DOMENICA VII dopo PENTECOSTE

I tre Marrani: “dai frutti [ERESIE] li riconoscerete… !” (Matt. VII, 16)

Introitus

Ps XLVI:2.  Omnes gentes, pláudite mánibus: jubiláte Deo in voce exsultatiónis.[O popoli tutti, applaudite: lodate Iddio con voce di giubilo.]

Ps XLVI:3 Quóniam Dóminus excélsus, terríbilis: Rex magnus super omnem terram. [Poiché il Signore è l’Altissimo, il Terribile, il sommo Re, potente su tutta la terra.] Omnes gentes, pláudite mánibus: jubiláte Deo in voce exsultatiónis. [O popoli tutti, applaudite: lodate Iddio con voce di giubilo.]

Oratio

Orémus. Deus, cujus providéntia in sui dispositióne non fállitur: te súpplices exorámus; ut nóxia cuncta submóveas, et ómnia nobis profutúra concédas. [O Dio, la cui provvidenza non fallisce mai nelle sue disposizioni, Ti supplichiamo di allontanare da noi quanto ci nuoce, e di concederci quanto ci giova.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános. Rom 6:19-23

“Fratres: Humánum dico, propter infirmitátem carnis vestræ: sicut enim exhibuístis membra vestra servíre immundítiæ et iniquitáti ad iniquitátem, ita nunc exhibéte membra vestra servíre justítiæ in sanctificatiónem. Cum enim servi essétis peccáti, líberi fuístis justítiæ. Quem ergo fructum habuístis tunc in illis, in quibus nunc erubéscitis? Nam finis illórum mors est. Nunc vero liberáti a peccáto, servi autem facti Deo, habétis fructum vestrum in sanctificatiónem, finem vero vitam ætérnam. Stipéndia enim peccáti mors. Grátia autem Dei vita ætérna, in Christo Jesu, Dómino nostro”.

Omelia I

[Mons. Bonomelli, Omelie, vol III, omelia XV.Torino 1899]

Parlo da uomo, secondo la vostra naturale debolezza: siccome offriste le vostre membra a servire alla immondezza ed alla iniquità per la iniquità, così ora fate di offrirle alla giustizia per la santificazione. E invero, quando eravate servi del peccato, eravate franchi dalla giustizia. Ora qual frutto ricavaste da quelle opere, delle quali ora arrossite? Perché termine di quelle è la morte. Ma ora affrancati dal peccato e fatti servi di Dio, avete per vostro frutto la santificazione e per termine la vita eterna. Perché lo stipendio del peccato è morte; ma il dono di Dio è vita eterna in Cristo Gesù nostro Signore„ ( Ai Rom. VI, 19-23).

