In memoria di Monsignor SALVATORE LUIGI ZOLA,

Il Vescovo di Lecce che autenticò le Profezie di La Salette

[di P. S. D.]

 – Monsignor Luigi Zola –

 Se il mio popolo continua, quello che ti dirò ora avverrà prima, se cambia un po’, accadrà un po’ più tardi. – La Francia ha corrotto l’universo. La fede si estinguerà in Francia: tre quarti della Francia non praticherà più la religione, o quasi, l’altra crederà di praticarla senza praticarla davvero. Poi, dopo [che] convertirà delle Nazioni, la fede sarà riaccesa ovunque. Un grande Paese, ora protestante, nel nord dell’Europa, si convertirà; con il supporto di questo Paese verranno convertite tutte le altre nazioni del mondo. – Prima di tutto quel che avverrà, ci saranno numerosi turbamenti, nella Chiesa e ovunque. Quindi, dopo, il nostro Santo Padre, il Papa, sarà perseguitato. Il suo successore sarà un Pontefice che nessuno si aspetta. – Dopo, ci sarà una grande pace, ma non durerà a lungo. Un mostro verrà a disturbare. –  Tutto ciò che dico qui avverrà in un altro secolo, al più tardi nell’anno Duemila”.

[Nostra Signora di La Salette – rivelazione fatta a Maximin Giraud, settembre 1846]

 Quello che precede è il testo di parte delle rivelazioni di La Salette, località francese in cui due pastorelli ricevettero delle rivelazioni dalla Madonna il 19 settembre 1846; per la precisione, il testo è tratto dal messaggio ricevuto da Maximin Giraud.

Maximin, insieme a Melania Calvat, vide nella località francese “una Signora” che fece delle rivelazioni sul futuro della Chiesa ed in genere del mondo. In particolare, il riferimento fatto dalla Signora alla Chiesa eclissata, di cui si può leggere in altre pagine di questo Sito, e soprattutto quello al “Pontefice che nessuno si aspetta”, ci fanno capire che i tempi a cui poco più di 170 anni fa quella Signora rimandò sono proprio quelli che stiamo vivendo, in cui assistiamo alla maturazione degli eventi che, succedutisi apparentemente a partire dal conclave del 1958, affondano in realtà le loro radici in epoche molto anteriori. – Pochi sanno che il primo Prelato a validare i messaggi de La Salette fu Monsignor Luigi Zola, di origini campane che, consacrato Vescovo il 30 marzo 1873, fu vescovo di Lecce dal 1877 al 1898, anno in cui morì nel vicino paese di Cavallino.

Seguendo il filo conduttore dell’imprimatur di Monsignor Luigi Zola alle apparizioni di La Salette, il resoconto di queste pagine inizia proprio a partire dalla morte del Vescovo, avvenuta per la precisione il 27 aprile 1898.

Foto n° 1 – La bara di Monsignor Luigi Zola nel Duomo di Lecce

La sua tomba, come quella di altri vescovi di Lecce, è situata nel Duomo di Lecce. Chi volesse vederla, però, non potrà giovarsi dell’ausilio di una qualsiasi indicazione, ma dovrà andarsela a cercare. E, quando forse riuscirà a trovarla, la vedrà ubicata nella navata laterale sinistra, in un settore del Duomo che malgrado la collocazione non si esiterebbe a definire di second’ordine e la cui situazione può essere riassunta da una parola: degrado. Le condizioni in cui essa è tenuta sono infatti a dir poco pietose, interessata com’è da calcinacci, polvere e quant’altro non dovrebbe essere in un Duomo, neanche se fosse uno scantinato sudicio di qualche museo, magari riservato a reperti invalidati da ricerche o…. ipotesi successive, o comunque ritenuti poco interessanti ed in attesa di essere dismessi. In ogni caso, ritenuti non interessanti e pertanto da non evidenziare ma anzi a cui assegnare un’immagine di basso profilo, come ciò da cui si sono progressivamente ma impercettibilmente ogni anno prese le distanze, come ciò da cui forse ci si vergogna e di cui si evita di parlare, come ciò che appare scomodo. – E’ proprio in questa navata che è stata collocata la tomba in marmo in cui sono conservati i resti mortali di Monsignor Luigi Zola, una tomba di cui è impossibile non rilevare lo stato di decadenza, sicuramente poco curata e quasi ostentatamente ricoperta da calcinacci. – Eppure, per la cronaca, Monsignor Luigi Zola morì in odore di santità e, da documenti reperibili su internet, pare che dopo la sua morte numerose guarigioni siano state attribuite alla sua intercessione. Per Monsignor Luigi Zola fu aperto un processo di canonizzazione il 26 aprile 1941, come pubblicato sul sito dell’“Arcidiocesi di Lecce”, nello spezzone di seguito riportato:

