritti! quale aridità! quale fredda divozione! E forse quale scolastica! – dicono coloro che non li hanno mai letti. Ma piuttosto quale stupore per tutti coloro che si sono fatta un’idea dei Padri della Chiesa sì lontana dal vero, se vedessero nelle loro opere maggiore Unitezza e delicatezza, maggiore polito e spirito, maggiore ricchezza di espressione e maggiore forza di ragionamento, tratti più vivi e grazie più naturali, che non se ne notano nella più parte dei libri di questo tempo, i quali sono letti con gusto, i quali danno rinomanza e vanità ai loro autori! Qual piacere di amare la religione e di vederla cresciuta, sostenuta, spiegata da sì bei geni e da sì sodi spiriti, specialmente quando si viene a conoscere che, per la copia delle cognizioni, per i principi della più pura filosofìa, per la loro applicazione ed il loro sviluppo, per la giustezza delle conclusioni, per la dignità del discorso, per la bellezza della morale e dei sentimenti, nulla v’è, ad esempio, che paragonar si possa a Sant’Agostino se non forse Platone e Cicerone! (Caratteri, t. 1; Degli Spiriti forti, p. 153.) ». Non voglio cavillare col mio autore; pure sarei tentato di chiedere a Labruyère dove abbia veduto che Platone e Cicerone siano paragonabili a Sant’Agostino per la copia delle cognizioni, pei princìpi della più pura filosofia, per la bellezza della morale e dei sentimenti? Iddio perdoni al Rinascimento, di cui qui vedesi l’influsso sugli animi i più sodi. Da tali considerazioni generali sul merito letterario dei nostri classici cristiani passiamo a qualche osservazione particolare. Faremo notare dapprima che il numero di siffatti scrittori è assai piccolo. L’esperienza dimostra che il mezzo d’imparare una lingua non è già di studiare molti libri, ma di studiarne uno buono, e di studiarlo a fondo, in modo che il pensiero dell’autore e la forma del suo pensiero ritornino naturalmente e senza sforzo allo spirito, quando bisogna pensare, scrivere o parlare. Come da per tutto, qui pure si verifica la massima: Timeo doctorem unius libri. Poscia i nostri classici, già sì poco numerosi, si riducono quasi all’unità; poiché, dopo aver servito allo studio della lingua latina, servono ancora allo studio della lingua greca. Noi amiamo credere che nessuno dubiti dell’immenso vantaggio che ne deriva. Da un lato, il giovinetto vi trova grande facilità per imparare il greco, poiché è anticipatamente in relazione cogli autori dei quali già conosce tutti i pensieri; dall’altro lato è quasi impossibile che non conservi gli insegnamenti che gli si danno, sotto forme diverse, durante tutto il corso dei suoi studi. Finalmente i libri indicati come soggetti di lettura latina e greca daranno, se utile si crede, tutta la desiderabile varietà al lavoro del giovinetto. In pari tempo che gli faranno conoscere il modo dei vari autori, lo obbligheranno ad acquistare una seria cognizione delle letterature greca e latina. Ecco il nostro pensiero: Noi desideriamo che si appianino al possibile le difficoltà che s’incontrano nel cammino del discepolo; che sia liberato dal lavoro sì lungo, sì fastidioso e quasi sempre sì ingrato e talvolta sì pericoloso, di sfogliettare i dizionari. Basta per ciò dargli a viva voce sia il senso preciso di una parola, sia la spiegazione di una cosa ch’egli cercherebbe a lungo senza sicura speranza di trovarla egli stesso. Nulla pare più conforme di ciò al cammino della Provvidenza nello studio delle lingue, né più efficace per farvi rapidi progressi, preservandolo dal doppio flagello della nausea e della noia. Nondimeno, siccome si dovrebbe temere che tale metodo rendesse pigro l’intendimento, questo pericolo si sfugge facendo fare al giovinetto letture greche e latine, ch’egli solo deve capire e di cui è obbligato a rendere conto. – Aggiungeremo ancora (tanto oggidì ci pare necessario di cristianizzare l’educazione) che bisogna insegnare cristianamente anche gli autori pagani. Ecco come riuscirvi. Invece di darli, come troppo sovente si fece dopo il Rinascimento, per modelli finiti di virtù reali, bisogna avere cura di far notare l’imperfezione della loro sapienza, della loro forza, della loro prudenza, della loro temperanza, delle loro intenzioni e dei loro sensi, paragonando tutte queste cose con gl’insegnamenti della fede. Suppongo, ad esempio, che si spieghi il trattato De Amicitia di Cicerone. Per far risaltare l’inferiorità dell’amicizia naturale, si leggeranno i precetti di carità quali sono esposti nel catechismo del Concilio di Trento, oppure si mostreranno i veri caratteri di questa virtù, spiegando il 13° capitolo di San