L’omelia, che tengo, come sapete, si riduce costantemente ad un commento del Vangelo o della Epistola della Domenica corrente. Questo metodo ha il vantaggio di seguire l’esempio dei Padri, di rispondere alla lettera ed spirito della prescrizione tridentina, di esporre l’insegnamento divino della Scrittura, ma non va immune da alcune difficoltà, delle quali la principale è questa: il testo del Vangelo o della Epistola, che si legge nella santa Messa, è tolto qua e là da uno dei quattro Vangeli e dalle Lettere apostoliche. Naturalmente staccato dagli antecedenti e dai conseguenti, raro è che presenti un tutto insieme, che stia da sé e si possa comprendere separatamente dal contesto, e ciò specialmente quanto alla Epistola. Se voi vedete un ramo tagliato dal suo albero, per giudicarne siete obbligati di guardare all’albero, dal quale fu tagliato. Così avviene a me nella spiegazione in particolar modo della Epistola; per conoscere debitamente il senso della parte, che riferisco, sono obbligato a vedere ciò che precede il testo, affine di seguire il filo del ragionamento e trovare il nesso che congiunge le parti. – Scopo dell’apostolo Paolo in questo capo sesto della lettera ai Romani è di mostrare che il battezzato ha l’obbligo di vivere una vita nuova, la vita di Cristo, rimovendo la vita dell’uomo vecchio, la vita del peccando. Svolgendo questa verità, S. Paolo si avvia ad una applicazione pratica bellissima, e dice che tutto quello che in noi servì di strumento alle passioni ed al peccato prima del battesimo, deve servire a strumento di virtù dopo il battesimo: come prima eravamo servi del peccato, cosi dopo dobbiamo essere servi della giustizia. E qui comincia il testo dell’Apostolo, che avete udito e che deve formare il soggetto della presente omelia. – “Parlo secondo uomo per la vostra naturale debolezza: perché siccome offriste le vostre membra a servire alla immondezza ed alla iniquità, così or fate di offrirle alla giustizia per la santificazione. „ Vi ho detto, che voi col battesimo siete diventati servi della giustizia: Servi facti estis justitiæ. Questa parola “servi”, soggiunge l’Apostolo quasi scusandosi, vi torna grave e quasi vi offende, perché l’essere servi importa l’aver perduto ciò che l’uomo ha di più alto e di più caro, la libertà; ma ho dovuto usare questa parola, non avendone altra a mano e che risponda alla cosa. Sono costretto a parlare così per la povertà del nostro linguaggio e per farmi intendere come meglio posso, e voi o Romani, non offendetevi della parola “servi” “Humanum dico, propter infìrmitatem carnis vestræ”. – Fors’anche questa frase Humanum dico, può significare: vi dico cosa piana affatto, naturale, facile ad intendersi. E qual è? Finché voi vivete nel peccato, seguendo le vostre passioni, voi foste servi delle stesse e portaste il loro giogo vergognoso. Le vostre membra furono strumento al peccato, gli occhi, le orecchie, la lingua, le mani, i piedi, tutto il vostro corpo, che altro fecero se non servire in mille modi al peccato? Voi, che disprezzate il servo e non volete essere servi di chicchessia, pure serviste ad ogni turpitudine, “Immunditiæ”, ad ogni iniquità in guisa di precipitare da iniquità in iniquità: Iniquitate in iniquitatem, ora non dovete aver vergogna d’essere servi della giustizia, della virtù, affine di santificarvi. Udite il commento che questa sentenza ci lasciò un Padre della Chiesa: “Con queste parole San Paolo vuole che i suoi lettori arrossiscano di se stessi, affinché facciano per la virtù quello che prima fecero pel vizio, quasi dicesse: prima i vostri piedi correvano al delitto, ora corrano alla virtù; prima le vostre mani si allungavano per rapire l’altrui, ora si stendano per largheggiare del vostro; prima i vostri occhi si volgevano intorno per bramare d’avere l’altrui, ora si volgano intorno per soccorrere i poverelli, e quel servizio che ciascun membro del vostro corpo prestò ai vizi, ora lo renda alle virtù, e se un tempo corse dietro a sozzi piaceri, ora batta le vie della castità e della santità. „ Vi torna amara questa parola” servi della giustizia, „ – “Servi facti estis justitiæ”; non la vorreste udire, perché vi sembra un oltraggio alla vostra dignità; ma ricordatevi di quel tempo, nel quale “eravate servi del peccato, ed eravate franchi, cioè liberi del giogo della giustizia: “Cum servi essetis peccati, lìberi fuistis justitiæ”. – Qui è necessario spiegare più largamente il pensiero dell’Apostolo. Vi è il bene, vi è il male; vi è la virtù, vi è il vizio; vi è la legge di Dio, vi è la legge del mondo e della carne: noi siamo posti tra la legge di Dio e la legge del mondo, tra il vizio e la virtù, tra il bene ed il male: dobbiamo necessariamente appigliarci all’uno od all’altro; lo starcene indifferente è impossibile e vorrebbe dire, se pure fosse possibile, che ci gettiamo dalla parte del male, del vizio e del mondo, perché chi non è con Cristo è contro di Lui. È dunque condizione assoluta dell’uomo il servire al bene od al male, al vizio od alla virtù, a Dio o al mondo; è la sua stessa natura, che l’obbliga a mettersi dall’una o dall’altra parte, a scegliere d’essere servo di Dio o del mondo, del peccato o della giustizia. Per quanto gli spiaccia questa parola servire, non è in poter suo sottrarsi a questa legge sovrana. Ora fino al giorno nel quale avete creduto a Cristo e avete ricevuto il battesimo, a chi avete voi servito? domanda l’Apostolo. Al peccato: Cum servi essetis peccato. Servendo al peccato, per fermo non servivate alla giustizia, eravate sciolti e franchi dal suo giogo: ora vi sembra, così argomenta l’Apostolo, che sia più degno dell’uomo servire al peccato od alla giustizia? Poiché vi è pur forza piegare il collo sotto il gioco dell’uno o dell’altra, chi non vede che è meglio servire alla giustizia che al peccato? – Strana e quasi incredibile contraddizione quella dell’uomo! Egli ha una tendenza innata, che gli fa considerare come nemico chiunque metta un limite alla sua indipendenza, e come un diritto sacro inalienabile quello di usare come meglio gli piace della sua libertà. Egli non vede che i suoi diritti e la sua libertà; di doveri e di dipendere non ama che gli si parli e volentieri li dimentica. Che cosa è la libertà debitamente intesa? È il potere di usare delle proprie forze, di fare o non fare certi atti, di non essere impedito nell’esercizio delle sue facoltà e de suoi diritti. Ora si può essa comprendere questa libertà dell’uomo senza il dovere di rispettare i diritti altrui, ossia la libertà altrui? Evidentemente, no. Intorno ad ogni uomo vi sono altri uomini, che hanno diritti eguali ai suoi, e vi sono libertà che limitano la sua, giacché dove comincia la libertà degli altri cessa la nostra. Al di sopra di lui vi è l’autorità civile e politica con le sue leggi: vi è la Chiesa con le sue leggi, e al di sopra della civile autorità e della Chiesa vi è Dio, il Padrone assoluto di tutti. In faccia ai diritti dei suoi simili, in faccia alle autorità umane, alla Chiesa, a Dio, che a tutti sovrasta, qual è il dovere d’ogni uomo? Che uso deve egli fare della sua libertà? L’uso ch’egli deve fare della sua libertà è quello di sottoporla a chi ha diritto d’averla a sè sottoposta. Allora essa è al suo posto, usa debitamente delle sue forze e con l’adempimento esatto dei suoi doveri si mostra rispettosa pei diritti altrui ed è vera libertà. – Come sarei felice se potessi farvi comprende che la libertà vera sta riposta, non già nel fare ciò che a noi piace, sia bene, sia male, ma solamente nell’adempire i nostri doveri e fare il bene, che solo veramente ci giova! L’occhio