Dei Canonici Regolari Lateranensi, secondogenito dei conti Francesco e Giuseppina di Fraja, nato a Pozzuoli il 12 aprile 1822. Sacerdote il 9 febbraio 1845. Eletto Vescovo di Ugento il 21 marzo 1837 e consacrato in S. Pietro in Vincoli dal Card. Lorenzo Barili, assistenti mons. Pietro Giannelli, Arcivescovo tit. di Sardi, e mons. Edoardo Enrico Howard, Arcivescovo tit. di Neocesarea il 30 marzo 1873. Traslato a Lecce il 22 giugno 1877 e morto a Cavallino il 27 aprile 1898 in fama di santità. Il processo di canonizzazione fu iniziato il 26 aprile 1941, chiuso il 9 febbraio 1945, sospeso il 17 dicembre 1985. È sepolto in Duomo. [da: Arcidiocesi di Lecce – Storia dei Vescovi dell’Arcidiocesi di Lecce-https://www.diocesilecce.org/diocesi-di-lecce/vescovi-del-passato/ )

E, per la cronaca, l’inizio e la chiusura del processo di canonizzazione avvennero sotto il Pontificato di Pio XII, mentre la “sospensione” della canonizzazione si ebbe in epoca wojtyliana.

Gli eventi che legano Monsignor Luigi Zola a La Salette sono molteplici, come risulta dalla biografia della veggente Melanie Calvat:

<< Per sfuggire a Napoleone III; da lei accusato di cesaropapismo, ed al clero francese divenutole in larga parte ostile, Melanie cominciò il suo esodo per l’Europa, spostandosi dall’Inghilterra alla Francia e alla Grecia fino ad approdare in Italia, a Castellamare di Stabia (Napoli). Qui vi trascorse diciassette anni avvalendosi della direzione spirituale dell’abate Luigi Salvatore Zola (1822-1898) dei Canonici Regolari Lateranensi. Dopo che questi fu nominato Arcivescovo di Lecce, nel 1892 lo seguì trasferendosi a Galatina (Lecce). >> [da: “Melanie Calvat” – in “Padre Annibale” http://www.padreannibale.altervista.org/Profili/melanie_calvat.html]

Viene da chiedersi cosa sarebbe ora del testo della profezie di La Salette se non ci fosse stato il vivo interessamento di Monsignor Luigi Zola, questo sconosciuto personaggio di un arcipelago ecclesiastico che sta ora andando lentamente sempre più alla deriva sotto gli astuti e impercettibilmente progressivi colpi di un modernismo dilagante che sostituisce alla bellezza della Parola l’etica del nulla.

Cosa resterebbe ora della vera e propria persecuzione che costrinse Melanie Calvat a vagare profuga per l’Europa, se ella non avesse incontrato sulla sua strada questa fulgida e coraggiosa figura di Vescovo, che in Campania prima, ed a Lecce dopo la tutelò, facendosi “garante” dei messaggi che a lei e a Massimino erano stati affidati ?

Resterebbe probabilmente molto poco. Come molto poco, in termini di lustro, è restato della bara in cui sono custoditi i resti mortali di Monsignor Luigi Zola; come nulla è restato del suo processo di canonizzazione.

E come nulla, o meno di nulla, è restato dell’ultima dimora in cui il Monsignore soggiornò.

Dalle cronache del tempo sappiamo infatti che Luigi Zola morì a Cavallino “il 27 aprile 1898 in fama di santità”. Una ricerca permette di appurare come egli sia morto nella casa del sacerdote don Pasquale de Matteis, parroco di Cavallino:

“S.E. il Vescovo di Lecce Mons. Zola, toscano di nascita, andato in riposo perché cagionevole di salute, viene a risiedere in Cavallino ospitato in casa dal sacerdote don Pasquale De Matteis”  [Da: Antonio Garrisi – “Cittadini di Cavallino”] http://www.antoniogarrisiopere.it/30_c00_CittaDi—Caval.html )

In realtà Monsignor Luigi Zola non era toscano di nascita, bensì, come si è letto prima, campano, ma questo non conta. Ciò che importa è che egli sia morto nella casa del Sac. Don Pasquale De Matteis, all’epoca parroco di Cavallino.

1898 D. Die vigesima septima Aprilis 1898 – Caballini – Reverendissimus Dominus Salvator Aloisius e Comidibus Zola Lycientium Aepiscopus, filius qq.um Francisci et Iosephæ Di Fraja, septuaginta sex annos agens, obiit in hac Caballini Terra, omnibus munitus Sacramentis infirmorum, die dicta, hora occasus solis, cuius corpus delatum fuit Lycien et sepultum in cemeterio in particulari sepulcro- Et ita est –  Æconomus Curatus Orontius Totaro

(da A. Garrisi, Cittadini di Cavallino, op. cit.)

