LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (9)

LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (9)

LA GRAN BESTIA SVELATA AI GIOVANI

dal Padre F. MARTINENGO (Prete delle Missioni

SESTA EDIZIONE – TORINO I88O

Tip. E Libr. SALESIANA

XVII.

VÆ SOLI.

Dunque siamo intesi. Primo mezzo a vincer la bestia e farvi uomini, in cominciar subito, incominciar fin d’ora nelle vostre case, nella famiglia, nelle scuole, nei convitti, ovunque vi accada trovarvi. Se non cominciate fin d’ora probabilmente non ne farete più nulla. Badatevi! dalla vostra condotta presente può dipendere il diventar liberi o schiavi per tutta la vita. – Un secondo mezzo ve l’ha accennato quel bravo studente, di cui or ora vi ho riferite le parole. L’uomo, e più il giovine, non ha a star solo; lo disse Dio: Non est bonum hominem esse solum; e væ soli! ci dice la Sapienza, quia si ceciderit non habet sublevantem se. Guai a chi è solo! se cade chi aiuterà ad alzarsi? Finché il giovinetto sta in famiglia, della compagnia ne ha d’avanzo; ma lontano da essa ha bisogno di qualche amico, che l’aiuti, il consoli, lo sorregga. Voi dunque, se vi toccherà vivere lontano da’ cari vostri, fate come quel buon giovane; prima di tutto non v’affidate a chi ben non conoscete; ma volgete gli occhi in intorno a voi, esaminate quali giovani vi paiano più ingenui, più rispettosi, meglio educati; pesatene le parole, osservatene la condotta, e se un ne trovate di cui il cuore, dopo sì lungo esame, vi dica: egli è un giovine per bene, un cuor d’oro, un angelo; gettatevi pure nelle sue braccia. Uniti l’uno all’altro in santa e dolce amicizia, percorrerete animosi e senza intoppo la via della virtù, v’aiuterete l’un l’altro a farvi uomini davvero. – Studiava non ha molti anni all’università di Parigi un giovane figlio d’ottimi genitori lionesi; il quale, volendo serbar intatto nel cuor suo il tesoro della fede e della pietà, e pur vedendosi stretto intorno da centinaia di giovani increduli e scostumati, che il tacciavano d’inetto e dappoco perché mostravansi Cristiano, raccozzò tra’ compagni sette giovani di sicura virtù e disse loro: — Voi vedete come costoro; in odio alla fede che professiamo, bertano, trattandoci da inoperosi ed imbecilli. Or bene, mentr’essi bestemmiano e si corrompono nel vizio, e noi santifichiamoci coll’esercizio della carità. Parmi il mezzo più acconcio a chiuder loro la bocca, e confermare vieppiù noi stessi nella fede. — Il giovane che così parlava era Federico Ozanam, che non tardò ad empire la Francia del suo nome, delle sue buone opere, de’ suoi scritti; e que’ sette compagni divennero la società di s. Vincenzo de’ Paoli, che dopo appena vent’anni da quegli umili principii, cresciuta e sparsa in ogni parte del mondo civile, nella sola Parigi contava già due mila giovani associati, e soccorreva cinque mila povere famiglie del popolo. – Io v’auguro, o cari giovani, che imitiate Federico Ozanam, e v’esorto quanto so e posso, a studiarne la vita, dalla quale potrete apparare assai bene l’arte di farvi uomini qual desiderate. Soprattutto poi vi raccomando di seguirne il consiglio, d’aggregarvi alla società ch’egli ha fondata. E non badate, che il mondo ne svilisca i giovani generosi col nome di Paolotti, e li tacci di non so qual mene politiche. Menzogna! La politica di questi giovani è qual la definiva fin da principio il loro fondatore: — rispondere alle vane ciance degli increduli con le opere della carità, e coll’esercizio di sì bella virtù rinvigorire il sentimento della fede. — E invero, se basta a volte un solo amico a rinvigorire fra gli assalti del mondo maligno la giovanile fiacchezza, che conforto non Vorrà essere ai vostri cuori quel vedervi associati a centinaia di giovani pari vostri, viventi di fede, ardenti di carità! – Ma se compagni ed amici cosìfatti, stretti con voi in unione di cari fratelli, varranno a mirabilmente rinfrancarvi nel bene, sentirete pure, presto o tardi, il bisogno d’un amico di diversa specie, d’un uomo di senno e d’autorità, che adempiendo verso di voi l’ufficio di padre, vi consigli, vi illumini, vi guidi fra mezzo alle difficoltà ed all’incertezze della vita. Questo è quell’amico di cui ci dice lo Spirito Santo: — Amicus fidelis protectio forti; medicamentum vitæ et immortalitatis… qui invenit illum invenit thesaurum. – Quest’amico lo trovò quel buon Tobiuzzo, di cui ci narra la sacra storia, che in procinto di avviarsi, mandato dal padre, ad un paese lontano, s’abbatté in un bel giovane splendente in volto di grazia e maestà, succinto nelle vesti, con in mano il bastone in atto di far viaggi. To biuzzo l’interroga, lo prega, e l’altro cortese risponde e s’offre a fargli da scorta. Partono: Tobia sen va sicuro al suo fianco, ne ammira la sapienza, ne ascolta i consigli, cessa la noia, tempera la stanchezza, sfugge ai pericoli della via, e sen torna ricco e fortunato a consolare il vecchio padre del don della vista, che da più anni aveva perduto. Che meraviglia? La guida ch’egli avea scelta era, nascosto sotto umano sembiante, l’Angelo di Dio. – Ora anche voi, miei buoni giovani, avete a intraprendere un lungo pellegrinaggio. Inesperti qual siete della via e de’ suoi molti pericoli, non v’affidate al vostro povero senno. Sceglietevi anche voi un buon Angelo, che in nome del cielo vi accompagni; a lui aprite tutto il cuor vostro, a lui ricorrete ne’ dubbi, nelle ansietà, negli affanni della vita; ascoltatene docilmente e mettetene in opera i consigli, ed egli sarà veramente per voi ciò che dice la Scrittura: un forte e fedel protettore della vostra giovanile debolezza: un farmaco soave ai mali e alle tristezze della vita, e da ultimo una scorta sicura, che dopo avervi confortato a rendervi uomini veri e veri Cristiani, vi aprirà le porte della beata immortalità.

XVIII.

CARATTERE.

Pazientate, sopportatemi ancora un poco, o cari giovani. A francarvi dalla servitù dell’umano rispetto, ho ancora un mezzo a suggerirvi, ed è che attendiate con ogni sforzo a formarvi un carattere franco e sincero. Lungi da voi ogni dissimulazione, ogni finzione ed inganno Quel che avete in cuore non arrossite mostrarlo alle parole, ai fatti. La fronte non si abbassa, non arrossisce che per vergogna, e vergogna non deve aversi che del male. Già ve l’ho detto e ora vel ripeto, portate la fronte alta, parlate chiaro, guardate la gente in faccia. Non potete credere quanto un far libero e franco svilisca i tristi. – Alla franchezza unite il buon umore e la cordialità; vogliate bene a tutti e mostratelo alle parole e ai fatti. Se vi dà l’occasione di rendere altrui servizio, fatelo di buona grazia, anche a costo d’incomodarvi, fatelo anche per coloro che d’opinioni e di condotta vi fossero avversi: ma s’ei tentassero la vostra fede o la vostra virtù, fate lor vedere che non vi fanno paura. San Francesco di Sales era all’università di Bologna il più compito cavaliere e il più cordiale giovane di questo mondo. Assalito una sera a tradimento da una man di giovinastri, che ne insidiavano il pudore, voltò ardito la fronte, trasse la spada, li sgominò, li mise in fuga…. D’ allora in poi più non s’ardirono tentarlo. – Se l’indole vostra v’inclina al frizzo pensate che l’attitudine a far ridere è un dono pericoloso; servitevene rado e a tempo, più per difesa che per offesa. E anche quando fosse a vostra difesa, ricordatevi, che altro è vellicare e pungere a fior di pelle, altro è lacerare e far sangue. Chi così morde, foss’anche a ragione, si accatta odio e malevoglienza. – Cionondimeno e’ si dà caso che un frizzo pungente torni acconcio a liberarvi da una noiosa ed ingiusta vessazione, ed umiliare l’oltracotanza di chi spudorato insulta alla virtù. – Raccontano d’una semplice contadinella, che recatasi dalla campagna in città per non so qual festa della Madonna, e non sapendo la chiesa, ne dimandò un panciuto che stavasi assiso sulla panca d’un caffè fra un branco di lions, fumandosi beatamente la sua pipa. — Che chiesa, che chiesa? (rispose l’interrogato) andate a divertirvi, povera ragazza, che meglio per voi. Guardate me; io non entro mai in chiesa, eppure son cresciuto grande, grasso e sano, qual mi vedete. – La contadina lo squadrò così un poco di sbieco, e con un suo risolino a fior di labbra: — Mio padre ci ha un par di bovi, che son più grassi e grossi di lei: neppur essi entrano mai in chiesa. — Fu un seroscio di risa di quanti udirono la risposta, e un batter di mani e un gridar di brava! den detto! Alla contadina. Il panciuto poté dire con Dante: Io non morii e non rimasi vivo. – Sentitene un’altra. Un consigliere liberale fece un discorso contro non so qual processione religiosa. Ad ogni tratto aveva in bocca libertà, libertà! E conchiudeva colla solita  logica  de’ nostri padroni, che in nome della libertà quella processione dovesse proibirsi. Finito il discorso, gli amiconi. a far ohi una Salva d’applausi. Un consigliere cattolico che sedev dalla banda opposta s’alza, e: — Bravo! applaudo anch’io: il messere ama proprio di cuore la libertà; tanto è vero, che la vorrebbe tutta Per sé e pe’ suoi. — Bastò questo frizzo a mandare: monte la deliberazione. – Ma questa del frizzo, torno a dire, è arma pericolosa e difficile a trattare; e in man vostra, o giovani, potrebbe nuocere non poco a quel discreto riserbo, e a quella cara modestia, che stanno tanto bene alla vostra età. Attenti però a non iscambiare la modestia e il riserbo colla dapocaggine e colla viltà d’animo. Solo un’onesta franchezza vi renderà dai tristi rispettati e sicuri. – E ci ha de’ giovani d’indole timida, peritosi, impacciati. a’ quali riesce difficile, e per poco direi, impossibile. un fare disinvolto e spigliato. Costoro, se son buoni e buoni desiderano conservarsi, non si mettano in  tal ginepraio, da cui poi riesca loro difficile il cavarsi con onore. Mi spiego. Per un giovane franco, quale io lo vorrei, certe compagnie non portano pericolo: e’ sa pararsi le mosche. Ma voi, giovinottino mio, che d’un nonnulla sbigottite, e v’impacciate ad ogni incontro come un pulcin nella stoppia, abbiate rispetto all’indole vostra, alla vostra debolezza, e se in certe compagnie sentite di non poterci stare con decoro, cessatevene pel vostro meglio. – San Luigi e santo Stanislao erano nel bene così francamente risoluti, che i licenziosi parlatori al sopragiunger loro ammutivano. Per costoro non c’era, sto per dire, compagnia pericolosa. Ma voi? avete voi la franchezza di quei due? avete voi la franchezza e la virtù de’santi?…

XIX

DIO LO VUOLE.

Voi conoscete, suppongo, la storia della prima Crociata, e sapete che l’eremita Pietro fu il primo ad accendere in petto ai padri nostri quel fuoco, che gli spinse a versarsi sì come torrente sulla lontana Palestina e strappare dalle mani dei Turchi la gran città consacrata e santificata dal sangue d’un Dio. – Volete intendere come cominciò a divampare quell’incendio? Venite con me nella gran pianura di Clermont. Vedete quante migliaia di persone! che ondeggiare, che fremere, che agitarsi! Paion l’onde del mar quando rugge da lontano la burrasca. Qui son principi, duchi, baroni con le lor corti e loro milizie; qui Vescovi, monaci, Sacerdoti accorsi da tutte le parti di Francia e d’Italia; qui un’onda immensa di popolo d’ogni età, d’ogni sesso e d’ogni condizione. Guardate là in fondo quel loggiato che sorge all’ombra di quel boschetto. Là è Papa Urbano II col suo numeroso corteggio. Tra i porporati che il circondano, voi vedete un barbuto in rozza tonaca con un mantellaccio rattoppato che gli pende dalle spalle. Guardate quel capo calvo, quella fronte corrugata, quelle guance scarne, quegli occhi che si volgono irrequieti ed ardenti, e paiono mandar lampi. È Pietro l’eremita, che or ora farà tuonar sua voce all’orecchio delle assembrate moltitudini. Squilla una tromba, cessa il muggito dei popoli, si fa grande silenzio. – Il Pontefice si leva, dichiara aperto il Concilio di Clermont, ne espone le ragioni, ne dichiara lo scopo: liberare il sepolcro di Cristo dalle mani degli infedeli. Indi accenna a Pietro, che calatosi dal loggiato, e salito sur un masso lì presso, da dove può più facilmente essere scorto ed udito da tutti, incomincia colla sua voce rauca e concitata, col gesto ,imperioso, e con quel suo tono da ispirato, ad arringare le turbe. – Narra dapprima ciò ch’egli stesso cogli occhi suoi ha veduto, la città santa in man dei cani, e i luoghi santificati dal sangue di Cristo orribilmente profanati. Narra la baldanza degli infedeli, e l’oppressione dei Cristiani abitanti Gerusalemme, schiacciati sotto un di ferro, taglieggiati, oltraggiati, vilipesi nelle guise più atroci. Narra le angosce ed i patimenti dei pellegrini devoti, che recatisi di lontanissime contrade alla santa città fra mille stenti e travagli, pur colla speranza di bagnare di lor lagrime quella terra tutta inzuppata del sangue del Redentore, e coprirne di fervidi baci il sepolcro, ne venivano da man brutale respinti, oltraggiati, battuti e morti, ed i cadaveri lasciati insepolti (miserando spettacolo) per le vie della santa città, e gettati alla campagna orrido pasto alle belve feroci. – Dipinto così al vivo lo stato della santa città, e il patir de’ Cristiani, pon mano ad accendere i cuori della brama vendicar l’onta di Cristo,  e del nome cristiano; ed è tanto efficace ed infiammato il suo dire, che un grido solo di tutti il seconda, e fa rintronare le valli e i monti lontani: — A Gerusalemme, a Gerusalemme! Dio lo vuole, Dio lo vuole! E al grido Dio lo vuole, si crociavano a migliaia, abbandonavano la patria, la famiglia, il regno, superavano i disagi della lunghissima via, si slanciavano contro i nemici; davano l’assalto alla santa città, piantavano sulle sue mura il vessillo della croce, adoravano, baciavano libero e glorioso il sepolcro di Cristo. – Or vengo a voi, miei giovani amici. Voi dovete farvi uomini ad ogni costo: Dio lo vuole, Dio lo vuole! Tutto dovete fare, tutto sacrificare a questo pensiero, a questa, che può dirsi per voi, l’impresa più grande di tutta la vostra vita. E voglio dire che l’idea del dovere (e che altro è insomma il dovere se non la volontà, di Dio?) la portiate sempre in cima di tutti i vostri pensieri, e in essa teniate sempre fisso lo sguardo,  come nella sua stella il navigante. — Perisca il mondo (diceva quel tale) ma si faccia la giustizia. E perisca il mondo, ripetete voi, ma il dovere si adempia. Ricchezze, onori, piaceri, privato interesse, amor proprio, egoismo, passioni, da, tutto ceda, tutto si sacrifichi, tutto svanisca davanti a questa grande idea del dovere, come svaniscono su pel cielo le stelle all’apparire del sole. Il dovere innanzi tutto: Dio lo vuole, Dio lo vuole! Con questo grido in cuore anche voi, come quei valorosi crociati, pigliate l’armi, e slanciatevi animosi alla battaglia. La vittoria sarà vostra. – Non per altro l’età nostra è tanto povera di virili e risoluti caratteri, e tanto feconda di fiacchi ed incostanti, se non perché allo svanir delle idee religiose, e all’affievolirsi della fede, s’è pure illanguidita ne’ più l’idea del dovere. Ma, grazie a Dio, non è per anco tanto in basso caduta questa nostra cara e infelice Italia, che ci vengano affatto meno i generosi esempi. – Giovani miei, volgete gli occhi a Roma, al Vaticano. Guardato a quel santo vecchio che chiamasi Pio IX. Quello è il più grande e il più forte degl’italiani, l’uomo e l’italiano per eccellenza. Oh le battaglie ch’Egli ha combattuto! Oh l’onte e l’ingiurie ch’Ei sostiene! Oh l’amarissimo calice che gli porgono a bere gl’ingrati figliuoli! – Che non han tentato gli empi per vincerlo e trarlo dalla loro! Dapprima l’imebriarono d’applausi, 1’innalzarono alle stelle, voleano (o fingevano)  mettergli in mano lo scettro di tutta Italia. Poi, volti in maledizioni gli applausi, l’han saziato d’obbrobri, l’han dato favola alle genti, l’han circonvenuto d’insidie. Finalmente gli hanno strappato di capo la secolare corona, pur dichiarandolo re, ma re da burla a guisa del divin Nazareno. – Or bene, tra tante battaglie, che da tanti anni sostiene, il santo vecchio non ha indietreggiato d’un passo, non ha mutato la sua parola, che è parola di verità, non ha cambiato il suo volto d’angelo che sorride e prega e perdona. Imperversino ancora i suoi nemici, gli sì accalchino attorno da ogni parte, gli si gettino addosso come cani arrabbiati, gli tolgano, non pur l’onore, non pure il regno, ma l’istessa vita; Pio Nono anche nell’agonie della morte ripeterà, come il Battista, il non licet, e colla parola della verità sulle labbra, consegnerà la grand’anima a Dio. – Giovani miei, prostratevi dinanzi a questa, che, volere o no, sarà sempre la più grande, la più sublime figura del nostro secolo; ma nel prostrarvi dite a voi stessi: — Ciò che tanto sublima Pio nono e lo rende al secolo nostro il più grande degli uomini, il primo degli italiani, è la santa, la divina idea del dovere. Con quest’ idea sempre fissa nel cuore, sempre fissa nella mente, anch’io vo’ rendermi degno del nome che porto d’uomo, d’italiano, di Cristiano. —