per vedere deve dipendere dalla luce, i polmoni per respirare devono dipendere dall’aria, il sangue per fare il suo giro deve dipendere dal cuore e così via via dite di tutte le membra del corpo, ciascuna delle quali più o meno dipende dalle altre. Oltre che direste voi se col pretesto di voler piena libertà l’occhio respingesse la luce, i polmoni non volessero aver che fare coll’aria, il sangue rigettasse ogni dipendenza dal cuore ed ogni membro rifiutasse sottostare all’altro e volesse fare da sé? Avremmo il disordine più perfetto e la morte. È la dovuta dipendenza quella che crea e mantiene la libertà di ciascun membro del nostro corpo: così la legittima dipendenza, o in altre parole l’adempimento perfetto dei nostri doveri verso i nostri simili, verso tutte le autorità e sovra tutto verso Dio quello che ci dà ed assicura la nostra vera libertà, e in questo senso Cristo disse, che chi commette il peccato è schiavo del peccato, e quegli è libero chi è liberato da lui. Dunque, o cari, non confondiamo le cose, non diamo il santo nome di libertà alla schiavitù, né col brutto nome nome di schiavitù vogliamo designare la vera libertà. Schiavo è colui che ubbidisce alle passioni, che serve al peccato; libero invece è quegli che frena le passioni, caccia da sé il peccato e serve alla giustizia ed alla virtù, perché l’uomo di sua natura è fatto per servire alla virtù e non per servire al peccato. – Vi è un figliuolo: egli rifiuta di ubbidire ai suoi genitori ed ubbidisce ad un servo, al quale deve comandare, vantandosi d’essere libero di così fare. Direte voi che questo figliuolo è veramente libero? Voi direte che è libero il figliuolo che ubbidisce ai suoi genitori e comanda al suo servo, perché così vuole la giustizia e l’ordine. Similmente noi diremo che chi respinge il giogo del peccato e serve a Dio, suo Padre, e a cui servire è regnare, è veramente libero. Deh! Carissimi cessiamo dal chiamare luce le tenebre e le tenebre luce, libertà la schiavitù e la schiavitù libertà. Siamo servi della giustizia, servi di Dio, e saremo liberi dal peccato e franchi dal mondo. Forse non mai nel corso dei secoli si parlò tanto di libertà come ai nostri tempi e forse non mai se n’ebbe un’idea sì confusa e sì falsa. Quanti al giorno d’oggi credono ci sia libertà vera fare ciò che piace, sia bene sia male! Quanti che vogliono per sé la libertà più sconfinata, non badando che questa importa la violazione dell’altrui libertà! Siffatta libertà metterebbe il mondo sossopra e produrrebbe la più brutta schiavitù. Ricordatelo bene: la libertà vera secondo la ragione e secondo il Vangelo, è rispettare e osservare le leggi di Dio, della Chiesa e di tutte le autorità anche civili: libertà vera è adempiere ciascuno i propri doveri, rispettando i diritti degli altri. Voi, ne sono certo, vi atterrete a questa legge, e così sarete veramente liberi. – Seguitando ora il nostro commento, vedete come l’Apostolo rincalzi a meraviglia la verità sopra accennata, vale a dire che dobbiamo essere servi della giustizia, e non del peccato. “Qual frutto aveste allora da quelle opere delle quali ora arrossite? „ Un tempo, così S. Paolo, prima di ricevere il battesimo, eravate servi del peccato, facevate le opere del peccato: ora, illuminati dalla verità, considerando quelle opere, non è vero che vi sentite salire sul volto la fiamma della vergogna? Non è vero che sentite tutta la vergogna di quel vituperoso servaggio? Ecco una prova indubitata che il servire al peccato non è libertà, ma servitù indegna, perché se fosse libertà non ne avremmo vergogna, anzi ne andremmo alteri. – Non solo il servire al peccato ci fa vergognare, continua l’Apostolo, ma vi è ben peggio: “Termine, ossia frutto delle opere del peccato è la morte, „ Finis illorurn mors est. Quale morte? La morte eterna! Bando adunque al servaggio del peccato, che dopo averci coperto di vergogna, spesso agli occhi del mondo, sempre a quelli della coscienza e di Dio, ci getta in braccio alla morte eterna. Bando al servaggio del peccato, che ci disonora ed uccide l’anima! – Che faremo dunque? “Sciolti o affrancati dal peccato e divenuti servi di Dio, avete per frutto la santificazione e per termine la vita eterna. „ In questo versetto S. Paolo ha condensato i doveri tutti dell’uomo nel tempo ed il suo destino nella eternità: romperla con le passioni e con il loro frutto, il peccato, santificarsi con l’esercizio della virtù e così toccare la meta ultima, il conseguimento della vita eterna: Finem vero vitam æternam. – Il versetto che segue, ultimo del capo e ultimo della nostra lezione è, possiam dire, la ripetizione di quello che abbiamo spiegato: “Perché lo stipendio del peccato è la morte; ma il dono di Dio è la vita eterna, in Cristo Gesù, nostro Signore.„ L a parola stipendio qui adoperata, è tolta dall’uso militare e per sé significa il soldo che si dava qual mercede al soldato. Sì, sembra gridare l’Apostolo: se voi servirete alle passioni, al peccato, e come soldati militerete sotto la sua bandiera, avrete anche dal peccato la mercede dovuta alla vostra miserabile milizia: il vostro stipendio sarà la morte eterna. Volgerete voi le spalle al peccato?” Correrete sotto la bandiera della giustizia e combatterete animosamente per essa? Il vostro stipendio, !a vostra mercede sarà il dono di Dio, che è la vita eterna: autem Dei, vita æterna, e questa la dovrete ai meriti di Gesù Cristo. – Questa sentenza di S. Paolo ci presenta una difficoltà, ed è questa: S. Paolo ci insegna ripetutamente in altri luoghi, che la vita eterna è corona dovuta a chi combatte e vince: è mercede dovuta a chi lavora e dovuta rigorosamente per giustizia: Gesù Cristo stesso ci dice di rallegrarci, perché grande ed abbondante è la mercede, che ci è riserbata in cielo; ora come sta che qui S. Paolo la chiama dono o grazia di Dio? Gratia autem Dei, vita æterna? Se è grazia, non è mercede: se è mercede non può essere grazia. Forsechè l’Apostolo bruttamente contraddice a se stesso? L’Apostolo certamente non può contraddire a se stesso, e la risposta non è difficile. La vita eterna è mercede di giustizia dovuta alle opere nostre: Dio non può negarla a chi opera rettamente. Ma come, con qual mezzo facciamo noi le opere meritevoli della vita eterna? Col mezzo della grazia che Dio ci ha data. E la grazia, la prima grazia, è essa nostra, o dono di Dio? La grazia, la prima grazia non è opera nostra, non la possiamo in alcun modo meritare, ed è dono della bontà divina. La vita eterna pertanto considerata nella sua radice, che è la grazia, è dono di Dio affatto gratuito: considerata nelle opere, frutto della grazia e della nostra corrispondenza alla medesima, è mercede: corona a noi dovuta. Volete comprendere questa verità con una similitudine comunissima, che tolgo dal Vangelo e precisamente dalla parabola dei talenti? Udite. Un ricco signore vi dà una grossa somma da trafficare a vostro talento. Che diritto avete voi a quella somma? Nessuno: essa è dono, ch’egli vi fa per sola sua bontà. Voi trafficate e fate con quella somma, mercé della vostra industria un grosso guadagno. Quel guadagno è frutto delle vostre fatiche e insieme del dono ricevuto da quel generoso signore, ed io potrei dire il vostro guadagno è dono del signore ed anche che è mercede delle vostre fatiche, perché l’una e l’altra cosa è egualmente vera: così è vero il dire, che il cielo è grazia e dono di Dio, ed è vero altresì, che è mercede e ricompensa delle nostre fatiche, perché per guadagnarlo è necessaria la grazia di Dio e necessaria l’opera nostra, e se l’uno o l’altra fa difetto, è impossibile ottenerlo.