Un’altra ricerca permette di verificare che a Don Pasquale De Matteis fu assegnato “un tratto di suolo pubblico confinante con la chiesa degli ex-Domenicani”.

(N° 10225) Decreto autorizzante il comune di Cavallino nella Terra di Otranto a concedere a D. Pasquale De Matteis un tratto di suolo pubblico confinante con la chiesa degli ex-Domenicani per pronto pagamento di ducati quindici, dispensandosi alle subaste, e con i patti e le condizioni fissate nel voto decurionale e nell’avviso di espedienza del Consiglio di Intendenza” (Napoli, 22 maggio 1846) [da: Collezione delle leggi e dè decreti reali del Regno delle Due Sicilie” https://books.google.it/books?id=iWkuAAAAYAAJ&pg=RA1-PA332&lpg=RA1-PA332&dq=%22pasquale+de+matteis%22+cavallino++domenicani&source=bl&ots=8dqhzqex9n&sig=wo1zTw3xhOzImgYuSLI7GkMeMaE&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwjquND0iurUAhWDXRQKHXAKCVsQ6AEIMzAB#v=onepage&q=%22pasquale%20de%20matteis%22%20cavallino%20%20domenicani&f=false]

Foto n° 2- Cavallino: viottolo che conduce a tratto di suolo, oggi edificato, confinante con il Convento dei Domenicani

            L’ingresso del convento dei Domenicani, il cui stabile è tuttora esistente – per quanto adibito a tutt’altro uso rispetto a quello originario – è in Corso Umberto I, lungo la strada che unisce Cavallino alla vicina Lecce; su questa strada si affaccia anche il cancello che conduce alla stradina su cui doveva sorgere anche la casa di Don Pasquale De Matteis, quella casa in cui morì Monsignor Luigi Zola, Vescovo di Lecce e primo convinto assertore della veridicità dei Messaggi di La Salette.

Nei pressi di questo cancello, anteriormente al 31 gennaio 2010 c’era un busto di Sigismondo Castromediano, patriota, archeologo, letterato cavallinese e….. amico d’infanzia di Don Pasquale De Matteis ! Tutto ciò è ancora visibile su Google Maps, attualmente aggiornata al 2009, in cui è tuttora documentata la presenza del busto di Castromediano: è sufficiente, a tale proposito, digitare a Cavallino “Corso Umberto I n° 42” e ruotare opportunamente la foto verso destra.

Foto n° 3 – Il busto di Sigismondo Castromediano

Ho scritto che il busto di Sigismondo Castromediano c’era fino al 31 gennaio 2010, perché in quella data avvenne un fatto nuovo: quel busto fu rimosso ed al suo posto fu messa una statua, opera dello scultore Marco Mariucci, che raffigura un personaggio inquietante. Si tratta di un anonimo “domatore di cavalli messapico” che viene spesso erroneamente indicato come “guerriero” sui siti internet che ne parlano.

Che si tratti invece di un semplice “domatore di cavalli” lo attesta l’iscrizione posta alla base della stessa statua, iscrizione che recita testualmente:

Foto n° 4 – il “messapo domatore di cavalli”

MESSAPUS EQUUM DOMITOR

NEPTUNIA PROLES

QUE NEQUE FAS IGNI CUIQUAM

NEQUE STERNERE FERRO

[Virgilio Eneide Libro VII Versi 691-692]

[Messapo domatore di cavalli.

Prole di Nettuno che né il ferro

né il fuoco possono abbattere.]

Opera di Marco Mariucci

Ma, a parziale discapito dell’errore di volersi ostinare a identificare con un guerriero un tizio che guerriero non è (sia pure a costo di voler passare sopra all’estrema semplicità di un accertamento che consisterebbe semplicemente nello scendere dalla macchina, avvicinarsi alla statua e leggere quanto riportato dall’iscrizione alla base….), c’è da dire che quel personaggio non ha niente del domatore di cavalli. – A prescindere dal fatto che nell’immaginazione collettiva un domatore di cavalli non ha un armamentario che (come invece appunto un guerriero) lo permetta di classificare come tale, si può tuttavia dire cosa un domatore di cavalli NON dovrebbe avere.

Non avrebbe alcun bisogno di avere scudo e lancia, come non dovrebbe avere alcun bisogno di un elmo con due spropositate corna che, più ancora che con l’iconografia dei più temibili guerrieri, sembrano avere un’attinenza con la raffigurazione delle creature infernali.

Tutti questi accessori di cui lo scultore ha provveduto a fornire il suo anonimo “domatore di cavalli” non hanno niente a che fare con un personaggio che dovrebbe semmai curare di non avere ammennicoli inutili che potrebbero intralciarlo nel suo pericoloso lavoro e potrebbero allarmare fuori misura il cavallo da domare.