VIVA CRISTO RE (12)

CRISTO-RE (12)

TOTH TIHAMER:

Gregor. Ed. in Padova, 1954

Imprim. Jannes Jeremich, Ep. Beris

CAPITOLO XIV

CRISTO, RE DELLA FAMIGLIA (III)

FEDELTÀ CONIUGALE

A causa della guerra di Troia, Ulisse dovette allontanarsi da casa per vent’anni. E durante tutto questo tempo sua moglie, Penelope, fu assediata da centootto pretendenti. E per liberarsi di loro, pose questa condizione: “Quando avrò finito di tessere questa tela, sceglierò uno di voi”. Di giorno, sotto gli occhi dei pretendenti, lavorava pazientemente, tessendo senza sosta; ma di notte disfaceva tutto ciò che aveva tessuto durante il giorno. In questo modo, riuscì a guadagnare tempo fino al ritorno del marito dopo vent’anni. Un vero esempio di fedeltà coniugale, di vero amore.  Che cosa è necessario, soprattutto, per mantenere la fedeltà coniugale? Innanzitutto, i coniugi devono essere fermamente decisi ad osservare i Comandamenti di Dio. In una famiglia di questo tipo, ci possono essere divergenze di opinione e lievi attriti – ce ne saranno sempre, perché siamo uomini – ma soprattutto ci sarà la pace, perché ci saranno l’amore abnegante ed il perdono magnanimo, nessun litigio grave e nessun rancore.  “I mariti devono amare le loro mogli come il proprio corpo” (Ef V, 28), cioè amarle come se stessi. “Mariti, amate le vostre mogli e non trattatele duramente” (Col III, 19). Lei vi è stata data da Dio come compagna, non come schiava.  “Le mogli siano sottomesse ai loro mariti come al Signore; l’uomo infatti è capo della moglie, come Cristo è capo della Chiesa (Ef V, 22-23). Ma l’osservanza dei Comandamenti di Dio, e quindi la fedeltà, non può essere improvvisata, ma deve essere vissuta anche prima del matrimonio. Ciò richiede amore per Dio, controllo delle proprie passioni, abnegazione e spirito di sacrificio. Da qui l’importanza di educare i giovani in questo senso. L’esperienza ci dice che nella maggior parte dei casi, quando ci sono gravi divergenze tra i coniugi, è semplicemente perché non si trattano con delicatezza e gentilezza, perché non sono comprensivi l’uno con l’altro e non sanno perdonare le imperfezioni e le differenze dell’altro. Quindi educhiamo i giovani fin da piccoli a comprendere e tollerare le debolezze e i difetti dell’altro. Educhiamoli affinché non si abituino a dire sempre: “è stato lui a cominciare”, “la colpa è sua”; ma che sappiano confessare semplicemente: è colpa mia. Educhiamo i ragazzi a non aspettare che l’altro faccia ammenda per primo, ma a provare a chiedere perdono per primi. Educhiamoli a essere sempre pronti a cercare non i propri interessi, ma quelli degli altri. Si capisce bene che due giovani di questo tipo, se si sposano, vivranno in armonia e saranno fedeli l’uno all’altro, perché nessuno dei due cercherà la propria felicità, ma quella dell’altro. Molte discussioni e litigi in famiglia sono dovuti al fatto che uno dei coniugi ha un temperamento pignolo che non è stato tenuto a freno, è capriccioso, impaziente e irascibile all’estremo. – A volte il problema è causato dalla moglie, che è capricciosa e vanitosa, che ha desideri irrealistici e grandi pretese al di sopra delle sue possibilità. Per esempio, quando si tratta di abiti e cosmetici, tutto le sembra troppo poco. Pensa solo a brillare e a farsi notare. E non si rendono conto che i bravi giovani prestano più attenzione alla bellezza dell’anima che all’aspetto esteriore: che sia semplice e altruista, gentile e comprensiva. …. Per questo motivo, soprattutto le ragazze devono essere educate alla modestia e alla semplicità. I giovani dovrebbero anche essere educati ad essere pazienti e a saper superare i loro stati d’animo, i loro sentimenti, senza dare loro l’importanza che non hanno. – Si racconta che in una certa occasione Xanthippa cominciò a rimproverare il marito Socrate molto presto al mattino…; tuoni e fulmini continuavano a cadere su di lui. Alla fine Socrate, stanco di tutte queste angherie, uscì di casa. La moglie, infuriata, gli gettò un catino d’acqua in testa dalla finestra. Socrate si fermò, guardò in alto, e così com’era, bagnato fino alle ossa, disse con calma: “Senza dubbio, dopo il tuono di solito piove…”. È anche difficile per i coniugi essere fedeli nel matrimonio se prima non hanno vissuto la castità, rimanendo vergini fino al matrimonio. Per questo è importante che i genitori educhino i figli alla purezza prima del matrimonio.

***

Vicino a Gerusalemme, a Betania, viveva una buona famiglia, composta da tre fratelli e sorelle: Marta, Maria e Lazzaro. Il Signore ha contraddistinto questa casa felice con la sua speciale amicizia. Dopo il duro lavoro, andava a riposare presso questa famiglia, e in queste occasioni le due sorelle facevano il possibile per prendersi cura di lui. La felicità regnava in questa famiglia? Quanto è benedetta la famiglia che sa coltivare questa calda e sincera amicizia con Nostro Signore Gesù Cristo! Le disgrazie possono arrivare di tanto in tanto – può esistere una famiglia che non abbia giorni tristi? – ma non si disperano né perdono la pace, perché in quei momenti si rivolgono a Gesù Cristo per trovare la forza e la grazia di cui hanno bisogno. Anche la famiglia di Betania subì un duro colpo: a chi si rivolse allora? A Gesù Cristo, l’amico della famiglia. Contempliamo la scena. Lazzaro si ammala gravemente, Cristo è lontano. Le sorelle si occupano con timore e affetto del malato, le cui condizioni peggiorano sempre di più…. “Signore, guarda, la persona che ami è malata”: questo è il messaggio che inviano a Gesù. Il Signore non viene – spesso sembra che non ascolti nemmeno me. Lazzaro entra in agonia; le sorelle, addolorate, attendono con ansia l’arrivo di Gesù. Non viene. Lazzaro muore e il Signore non è ancora venuto. Gesù non amava questa famiglia? Oh sì, eppure ha permesso che la sfortuna li visitasse. Per darci una lezione: Egli è consapevole di ciò che ci accade e, nonostante ciò, spesso non lo fa. Egli ha un piano migliore per noi, anche se non lo comprendiamo. Il Signore vuole che non perdiamo la fede in Lui, anche se a noi può sembrare il contrario.

CAPITOLO XV

CRISTO, RE DELLA FAMIGLIA (IV)

IL DIVORZIO

I miei lettori conoscono la storia di Caterina Jagello, moglie di un principe finlandese? Chi era Catherine Jagello? La moglie di Giovanni Wasa, principe di Finlandia. Gli svedesi imprigionarono il principe e lo condannarono all’ergastolo a Stoccolma. Caterina si precipitò a Stoccolma e disse al re di Svezia: “Permettetemi, Maestà, di essere imprigionata con mio marito”. Ma che razza di idea è questa? – Erich, il re svedese, esclamò: “Sai che tuo marito non vedrà mai più il sole?” Lo so, Vostra Maestà. E sapete, inoltre, che sarà trattato non come un principe, ma come un ribelle che ha commesso un reato di lesa-maestà? – Lo so. Ma libero o prigioniero, innocente o colpevole, John Wasa è mio marito. Il re viene spostato. – Ma credo – dice a Catherine – che la condanna di tuo marito spezzi i legami che ti legano a lui…. Siete liberi… Per tutta risposta, Caterina si tolse la fede dal dito e disse semplicemente: “Leggete, Vostra Maestà.” Sull’anello erano incise solo due parole: “Fino alla morte”. Caterina entrò in prigione e visse per diciassette anni accanto al marito, finché Erich, il re svedese, morì e Giovanni Wasa poté riacquistare la libertà…. – Fino alla morte; solo la morte può separarmi da lui. Robusto o malato, ricco o povero, esile o debole, bello o brutto, gentile o capriccioso…, non importa; è mio marito e nulla mi separerà da lui…, solo la morte. – Catherine Jagello è un modello di fedeltà coniugale per il mondo di oggi, dove tante famiglie sono distrutte dal flagello del divorzio. Quanto siamo caduti in basso, quanta poca stima viene data al matrimonio! Purtroppo vediamo che ciò che Cristo ha elevato alla dignità di sacramento, ciò che San Paolo chiama “un grande mistero”, viene iniquamente disprezzato. L’onore e il rispetto per il matrimonio, quanto poco è valutato nel nostro tempo! Abbiamo quasi raggiunto lo stato pietoso della decadenza di Roma, quando le donne si vantavano del numero di mariti che avevano avuto. – Osserviamo cosa succede spesso. Marito e moglie litigano. Non c’è niente di speciale. Debolezze umane. Ma litigano per ogni futilità…; e la fine? “Beh, se non ti piace, divorziamo!” Sì, “divorziamo!”. Incontrate una dolce coppietta. Vogliono “sposarsi”. E, con sconcertante ingenuità, dicono che lui era già sposato con un’altra e lei con un’altro ancora; che la situazione era insopportabile; per questo… hanno semplicemente divorziato, ed ecco il documento ufficiale rilasciato dallo Stato. “Hanno semplicemente divorziato” e ora vogliono risposarsi…  – Un nuovo vicino si trasferisce in paese o un nuovo dipendente arriva nella piccola città di provincia. Fa visita al parroco e il parroco ricambia la visita. Poi viene a conoscenza del caso: il signore ha avuto due mogli; la signora ha avuto un marito prima di questo matrimonio…; dichiarano di essere molto interessati a partecipare alla vita della parrocchia. Per il resto, tutto è in regola…, secondo la legge civile: “erano semplicemente divorziati”. Semplicemente! – Due quindicenni camminano per strada e parlano con la massima naturalezza…. Di cosa stanno parlando? Matematica? Ah, no! Ascoltate cosa si dicono l’un l’altro: “Sai, se hai un marito così…, beh, semplicemente…, è meglio divorziare…”. Cosa dice Nostro Signore Gesù Cristo sul divorzio? – Non c’è dubbio che Dio Creatore abbia istituito il matrimonio come alleanza indissolubile tra un uomo e una donna. Nell’Antico Testamento c’era il libello del ripudio; ma a quel tempo il matrimonio non era un Sacramento e Dio lo tollerava solo per motivi particolari. Ma Gesù Cristo ha elevato il matrimonio alla dignità di Sacramento e lo ha riportato al suo stato originario di purezza ideale, alla sua unità e indissolubilità. – La legge di Mosè permetteva il divorzio in alcuni casi, e così i farisei chiesero al Signore: “È lecito a un uomo allontanare la propria moglie per qualsiasi motivo?” Allora NOSTRO SIGNORE pronunciò le parole memorabili per sempre: “A causa della durezza del vostro cuore, Mosè vi ha permesso di rimandare le vostre mogli, ma da principio non era così” (Mt XIX: 8). “Ciò che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi” (Mt XIX, 6). “Perciò io dichiaro che chi divorzia dalla propria moglie… e ne sposa un’altra, commette adulterio; e chi sposa colei che è divorziata commette adulterio” (Mt XIX, 9). E che questo sia il modo in cui gli Apostoli l’hanno inteso è dimostrato dalle parole di SAN PAOLO: “La donna sposata è legata dalla legge al marito finché egli vive… per questo è considerata adultera se, mentre il marito vive, sposa un altro uomo” (Rm VII, 2.3). È possibile parlare più chiaramente?  – L’unica cosa che la Chiesa può fare in caso di profondi disaccordi tra i coniugi è permettere ai coniugi di separarsi, ma questo non scioglie il matrimonio in modo tale che i coniugi possano contrarne uno nuovo. “Agli sposi, non io, ma il Signore comanda che la moglie non si separi dal marito; che se si separa, non si risposi o si riconcili con il marito”, dice SAN PAOLO (1 Cor VII,10). Se meditiamo con calma su questo criterio seguito dalla Chiesa, la stessa ragione ci dice che non è possibile procedere in altro modo. La dignità dell’uomo, il bene della società e la sicurezza dei figli si oppongono rigorosamente al divorzio. La dignità dell’uomo. Nel matrimonio, due esseri si donano l’uno all’altro, in un’unione così stretta da non poterne concepire una più profonda. “Io sono tutto tuo come tu sei tutto mio”, si dicono con orgoglio gli sposi. Ma cosa ne sarebbe della dignità dell’uomo, dell’onore dell’uomo, se questa rinuncia fosse fatta per un certo periodo di tempo? Se il marito può separarsi dalla moglie come da un abito usato, allora l’uomo viene abbassato al livello di una merce; e se il matrimonio viene sciolto per capriccio, nel mondo in cui trionfa la malvagità, la dignità umana scompare. La società ha smesso di essere “società umana”. Togliete i cerchi dalla canna… e si sgretolerà in mille pezzi. Il cerchio della società è il matrimonio indissolubile. Se la famiglia crolla, la società si sgretola. Non ci può essere una resa completa, una fiducia reciproca per formare una famiglia, se entrambe le parti devono continuamente temere: quando l’altro mi lascerà? – E arriviamo a uno dei punti più tristi: che ne sarà dei bambini i cui genitori hanno divorziato? Sento il mio cuore tremare ogni volta che incontro questi poveri bambini sulla mia strada. Questo caso è capitato a un catechista. Ha incontrato un’ex discepola, una ragazza di sedici anni. Le chiese: -Come stai? Come stai? Bene, grazie. -Cosa c’è di nuovo a casa? – Non sono stata a casa per molto tempo. Come sapete, vivevo con mia madre, che ha divorziato e si è risposata. Mi sono trovato bene con il patrigno. Ma mia madre divorziò di nuovo e si risposò per la terza volta. Non ero più disposto a seguirla nella nuova casa. – La cosa migliore è che tu torni da tuo padre. – Impossibile. Mio padre è sposato, ha altri figli e non vuole vedermi.  – E con chi vivi ora? – Con un amico. E non so per quanto tempo. -E una lacrima scivolò sul viso della povera ragazza. Avete mai visto un uccellino che è stato spinto fuori dal suo nido dal vento? Come soffre, come guarda con timore il mondo che lo circonda! I figli dei divorziati si sentono abbandonati: chi cercherò, mio padre? ma accanto a lui c’è un’altra donna; mia madre? ma l’uomo accanto a lei non è mio padre. Poveri figli, i loro genitori sono ancora vivi, eppure si sentono orfani! Come si sentono tristi! Padri – quelli di voi che stanno pensando al divorzio – pensate ai vostri figli!