Graduale Ps XXXIII:12; XXXIII:6

Veníte, fílii, audíte me: timórem Dómini docébo vos. – V. Accédite ad eum, et illuminámini: et fácies vestræ non confundéntur. [Venite, o figli, e ascoltatemi: vi insegnerò il timore di Dio. V. Accostatevi a Lui e sarete illuminati: e le vostre facce non saranno confuse.]

Alleluja

Allelúja, allelúja

Ps XLVI:2 Omnes gentes, pláudite mánibus: jubiláte Deo in voce exsultatiónis. Allelúja. [O popoli tutti, applaudite: lodate Iddio con voce di giubilo. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthaeum.

Matt VII:15-21 “In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Atténdite a falsis prophétis, qui véniunt ad vos in vestiméntis óvium, intrínsecus autem sunt lupi rapáces: a frúctibus eórum cognoscétis eos. Numquid cólligunt de spinis uvas, aut de tríbulis ficus ? Sic omnis arbor bona fructus bonos facit: mala autem arbor malos fructus facit. Non potest arbor bona malos fructus fácere: neque arbor mala bonos fructus fácere. Omnis arbor, quæ non facit fructum bonum, excidétur et in ignem mittétur. Igitur ex frúctibus eórum cognoscétis eos. Non omnis, qui dicit mihi, Dómine, Dómine, intrábit in regnum coelórum: sed qui facit voluntátem Patris mei, qui in cœlis est, ipse intrábit in regnum cœlórum.” [In quel tempo: Gesú disse ai suoi discepoli: Guardatevi dai falsi profeti, che vengono a voi sotto l’aspetto di pecore, ma che nell’intimo sono lupi rapaci: li riconoscerete dai loro frutti. Forse che alcuno raccoglie l’uva dalle spine o il fico dai rovi? Cosí ogni albero buono dà buoni frutti; mentre l’albero cattivo dà frutti cattivi. Non può l’albero buono produrre frutti cattivi, né l’albero cattivo produrre frutti buoni. Ogni albero che dà frutti cattivi sarà tagliato e gettato nel fuoco. Dunque, dai loro frutti li riconoscerete. Non chiunque mi dirà: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio, che è nei cieli, questi entrerà nel regno dei cieli.]

Omelia II

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. II -1851-]

Vang. di S. Matteo VII, 15-21

– Peccato castigo di sé medesimo –

 “Un albero malvagio, così Gesù Cristo nell’odierno Vangelo, un albero malvagio non può produr frutti buoni”: “Non potest …arbor mala bonos fructus facere”. E che si darà uomo così folle, che si lusinghi raccogliere da uno spino grappoli d’uva, ovvero fichi da’ triboli? Eh che uno spino non può produrre che spine pungenti, e un tribolo non può dare che triboli aspri e molesti. “Non potest arbor mala bonos fructus facere. E qual è quest’albero malvagio? Egli è il peccato; qualunque altro male o di animo o di corpo, o di sostanze non merita il nome di male. Solo il peccato, il peccato solo è l’unico e vero male, è quella pianta infelicemente feconda di tutti gli altri mali, è quell’albero pessimo velenoso che produce frutti a sé proporzionati, pessimi cioè, maligni, avvelenati. – Ad accennarli in compendio, come richiede la strettezza del tempo, basterà il dire che il peccato è pena e castigo di sé medesimo, o si consideri secondo la natural ragione, o si riguardi secondo Dio. Passo a dimostrarvelo, se mi seguite con attenzione cortese.