Foto n° 5 – particolare dell’elmo… e delle corna del “domatore di cavalli”

Oltre ad essere raffigurati malgrado la loro assoluta inutilità, gli ornamenti di cui il personaggio è stato provvisto non hanno fra l’altro riscontro, in quanto a dimensioni, né negli annali delle battaglie né nell’iconografia con cui i guerrieri sono raffigurati.

Si tratta di un paio di corna di dimensioni così inutilmente eccessive da rendere lo sprovveduto tizio che le dovesse indossare (tizio il quale, proprio in virtù del suo…trofeo non dovrebbe essere un personaggio qualsiasi, ma un appartenente ad un rango di livello – a quale lo lascio immaginare -) facilmente riconoscibile come personaggio sicuramente di elevato lignaggio; nel caso di un improbabile guerriero, poi, tali attributi lo impaccerebbero non poco nei movimenti e nell’arte della battaglia.

Il discorso si chiude quindi qui, sia che si tratti di un improbabile domatore di cavalli, sia che si tratti di un altrettanto improbabile guerriero.

 

Foto n° 6 e 6 bis- il “domatore di cavalli” rivolto verso il cancello di accesso al viottolo già visto in foto n° 2

A parte quel particolare, nulla si rileva in quel personaggio: non un nome, non una collocazione precisa in un qualche evento storico o mitologico, non un riferimento ad una cultura o una tradizione. Nulla, solo quel paio di corna sapientemente intarsiate con simbolismi il cui stile sembrerebbe affiorare dalle piramidi dell’antico Egitto e da tutto il bagaglio dei loro esoterismi; sul corno a sinistra, dall’alto verso il basso, si distinguono: un guerriero, con scudo rotondo e con due lance, oltre che munito di un elmo con due corna, che guarda verso destra di chi osserva; poi un non meglio precisato rapace diurno; infine un leone. Su quello a destra, nello stesso ordine, come in una sorta di antitesi, si vedono: un analogo guerriero che guarda verso sinistra di chi osserva; un rapace notturno con i ciuffetti auricolari tipici del gufo; infine un cavallo.

Ai tre livelli sopra indicati, sui due corni dell’augusto personaggio si vedono quindi, da sinistra a destra rispettivamente: in alto: un guerriero che guarda in avanti (verso destra per chi guarda) e a destra un guerriero che guarda in direzione opposta (verso sinistra per chi guarda); al centro: un uccello diurno ed un uccello che simboleggia la notte; in basso: un predatore ed una preda. Ad ogni livello, quindi, elemento ed il suo opposto, secondo una regola esoterica che fu espressamente raccomandata da Aleister Crowley, un mago nero che sosteneva di essere l’incarnazione di satana.

Lo scudo del “domatore di cavalli” è poi decorato con una raffigurazione di Medusa che sembra richiamare in maniera abbastanza evidente i demoni delle mitologie indù.

Ecco così che al posto della raffigurazione del patriota di Cavallino, persona ben conosciuta e nota oltre che nella sua collocazione storica anche nelle sue fattezze e nell’operato, ha trovato posto la rappresentazione di un personaggio che più che un personaggio è un simbolo, un simbolo non già del domatore di cavalli e neanche del guerriero arcaico. Nulla di più che un simbolo esoterico che richiama con quei suoi particolari così ingenuamente mescolati e così ostentatamente spropositati nient’altro che un messaggio blasfemo.

Dove c’era il busto dell’amico di infanzia di Don Pasquale De Matteis c’è ora questo “cosaccio” che va ben oltre quello che dovrebbe rappresentare e che chiunque entri nel paese di Cavallino non può non notare, come un sinistro benvenuto su cui non è possibile non porsi qualche domanda.

Nel paese in cui trascorse i suoi ultimi giorni Monsignor Luigi Zola, assertore della veridicità dei messaggi profetici di La Salette, oggi, come una zampata o come una marcatura dell’areale di qualche animale selvatico, c’è un segno di possesso, di dominio, da parte di forze del tutto aliene alla mitezza dello stesso Zola.

“È importante rammentare, ognora, che il Vescovo di Lecce Salvatore Luigi Zola in data 21 aprile 1882 concesse 40 giorni d’indulgenza a coloro che recitano 3 Ave alla Vergine del Monte (che viene celebrata a Cavallino la prima domenica di maggio, N.d.A.); e pure il Vescovo Gennaro Trama in data 27 novembre 1906 accordò altri «50 giorni d’indulgenza a tutti i fedeli che divotamente reciteranno 3 Ave Maria» davanti all’antica immagine de la Matonna te lu Monte. [http://www.antoniogarrisiopere.it/26_c03_CappeDel–Monte.html]