III

Ora sappiamo cos’è il divorzio. “Ma lo sapevamo già”, mi obietta qualcuno; “i principii possono essere molto alti, ma la vita reale è molto diversa! La vita ride dei principii”. Sappiamo che l’ideale è che il matrimonio sia indissolubile; questo va benissimo. Ma cosa succede se il matrimonio non era quello giusto, e anche in questo caso è indissolubile? A volte ci troviamo in situazioni terribili. Non c’è sofferenza su questa terra, non c’è inferno come quello di un marito ed una moglie che litigano sempre. E non si può sciogliere? Almeno in questi casi il divorzio dovrebbe essere consentito. Una brava donna sposa un uomo rude e alcolizzato; un marito diligente e laborioso sposa una donna viziosa ed egoista? In questi casi la vita non è altro che un inferno, e non si può sciogliere il matrimonio? – Lo ammettiamo, nella vita ci sono casi terribili. Tuttavia, il matrimonio è indissolubile. Il divorzio non può essere permesso, il legame non può essere spezzato in modo tale da rendere lecito in seguito un altro matrimonio, perché se fosse permesso una volta, la rovina sarebbe presto completa. Se una veste comincia a lacerarsi, chi può evitare che si strappi del tutto? Mariti e mogli si abbandonavano nei momenti più critici: quando l’altro aveva più bisogno, in caso di malattia, nella vecchiaia. Gli esempi non mancano: le moderne leggi civili rendono molto facile il divorzio e più è facile, più aumentano i divorzi. Se tutti sapessero che non possono divorziare, che devono vivere insieme fino alla morte, allora dovrebbero accettarsi a vicenda. D’altra parte, quando il divorzio è permesso, basta il minimo dispiacere per far sì che la gente si lamenti: “Non ti piace? Se non ti piace, divorziamo!”  – E c’è una cosa che non dobbiamo dimenticare: il matrimonio è un Sacramento. Gli sposi ricevono una grazia speciale per essere forti nella felicità e nella disgrazia, purché abbiano buona volontà; e così, con la grazia di Dio, anche i matrimoni che sembrano un disastro, che non sono abbastanza felici, possono essere sopportati con pazienza e comprensione.  – “Ma se non amo più il mio coniuge? Dovrò soffrire tutta la vita con lui? O non ho diritto alla felicità? Che ne sarà della mia vita? Non è forse un’ingiustizia, una crudeltà? È l’amarezza che ti impone queste parole; non sai, fratello, cosa stai dicendo. Parlate come se non credeste nella vita eterna. Il Signore può essere crudele, può essere ingiusto? Egli sapeva bene quanta sofferenza ci sarebbe stata nel matrimonio, eppure ha voluto che fosse indissolubile. Nostro Signore Gesù Cristo non è crudele; ci chiede solo di fare dei sacrifici. E non solo su questo punto, ma in tutti gli aspetti della vita. Vuole che soffriamo piuttosto che peccare: vuole che soffriamo piuttosto che rinnegare la nostra fede. A volte chiede il nostro sangue, la nostra vita, come nel caso dei martiri; a volte chiede la sofferenza, come nel caso dei coniugi che non vanno d’accordo. E non lo fa per mero capriccio, né per il proprio interesse, ma per il bene comune, per il bene dell’umanità. “Il bene comune? Ma la mia felicità viene prima di tutto! Che mi importa della società? La mia vita è la cosa più importante, voglio essere felice”. Non hai ragione. Ad ogni passo vediamo che l’individuo deve fare sacrifici per il bene comune. Sei un medico, sei un prete? Dovete curare i malati contagiosi, anche a rischio della vostra vita. Siete un soldato? Dovete fare il vostro dovere, anche a rischio della vostra vita. Ci sono tempi di pace, ma anche tempi di guerra. Lo stesso vale per il matrimonio: è lecito dirsi belle parole d’amore quando tutto va bene e, quando sorgono disaccordi e difficoltà, abbandonare le buone intenzioni e “scappare”? No. Il matrimonio non può essere sciolto. – “Quindi la Chiesa non la scioglie mai? Eppure ho un conoscente che si è sposato una seconda volta. In Chiesa? Sì: in una Chiesa cattolica…. Ed eccoli lì, l’artista è su …. E anche il suo matrimonio è stato sciolto; ci vogliono molti soldi per questo…”.  – Si sentono spesso argomentazioni di questo tipo. Voglio parlare con franchezza. La Chiesa non ha mai sciolto un matrimonio valido e consumato. “Ma il fatto è che la persona di cui parlo ha avuto successo e si è sposata una seconda volta…”. Sì, si è sposato, ma il suo primo matrimonio non è stato sciolto, ma la Chiesa ha dichiarato che non è mai stato valido; non era valido perché c’era qualche impedimento dirimente. Pertanto, anche se ci sono persone che si sposano una seconda volta in Chiesa vivendo il proprio consorte, il fatto significa solo che il primo matrimonio non era valido. Non c’è un solo caso in tutti i duemila anni di storia della Chiesa in cui un matrimonio valido e consumato sia stato sciolto.

***

Questo è l’insegnamento della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio. – La drammatica scena tra San Giovanni Battista ed Erode si ripete giorno dopo giorno nella storia. Erode Antipa ripudiò la moglie legittima e cercò di sposare la moglie di suo fratello, Erodiade, mentre era ancora vivo. San Giovanni gettò in faccia al tiranno l’accusa:  “Non ti è lecito prendere in moglie la moglie di tuo fratello” (Mc VI, 18). E cosa è successo? San Giovanni Battista fu imprigionato e poi decapitato. Doveva subire il martirio e dare la vita per l’indissolubilità del matrimonio? – In questi duemila anni scene simili si sono ripetute spesso. La Chiesa è rimasta ferma; e in molte occasioni ha dovuto fulminare anatemi a favore dell’indissolubilità del matrimonio, anche quando sapeva che avrebbe dovuto subire la perdita di intere nazioni, e anche quando sapeva che con la sua fermezza si sarebbe guadagnata la derisione, l’incomprensione e la perdita di molti fedeli. Non importa. Non poteva fare altrimenti. Fare diversamente sarebbe stato apostatare da Cristo. – Dobbiamo ringraziare la Chiesa per il suo atteggiamento fermo e incrollabile. Per quanto la legge possa essere esigente, essa non scende a compromessi. E tutti gli uomini di buona volontà dovrebbero riconoscerlo. In un mondo in cui regnano l’egoismo, la pusillanimità, la mancanza di impegno e il relativismo, la Chiesa è sola nella sua convinzione; e quando la società decadente dice: divorziamo; quando tutte le altre chiese e religioni ripetono: divorziamo…, è la sola Chiesa Cattolica che osa difendere le parole di GESÙ CRISTO: “Ciò che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi”. La Chiesa sa bene che a causa dell’indissolubilità del matrimonio si verificano molte tragedie e sofferenze. Ma sa anche che, se il matrimonio potesse essere sciolto, ne seguirebbero mali peggiori, e che su questa terra non possiamo vivere senza la croce di Nostro Signore.  Oggi la terribile frase viene pronunciata con leggerezza: “Se non ti piace, divorziamo! Ah, sì, divorziamo? E non ricordate il giuramento che avete fatto davanti all’altare, davanti alla croce di Cristo, pienamente consapevoli di ciò che stavate dicendo? Vogliamo divorziare? E non vedete le grandi tragedie causate da questo passo disperato? Vogliamo divorziare? E non vedete come i vostri figli vi guardano, con gli occhi che lacrimano, pregandovi di non farlo? Bambini che sapranno cosa significa essere orfani mentre i loro genitori sono ancora vivi? Vogliamo divorziare? E non sentite che se la famiglia perisce, anche l’intera società perirà irrimediabilmente? Vogliamo divorziare? No, non vogliamo il divorzio.  Non dire: “Abbiamo litigato, non ci sopportiamo, è meglio andare per la nostra strada…”, ma: “Dammi la mano, vieni con me, e ora andiamo tutti e due a Cristo…”. – Gesù Cristo è il medico a cui bisogna rivolgersi quando le cose in famiglia non vanno bene. Egli vi darà la forza di amare. È il re della famiglia, non dimenticatelo.

LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (8)

LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (8)

LA GRAN BESTIA SVELATA AI GIOVANI

dal Padre F. MARTINENGO (Prete delle Missioni)

SESTA EDIZIONE – TORINO I88O

Tip. E Libr. SALESIANA

XV.

IL MODELLO DELL’UOMO E DEL CRISTIANO.

Povero Gesù! fu dunque l’umano rispetto che l’uccise! Questo tutti sanno o dovrebber sapere: ma più ancora saper dovrebbero e meditare sovente le dottrine e gli esempi che l’Uomo-Dio ci ha lasciati per francarci dalla viltà e dalla paura e farci veri uomini col renderci veri Cristiani. V0i ho già sopra ricordato, cari giovani, quelle belle parole: — Non temete coloro che uccidono il corpo; ma Colui solo temete, che l’anima e il corpo può dannare ai tormenti dell’inferno. — E avete veduto come sapessero farne lor prò in ogni tempo i martiri e i perfetti Cristiani. Oh avessimo cuore d’imitarli! Ora poi vo’ ricordarvi di Cristo quell’altra sentenza: — Guardatevi dal fare il vostro bene davanti agli uomini, per esser veduti da loro. Quei che fanno il bene a questo fine, hanno già ricevuto la loro mercede: cioè, hanno cercato il piacere, gli applausi del mondo; il mondo li paghi, non io. E segue confortandoci ad operare il bene sotto quell’occhio che sempre amoroso ci guarda, l’occhio, dico, del gran Padre che sta nei cieli, il quale, fedele alle sue promesse, ce ne serberà intatta la ricompensa; sì, foss’anche un bicchier d’acqua dato in suo nome, ce ne darà la ricompensa. Ma in suo nome, notate! Non in nome e per rispetto dell’uomo. E questo è il primo passo a cui dovete attentamente guardarvi, o cari giovani; perché d’ordinario va così: s’incomincia dal far il bene per rispetto dell’uomo, poi, per lo stesso rispetto, il bene, o si fa di nascosto vergognando, o si smezza, o dirittura s’intralascia; da ultimo, sempre per umano rispetto, sì giunge a commettere il male. E che male!… L’abbiamo veduto e basta. – Per umano rispetto erano usi d’operare i Farisei, e Cristo non poté mai aver pace con essi.  A loro i rimproveri più acerbi, le minacce più spaventose, a loro l’ira e la maledizione di Dio, per loro l’agnello mansuetissimo diventa leone furioso e rugge: Væ vobis! Væ vobis! E quel che disse colla parola, ce l’insegnò ancor più efficacemente coll’esempio. Venuto al mondo per salvarci, due cose ebbe costantemente presenti al pensiero: la volontà del Padre e la nostra salvezza; e per la volontà del suo Divin Padre, e per la salvezza delle anime, non isbigottì, non s’arretrò davanti ad alcun sacrificio, neppure innanzi a quello della fama e dell’onore. — Visse povero e sconosciuto fin dai primi anni; poi quando venne l’istante di farsi conoscere, volle assoggettarsi agli scherni, alle persecuzioni, alle calunnie degli uomini ingrati; da ultimo mori nudo sopra una croce fra due ladri, come il più infame tra loro, e pur morendo confitto al durissimo legno sostenne in pace da’ suoi nemici orribili scherni. – Giovani miei, siete voi Cristiani?… Se siete, levate un tratto gli occhi della fede a Gesù crocifisso fatto obbrobrio e maledizione per noi, e dite: si può essere Cristiani e aver paura degli obbrobri e delle maledizioni del mondo? Aver vergogna di Lui, che tanta vergogna sostenne per salvarci? Oh Dio! un discepolo vanta di buon maestro, il servo si gloria del suo padrone, il soldato va fiero della sua divisa e dell’armi, fiero e superbo delle insegne del suo re: e solo il Cristiano avrà vergogna di Colui, che è ad un tempo suo maestro, suo Signore, suo re? che per salvarlo abbracciò volontario l’infamia della croce?.. Maledizione al vigliacco! maledizione! E qual maledizione? sentitela dalla bocca istessa di Gesù Cristo. — Se alcuno avrà avuto vergogna di me dinanzi agli uomini, ed Io avrò vergogna di lui al cospetto del mio Padre celeste; dirò loro: andate, non vi conosco. E Cristo ha ragione. Si, viva Cristo, il nemico eterno dei vigliacchi! Viva Cristo, l’amico dei generosi e dei forti! Viva Cristo nostro capitano e nostro re!… Quanto a noi, vogliam seguitarlo a fronte alta, santamente superbi d’appartenergli e di servirlo. Dietro ai suoi passi, ci slanceremo animosi alla battaglia, gridando cogli Apostoli: eamus et moriamur cum eo. Animo, figliuoli! non che gli scherni e il disprezzo del mondo, la morte stessa soffriremo per Colui che ci amò fino a morire infamato sopra una croce.