I . Il peccato è pena e castigo di sé medesimo considerato secondo la natural ragione. Che cosa è il peccato? Egli è una violazione della legge eterna, scritta nel nostro cuore da Dio Creatore, regola infallibile d’ogni nostro operare. Ora un’azione qualunque, opposta a questa legge è un vero disordine, e siccome cosa fuori del suo ordine, trovasi in istato di violenza, la violenza stessa deve portare sconcerto tanto nel fisico, quanto nel morale; sconcerto che non può seguire senza pena e dolore, come un osso fuor dal suo luogo che reca spasimi, finché non torni alla propria giuntura; onde quelle stesse opere malvagie, dice lo scrittore della Sapienza, alle quali si determina l’uomo peccatore, si convertono in suo danno e in suo tormento. “Per quæ peccat quis, per hæc et torquetur” [Sap. XI, 17). – Vediamolo in pratica. Un uomo dedito al vizio del vino, non è egli vero che tosto perde la stima e la reputazione, che diviene l’obbrobrio del paese, e la favola delle conversazioni? Non è un castigo, per uno smodato e vile piacere di gola, restar privo dell’uso di ragione, rovinarsi la sanità, ed abbreviarsi la vita? Gli antichi Spartani, sebbene idolatri, avevano in sommo orrore questo vizio; onde per allontanarne i loro figliuoli, facevano a bella posta divenir ubriaco un loro schiavo; indi convocati i figli: mirate, dicevano, a che si riduce un uomo posseduto dal vino, come parla a sproposito, come va barcollando: ohimè! dà del capo or in questa, or in quella parete. Ahimè! Che cade stramazzone per terra, e sbalordito vomita un lago di caldo vino fetente. Ecco, o figli, i tristi effetti del vino e dell’ubriachezza; abbominate, o cari, vizio tanto vituperoso e dannevole. – Con più ragione dunque possiamo dire noi cristiani che questo peccato è un vero e palpabile castigò di sé medesimo: “Per quæ peccat quis, per hæc et torquetur”. Che diremo poi del vizio del giuoco, di quel giuoco che forma l’occupazione de’ giorni anche festivi, prolungati sovente a notte avanzata? Di quel giuoco in cui si arrischia tutto il guadagno della settimana? Quante spine produce mai quest’albero maligno! Quanti rancori, risse, contrasti, collere, imprecazioni, bestemmie! Che notti inquiete senza chiuder occhi per un giocatore che ha perduto! Guai alla povera moglie, guai ai figli, al primo in cui s’incontra un giocatore disperato. A quanti giusti rimbrotti si espone per la sua crudeltà in togliere il pane di bocca ai suoi figlioletti per sacrificarlo alle carte e alla sua malnata passione! Quanti per giuoco passano da una buona fortuna alla mendicità; quanti, a finirla, morti allo spedale lasciano raminga e pezzente la propria famiglia! Non sono questi i meritati castighi, che si trae addosso il peccato del giuoco disordinato e vizioso? Così è: Per quæ peccat quis, per hæc et torquetur”. E di quel vizio, che l’apostolo neppur vorrebbe si nominasse, del vizio e della disonestà, così universale nel mondo, che dovrò io dire? Io non vorrei camminare in questo fango, non vorrei maneggiare questa pece. Mi basterà mostrarvi nella persona di Sansone, che non v’è forse altro vizio che più di questo formi la pena ed il tormento del vizioso. Sansone, giudice in Israele, terrore dei Filistei, onor di sua nazione, per la rea amicizia di Dalila donna venale, perde la riputazione, perde i capelli, perde la forza, perde gli occhi, perde finalmente la vita. – A tutte queste disavventure va incontro un impudico. Perdite d’onore, di sostanze, di sanità e della vita stessa, dacché non vi è peccato che più di questo acceleri la morte, e consumi la vita di chi n’è infetto, anche per fisiche cagioni. E ben lo sanno per dolorosa prova quei sciagurati, che ancor vivi, portano già le carni marce e infracidite. Qui sì che ci cade precisamente il detto del Savio: “Per quel che uno pecca, per quell’istesso vien tormentato:Per quæ peccat quis, per hæc et torquetur, peccato di carne, pena di carne. – Dite altrettanto d’ogni vizio. L’avaro è nemico di sé stesso, il superbo è da tutti aborrito, l’invidioso fa sangue cattivo, il ladro non ride sempre, il goloso si accorcia la vita. Insomma, siccome il ferro produce la sua ruggine, siccome il legno il suo tarlo, e il panno la sua tignola, così il peccato, anche secondo la natural ragione, genera la sua pena, e il suo castigo.