Paolo, nella prima ai Corintii. Parimente, quanti vantaggi pel discepolo, se alla lettura dei Commentarli di Cesare si unisse la spiegazione delle guerre sante di Giosuè, di Davide e dei Maccabei! Da un lato, il fanciullo vede e la giustizia che deve presiedere alla guerra, e la Provvidenza e la forza del braccio di Dio; dall’altro, gli errori dei grandi capitani del paganesimo, i quali per una vana gloria o per un vile interesse si credevano in diritto di sguainare la spada e di recare la desolazione per tutto l’universo. Quali sapienti, quali santificanti confronti da stabilire tra gli eroi della Grecia e di Roma, ed i grandi imperatori e i grandi capitani cristiani: Teodosio, Carlo Magno, San Luigi, San Stefano d’Ungheria, Vasco de Gama, Albuquerque e molti altri! Finalmente la superiorità del Cristianesimo spiccherà di per sé, se il professore avrà cura, quando s’imbatte in un sentimento od in un principio erroneo di un autore pagano, di provarlo alla pietra di paragone dell’Evangelio. Così, quando Cicerone si loda di per sé, o quando prodiga lodi altrui, bisogna dimostrare che quella lode è falsa, indegna di un’anima cristiana, che cercar deve per ricompensa non già l’adulazione, ma la vita eterna, e deporre tutte le sue corone ai piedi di Colui, da cui proviene ogni dono perfetto. Così ancora, quando Cicerone nei suoi Officii dice che nessuno deve vendicarsi, a meno che non sia provocato, o che non abbia ricevuto un insulto; qual magnifico campo aperto al professore per dimostrare la superiorità della legge cristiana, e per spiegare agli occhi dei giovinetti i grandi dettami del Calvario! – Ecco pel fondo. Che dirò io della forma? Facendo ammirare la frase numerosa di Cicerone, il maestro avrà cura di dire che tutta quella abbondanza di parole, che tutta quella pompa asiatica, oltre ad essere lontana dal convenire ad ogni argomento, è spesso indegna del cristiano, il quale sa che l’eloquenza ben più si trova nelle cose che non nelle parole, e che la parola fu data all’uomo, non già per procacciargli vane lodi, ma per servire alla gloria di Dio ed al vantaggio del prossimo. – Questo semplice saggio ci sembra bastare per far capire che cosa noi intendiamo per « insegnamento cristiano degli autori profani ». Ci si permetta di fare qui una osservazione di alta importanza. Non solo sui discepoli i classici cristiani possono esercitare il più salutifero influsso, ma ben anche sui maestri. Quasi sempre echi dei due mondi, gli autori cristiani, e specialmente gli Atti dei Martiri, aprono agli occhi dei professori un immenso orizzonte; essi danno loro così il mezzo naturale di sviluppare tutti i loro tesori di erudizione cristiana e pagana, o li obbligano a farne ampia provvigione, per potere soddisfare alle spiegazioni rese necessarie sia dal testo stesso dell’opera, sia dalle domande degli scolari. Per grande che sia, un tal vantaggio è però soltanto secondario. Mentre il continuo studio degli autori pagani inaridisce il cuore e talvolta lo corrompe, falsifica il giudizio, altera il gusto, e rende incompiuto l’uomo; lo studio degli autori cristiani nutre il cuore e lo santifica, forma il giudizio, purifica il gusto, rende pratico l’uomo, e di necessità ne fa un essere utile alla società. Diciamo, per finirla, che lo studio delle lingue vive diventando ognora più generale, e sembrandoci esso entrare nei consigli della Provvidenza sui tempi attuali, crediamo di rendere un vero servigio, osiamo dire, all’Europa intera, facendo dei nostri classici latini e greci altrettanti classici francesi, inglesi, tedeschi, italiani e spagnoli. Tradotti in tutte codeste lingue, non solo ne agevolano lo studio, ma nutrono ancora tutta la gioventù europea dello stesso pensiero, l’abbeverano dell’acqua medesima, la cibano dello stesso pane, la vivificano nello stesso battesimo. Ora, un tal pensiero è eminentemente bello, eminentemente sociale, poiché è eminentemente cristiano. O non rimane più alcun mezzo di ricondurre l’Europa a. quella forte unità di fede che per dieci secoli le valse la possanza, la pace, la gloria; a quei princìpi tutelari d’obbedienza e di abnegazione, senza di cui nessuna società è possibile; o bisogna concedere che il mezzo proposto sia il solo veramente efficace. Sia esso adoperato francamente ed universalmente, e ben tosto saranno uccisi il socialismo, il comunismo e tutti quegli errori spaventosi che minacciano di ricondurci al caos. Voi. avrete resa cristiana l’educazione: l’educazione — noi dimenticate — è la società, è l’avvenire, poiché essa è l’uomo tutto quanto di qua di là dalla tomba.

FINE DELL’OPERA