XVI.

I CANI CHE ABBAIANO.

Tante cose vi ho detto della gran bestia dell’umano rispetto, che ormai ne dovete essere e stomacati ed atterriti; e non dubito che più volte in cuor vostro avrete detto: — Oh io non voglio che tal bestia mi metta gli unghioni addosso mai: è troppo sozza e crudele. Non voglio imbrancarmi coi vigliacchi: son già tanti al mondo! Sarò uomo, uomo vero, sarò franco e libero Cristiano. Dio vi benedica, cari giovani, di sì bella risoluzione; ma come altro è risolvere, altro mettere in pratica, permettetemi che prima di finire vi suggerisca qualche mezzo a facilitarvi l’adempimento de’ vostri buoni desideri. – E innanzi tutto, incominciate fin d’ora; incominciate, dico, ad operar francamente pel bene, senza seconde intenzioni, senza darvi pensiero della lode o del biasimo altrui, dicendo con s. Paolo: Qui judicat me Dominus est. Che mi fa a me delle chiacchere altrui? A me basta tenermi in buona regola con Colui che deve giudicarmi. Vivete voi in famiglia? Penso nonvi sarà difficile il farvi uomo. Vi ci aiuteranno i vostri buoni parenti, che null’altro meglio desiderano. Almeno, mi piace sperare. Che se per disgrazia i parenti vostri… Oh Dio! mi fa male il pensarlo, eppure è un caso che si dà, bisogna parlarne. Se dunque i vostri stessi genitori divenissero nemici della vostra virtù, vi raccomando, giovani miei di meditare ed imitare, occorrendo, la condotta che tenne l’angelico s. Luigi col padre suo il duca Ferrante Gonzaga, che volle attraversargli la strada della Religione, cui sentivasi supernamente chiamato. Sempre docile, sempre rispettoso e tranquillo, sostenne più d’un anno l’ira e i castighi di lui, finché la mansuetudine la vinse sull’ira, e il padre riconobbe piangendo, insieme col suo fallo, le sante ragioni del figliuolo. Tanto è vero, che i mansueti, come dice Cristo, possidebunt terram; finiscono sempre col diventar padroni del campo. – Che se non dai parenti, potrete talvolta aver noia da parte de’ fratelli (dalle sorelle non suppongo: son tanto dolci e buone !). Pur troppo l’invidia e la gelosia han facile presa ne’ giovanetti cuori; testimonio l’antiche storie d’ Abele e di Giuseppe. Voi guardatene bene i vostri cuori; e se per caso, alcuno dei fratelli vostri animato a sì biechi sentimenti, s’attentasse di mettere in deriso la vostra virtù, vince in bono malum, e in mezzo alla tribolazione che dovrete sostenere vi stia sempre davanti al pensiero l’esempio de’ due giusti che ho nominati. – Se poi vivete in collegio, troverete forse difficoltà maggiori, ma insieme occasioni più frequenti e più acconce a formarvi un carattere fermo e virile. Qui vi sarà forza convivere con ogni maniera di giovani, fra quali, è quasi certo. non mancheranno gli schernitori e i maligni. Ragazzacci di poca testa e men cuore, non han forza nè coraggio di primeggiare nel bene, guardano biechi a qualunque sale più alto, e si vendicano della sua superiorità collo schizzargli addosso il veleno onde han gonfio il cuore. Per questi miserabili vi consiglio gran compassione, e trattarli con bontà, e dissimulare la malignità di loro parole. Ma compassione non meritano quegli altri, che non contenti al veleno dello scherno, cercano schizzarvi addosso anche quello della corruzione. A costoro, se ardissero tentare la vostra virtù, mostrate i denti.; e responde stulto iuxta stultitiam suam. Li vedrete avvilirsi e tacere a misura che alzerete la testa e li guarderete in faccia. Fanciullo ancora, ricordo d’una gran paura che avevo dei cani. Un dì che tornavo dalla campagna con mio padre in sul far della sera, eccoti, nel passar vicino a una cascina, sbucarci incontro, non uno, ma tre di cotesti importuni animali, e con le fauci spalancate e grandi abbaiamenti, come sogliono far atto di volerci azzannare. Oh Dio! sento ancora lo spavento di quell’assalto. Fuor di me per la paura, mi svincolai dalla man di mio padre che mi teneva, saltai il fosso della strada, e corsi fuggendo e urlando pei campi; e i cani sempre dietro, abbaiando più forte, e addentandomi a volte fin la falda dell’abito; tantoché io mi tenevo già per bello e divorato: quando, alle mie grida i contadini, richiamarono, ammansirono i cani, ed io, quetata quella grande paura, ripresi il cammino a’ fianchi del babbo. – Il quale, quando mi vide tranquillo, incominciò a favellarmi così: Sai Cecchino mio, perché quei cani ti corsero tanto dietro? Perché ti sei dato a fuggire. – Anzi (osservai alla mia volta) e’ mi pare ch’io son fuggito, perché e’ mi venivano dietro. – Sì, ma se appena ci comparvero a fare il saluto, tu non la davi a gambe con tanto gridare, come hai fatto, avrebbero abbaiato un poco e poi t’avrebbero lasciato in pace. Guarda me, che mi rimasi tranquillo sulla strada. Vedendomi, i cani han pensato: costui è un galantuomo, e non mi han dato il menomo fastidio; ma veduto te a fuggire: questo è il ladro, dissero, e: dagli al ladro, dagli al ladro! ti son corsi addosso con tanta rabbia, che per poco non ti addentarono per le gambe. — Queste parole di mio padre, così fanciullo com’io era, mi fecero grande impressione, e mi persuasi che la cosa stesse proprio così, com’e’ mi diceva. Intanto, cammina, cammina, si giunse a passare da un’altra cascina; già sentivansi i cani ad abbaiare, e il cuore mi martellava forte, ma avvinghiandomi stretto alla mano del babbo: — Ora non voglio più fuggire, dissi; e mantenni la parola. Giunsero i cani, salta di qua, abbaia di là: quando videro che né io né il babbo ce ne davamo per intesi, continuandoci alla nostra via, senza neppure voltarci, se ne tornarono colla coda bassa al loro covo. Non saprei dire quanto piacere presi allora di quella vittoria riportata sulla mia paura. — Vedi, vedi (mi diceva il buon babbo): que’ cani ti han veduto andartene tranquillo alla tua via, e han detto: costui è un buon figliuolo; andiamocene a dormire. — E di li a un poco in tono solenne aggiungeva: — Impara, Cecchino mio, ad andartene sempre diritto per la buona strada. Troverai dei cani d’altra razza che ti abbaieranno incontro; e tu fa’ con loro come con questi. T’assicuro che in breve si acquieteranno, e tu non n’avrai danno di sorta. Tanto vale saper vincere la paura. — Allora (ricordo) a capire bene questa. cosiffatta moralità, mi ci vollero non poche dimande mie, ed altrettante risposte del babbo. Ma per voi, cari giovani, non abbaia d’altra spiegazione; la moralità è chiara abbastanza. – Tornando a bomba, aggiungerò ancora una cosa. Peggio assai che in famiglia, peggio che in convitto, potrà accadervi all’Università, se vi toccherà un giorno l’andarvi. Ma se all’Università possono trovarsi cani arrabbiati più che altrove, vo’ dire giovani più perversi, parmi anche debba riuscirvi più facile il cansarli. All’Università si è più al largo, più al largo che in famiglia, più al largo che in un convitto. Fra la turba di due, tre, quattrocento giovani di ogni risma e d’ogni colore, uno facilmente ci si perde e ci si nasconde. Chi vi obbliga a far relazioni? Chi vi impedisce, terminata la lezione, di svignarvela destramente e andarvene pe’ fatti vostri? – Io conosco un bravo giovane già mio scolaro (ora è prete e mi fa la barba a me), il quale, prima d’entrare nella carriera ecclesiastica, studiò tutto il corso di legge, ebbe la laurea, ed uscì dall’università pio, innocente, come eravi entrato. Eppure viveva in una grande città, lontano da’ parenti od amici che potessero sorvegliarlo. Avendolo domandato un giorno, che vita ei menasse colà: — Studiavo molto (mi rispose) studiavo davvero, non per mostra, come fanno i più. I primi mesi m’astenni da qualunque relazione co’ compagni: credo che la maggior parte non sapessero pure chi io mi fossi. Mi guardavano, passandomi vicino, come si guarda a una cosa nuova, e io guardava loro senza dir nulla. Una volta li sentii rider tra loro e darmi del selvatico: io feci orecchie di mercante, e via. Ma in capo a qualche mese incominciai a sentirmi troppo solo. Oh un amico! pensava. E incominciai a por mente ai più studiosi e ai più riservati tra i compagni, finché, scortone due che mi piacevano, mi accostai loro, e così ci legammo a poco a poco di così pura e dolce amicizia, che ne ringrazierò Dio finché campo.

LA GRAN BESTIA E LA SUA CODA (9)

VIVA CRISTO RE (11)

CRISTO-RE (11)

TOTH TIHAMER:

Gregor. Ed. in Padova, 1954

Imprim. Jannes Jeremich, Ep. Beris

CAPITOLO XII

CRISTO, RE DELLA FAMIGLIA (I)

IL BANCHETTO DI NOZZE DI CANA

Cristo è il Re della vita familiare, l’unico capace di rinnovare la vita familiare, oggi così attaccata e oltraggiata. Ogni momento vediamo e sperimentiamo come la vita familiare scricchioli alle fondamenta e minacci di crollare. Tutti sentiamo che la società è malata. Sono state approvate molte leggi per ripulire la situazione. Tutto ciò va bene, ma tutto questo è solo un bendaggio per la piaga che sanguina. Dobbiamo andare alla causa: la disgregazione della vita familiare. C’è chi crede che l’importante sia ripulire il Parlamento, il Congresso…, le imprese, l’istruzione…, i media…. Sì, tutto questo è importante, è vero, ma non è la cosa più importante. Dove sta il futuro dell’umanità? Nella famiglia! È la salvaguardia della vita sociale, dello Stato e della religione. Ed è proprio perché la malattia ha attaccato la vita familiare che è così scioccante e spaventoso vedere quanto sia cattiva la società di oggi. Se volessimo riassumere in tre parole le cose che assicurano la felicità della vita familiare, sceglieremmo queste tre: fede, armonia e fedeltà. – In un piccolo villaggio della Galilea, chiamato Cana, una coppia giovane e sconosciuta si sposò e invitò Nostro Signore Gesù Cristo ad un evento così importante. Egli accetta l’invito e partecipa volentieri alle nozze, portando con sé sua Madre e i suoi Apostoli. Per tirare fuori dai guai gli sposi compie il suo primo miracolo? Questa è in sostanza la semplice e incantevole storia…. Ma quali insegnamenti profondi si nascondono sotto queste semplici apparenze! Gli sposi vogliono sposarsi e invitano Nostro Signore Gesù Cristo al loro matrimonio. Potremmo chiederci: gli sposi di oggi, quando commettono il primo errore che poi avrà gravi conseguenze negative sul loro matrimonio? Quando invitano al loro matrimonio parenti, conoscenti, colleghi di ufficio, amici, tutti… tranne Gesù Cristo. È solo il Signore che dimenticano.  Questo è il male principale di molti matrimoni oggi: fanno a meno di Gesù.  – E nel dire questo non penso a coloro che hanno contratto solo un matrimonio civile, né penso a coloro che divorziano e cercano di risposarsi. Questo modo di agire, tra i Cristiani, è davvero incomprensibile. È incomprensibile come un Cristiano possa osare creare una nuova famiglia senza aver chiesto la grazia al Signore prima di prendere una decisione così importante. C’è un detto: “Stai andando in pellegrinaggio? Vi imbarcate in un pellegrinaggio? Pregare due. Sposarsi? Pregate cento. Attenzione: non siamo ingenui. La vita matrimoniale è piena di sacrifici e di responsabilità: come posso essere sicuro di poterli gestire? Ricorrendo alla grazia soprannaturale che nostro Signore Gesù Cristo ha meritato per noi. Il Sacrificio di Cristo nella Santa Messa, per amore della Chiesa, è un campanello d’allarme per gli sposi che devono anch’essi dare la vita e fare sacrifici per amore l’uno dell’altro e per il bene della famiglia che hanno formato. Per queste ragioni, Gesù Cristo ha elevato il matrimonio al rango di sacramento, affinché dall’altare scaturisca una nuova vita familiare e la grazia abbondante necessaria per essa. Infatti, è solo con l’aiuto della grazia divina che la fedeltà coniugale può essere garantita fino alla morte. È vero che al momento del matrimonio i due cuori vibrano con veemenza per la forza della reciproca infatuazione, ma la fiamma della passione più ardente alla fine si spegne; eppure, la fedeltà e l’amore non devono mai spegnersi nella vita matrimoniale. Non si spegneranno se il matrimonio è costruito su fondamenta sicure, sull’amore incommensurabile dell’amore di Gesù Cristo, vero Dio e vero Uomo, che si è dato per noi fino a dare tutto il suo sangue, amore fedele fino alla fine.  Ma perché un matrimonio sia cristiano, non basta che lo sia esteriormente. Può capitare che il matrimonio sia esteriormente sfarzoso e sontuoso, con un’entrata in chiesa sfavillante, mentre viene suonata la marcia nuziale di Mendelson…, eppure gli sposi si uniscono in un matrimonio cristiano senza rendersi veramente conto di cosa significhi: un cammino di santificazione a cui Dio li chiama. Infatti, ci possono essere Cattolici che considerano il matrimonio con gli stessi criteri pagani con cui coloro che non hanno fede considerano il matrimonio civile. Non come un vincolo sacro, ma come un semplice contratto in cui “do per ricevere”. – Non come una vocazione che dia molta gloria a Dio, ma come un’unione temporanea “finché andiamo d’accordo”. Non come un impegno definitivo ad amarsi e ad essere fedeli l’uno all’altro fino alla morte, ma come un modo di vivere insieme e di godere della reciproca compagnia. Non con l’intenzione di formare una nuova famiglia in cui l’arrivo di ogni figlio sia una benedizione di Dio, ma al contrario: con l’intenzione di avere il minor numero possibile di figli, o addirittura nessuno. È la mentalità pagana di chi pensa che avere molti figli sia da idioti, e non essere consapevoli di come va il mondo? Non si chiede come Rachele: “Dammi dei figli, altrimenti muoio” (Genesi XXX, 1). – Per la Chiesa, il matrimonio cattolico è qualcosa di molto serio e sublime. a) Rappresenta niente di meno che la relazione d’amore che esiste tra Cristo e la sua Chiesa; b) È una vocazione a formare la Chiesa domestica, in cui gli sposi si santificano aiutandosi a vicenda; c) È una partecipazione all’opera creativa di Dio. Qualcosa di molto superiore alla semplice biologia e al semplice contratto naturale…. – Il Signore vuole che gli sposi partecipino alla procreazione di nuovi esseri umani, chiamati ad essere figli di Dio in questo mondo e nell’eternità. Ecco perché la scelta del marito o della moglie dovrebbe essere fatta non tanto in base alla bellezza o alla fortuna, cose di secondaria importanza, ma in base al fatto che questo giovane uomo sarà un buon marito e padre, o questa giovane donna sarà una buona moglie e madre, con cui condividere la vita e aspirare alla santità. – È vero che l’uomo non può vivere d’aria; e non è sbagliato che gli sposi valutino se hanno le condizioni economiche giuste per garantirsi minimamente il futuro? Ma l’economia non deve essere messa al primo posto, anteponendola ai valori spirituali. Al contrario, la concezione pagana del matrimonio considera i figli come un ostacolo, non come una benedizione di Dio, e quindi pone ogni possibile ostacolo alla loro nascita. Convinciamoci che il matrimonio contratto senza Cristo non garantisce una felicità duratura, né tantomeno la fedeltà fino alla morte. Non c’è da stupirsi che ci siano così tanti divorzi e rotture nella vita familiare. – Se i coniugi non conducono una vita di pietà, se non dedicano ogni giorno del tempo alla preghiera, è impossibile che Cristo sia il centro della casa. – Solo quando il Cuore di Gesù presiede al centro della casa, quando Cristo è il Re della famiglia, la fede si mantiene, c’è gioia nei cuori, felicità in mezzo alle prove? Perché Cristo deve santificare tutta la vita familiare: le faccende, le conversazioni, i divertimenti. In questo modo la casa sarà un’anticipazione del paradiso; e quando ci saranno molti cieli di questo tipo, la società inizierà a migliorare. Cristo salverà la famiglia, se la famiglia lo accetta come Re.