II. Che sarà poi quando alla ragione naturale si aggiunga la giustizia di Dio? È verità di fede che il peccato deve esser punito. Siccome l’ombra segue necessariamente il suo corpo, così la pena necessariamente segue il peccato. E perciò una delle due, o dobbiamo noi castigare in noi stessi la nostra colpa, e distruggerla con vero dolore di animo umiliato e contrito, o pure Iddio offeso troverà ben Egli modo da prendersi la giusta vendetta. Ve lo ripeto, è di fede, che il peccato deve essere punito o in questa, o nell’altra vita! La sentenza è data, e registrata nell’odierno Vangelo: “Omnis arbor quæ non facit fructum bonum excidetur, et in ignem mittetur”. Ogni albero che non fa frutti buoni “excidetur”, ecco la pena temporale, “et in ignem mitteturecco la pena eterna. La strada dunque non passa: o punire il peccato colla sincera contrizione del cuore, e con le opere di vera penitenza, o lo punirà Iddio colla sua giustizia. Se ne protesta Egli altamente (Ezech. VII, 9 ): “Scitis quia ego sum Domimis percutiens: si pœnitentiam omnes simul peribitis(Luc. XIII, 13). Suppongo qui che forse alcun di voi vada dicendo in cuor suo: Io ho peccato, continuo a peccare e me ne vanto talora nelle brigate degli amici pari miei, e pure vivo tranquillo, e non me ne è venuto alcun male : “Ne dixeris, Peccavi, et quid mifi accidit triste? [Eccl. V, 4]. Rispondo: quando si dice che il peccato chiama il castigo, non si asserisce che sarà castigato sull’istante: la pena non sempre scarica in sul momento sopra il peccatore. Non vi lasciate più passare nel pensiero, o uscir di bocca: io ho peccato e pecco, e non me n’è avvenuto alcun male. “Ne dixeris, peccavi, et quid mihi accidit triste?”. Ve ne avvisa lo Spirito Santo; perciocché l’Altissimo Iddio è un paziente distributore, “Altissimus enim est patiens redditur” [Eccl. ut supra]. Dio è paziente, dice S. Agostino, perché è onnipotente. Paziente, soggiunge S. Pietro (Ep. II, 3, 9), perché abbiate tempo a ravvedervi, perché vi aspetta a penitenza, perché vi vuol salvi; ma se voi abusate di sua sofferenza, il giorno di Dio destinato alla vostra punizione potrà tardare qualche tempo; ma un po’ più presto, un po’ più tardi vi coglierà, quando meno il pensate: “adveniunt autem dies Domini ut fur” (ibidem, v. 10). – Osservate i sempre giusti ed inscrutabili giudizi di Dio in ritardare o in accelerare i meritati castighi. Cento venti anni tardò il castigo di tempi di Noè minacciato agli uomini carnali: venne poi, e sommerse in un universale diluvio il mondo intero. – Venti anni stette nascosto ed impunito l’attentato dei fratelli di Giuseppe da essi venduto in ischiavo: ma in fine la tribolazione, la prigionia e lo spavento di peggiori sciagure tolse loro di bocca la confessione, che il sangue del tradito fratello chiamava sopra di loro la meritata vendetta. – Tre anni Acab godé in pace la vigna usurpata a Nabot, e poi ferito a morte sparse nella stessa vigna l’ultimo sangue. – Un anno Davide riposò tranquillo nel suo peccato, ma dopo con la morte di due figli, con la ribellione di un terzo figlio, con mille altri infortuni provò quant’era pesante la mano di Dio vendicatore. – Poche ore passarono dalla calunniosa sentenza data dai sordidi vecchioni contro la casta Susanna, ad essere sepolti, a furor di popolo sotto una tempesta di pietre. – Un istante, in cui Anania e Saffira confermarono una solenne bugia, bastò per farli cader morti ai piedi di S. Pietro. – Or qui, miei cari, se siamo persuasi che peccato e castigo siano due cose inseparabili, se io e voi che mi ascoltate siamo peccatori, come in tutta verità dobbiamo confessare, che faremo per evitare l’ira di Dio armata a scaricarci sul capo i colpi di sua mano tremenda? Quale scudo al riparo, o qual via alla fuga? È questa l’interrogazione che in riva al Giordano faceva il Battista alle turbe ebree venute ad ascoltarlo. “Razza di vipere, gridava egli altamente, chi vi mostrerà il modo da fuggire la divina iracondia, che si va preparando a farvene sentire i più funesti effetti? “Genimina viperarum, quis ostendit vobis fugere a ventura ira (Luc. III, 7). – Ecco ch’io vel suggerisco e vel predico: fate frutti degni di penitenza “Facite fructus dignos pænitentiæ” (Luc. V, 3). Badate bene al mio avviso. Voi siete alberi malvagi, che non producono alcun buon frutto, e perciò la scure è già vicino alla radice che vi minaccia il taglio: e la condanna al fuoco: “Jam securis ad radicem; omnis arbor non faciens fructum bonzi excidetur, et in ignem mittetur(Ibid. v. 2). – Altrettanto inculco a voi, fedeli miei dilettissimi: volete fuggire l’ira di Dio che vi sovrasta? Fate frutti, e frutti degni di penitenza. La vera e degna penitenza comincia dallo spirito contristato per l’orrore della colpa, e del cuore umiliato e contrito, ch’è quel sacrificio tanto a Dio accettevole che placa il suo sdegno. A questa interiore penitenza fa d’uopo aggiungere l’opera di penitenza esteriore, l’osservanza dei comandati digiuni, l’adempimento dei propri doveri, la mortificazione dei sensi, la pazienza, la rassegnazione alla divina volontà nelle tribolazioni, le preghiere, le limosine, le pratiche infine di soda cristiana pietà. Così facendo non avremo a temere i divini flagelli: saremo alberi ricchi di buoni frutti, frutti di virtù di vita eterna, che Iddio ci conceda. 

Credo …

Offertorium

Orémus Dan III:40

“Sicut in holocáustis aríetum et taurórum, et sicut in mílibus agnórum pínguium: sic fiat sacrifícium nostrum in conspéctu tuo hódie, ut pláceat tibi: quia non est confúsio confidéntibus in te, Dómine”. [Il nostro sacrificio, o Signore, Ti torni oggi gradito come l’olocausto di arieti, di tori e di migliaia di pingui agnelli; perché non vi è confusione per quelli che confidano in Te.]

 

Secreta

Deus, qui legálium differéntiam hostiárum unius sacrifícii perfectione sanxísti: accipe sacrifícium a devótis tibi fámulis, et pari benedictióne, sicut múnera Abel, sanctífica; ut, quod sínguli obtulérunt ad majestátis tuæ honórem, cunctis profíciat ad salútem. [O Dio, che hai perfezionato i molti sacrifici dell’antica legge con l’istituzione del solo sacrificio, gradisci l’offerta dei tuoi servi devoti e benedicila non meno che i doni di Abele; affinché, ciò che i singoli offrono in tuo onore, a tutti giovi a salvezza.]

Communio Ps XXX:3. Inclína aurem tuam, accélera, ut erípias me. [Porgi a me il tuo orecchio, e affrettati a liberarmi.]

Postcommunio Orémus. Tua nos, Dómine, medicinális operátio, et a nostris perversitátibus cleménter expédiat, et ad ea, quæ sunt recta, perdúcat. [O Signore, l’opera medicinale (del tuo sacramento), ci liberi misericordiosamente dalle nostre perversità e ci conduca a tutto ciò che è retto.]

FATIMA FARO DI VITA

« Fatima non ha ancora detto al

Portogallo e al Mondo tutto il suo

segreto. Ma non sembra eccessivo

affermare, che quelle che ha già rivelato

il Portogallo, è indizio e pegno

di quello che riserba al Mondo ».

Cardinale-Patriarca di Lisbona

Era fresca l’eco dell’ultima apparizione della Vergine a Fatima quando l’insofferenza del giacobinismo ufficiale e ufficioso contro la « nascente superstizione di Fatima » cominciò a sfociare in aperte minacce e rappresaglie. Una notte, alta notte, i pacifici abitanti dei dintorni della « Cova da Iria » si svegliano impauriti alle grida di allarme: Fuoco! fuoco!… La Cova da Iria è in fiamme! Guardando in quella direzione, si vedeva salire al cielo, nitidamente tracciato nelle tenebre, un chiarore rossastro, come di grande incendio. Non v’era dubbio: i settari avevano eseguito le minacce, appiccando il fuoco a quanto nella Cova poteva essere pasto delle fiamme. – Gli uomini di « Moita » balzano in piedi, si armano di randelli e di quanto trovano alla mano, e decisi corrono alla riscossa… Ma nella Cova regnava pace assoluta e silenzio profondo, reso più solenne dai trilli degli usignoli, che sembravano salmeggiare il Mattutino nella placida notte. – Sarebbe dunque quel fuoco una meteora straordinaria, o più semplicemente… una illusione collettiva? Ma ecco che il fenomeno si ripete due, tre volte, a pochi giorni d’intervallo… No! non poteva essere giuoco di fantasie esaltate! Era una realtà, un segno del Cielo, un simbolo prefigurante l’avvenire. Quel « fattore invisibile, che furono le Apparizioni di Nostra Signora di Fatima », doveva manifestarsi luminosamente come un incendio, perché doveva essere Faro immenso per diffondere torrenti di luce e di calore vitale in un mondo, che si dibatteva nelle tenebre, sotto minaccia di morte.

* * *

Questa irruzione vivificatrice di grazia si inaugurò già al tempo delle Apparizioni. Erano mistici effluvi di soprannaturale, che si irradiavano dalla Cova da Iria, illuminando, attirando, conquistando le anime, trasformandosi in un doppio torrente di vita: vita fisica e vita morale. I primi a sentirne l’efficacia furono gli stessi confidenti della Madonna. La grazia operò in essi meraviglie. Menti semplici e cuori innocenti si lasciarono prendere, trasformare, sollevare in alto, sempre più in alto. Francesco e Giacinta furono trovati in breve tempo maturi per il Cielo. Bambini analfabeti, ma Francesco in uno scarso anno e mezzo, Giacinta in due anni e quattro mesi, avevano percorso una lunga via di santità, da toccarne le vette. La loro tomba è ora i n benedizione, mèta di devoti, mentre è già in corso il Processo Canonico per la loro beatificazione. Fatima si gloria di queste due fiaccole di vita, trapiantate nel cielo, valida testimonianza della bontà del suo Messaggio. E Lucia di Gesù… Lasciamo in pace la candida colomba, che, infastidita del mondo, se n’è volata al vertice del Carmelo, per nascondersi nella cavità della roccia, nel Cuore Immacolato di Maria, lontano, tanto più lontano dalla terra, quanto più alle porte del Cielo. Il segreto della sua vita è là ora, nel Monastero di S. Teresa a Coimbra (Portogallo), che ha il privilegio di averla fra le sue mura, sotto il nome di Suor Maria Lucia del Cuore Immacolato. Ha detto tutto quello che doveva dire al mondo, come messaggera di Maria. Può attendere quindi tranquilla alle sue ascensioni interiori, aspettando l’ora della promessa, che la ricongiungerà ai suoi due cari amici d’infanzia. – Il celeste richiamo di Fatima volava intanto per gli spazi; moltiplicando i suoi prodigi. Il suo influsso toccante e trasfigurante operò anzitutto nei paesi vicini, poi nei più lontani. In breve tempo tutto il Portogallo ne fu conquistato. Ed eccovi una immigrazione sui generis di popolo, un continuo accorrere dì moltitudini sempre più numerose verso la montagna santificata dalla presenza di Maria… Una gran parte, forse i più, a piedi scalzi e col Rosario in mano… non pochi con i piedi sanguinanti, dopo un percorso di cento, duecento e perfino quattrocento chilometri! Non ha forse la Madonna raccomandato preghiera e penitenza, quale frutto della propria conversione, e per la salvezza del mondo? E’ una marea montante che sale ogni anno, dai cinque ai dieci mila pellegrini nei mesi invernali, dai 150 ai 200 mila in maggio e ottobre; in occasioni eccezionali si sale ai 300.000 nella Incoronazione della Regina Mundi (13-5-46) e ad una marea di gente incalcolabile nella solenne Chiusura dell’Anno Santo mondiale (13 Ottobre 1951). E per tutti Fatima è Faro di vita, fisica o morale, o fisica e morale insieme. E’ incontestabile che qui si sono realizzati veri portenti, guarigioni complete e rapide, che le forze della natura sono incapaci di realizzare, e che la scienza umana non riesce a spiegare, e la parola miracolo è sulle labbra di tutti: del « popolo non meno che degli uomini di scienza, che più accuratamente hanno esaminato i fatti. Ancora una volta si dimostra che qui c’è il dito di Dio, e la devozione di Fatima è suggellata dal segno inconfondibile del suo potere ». Così l’Episcopato Portoghese in un solenne documento. – Il « suggello di Dio »! suggello che parla non soltanto all’anima, ma ai sensi, e perciò attira e conquista irresistibilmente. Ogni pellegrinaggio porta i suoi malati, dalle più svariate infermità; ed i registri del Santuario presentano una media annuale superiore a 1000; qualche volta di 1.500 o 1.600. Ma quanti non si fanno registrare! E quanti si associano ai pellegrini, in ispirito, dai loro letti di dolore!… tutti colla speranza di recuperare la salute, o almeno trovare sollievo nei loro mali; e se non questo, certamente la rassegnazione cristiana per portare fruttuosamente e santamente la croce! Quante volte il povero infermo, venuto a Fatima anelando disperatamente la salute miracolosa, arrivato qui si sente inondare l’anima da un soave torrente di rassegnazione cristiana, e finisce per domandare la guarigione per un altro malato, che ora gli ispira più compassione che non le proprie sofferenze!… E non sono questi pure miracoli di luce, di vita, di una vita migliore, più alta della salute miracolosa? Le grazie attribuite all’intercessione della Madonna di Fatima qui nel Santuario e fuori sono a migliaia. La sola « Voz da Fatima» ne ha registrate più di mille in venti anni (1922-42). Oggi sarebbe letteralmente impossibile farne una statistica relativamente completa. Ma non importa; perche non è questa la nota caratteristica di Fatima. « Fatima è stata e continua ad essere soprattutto un fuoco potentissimo di vita spirituale… « …Non sono le guarigioni portentose e le grazie temporali di varia specie qui ottenute i grandi miracoli dì Fatima ; questi avvengono nel dominio recondito delle anime, nell’ambito delle coscienze, nel recinto misterioso dove non penetra la sonda dell’osservazione né l’investigazione della scienza. – Chi assiste alle solennità dei grandi giorni di Fatima e vede tutte le classi della società portoghese confuse nelle acclamazioni alla Vergine e nell’adorazione a Gesù Sacramentato, chi ha modo di osservare le folle immense inginocchiate nella polvere e quante volte nel fango, ricevendo in umile atteggiamento il Pane dei forti, chi sorprende i singhiozzi di pentimento e le lacrime negli occhi di tanti che camminavano sperduti pei sentieri del vizio, o militavano ostinatamente nelle schiere dell’incredulità, chi contempla la commozione profonda, che s’impadronisce degli stessi indifferenti, dinanzi alle invocazioni dolenti e ardenti, che sgorgano da migliaia di petti, chi assiste in spirito allo sfilare delle moltitudini che in Portogallo e fuori del Portogallo portano in trionfo la bianca immagine della Vergine di Fatima e piegano le ginocchia con eguale ardore nella strada e nel tempio, e chi paragona tutto questo con la deplorevole decadenza a cui era scesa in Portogallo la vita religiosa,… ha l’impressione di trovarsi dinanzi a un mondo nuovo, e non può non riconoscere che un’onda potente di linfa divina e soprannaturale si è infiltrata nell’anima del popolo portoghese, si sono convertiti molti peccatori, si sono riconciliati con la vita molti che avevano perduto ogni speranza, hanno di nuovo imparata la strada della chiesa molti che l’avevano completamente dimenticata, si aprono alla preghiera umile e fiduciosa labbra che l’indifferenza aveva immobilizzato, benedicono il nome del Signore molti che ieri sacrilegamente lo bestemmiavano. In verità scorre nelle anime un fremito di vita più alta. Non è il caso di indagare il segreto delle anime. Ma la salute recuperata si può leggere nei numeri del termometro. Ed un termometro che indica sicuramente la vita delle anime, è la Mensa Eucaristica. A Fatima in ogni pellegrinaggio le Comunioni si contano a mogli aia: sono 20 o 30 mila, qualche volta 45 e 50 mila; nella chiusura dell’Anno Santo circa 160.000. – La media annuale nel quadriennio 1930-1933 fu di 97.550: nel quadriennio immediato saliva a più di 130.500: negli ultimi anni oscilla intorno alle 250.000. l’Anno Santo fu straordinario con le sue 400.000 Comunioni. E se fosse contare le Comunioni generali che nei giorni di pellegrinaggio nazionale si fanno in tante parrocchie del paese in unione coi pellegrini di Fatima?! Un altro termometro in numeri più piccoli parla ancora più alto; perché indica le forze vive che si vanno creando a Fatima, decise a rivivere esse stesse e a propagare la vita intorno a sé . tale è l’opera dei Ritiri chiusi, inaugurata a Fatima nel 1930 con 200 esercizianti; poco dopo superava i 1000; oggi ne conta 2500 all’anno. Fra essi il ptimo posto è riservato all’Episcopato. Vi convengono poi a turno sacerdoti, Medici, Avvocati, Professori, Studenti universitari, Dirigenti dell’A. C. , Membri di terz’ordini, madri e sorelle di sacerdoti, operai … Anche l’Azione Cattolica si è organizzata sotto la protezione della Madonna di Fatima, non chè le truppe ausiliarie della medesima, i 500.000 crociati di Fatima. – Con tutte queste forze vive, sotto il comando della “Vincitrice di tutte le battaglie di Dio” , come non realizzare miracoli? Ed il grande miracolo si è avverato: il profondo cambiamento avvenuto nel Portogallo, non soltanto politico, ma soprattutto morale e religioso. « Chi avesse chiuso gli occhi trent’anni fa e oggi li riaprisse, non riconoscerebbe più il Portogallo ». – Allora uno dei corifei della rivoluzione del 1910 poteva gloriarsi in piena assemblea della Massoneria, di avere vibrato il colpo di grazia al Cattolicesimo nel Portagallo, con l’iniqua « Legge di Separazione fra la Chiesa e lo Stato ». In due generazioni non ve ne sarebbe rimasto neppure vestigio… In rinforzo poi della satanica bravata vennero lunghi anni di persecuzione, bando agli Ordini religiosi, i Vescovi esiliati dalle loro Sedi o incarcerati, i Sacerdoti perseguitati a segno, i Seminari fatti caserme, proibito il catechismo e l’insegnamento religioso, le chiese — più di 40 nella sola capitale — profanate e bruciate, o convertite ad usi profani; e tutto il resto che narra la storia e quello che essa non ardisce narrare… – Trenta, quaranta anni dopo. E’ in piena attività la seconda generazione. Stracciata l’infame Legge di separazione, il Portogallo stringe con la Santa Sede un Concordato quasi modello e lo Accordo Missionario. Lisbona, la rocca forte del laicismo, riceve trionfalmente i Legati del Papa. Le più alte Autorità della Nazione non temono affermare pubblicamente la loro fede; mentre la vita cattolica va rifiorendo dappertutto in una immensa primavera di bene, che permette concepire le più ridenti speranze. « Il Portogallo ha ritrovato le sue antiche tradizioni di Nazione crociata : fedelmente cattolica e missionaria ». – Un simbolo, segno dei tempi. La Guardia Repubblicana, che una volta perseguitava a colpi di sciabola e arrestava i pellegrini di Fatima, oggi in alta tenuta è passata in rivista dal Vicario di Cristo nella persona dei suoi