CAPITOLO XIII

CRISTO, RE DELLA FAMIGLIA (II)

NAZARETH

“Bisogna che ci sia scandalo”, ha detto una volta il Signore; ma quando lo scandalo diventa un fatto quotidiano, un’abitudine, che attanaglia migliaia di famiglie, è il segno terrificante della disgregazione della società. Non dobbiamo infatti dimenticare che i popoli sono costituiti da famiglie e muoiono con le famiglie. E non sarebbe così grave se vedessimo il male solo nelle famiglie non credenti, che si vantano di essere agnostiche e di non avere fede. In fondo, potremmo dire: non hanno scelta. Ma la cosa grave è che questo male colpisce anche le famiglie cristiane: giovani che si avviano al matrimonio senza amarsi, spinti solo dalla passione, coniugi che non mantengono la fedeltà reciproca e che non vogliono avere figli, o non li educano, se li hanno, come dovrebbero…. Non c’è problema più angosciante della crisi della vita familiare. Eppure il Padre ha dato “tutto” a Cristo. Ma se “tutto” è stato dato a Lui, allora anche la famiglia appartiene a Cristo. È nella famiglia che nasce la vita, sia corporea che spirituale; è nella famiglia che si sviluppa la vita morale e religiosa, così come quella immorale e degradata. Tutto dipende dalla famiglia. Dal seno della famiglia provengono gli uomini onesti, laboriosi, puliti…, e da essa provengono anche i criminali, gli increduli, gli oziosi, i corrotti…. È terribile vedere quante famiglie si disgregano! Dove trovare un rimedio? Dove? A Nazareth, nella vita della Sacra Famiglia. – Il Figlio di Dio ha vissuto nascosto in una casa per trent’anni; dei trentatré anni della sua vita mortale, ne ha trascorsi trenta nella casa dei suoi genitori. Cosa ci mostra con questo esempio? È la migliore predica agli uomini di oggi: Uomini, state a casa! Gesù Cristo ha trascorso trent’anni a Nazareth: padri, madri, giovani…, amiamo la vita familiare. Questo è ciò che ci insegnano Gesù, San Giuseppe e la Beata Vergine. – Mamme, mogli, dovete fare il possibile per rendere la casa davvero calda e accogliente, in modo che marito e figli non debbano lasciarla, tentati dal caffè, dal bar, dalle feste… Santa casetta di Nazareth, casa traboccante di gioia e felicità! – Se marito e moglie vivono davvero una vita di unione con Dio, se Cristo è il Re della famiglia, ci sarà felicità in casa. A volte il padre di famiglia ha una bella casetta, anche se modesta; figli sani e un po’ monelli; uno stipendio sufficiente, ma non abbastanza per le cose superflue…, abbastanza per condurre una vita dignitosa. Ma lui non ci fa caso e cerca la felicità altrove: divertimenti, feste con i compagni, alcol… Prova di tutto per anni, alla ricerca di una felicità che non arriva mai. Ma invano… Finché alla fine, a volte troppo tardi, lo trova nella sua stessa casa, nella sua stessa abitazione.  – Dobbiamo scoprire la felicità della vita familiare! Brilla negli occhi del bambino, nel primo balbettio delle sue labbra, quando dice: “Papà, mamma…”; quando prova il suo primo passo…, quando salta di gioia davanti alla culla…, quando unisce le mani per pregare con la mamma…, quando recita una poesia per il compleanno del padre…, quando racconta le impressioni del suo primo giorno di scuola…, della sua prima Comunione…, quando termina gli studi universitari…, quando si sposa e forma una nuova casa….  “Ma tu non conosci la vita! – Sì, ci sono piccoli momenti di felicità, ma ci sono molte più sofferenze che dobbiamo attraversare”. Sì, c’è anche la sofferenza. E a volte è colpa degli stessi coniugi – gelosia, litigi più o meno gravi, egoismo, capricci, spese superflue… – non possono essere imputati alla sfortuna, sono cose che si potevano evitare. In questi casi possiamo applicare a noi stessi la risposta data da Gesù Cristo a Pietro: Tu mi chiedi: quante volte devi perdonare al tuo fratello quando pecca contro di te? Fino a sette volte? Non vi dico sette volte, ma fino a settanta volte sette (Mt XVIII, 22).  – Nel matrimonio ci sono giorni di calma e giorni di tempesta; ma se Cristo lo ha benedetto, gli uragani più furiosi non possono distruggerlo.  Ci sono anche sofferenze che non possiamo evitare: malattie, disgrazie inaspettate, contrattempi, morte di persone care; ma se avete una fede profonda in Dio Padre riuscirete sempre a trovare la giusta consolazione e a ritrovare la pace. – E se manca la fede?  Allora è un caso senza speranza. Assistere al capezzale di un figlio morente, senza fede; vedere morire il proprio coniuge, senza fede; subire i piccoli e grandi martiri della vita, senza fede… è l’inferno in terra. Chi non ha una fede viva, manca dei fondamenti, qualcosa che non può essere sostituito da nulla. Se non avete fede, è difficile superare il vostro egoismo e amare i vostri parenti, essere comprensivi nei loro confronti… quindi è logico che non sarete felici a casa.  Per questo la Chiesa è contraria ai matrimoni misti tra due persone di religione diversa, dove non ci può essere una completa unione di spirito, o dove questa può essere raggiunta solo con difficoltà. Molti rimproveri vengono mossi alla Chiesa Cattolica per questo. La Chiesa Cattolica è accusata di essere “intollerante”, di “disprezzare coloro che appartengono ad altre religioni”, di “mancare di compassione”…. Eppure, se ci pensiamo con calma, capiremo che la Chiesa non può procedere in altro modo.  Esaminiamo con calma: perché la Chiesa è contraria ai matrimoni misti? 1° Per il bene dei coniugi stessi e 2° Per il bene dei figli. I coniugi devono vivere in armonia, condividere lo stesso spirito, avere lo stesso ideale. Il matrimonio deve rifiutare l’equazione matematica 2 = 2; il matrimonio deve dire 2 = 1; cioè, ci sono due persone, ma hanno un solo cuore, una sola volontà, un solo desiderio, un solo ideale. Come ha detto qualcuno: due cuori, ma uno che “batte all’unisono”. Questa perfetta concordia o armonia è tutt’altro che impossibile in un matrimonio misto. La perfetta armonia non può regnare se il marito è un professore universitario e la moglie è analfabeta; se la contessina sposa un contadino; se la differenza di età tra i due è molto marcata…. Tutti questi matrimoni sono pericolosi. Perché se differiscono molto per posizione sociale, per cultura, per età, è difficile che diventino una stessa anima, che abbiano un rapporto di cuori. Ma la Chiesa non mette mano a questa materia, non proibisce questi matrimoni, perché in essi l’armonia, anche se difficile, non è impossibile; e uno spirito di benevolenza e di amore cristiano può colmare le differenze. Se, invece, gli sposi sono in disaccordo sulla questione principale della religione, questo è spesso un ostacolo così grande all’unione degli spiriti che è quasi impossibile rimuovere le differenze; così la Chiesa è costretta a dichiarare che la differenza di religione è un impedimento al matrimonio. – Se guardiamo la questione in questo modo, troveremmo nella posizione della Chiesa un motivo di offesa, intolleranza, disprezzo per i fedeli di un’altra religione? Devo amare mia moglie… donandomi completamente a lei; devo amare Dio… anche Lui completamente, senza riserve. Ma se non abbiamo la stessa religione, questo è quasi impossibile. O non amerò completamente mia moglie, o non amerò la mia fede. La grande difficoltà di superare queste insidie è evidente. – La Chiesa ha ragione nel proibire i matrimoni misti e, tra le altre ragioni, lo fa per paura che i coniugi non riescano a raggiungere la perfetta armonia. Perché questa armonia è così difficile? Partiamo dal concetto di matrimonio. La parte cattolica sa, per fede, che il matrimonio è una cosa sublime e santa, uno dei Sacramenti istituiti da Nostro Signore Gesù Cristo. E la parte non cattolica? Crede, con Lutero, che il matrimonio sia una cosa meramente civile, o con Calvino, che il matrimonio sia tanto lontano dalla dignità di un sacramento quanto l’agricoltura o il mestiere del barbiere. Il Cattolico segue la parola del Signore: “Quello che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi” (Mt XIX, 6; Mc X, 9); cioè, il Cattolico confessa che il matrimonio è indissolubile. Il non cattolico, invece, ritiene che possa essere sciolto. E se lo stato d’animo o l’interesse lo impongono, lascerà il partito cattolico nei guai. Nei matrimoni misti, la parte cattolica è quella che rischia di più, perché l’altra parte può, secondo i suoi sentimenti, risposarsi, mentre la parte cattolica sa di essere legata per tutta la vita. Né si trovano d’accordo sulle questioni più importanti di come affrontare la propria vita. Marito e moglie devono aiutarsi e amarsi a vicenda. Ma come può essere possibile se c’è un abisso invalicabile tra loro sulle questioni più importanti? Il marito cattolico non vuole mangiare carne il venerdì; il non cattolico, invece, lo esige. Il Cattolico vuole pregare l’Ave Maria; il non cattolico, invece, non acconsente a tale “idolatria”. Il Cattolico vuole confessarsi; il non cattolico ride di questa “superstizione”! Passano la vita insieme, si vedono insieme per strada, nei divertimenti…; ma quando arrivano alla porta della Chiesa, è proprio in quel momento che devono separarsi: ciò che è sacro per una delle parti è materia di riso per l’altra; ciò che è una festa per l’una è un giorno di lavoro per l’altra. “No, ma non è così”, mi si obietta. L’uomo educato e affabile non disconosce mai le convinzioni religiose di un’altra persona. Possono vivere bene ed essere felici, senza criticare la religione dell’altro…”.  Non sto dicendo di no. In effetti, ci sono casi di coniugi educati e affabili che evitano delicatamente nelle loro parole qualsiasi allusione alla differenza che li separa. Ma una tale situazione può essere considerata ideale? Quando, per amore della pace, si devono mettere a tacere i sentimenti più intimi, quando si deve rinunciare a condividere le proprie convinzioni più profonde per il resto della vita, è possibile cantare le lodi? Inoltre, se i coniugi non possono esprimere le loro convinzioni religiose, se devono continuamente trattenersi negli esercizi di pietà per paura di offendere l’altro, quale sarà il risultato? Questo accade abbastanza spesso nei matrimoni misti: entrambe le parti diventano fredde nei confronti della propria religione e finiscono per non essere né calde né fredde, né carne né pesce, né cattoliche né protestanti, ma due persone che hanno perso la certezza della propria fede.  – La Chiesa ha un’altra ragione per condannare i matrimoni misti, anche nei casi in cui si promette che tutti i figli saranno Cattolici. Qual è quest’altra ragione? L’educazione dei bambini. Infatti, se i coniugi stessi soffrono le conseguenze di non avere le stesse convinzioni religiose, i figli nati da matrimoni misti le sentiranno molto di più. Sottolineo: anche se tutti i bambini devono essere Cattolici!  Supponiamo il primo caso: il padre li cresce nella fede cattolica. Quanto più i bambini sono profondamente religiosi, tanto più rapidamente la triste domanda salirà sulle loro labbra quando, ad esempio, la madre li saluterà alla porta della Chiesa: “Mamma, perché non entri?”  – E ancora più frequente è quest’altro caso. Il bambino riceve contemporaneamente due diverse educazioni: una cattolica, l’altra non cattolica, opposte tra loro. Qual è la conseguenza? L’educazione cattolica e quella non cattolica, entrambe tiepide, vengono mescolate insieme… e ne risulta una totale indifferenza religiosa. Non credi, lettore? Una coppia di anziani coniugi, davvero molto simpatici, viveva in una piccola casa con un giardino…. Un giorno di primavera la moglie pensò: “Il mio vecchio ama molto i fagioli; gli farò una sorpresa, seminerò fagioli in tutto il giardino… Come ne sarà felice!” E così fece. Il marito, invece, pensava: “Ecco l’orto senza alcun raccolto…; seminerò i piselli…, è il piatto preferito della mia signora…”. E ha anche messo in pratica il suo piano. Dopo qualche giorno, la donna andò nell’orto e guardò con curiosità se i fagioli stavano spuntando. “Qualcosa di verde spunta qui…; vediamo, vediamo…; sono fagioli?…; deve essere un’erbaccia…”, e tirò su tutto con cura. Non passò molto tempo prima che anche l’uomo si intrufolasse nell’orto per vedere se i piselli avevano già spuntato la testa. “Qui c’è qualcosa, ma non sono piselli…”, e anche lui tirò su la pianta che gli sembrava un’erbaccia. E il buon marito e la buona moglie possono aspettare… e aspettano anche oggi… il raccolto! – È necessario applicare la stessa storia ai matrimoni misti e difendere il criterio della Chiesa? Anche i protestanti seri lo capiscono e lo accettano! – Quando il caso è grave, per evitare mali maggiori, la Chiesa concede la dispensa dall’impedimento, permette i matrimoni misti; e poi impone la condizione che tutti i figli siano Cattolici. Chi non vuole accettare questa condizione, o fare una promessa formale di adempierla, non può sposarsi lecitamente; e se deve ricevere la benedizione nuziale in una chiesa non cattolica, la Chiesa lo scomunica e lo esclude dal numero dei suoi figli. “Questo è troppo”, risponderanno alcuni, “è una crudeltà”. Non lo è. Infatti, se credo che la Religione Cattolica sia la vera religione, non posso cedere nemmeno uno dei miei figli a un’altra religione. Nella storia di Salomone, la falsa madre avrebbe dato metà del figlio all’altra; non così la vera madre. E tale è la Chiesa. “Ma la scomunica non è una crudeltà? Non posso confessarmi, né posso essere sepolto secondo la mia religione!”. Ah, ma chi ha iniziato, non ha abbandonato la sua religione, non è entrato in un tempio non cattolico, non ha rinunciato ai suoi figli e ai figli dei suoi figli? Non hai forse consegnato i tuoi figli e nipoti e tutti i loro discendenti ad un’altra religione? Non ti sembra crudele la punizione della Chiesa per un atto così grave? Non puoi confessarti? E non ti fa male? E non ti fa male aver consegnato tuo figlio a un’altra religione, in cui né lui, né i suoi figli, né i suoi nipoti, né nessuno dei suoi discendenti remoti può confessarsi? Che il Sacerdote cattolico non ti seppellisca? E ti sembra troppo? Non vuole seppellire nemmeno vostro figlio… e la colpa è vostra.  – Non è per crudeltà o per odio verso le altre religioni che la Chiesa dà questa nota di fermezza e severità; è perché il permesso senza condizioni sarebbe una resa inammissibile, e anche con i precedenti e dovuti requisiti, la Chiesa lo concede malvolentieri, perché sa, per triste esperienza, qual sia l’esito di solito. – La Chiesa ha già perso migliaia di bambini a causa dei matrimoni misti, ed un numero ancora maggiore di anime si è raffreddato; per questo motivo sta in guardia ed evita per quanto possibile la causa di tanti mali. – “Ma perché, se tutti i bambini sono Cattolici, quanto è degno di pietà il bambino la cui madre non è cattolica! Non voglio sminuirla, Dio non voglia. Se crede profondamente e rispetta la sua religione, la rispetto; può essere una madre ideale sotto molti aspetti; ma c’è un punto su cui non possa esserlo: nella preghiera; questa madre non può pregare con il suo bambino.

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Nelle grandi città, le piccole luci delle case sante brillano di notte. E brillano anche le insegne luminose ed allettanti nelle strade, nei caffè, nei bar, nei cinema, nei locali notturni. E sapete quale potrebbe essere la rovina dell’umanità moderna? Che le piccole luci della casa siano sconfitte dalle esche che brillano nella strada e che seducono l’uomo a lasciare la casa. – Salviamo la vita familiare, invitiamo il Redentore, Cristo, e allora avremo trovato l’unica medicina efficace per il nostro male. Quale medicina? Questa: rendere la casa un paradiso. I nostri primi genitori avevano il paradiso come casa; gli sposi di oggi che amano Cristo faranno della loro casa un paradiso. E il giorno in cui la casa sarà un paradiso, guarirà il nostro mondo malato.

VIVA CRISTO RE (12)

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S.S. LEONE XIII- “INTER GRAVI”

L’Enciclica “Iter gravi”, indirizzata ai Vescovi peruviani, è una lettera piena di paterna compiacenza per il ruolo svolto da essi nel condurre il popolo loro affidato, e di esortazioni apostoliche a fare sempre meglio per la salvezza di un popolo da poco affacciatosi alla dottrina salvifica di Cristo e della sua vera unica Chiesa. Tantissimi i suggerimenti espressi dal Santo Padre, non solo rivolti ai Vescovi per la scelta dei parroci e la conduzione dei seminari istituiti per una valida formazione dei giovani chiamati al sacerdozio, ma anche per i laici colti, affinché possano collaborare con i loro scritti, a diffondere la verità cattolica e confutare gli errori di miscredenti, faziosi e settari nemici della Verità rivelata da Cristo ed affidata alla custodia della Chiesa Cattolica. Questa esortazione, in particolare, è ancor più oggi necessaria, nei tempi in cui la vera dottrina è occultata da una fede fittizia ed apparente, intrisa di sentimentalismo e deviante buonismo che non tiene conto cioè dei principi teologici dogmatici e morali che vengono volutamente alterati od interpretati secondo le massime perverse del mondo. La falsa chiesa, attualmente usurpante la santa Sede, diffonde eresie e comportamenti immorali che non sono nemmeno lontanamente parte della dottrina cattolica millenaria deviando milioni e milioni di anime e portandole sulla strada della perdizione; pertanto è compito di ciascun vero Cattolico, religioso o laico che sia, impegnarsi nel diffondere il vero credo e la verità evangelica ed apostolica rivelata, con ogni mezzo a propria disposizione e con tutta l’energia di cui è sostenuto  dalla grazia divina, senza tentennamenti o rispetto umano, rischiando ogni cosa per Cristo, anche la vita se necessario. Sappiamo infatti per Chi lottiamo, e la ricompensa che aspetta nella vita eterna coloro che amano Dio, il suo Cristo e la sua vera unica Chiesa. Nessuno ci potrà fermare!

INTER GRAVI

ENCICLICA DI PAPA LEO XIII SULLA CHIESA IN PERÙ

Ai Vescovi del Perù.

Tra le molte e gravi preoccupazioni che continuamente ci dividono e ci opprimono, abbiamo ricevuto con gioia l’obbediente lettera che voi, Venerabili Fratelli, ci avete inviato dopo il vostro sinodo nella città di Lima. Leggendola con l’amore paterno che nutriamo per voi e per il vostro popolo, ci siamo molto rallegrati per le ripetute prove del vostro amore e della vostra fiducia in Noi e in questa Sede del Beato Pietro. Ma ci siamo soprattutto compiaciuti dello zelo comune con cui vi siete riuniti in obbedienza ai Nostri desideri di occuparvi delle più gravi preoccupazioni della Religione e di migliorare la condotta morale in quel gregge migliore su cui lo Spirito Santo vi ha posto come Vescovi.

2. Approviamo pienamente questa determinazione a garantire che i vostri fedeli rimangano saldi nella sincera adesione alla fede cattolica. – Tuttavia è Nostro piacere aggiungere nuovi incentivi, proprio come ai corridori in una gara, affinché continuiate strenuamente come avete iniziato e partecipiate ai sinodi che l’opportunità o la necessità impongono. Siamo infatti convinti, come abbiamo dichiarato più volte, che il mezzo più efficace per contrastare l’errore dilagante e per salvaguardare la Religione sia quello di avere i sacri Vescovi più strettamente uniti tra loro, condividendo piani e proposte.

3. Conosciamo la situazione religiosa del Perù e desideriamo che il Cattolicesimo vi fiorisca. Perciò, affinché questi sinodi siano più utili ai vostri fedeli, vi indichiamo quali siano le questioni a cui dovreste rivolgere la vostra attenzione. Questi sono i più adatti a fortificare il cammino della fede e ad accrescere l’efficacia della Chiesa. Per questo motivo non abbiamo mai smesso di inculcarli in frequenti documenti generali e in singole lettere ai Vescovi.

Importanza dell’educazione

4. In primo luogo, dirigete i vostri sforzi per inculcare nei seminaristi la disciplina dei buoni costumi ed un vivo zelo per l’acquisizione della conoscenza. Questo farà sì che gli studi, che ora decadono e languono tra i giovani che crescono come speranza della Chiesa, raggiungano quello splendore che giustamente desideriamo e che i tempi religiosi richiedono. Sapete infatti che il piano della divina Provvidenza era questo: dapprima servirsi dei valorosi martiri per spezzare la manifesta opposizione e la ferocia dei tiranni, affinché il loro sangue fosse il seme del Cristianesimo; poi, secondo lo stesso piano, destinare in ogni epoca uomini di eccezionale saggezza a difendere, non solo con l’autorità sacra ma con l’aiuto della ragione umana, i tesori di verità che Cristo ha portato alla Chiesa. Ora, però, il contagio delle opinioni perverse contamina e corrompe ogni cosa e, con il pretesto dello sviluppo della dottrina, la sapienza data da Dio viene osteggiata e rifiutata. Perciò è facile capire che c’è bisogno di difensori che abbiano indossato l’armatura della conoscenza e siano sempre pronti, come avverte l’Apostolo, a soddisfare tutti coloro che cercano una ragione della speranza che è in noi, ed a dare istruzione nella sana dottrina e anche a confutare coloro che contraddicono. Nel regolare il corso di studi nei vostri seminari, desideriamo che teniate conto di ciò che abbiamo prescritto nelle lettere Encicliche a questo proposito. Certamente nell’insegnamento della filosofia il Dottore Angelico Tommaso d’Aquino va molto onorato. La saggezza che scaturisce sempre riccamente dai suoi scritti e che è considerata degna di lode duratura dai Romani Pontefici deve essere impartita agli studenti in grande e generosa misura. Non vanno poi trascurate le scienze fisiche. Infatti, oltre al fatto che attualmente sono così stimate, è da esse che coloro che odiano i dogmi cattolici traggono i loro argomenti per attaccare le verità della Religione. Per questo motivo bisogna fare in modo che il clero sia abbastanza esperto in questa guerra per rispondere ai detrattori e confutare i loro errori con i loro stessi argomenti. Infine, osservate religiosamente ciò che abbiamo recentemente decretato riguardo alla coltivazione degli studi biblici. Se farete queste cose, l’onore del clero fiorirà e la reputazione della Chiesa durerà. Essa è sempre stata considerata la sostenitrice e la madre della sana cultura e dovrebbe davvero esserlo. Inoltre, avrete a disposizione uomini adatti, chiamati a condividere il vostro ministero e molto utili per insegnare ai fedeli e promuovere la pietà.

Selezione dei pastori

5. Un’altra cosa che raccomandiamo vivamente è di nominare come parroci solo gli uomini migliori che possiate trovare. Infatti, coloro che sono elevati a questo incarico, pieno di onori e di autorità, ma ancora più pieno di preoccupazioni e di asperità, sono coloro che i Vescovi scelgono come collaboratori nelle loro cure pastorali, e che utilizzano soprattutto come aiutanti, come esempio per coloro che crederanno in Lui per il conseguimento della vita eterna. – Cristo stesso, infatti, guida e protegge i suoi pastori; Egli veglia sui fedeli, affinché il popolo santo di Dio non sia messo in pericolo dagli attacchi dei nemici e non subisca danni. Essi sono i pastori di anime fatte a immagine del loro Creatore, acquistate per Dio e per l’Agnello non con cose deperibili, con argento o oro, ma con il prezioso sangue di Cristo, come di un agnello senza difetto. Perciò è opportuno che siano di nuovo in travaglio finché Cristo non sia formato in loro. Come pastori, a meno che non preferiscano essere annoverati tra i servi a pagamento, devono conoscere le loro pecore, nutrirle con il cibo della Parola di Dio e armarle con l’armatura dei Sacramenti. Modello del gregge, custodi del mistero della fede con coscienza pura, guidino il popolo loro affidato in modo da poter dire con l’Apostolo: “Siate imitatori di me come io lo sono di Cristo”. A buon diritto sono considerati Angeli che Dio manda davanti al suo popolo per custodirlo lungo il cammino e in mezzo ai nemici per condurlo al luogo che ho preparato, la città santa di Gerusalemme che sarà rivelata nell’ultimo tempo. Poiché tutto questo è così, vedete, venerabili fratelli, quanta fatica occorre per selezionare i pastori e quanta continua vigilanza per mantenerli fedeli al loro ufficio. Devono essere gli uomini di cui parlano le parole di nostro Signore: Voi siete la luce del mondo… Perciò scegliete uomini ardenti di amore e di zelo per le anime, che non cerchino ciò che è loro ma ciò che è di Cristo, pronti a sopportare il lavoro e persino a dare la vita per le loro pecore. Coloro che si sforzano di intraprendere un compito così arduo e venerabile per un lurido guadagno o per motivi umani, che non hanno la santità e la cultura adeguate, sono da respingere. Sono mercenari che non entrano dalla porta, sale che ha perso la sua salinità; non serve più a nulla se non ad essere gettato via e calpestato dagli uomini.

Importanza dei missionari

6. Queste cose saranno utili a coloro che si sono già felicemente uniti al gregge del Signore. Ma in mezzo a voi ci sono quelli che non sono ancora stati chiamati dalle tenebre alla sua meravigliosa luce, che siedono ancora nelle tenebre e nell’ombra della morte, pecore che ora periscono, che voi dovete condurre a Gesù, il primo Pastore delle anime. Città del Dio vivente, la Chiesa non ha limiti ed è aperta alla salvezza di tutti. La sua efficacia le è stata data dal suo divino Fondatore, ed essa si estende da un mare all’altro e ogni giorno allarga il luogo della sua tenda e le pelli del suo tabernacolo. Per questo, per diritto e merito, è chiamata Cattolica. Noi sperimentiamo e sappiamo correttamente che questa venuta dei popoli a Sion, il monte santo, è da attribuire alla grazia divina e che è Dio a dare al nome cristiano il suo incremento. Nessuno può venire a me se il Padre non lo attira. Questo, tuttavia, è il piano di Dio misericordioso, dimostrato dall’insegnamento e dalle azioni del nostro Redentore, che l’uomo mortale cooperi con l’opera di Dio per la salvezza delle anime. La fede, infatti, come ci dice l’Apostolo, dipende dall’udito e l’udito dalla parola di Cristo: ma come potranno ascoltare se nessuno predica e come potranno predicare gli uomini se non saranno mandati? Perciò chiediamo che si moltiplichino le sacre missioni presso gli Indiani. Che si trovino più uomini di misericordia che liberamente e volentieri possano essere inviati come operai alla messe del Signore. Questi uomini non si pieghino alla carne e al sangue, ma, lasciando i loro fratelli, facciano di tutto per conquistare le anime a Cristo, per portare la cultura civile e le maniere gentili ad un popolo barbaro, e per dissipare le tenebre dell’ignoranza, in modo che possano ricevere un posto tra coloro che sono santificati dalla fede.

Usare la stampa per valorizzare il Cattolicesimo

7. L’ultima questione di cui vogliamo che vi occupiate diligentemente è la seguente: poiché in questi tempi si abusa di giornali e riviste per diffondere false opinioni e indebolire così la morale, dovreste considerare che tocca a voi percorrere la stessa strada e usare gli stessi mezzi, loro malvagiamente per distruggere, voi piamente per edificare. Sarà di grande aiuto se gli uomini di virtù e di cultura si dedicheranno alla scrittura ed alla pubblicazione dei loro sforzi, quotidianamente o a scadenze prestabilite. Mettendo a nudo l’errore in modo graduale e accurato, la verità sarà diffusa ed il languore delle menti dissipato. Allora la fede nutrita nei loro cuori sarà professata apertamente e strenuamente per amore della giustizia. Quali brillanti ricompense ci saranno se questi scrittori adempiranno ai loro doveri, poiché combattono per la migliore delle cause.  – Chiaramente, come abbiamo avvertito in altre occasioni, essi devono essere dotati di moderazione, prudenza e carità; devono difendere strenuamente i principi della verità e del diritto e affermare le sante prerogative della Chiesa; devono far conoscere la maestà della Sede Apostolica; e devono rispettare l’autorità di coloro che governano lo Stato. Nell’adempimento dei loro doveri, tuttavia, devono ricordare di amare la guida dei Vescovi e di seguire i loro consigli. In questo modo, venerabili fratelli, potrebbe sorgere un’eccellente difesa con la quale potreste richiamare il popolo a voi affidato dalle sorgenti della corruzione e condurlo ai pozzi di acqua viva.