Legati, e si fa vanto non soltanto di montare la guardia d’onore alla Madonna di Fatima, ma di portarla a spalla attraverso un oceano di popolo plaudente. Simbolo quanto mai significativo della nuova vita che si irradia da FATIMA, faro di vita. Un giorno S. S. PIO XII, salendo in ispirito la montagna di Fatima, vedeva la Cova da Iria trasformata in « sorgente perenne di grazie e di « prodigi fisici, e molto più di miracoli morali che a torrenti di qua si riversano su tutto il Portogallo, e poi irrompendo le frontiere invadono tutta la Chiesa e tutto il mondo » (Radio-messaggio del 13-5-46). Fin dalle apparizioni dell’Angelo, e più da quelle della Madonna, con le allusioni trasparenti all’ateismo militante, al comunismo irruente ed iconoclasta, al materialismo ed all’immoralità dilaganti, e poi alle guerre mondiali, castigo di Dio per tante iniquità, il Cielo faceva vedere chiaramente che, se Fatima sorgeva nel Portogallo, era però destinata al mondo. Infatti appena stabilitone solidamente il culto, con il riconoscimento implicito dell’Autorità ecclesiastica (erezione della basilica, maggio 1928), e più con l’approvazione ufficiale (13 ottobre 1930), la devozione alla Madonna di Fatima irradiò largamente al di là delle frontiere del Portogallo, portando dovunque gli stessi frutti di benedizione. Fu però il giubileo delle Apparizioni, coll’intervento solenne del Vicario di Cristo, e la Consacrazione del mondo all’Immacolato Cuore di Maria (31-10-42), che diedero al Faro di Fatima una potenza illuminatrice e vivificatrice di milioni di chilowatt, registrati nei contatori di Dio. – « Dalle più lontane e recondite plaghe dell’Universo. dall’America, dall’Oceania, dalla Cina. dall’India, finanche dalla Russia martoriata arrivano a Fatima offerte, domande di preghiere, ringraziamenti, in una parola, dimostrazioni di confidenza e d’interesse, omaggi a Nostra Signora di Fatima. E’ incontestabile che Nostra Signora di Fatima ha conquistato il Portogallo e va conquistando il mondo ». Così scrivevano allora i Vescovi. – Oggi, passati dieci anni, chi potrebbe semplicemente elencare le chiese, cappelle, oratori, altari in suo onore eretti e venerati nelle cinque parti del mondo, nonché gli Istituti, Parrocchie, Diocesi, Missioni… a Lei intitolate e poste sotto la sua protezione? Si contino, per esempio, le centinaia di statue portate per essere benedette nel Santuario, e di là partite in tutte le direzioni per tutte le latitudini del globo. O si pensi a quel devoto de la Virgen de Fatima » , che a Madrid si diede a diffonderne la devozione, distribuendo immagini a prezzi minimi e spesso gratis: da quella improvvisata officina sono uscite in pochi anni, fra piccole e grandi, ben 3.000 statue dirette alla Spagna, all’India, all’America… – La devozione alla Madonna di Fatima ha preso la forma di una inondazione, serena ma grandiosa, come la piena del Nilo, che, superati i margini, allaga e feconda fino all’orlo estremo tutta la pianura coltivabile…, qui però la pianura è tutta la Chiesa di Dio! . .. Ma il Cuore Immacolato della Vergine Madre non si contenta di questa inondazione serena, per quanto rapida e progressiva. Appena incoronata REGINA MUNDI, ispira l’idea del Pellegrinaggio Mondiale, in circostanze tanto singolari, che è impossibile non riconoscervi un chiaro segno della volontà divina. Ed il Pellegrinaggio è, Come dire?, un violento nubifragio, che percorre l’orbe, travolgendo e trascinando tutto al suo passaggio. La prima tappa, Lisbona; e Lisbona per quattro giorni e quattro notti è ai piedi della Madonna « nella più stupenda e più impressionante manifestazione di fede di tutta la storia del Portogallo ». Poi percorre le provincie più abbandonate, dove fin dal 1910 tante città non avevano visto né voluto vedere l’ombra di un Sacerdote. Si moltiplicano i prodigi … Ma il grande miracolo è la trasformazione quasi repentina di tante migliaia di quei neo-pagani in cristiani ferventi. La Vergine Pellegrina entra in Ispagna da un arco trionfale in cui si legge il distico: « Spagna ai Tuoi piedi ». E il distico si verifica alla lettera. Piovono grazie e miracoli temporali; diluviano gli spirituali. Madrid in un sol giorno vede ben quindici miracoli! Ma allo stesso tempo, tutte le parrocchie, specialmente le periferiche, dove più abbondano gli elementi comunisti, subiscono una vera rivoluzione spirituale. Non vi è una sola che, alla vista notturna della Madre SS.ma, non conti alla Mensa Eucaristica 20 o 30 mila persone, il quaranta per cento delle quali da dieci e più anni non erano entrati mai in Chiesa. In Belgio: chi direbbe, per esempio, che Charleroi è in pieno pays rouge, vedendo che le chiese non bastano a contenere le moltitudini, e che le piazze si trasformano in chiese ed i banchi degli stabilimenti in balaustrata per la Comunione? Il Lussemburgo, paese di 250.000 anime, per tre giorni è tutta una fiamma di amore alla Vergine di Fatima e a Gesù Sacramentato: 100 mila Comunioni! In Olanda, ultima tappa del viaggio i n Europa, « se il Congresso di Maastricht fu una manifestazione grandiosa, il vero spirito di fede e di pietà glielo diede la Vergine Pellegrina », affermava l’ecc.mo Presidente. In Africa i vecchi Missionari piangono a calde lacrime vedendo la commozione delle anime; il passaggio della celeste Regina « è per loro il più bel giorno della vita »; e poi i catecumeni si moltiplicano, si fondano nuove Missioni. Nella grande India, nel Pakistan la Madonna passa spargendo generosamente favori a cristiani e non cristiani. La commozione delle folle è tale, che i Vescovi meravigliati si domandano se è sogno di leggenda orientale, o realtà vera, lo spettacolo che dappertutto si rinnova sotto i loro occhi… Nel Ceylon per qualche giorno si ha l’impressione che la grande isola sia diventata ad un tratto cristiana. Un Arcivescovo osserva: « Quello che il Figlio non ha fatto durante i secoli, la Madre lo ha fatto in pochi giorni »! Così pure nell’Indocina, in Australia, nelle Isole del Pacifico; così in America, dal Canada e Stati Uniti alla Colombia ed al Cile… Ed ora in Brasile: Fortaleza, Rio, S. Paulo, Nova Friburgo, Belo Horizonte, e cento altre città… ognuna protesta che il trionfo della Vergine Pellegrina è stato, da loro, il più grande, il più sentito, il più stupendo che mai si sia visto in Brasile: manifestazioni gigantesche di fede e pietà, conversioni, tante comunioni, e più che nei Congressi Eucaristici! . .. Il torrente avanzando cresce, trascina, vivifica; luce viva delle menti, vita dei cuori! Ma la grande meraviglia inedita di questo Pellegrinaggio di meraviglie è l’intervento di protestanti, di scismatici, di buddisti, di pagani, di mussulmani, che i n Africa, Asia, America, accorrono, spesso i n numero superiore a quello dei cattolici, e con essi fanno a gara nell’onorare la REGINA MUNDI, che passa sorridente e benedicente. S.S. PIO XII lo sottolineava nel suo augusto Messaggio de1 13 ottobre 1951 « La Regina degli Angeli uscendo… da cotesto Santuario di Fatima, dove il Cielo ci ha concesso di incoronarla REGINA MUNDI, percorre in visita giubilare tutti i suoi domini. E al suo passaggio, in America come in Europa, in Africa ed in India, nell’Indonesia e nell’Australia si moltiplicano le meraviglie della grazia per forma tale, che a stento possiamo credere a quanto pure vedono gli occhi. Non sono a soltanto i figli della Chiesa ubbidienti e buoni che diventano più ferventi, sono i prodighi che vinti dalla nostalgia delle carezze materne, ritornano alla casa del Padre; sono ancora (chi mai potrebbe immaginarlo?) in paesi dove ha appena incominciato a risplendere la luce del Vangelo, tanti avvolti nelle tenebre dell’errore, i quali a gara coi fedeli di Cristo, aspettano la Sua visita, La ricevono ed acclamano con delirio, La venerano, La invocano, ne ottengono grazie segnalate. Sotto lo sguardo materno della celeste Pellegrina… tutti per quache momento si sentono felici di essere fratelli. Spettacolo singolare e singolarmente impressionante, che ci fa concepire le più belle speranze!». – Qui viene spontanea una domanda: la REGINA MUNDI non avrà voluto forse prendere il titolo di FATIMA, per aprire una breccia nella fortezza inaccessibile dell’Islamismo?… Il nome di Fatima è un richiamo per i Musulmani. Esso ricorda un’antica leggenda, il nome di una nobile damigella musulmana del sec. XII, figlia di Vali Alcàcer, fatta prigioniera in uno scontro tra cavalieri portoghesi e musulmani, e richiesta in isposa dal condottiero dei portoghesi, Don Gongalo Hermingues. Fatima, che aveva aderito alla proposta, si fece anche cattolica, ma morì dopo pochi anni, con immenso dolore del suo sposo, che a conforto del suo schianto entrò tra i monaci di S. Bernardo nella Badia di Alcobaga a trenta chilometri da Ourém, nome imposto alla cittadina d’Abdegas, dal nome di Battesimo di Fatima, Oureana. Per interessamento dell’Abate del Monastero le spoglie di Fatima furono trasportate in un paesello, a sei chilometri da Ourém, dove l’Abate aveva fatto costruire in onore della Madonna una chiesa e un piccolo convento. Da quel tempo il paesello fu chiamato Fatima. Mons. Fulton J. Sheen, ricordando questa leggenda, si pone la stessa domanda: «Chissà che la Madonna non abbia voluto forse farsi conoscere col nome di Nostra Signora di Fatima, per offrire un segno di predilezione e di speranza ai Musulmani, e quasi un’assicurazione che essi, per il grande rispetto che hanno verso di Lei, accetteranno un giorno il suo Divin Figlio? » ( La Madonna di Fatima o i Musulmani nel pensiero di S. E. Mons. Fulton J. Sheen, in Selezione Missionaria, 1 (1933) p. 153.) . – Le non poche conversioni in atto dall’Islam al Cattolicesimo, al passaggio della Vergine di Fatima, sono un confortante saggio. Ma conforta ancora il pensiero che tutto il mondo missionario è in prodigioso risveglio. La Vergine di Fatima vuole accelerare i tempi, scendendo Lei stessa in aiuto sensibile dei pionieri dell’espansione evangelica. Il « faro di vita », acceso per il mondo in questa piccola località di Fatima, affretta le vie di Roma.

Can. AMILCAR MARTINS FONTES

Rettore del Santuario di Fatima