8. Ecco, dunque, il materiale che vogliamo che prendiate in considerazione nei vostri sinodi. Non dubitiamo che farete ogni sforzo certo e deliberato per rispondere ai Nostri desideri. E affinché ciò avvenga di comune accordo, imploriamo l’aiuto del cielo, usando come intercessori, insieme a Maria, l’Immacolata Madre di Dio, il santo vescovo Turibio e la Vergine Rosa, il primo del vostro Paese, il Perù, e di tutta l’America del Sud, a cui la Chiesa rivolge un fiore di santità.

9. Nel frattempo, come testimonianza del Nostro amore, Venerabili Fratelli, e come promessa di benedizioni divine, impartiamo con grande amore a tutti voi, al clero e al vostro popolo la Benedizione Apostolica.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 1° maggio 1894, nel diciassettesimo anno del Nostro pontificato.

LEO XIII

DOMENICA DI SETTUAGESIMA (2023)

DOMENICA DI SETTUAGESIMA (2023)

 [Stazione a S. Lorenzo fuori le mura].

Semidoppio. – Dom. Privil. di 2a cl. – Paramenti violacei.

Per comprendere pienamente il senso dei testi della Messa di questo giorno, bisogna, studiarli in corrispondenza delle lezioni del Breviario, perché, nel pensiero della Chiesa, la Messa e l’Ufficio sono una cosa sola. Le lezioni e i responsori dell’Ufficio della notte durante tutta questa settimana sono tratti dal libro della Genesi e narrano la creazione del mondo e quella dell’uomo; la caduta dei nostri primi genitori e la promessa di un Redentore; di più l’uccisione di Abele e le generazioni di Adamo fino a Noè. — « In principio, – dice il Libro Santo, – Dio creò il cielo e la terra e formò l’uomo su la terra e lo pose in un giardino di delizie perché Lo coltivasse » (3° e 4° resp.). Tutto ciò è una figura. – Il regno dei Cieli – spiega S. Gerolamo – è detto simile ad un padre di famiglia che prende degli operai per coltivare la sua vigna. Ora, chi più opportunamente può essere rappresentato nel padre di famiglia se non il nostro Creatore, il quale regge con la sua provvidenza ciò che ha creato e che governa i suoi eletti in questo mondo, così come il padrone ha i servi in sua casa? E la vigna che Egli possiede è la Chiesa Universale, dal giusto Abele fino all’ultimo eletto che nascerà alla fine del mondo. E tutti quelli che, con fede retta si sono applicati e hanno esortato a fare il bene, sono gli operai di questa vigna. Quelli della prima ora, come quelli della terza, della sesta e della nona, designano l’antico popolo ebreo, il quale, dopo l’inizio del mondo, sforzandosi nella persona dei suoi santi, di servire Dio con fede sincera, non hanno cessato, per così dire, di lavorare nella coltivazione della vigna. Ma all’undecima ora sono chiamati i Gentili e a loro sono Indirizzate queste parole: « Perché state qui tutto il giorno senza far nulla? » (3° Notturno). Dunque, tutti gli uomini sono chiamati a lavorare nella vigna del Signore, cioè a santificarsi e a santificare il prossimo glorificando con questo mezzo Dio, poiché la santificazione consiste a non cercare il nostro bene supremo che in Lui. Ma Adamo venne meno ai suo compito. « Poiché tu hai mangiato il frutto che io ti avevo proibito di mangiare, – gli disse il Signore – la terrà sarà maledetta e ne trarrai il nutrimento con gran fatica. Essa non produrrà che spine e rovi. Tu mangerai il tuo pane, prodotto dal sudore della tua fronte fino a che non sarai tornato alla terra donde fosti tratto ». «Esiliato dall’Eden dopo la sua colpa, – spiega S. Agostino, – il primo uomo trascinò alla pena di morte e alla riprovazione tutti i suoi discendenti, guasti nella sua persona come nella loro sorgente. Tutta la massa del genere umano condannato cadde In disgrazia, o piuttosto si vide trascinata e precipitata di male in male (2° Notturno). « I dolori della morte m’hanno circondato, dice l’Introito; e la Stazione ha luogo nella Basilica di S. Lorenzo fuori le mura, contigua al Cimitero di Roma. « È assai giusto, aggiunge l’Orazione, che noi siamo afflitti per i nostri peccati ». Così la vita cristiana è rappresentata da S. Paolo nell’Epistola come una arena dove bisogna lottare per riportare la corona. La mercede della vita eterna, dice anche il Vangelo, viene concessa solo a quelli che lavorano nella vigna di Dio e, dopo il peccato, questo lavoro è penoso e duro. « O Dio, domanda la Chiesa, accorda ai tuoi popoli che sono designati da te sotto il nome di vigne e di messi, che dopo aver sradicato i rovi e le spine, -sono atti a produrre frutti in abbondanza, con l’aiuto del nostro Signore » (or. del Sabato Santo – Or. Dopo l’8° profezia). « Nella sua sapienza, – dice S. Agostino, – Dio preferì ricavar il bene dal male anziché permettere che non accadesse nessun male » (6° lezione). Dio ebbe difatti pietà degli uomini e promise loro un secondo Adamo che ristabilisse l’ordine turbato dal primo. Grazie a questo novello Adamo essi potranno riconquistare il cielo sul quale Adamo aveva perduto ogni diritto essendo stato cacciato dall’Eden, che era l’ombra d’una vita (migliore) » (4° lezione). « Tu sei, Signore, il nostro soccorso nel tempo del bisogno e dell’afflizione » (Graduale); « presso di te è la misericordia » (Tratto); « fa’ che risplenda la tua faccia sopra il tuo servo e salvami nella tua misericordia » (Com.). Infatti, « Dio che creò l’uomo in una maniera meravigliosa, lo redense in modo più meraviglioso ancora (Oraz. dopo la 1° prof. del Sab. Santo), poiché l’atto della creazione del mondo al principio non sorpassa in eccellenza l’immolazione del Cristo, nostra Pasqua, nella pienezza dei Tempi ». Questa Messa, studiata in relazione alla caduta di Adamo, ci mette nella disposizione voluta per cominciare il tempo di Settuagesima e per farci comprendere la grandezza del mistero pasquale al quale questo Tempo ha per scopo di preparare le anime nostre. – Per corrispondere all’appello del Maestro che viene a cercarci fin nell’abisso dove ci ha sprofondati il peccato del nostro primo padre (Tratto), andiamo a lavorare nella vigna del Signore, scendiamo nell’arena e incominciamo con coraggio la lotta la quale si intensificherà sempre più nel tempo della Quaresima.

Incipit

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Ps XVII:5; 6; 7
Circumdedérunt me gémitus mortis, dolóres inférni circumdedérunt me: et in tribulatióne mea invocávi Dóminum, et exaudívit de templo sancto suo vocem meam.  

[Mi circondavano i gemiti della morte, e i dolori dell’inferno mi circondavano: nella mia tribolazione invocai il Signore, ed Egli dal suo santo tempio esaudì la mia preghiera.]


Ps XVII: 2-3
Díligam te, Dómine, fortitúdo mea: Dóminus firmaméntum meum, et refúgium meum, et liberátor meus.
[Ti amerò, o Signore, mia forza: Signore, mio firmamento, mio rifugio e mio liberatore.]

Circumdedérunt me gémitus mortis, dolóres inférni circumdedérunt me: et in tribulatióne mea invocávi Dóminum, et exaudívit de templo sancto suo vocem meam.

[Mi circondavano i gemiti della morte, e i dolori dell’inferno mi circondavano: nella mia tribolazione invocai il Signore, ed Egli dal suo santo tempio esaudì la mia preghiera.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.
Preces pópuli tui, quǽsumus, Dómine, cleménter exáudi: ut, qui juste pro peccátis nostris afflígimur, pro tui nóminis glória misericórditer liberémur.

[O Signore, Te ne preghiamo, esaudisci clemente le preghiere del tuo popolo: affinché, da quei peccati di cui giustamente siamo afflitti, per la gloria del tuo nome siamo misericordiosamente liberati.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corínthios.

1 Cor IX: 24-27; X: 1-5

Fratres: Nescítis, quod ii, qui in stádio currunt, omnes quidem currunt, sed unus áccipit bravíum? Sic cúrrite, ut comprehendátis. Omnis autem, qui in agóne conténdit, ab ómnibus se ábstinet: et illi quidem, ut corruptíbilem corónam accípiant; nos autem incorrúptam. Ego ígitur sic curro, non quasi in incértum: sic pugno, non quasi áërem vérberans: sed castígo corpus meum, et in servitútem rédigo: ne forte, cum áliis prædicáverim, ipse réprobus effíciar. Nolo enim vos ignoráre, fratres, quóniam patres nostri omnes sub nube fuérunt, et omnes mare transiérunt, et omnes in Móyse baptizáti sunt in nube et in mari: et omnes eándem escam spiritálem manducavérunt, et omnes eúndem potum spiritálem bibérunt bibébant autem de spiritáli, consequénte eos, petra: petra autem erat Christus: sed non in plúribus eórum beneplácitum est Deo.

[“Fratelli: Non sapete che quelli che corrono nello stadio corrono bensì tutti, ma uno solo riceve il premio? Correte anche voi così da riportarlo. Ognuno che lotti nell’arena si sottopone ad astinenza in tutto: e quelli per ottenere una corona corruttibile; noi, invece, una incorruttibile. Io corro, appunto, così, non già come a caso; così lotto, non come uno che batte l’aria; ma maltratto il mio corpo e la riduco in servitù: perché non avvenga che, dopo aver predicato agli altri, io stesso sia riprovato. Non voglio, infatti che ignoriate, o fratelli, che i nostri padri furono tutti sotto la nube, e tutti passarono a traverso il mare, e tutti furono battezzati in Mosè nella nube e nel mare; e tutti mangiarono dello stessa cibo spirituale; e tutti bevettero la stessa bevanda spirituale; (bevevano infatti della pietra spirituale che li seguiva; e quella pietra era Cristo): pure della maggior parte di loro Dio non fu contento”].

Quando si tratta di vivere secondo la legge del Vangelo, tutto spaventa, tutto ripugna, tutto scoraggia. Dio ci promette invano una gloria pura e durevole; invano ci offre una corona preziosa che non appassisce mai, una felicità piena, sovrabbondante, perfetta; e tutto ciò per qualche giorno, per qualche ora, per qualche momento di mortificazione. Vi sono scuse per tutte le età; non si ha mai salute abbastanza, siamo giovani troppo, troppo occupati, troppo delicati; ovvero siamo in età troppo avanzata; l’astinenza, il digiuno, sono al di sopra delle nostre forze. Ma pensiamoci bene, la corona che ci è preparata nel cielo non sarà ella al di sopra dei nostri meriti, e non l’avremo forse per sempre? Eleviamo dunque lo spirito nostro e il cuore verso Dio, chiedendogli quella rettitudine d’intenzione, quel distaccamento da ogni creatura, quella sobrietà di cui parla l’Apostolo, per la quale si usa dei beni di questo mondo come non facendone uso. O felice digiuno, ove l’anima tiene tutti i sensi privi del superfluo! O santa astinenza, ove l’anima saziata della volontà di Dio, non si nutrisce più della propria! Essa ha, come il suo divino Maestro, un altro pane col quale si nutrisce: pane che è al di sopra d’ogn’altra sostanza; che estingue tutti gli altri desideri; vera manna che scende dal cielo, e ci fa pregustare le eterne delizie. Prepariamoci a riceverla coll’astenerci, secondo il nostro potere, dal pane ordinario e comune, che è il nutrimento del nostro corpo.

(L. Goffiné, Manuale per la santificazione delle Domeniche e delle Feste; trad. A. Ettori P. S. P.  e rev. confr. M. Ricci, P. S. P., Firenze, 1869).

Graduale

Ps IX: 10-11; IX: 19-20

Adjútor in opportunitátibus, in tribulatióne: sperent in te, qui novérunt te: quóniam non derelínquis quæréntes te, Dómine.

[Tu sei l’aiuto opportuno nel tempo della tribolazione: abbiano fiducia in Te tutti quelli che Ti conoscono, perché non abbandoni quelli che Ti cercano, o Signore]

Quóniam non in finem oblívio erit páuperis: patiéntia páuperum non períbit in ætérnum: exsúrge, Dómine, non præváleat homo.

[Poiché non sarà dimenticato per sempre il povero: la pazienza dei miseri non sarà vana in eterno: lévati, o Signore, non prevalga l’uomo.]

Tractus

Ps CXXIX:1-4

De profúndis clamávi ad te, Dómine: Dómine, exáudi vocem meam.

[Dal profondo ti invoco, o Signore: Signore, esaudisci la mia voce.]

Fiant aures tuæ intendéntes in oratiónem servi tui.

[Siano intente le tue orecchie alla preghiera del tuo servo.]

Si iniquitátes observáveris, Dómine: Dómine, quis sustinébit?

[Se baderai alle iniquità, o Signore: o Signore chi potrà sostenersi?]

Quia apud te propitiátio est, et propter legem tuam sustínui te, Dómine.

[Ma in Te è clemenza, e per la tua legge ho confidato in Te, o Signore.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthæum.

[Matt XX: 1-16]

“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis parábolam hanc: Simile est regnum coelórum hómini patrifamílias, qui éxiit primo mane condúcere operários in víneam suam. Conventióne autem facta cum operáriis ex denário diúrno, misit eos in víneam suam. Et egréssus circa horam tértiam, vidit álios stantes in foro otiósos, et dixit illis: Ite et vos in víneam meam, et quod justum fúerit, dabo vobis. Illi autem abiérunt. Iterum autem éxiit circa sextam et nonam horam: et fecit simíliter. Circa undécimam vero éxiit, et invénit álios stantes, et dicit illis: Quid hic statis tota die otiósi? Dicunt ei: Quia nemo nos condúxit. Dicit illis: Ite et vos in víneam meam. Cum sero autem factum esset, dicit dóminus víneæ procuratóri suo: Voca operários, et redde illis mercédem, incípiens a novíssimis usque ad primos. Cum veníssent ergo qui circa undécimam horam vénerant, accepérunt síngulos denários. Veniéntes autem et primi, arbitráti sunt, quod plus essent acceptúri: accepérunt autem et ipsi síngulos denários. Et accipiéntes murmurábant advérsus patremfamílias, dicéntes: Hi novíssimi una hora fecérunt et pares illos nobis fecísti, qui portávimus pondus diéi et æstus. At ille respóndens uni eórum, dixit: Amíce, non facio tibi injúriam: nonne ex denário convenísti mecum? Tolle quod tuum est, et vade: volo autem et huic novíssimo dare sicut et tibi. Aut non licet mihi, quod volo, fácere? an óculus tuus nequam est, quia ego bonus sum? Sic erunt novíssimi primi, et primi novíssimi. Multi enim sunt vocáti, pauci vero elécti.”

[In quel tempo: Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: Il regno dei cieli è simile a un padre di famiglia, il quale andò di gran mattino a fissare degli operai per la sua vigna. Avendo convenuto con gli operai un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna. E uscito fuori circa all’ora terza, ne vide altri che se ne stavano in piazza oziosi, e disse loro: Andate anche voi nella mia vigna, e vi darò quel che sarà giusto. E anche quelli andarono. Uscì di nuovo circa all’ora sesta e all’ora nona e fece lo stesso. Circa all’ora undicesima uscì ancora, e ne trovò altri, e disse loro: Perché state qui tutto il giorno in ozio? Quelli risposero: Perché nessuno ci ha presi. Ed egli disse loro: Andate anche voi nella mia vigna. Venuta la sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: Chiama gli operai e paga ad essi la mercede, cominciando dagli ultimi fino ai primi. Venuti dunque quelli che erano andati circa all’undicesima ora, ricevettero un denaro per ciascuno. Venuti poi i primi, pensarono di ricevere di più: ma ebbero anch’essi un denaro per uno. E ricevutolo, mormoravano contro il padre di famiglia, dicendo: Questi ultimi hanno lavorato un’ora e li hai eguagliati a noi che abbiamo portato il peso della giornata e del caldo. Ma egli rispose ad uno di loro, e disse: Amico, non ti faccio ingiustizia, non ti sei accordato con me per un denaro? Prendi quel che ti spetta e vattene: voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te. Non posso dunque fare come voglio? o è cattivo il tuo occhio perché io son buono? Così saranno, ultimi i primi, e primi gli ultimi. Molti infatti saranno i chiamati, ma pochi gli eletti.]

OMELIA

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956)

L’OZIO SPIRITUALE

L’inverno uggioso era passato, la stagione delle piogge era finita, le gemme del fico ingrossavano. Era giunto il tempo di muovere il suolo, scalzare i ceppi, deporre il concime e preparare così una vendemmia abbondante. Gesù allora raccontò questa parabola: « È simile il regno dei cieli ad un proprietario che in un mattino di primavera uscì ad assoldare lavoratori per la sua Vigna. Stabilisce con loro un denaro al giorno e li manda a lavorare. Verso le nove uscì un’altra volta e ne vide altri che stavano oziosi sulla pubblica piazza e disse loro: « Andate anche voi nella vigna ». Uscì ancora a mezzogiorno, poi alle tre; e fece lo stesso. Finalmente uscì alle cinque, quando il sole già stava per tramontare, e trovò alcuni ritti sulla piazza a cianciare. Il proprietario li rimproverò: « Ma perché fate niente tutto il santo giorno? » Quid hic state tota die otiosi? – Se la vigna simboleggia l’anima nostra, a molti si potrebbe ripetere l’amaro rimprovero della parabola: « Perché passate oziosamente tutta la vita senza far niente per l’anima vostra? ». Nel libro dei Proverbi è detto che un giorno lo Spirito Santo lanciò uno sguardo sul campo del pigro: che desolazione! Le ortiche invadevano i solchi, le spine coprivano le zolle, i sassi soffocavano ogni germe buono (Prov., XXIV, 30). Così è pure dell’uomo ozioso, che, in tutt’altre faccende affaccendato, non sa d’avere un’anima da salvare, o se ancora lo sa, gliene importa poco: intanto le ortiche delle passioni, le spine delle cattive relazioni, i sassi dei peccati infestano la sua pigra coscienza. – Un uomo aveva una bella vigna, e l’empio re di Samaria gli si avvicinò e gli disse: «Dammi la tua vigna, che voglio farne un orto da erbaggi ». Ma l’altro sdegnato gridò: « Per l’amore di Dio non sarà mai che ti ceda l’eredità dei padri miei! » I Re, XXI, 3). Tutti noi, o Cristiani, abbiamo una bella vigna, l’anima nostra; una vigna che laboriosamente coltivata ci darà il vino soavissimo della felicità eterna. Ma l’empio re dell’inferno si accosta a ciascuno e domanda: « Dammi la tua anima che voglio farne un orto da erbaggi ». Ut faciam mihi hortum olerum. Son pochi quelli che fieramente rispondono come l’uomo israelita: « Per l’amor di Dio non l’avrai! ». La maggior parte, pur di non aver la briga di coltivarla in sudore e in penitenza, se la lascia occupare dal demonio, che strappa le virtù, e vi semina gli erbaggi dei vizi. Perché costoro si risveglino a vendicare la propria anima, io parlerò dell’ozio spirituale, e della necessità di lavorare per la salute eterna. – 1. L’OZIO SPIRITUALE. Il giorno 24 agosto 410, per la porta Salaria i barbari entrarono in Roma. La città eterna che da otto secoli non aveva subìto l’obbrobrio di una sconfitta, per la prima volta cadeva. – L’imperatore Onorio era fuggito a Ravenna, ove continuava la sua vita indolente e stupida. Un capitano spaventato accorse a lui, gli annunciò l’orribile sventura: «Roma è perita! ». Egli credendo che si trattasse d’un suo gallo prediletto, cui aveva dato il nome appunto di Roma, esclamò: « Ma come è mai possibile, se poco fa gli ho dato da mangiare con le mie proprie mani? ». Mentre la patria rovinava, mentre le basiliche venivano incendiate, mentre il popolo moriva di fame e di ferite, com’è stolto quest’imperatore che si sta nella reggia a giocare con un galletto! Di questa stoltezza non sono forse colpevoli anche molti Cristiani, che mentre il demonio circonda d’assedio l’anima, mentre abbrucia ogni virtù con le passioni, mentre li trascina nell’inferno, passano i giorni e gli anni tutta la vita senza provvedere a tanta rovina? L’ozio rovesciò Roma, l’invincibile trionfatrice di Cartagine; l’ozio rovescerà anche la loro anima nella irreparabile perdizione. – « Ma io — si scusano alcuni — non faccio niente di male: non odio, non rubo, son bestemmio… ». Non basta far niente di male: il fare niente di bene è già un fare male. Se tu avessi un servo non rapace non ubriacone non litigioso, ma sobrio quieto senza vizi, che però non ti fa niente e tutto il giorno è sdraiato in un cantuccio ove non ti disturba ma non ti serve, non è vero che tu lo licenzieresti sull’attimo? Ebbene, noi siamo servi di Dio: e se ci accontenteremo soltanto di non far niente di male, senza lavorare per l’anima nostra, udremo un giorno la terribile condanna: « Servo pigro e iniquo, va via!» (Mt., XXV, 26). Servi pigri e iniqui sono quelli che sciupano il tempo in oziosi e inutili pensieri, quando poi non sono cattivi: e non si ricordano mai di elevare la propria mente al Signore, di scrutare la propria coscienza esaminandola, di meditare sulla propria vocazione, sugli obblighi per seguirla perfettamente. – Servi pigri ed iniqui quelli che sciupano il tempo in parole oziose e inutili: di ogni parola oziosa saremo giudicati, è scritto nel Vangelo (Mt., XII, 36). Eppure ci sono dei Cristiani che sciupano la giornata in visite frivole, in conversazioni eterne, riempite forse di bugie, di mormorazioni, di scurrilità. Non hanno tempo certe donne per recitare il santo Rosario, e neppure per raccogliere i loro figliuoli con pazienza e farli pregare prima di porli a dormire, ma per chiacchierare di tempo ne trovano. Non hanno tempo certi uomini d’accostarsi ai Sacramenti, di frequentare la dottrina cristiana, ma hanno tempo di rimanere tre o quattro ore in qualche ritrovo, e sentono le campane che suonano, che li chiamano per la terza volta, ma non vogliono troncare le chiacchiere cogli amici. Servi pigri e iniqui sono quelli occupati soltanto in opere inutili per la vita eterna: che non fanno altro che affannarsi disordinatamente: per avere onori, piaceri, ricchezze. Costoro si troveranno come quelli che sognano di lavorare: tutta notte portano sacchi, corrono su le scale, vangano indurite pertiche di terra e poi si svegliano al mattino stanchi, sudati, con le ossa rotte, e davanti non si trovano né il frutto della loro fatica né ricompensa alcuna. Dormierunt somnum suum et nihil invenerunt omnes viri divitiarum in manibus suis (Ps., LXXV,; 6).2. NECESSITÀ DI LAVORARE Spiritualmente. « Che vi gioverà, fratelli miei — scrive S. Giacomo — vantarvi di essere dei Cristiani, di avere un’anima, se poi per la vostra anima e per la vostra fede non fate nulla? Sperate forse di salvarvi con l’ozio? » (II 14). Pensiamo che la vita fugge come un’acqua, ed è breve come una giornata. Lavoriamo dunque, intanto che c’è tempo! (Gal., VI, 10), perché poi viene la tenebra della morte e non si potrà più lavorare (Giov., IX, 4). – S. Caterina da Siena nel 1363, dopo che vestì l’abito delle Mantellate, ebbe una grande visione. Vide una regione meravigliosa che da una parte presentava un albero altissimo e fronzuto, carico di frutti squisiti, ma con in giro una siepe di spine alta e fitta che rendeva difficile l’avvicinarsi; dall’altra parte s’alzava una collinetta bionda di grano già buono per la mietitura, molto bello all’aspetto, ma le cui spighe vuote appena toccate si disfacevano in polvere fra le mani. Ed ecco giungere una frotta di persone; fermarsi davanti all’albero, ammirare i frutti con desiderio e tentare d’arrivare a coglierli; ma feriti dalle spine tutti rinunziavano subito a valicare la siepe; e volgendo lo sguardo alla collina coperta di messe, si slanciavano in quella direzione e si cibavano del cattivo grano che li faceva ammalare e li estenuava di forze. Arrivò una seconda frotta di persone, più coraggiosi dei primi: questi varcarono la siepe spinosa; ma, accostandosi all’albero, s’accorsero che il tronco era liscio e i frutti erano troppo alti per raggiungerli con lieve fatica e allora anch’essi ripresero la via verso del grano malefico che gonfiava lo stomaco senza nutrire. Sopraggiungeva finalmente qualcuno che, slanciandosi attraverso i rovi della siepe, abbracciò l’albero e ad impeti vigorosi raggiunse i frutti, e li mangiò. Ne fu talmente fortificato nello spirito, da provare in seguito disgusto per ogni altro cibo. S. Caterina comprese, e comprendiamo anche noi. I frutti di sapore ineffabile sono le virtù dell’anima nostra. Il monticello che rende il grano velenoso non dimostra altro che il mondo, campo sterile, con fatica inutile da tanti incauti coltivato. Nei primi che al solo vedere la siepe fuggirono, s’intendono coloro che hanno paura di fare la più piccola fatica per la loro anima: non una mortificazione, non una preghiera. Nei secondi, sgomentati nell’osservare da presso l’altezza dell’albero, quei molti Cristiani che da principio hanno fatto qualche cosa per la loro salute eterna, ma poi spaventati dalle difficoltà, mancarono ai proponimenti e si diedero anche essi in braccio all’ozio spirituale. Nei terzi, poi, quei fedeli che non temono fatica pur di raggiungere quei meriti che daranno a loro la paga eterna.Quando qualcuno domandava d’essere iscritto fra i cittadini romani, Catone, il rude censore, gli scrutava le mani, e se non le vedeva callose e indurite dalla fatica diuturna, lo respingeva con aspra voce: « Non sei degno d’essere cittadino romano ». Quando la nostra anima, staccata dal corpo, apparirà timida e sola alle porte del cielo, e chiederà d’essere ammessa tra i cittadini del Paradiso, Gesù scruterà le mani, e se non le troverà coi segni impressi del bene compiuto la rifiuterà con un grido eterno: « Non sei degna d’esser cittadina del Paradiso ».IL LAVORO DELLA SALUTE Eterna. Quest’oggi è Gesù Cristo, che ci chiama al lavoro con sua parabola, dalla quale ricaviamo due pensieri: 1) La necessità d’accogliere l’invito del Padre di famiglia. 2) A quale lavoro Dio ci chiama. – 1. LA NECESSITÀ D’ACCOGLIERE L’INVITO. Gesù, una volta, proruppe in terribili minacce contro i Farisei: « Guai a voi! Perché io vi manderò profeti, sapienti, dottori, e gli uni ucciderete e gli altri perseguiterete di città in città ». In quel momento, forse, gli passava davanti il quadro straziante della sua crocifissione. Gli passava davanti la figura di Stefano lapidato sotto le mura, di Giacomo decapitato, di Simeone figlio di Cleofa crocifisso e di tutti gli altri che la rabbia giudaica avrebbe tormentati. E ricordandosi anche di quanto avevano già patito Isaia, Geremia, Zaccaria ucciso fra il tempio e l’altare, lo assalì l’onda di pianto per l’ingrata sua patria ed esclamò: « Gerusalemme! Gerusalemme! che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono inviati dal Cielo, quante volte ho tentato di chiamare i tuoi figli sotto le mie ali, some una gallina che raduna i suoi pulcini: e non mi hai dato retta, mai. Ecco, tu sarai deserta! ». Dopo alcuni anni dalla profezia del Signore, arrivarono gli eserciti romani e rovesciarono la città dalle fondamenta, con orribile strage d’abitanti. Jerusalem! Jerusalem, quae occidis prophetas et lapidas eos qui ad te missi sunt… a) Queste parole si possono rivolgere anche all’anima nostra. Le buone ispirazioni, le prediche, i rimorsi, gl’inviti di Dio a lavorare nella sua vigna sono come i profeti inviati a noi dal cielo, che noi abbiamo disprezzati, perseguitati, soffocati. — Quando in certe sere abbiam sentito nel cuore una voce gridarci: « Non hai paura di addormentarti così? e se non ti svegliassi più? » eppure scrollammo le spalle e scacciammo quel pensiero salutare, commettemmo il delitto di Gerusalemme che perseguitava i profeti. — Quando, osservando alcune persone che vivono nel timore di Dio, abbiamo capito che la nostra vita d’indifferenza e di peccato era una pazzia; eppure preferimmo ancora andare avanti nel male senza convertirci, noi lapidammo, sotto la furia delle passioni, i buoni profeti che Dio ci aveva mandati. — Quando, nelle prediche o nel sacramento della Confessione, il Sacerdote, con amore divino, ci rivolse una parola adatta per noi, eppure non l’ascoltammo, anzi tornammo a far come prima e peggio di prima, noi con le nostre mani abbiamo soffocato la voce di Dio. Quoties volui congregare pullos tuos sub ala… b) Oh quante volte davvero il Signore ha tentato di condurci nella sua vigna! Ci ha invitati per tempissimo: quando, ancora infanti e ignari della vita, fummo battezzati. Non comprendevamo ancora nulla, ma era il Padre di famiglia che già ci chiamava nella sua vigna. Ci ha invitati all’ora terza: quando ricevemmo la Prima Comunione e l’anima nostra giovanetta promise di star unita a Gesù, non per quel giorno appena, ma sempre. Ci ha invitati all’ora sesta e nona: quando nella pienezza della vita, pensammo a formare un famiglia nostra, e ricevemmo il sacramento del matrimonio. Inginocchiati sul gradino dell’altare pregavamo Dio a benedire le nostre nozze, e il Signore rispondeva: « Bravo sarai tu, e la tua moglie e i tuoi figli che come rametti d’ulivo  fioriranno attorno alla tua mensa, se lavorerai nella mia vigna e osserverai i miei comandamenti ». Noi le sentimmo queste parole: e le dimenticammo. Ci invita anche alla penultima ora; quando con gli acciacchi della vecchiaia ci fa capire che la morte è lì dietro le spalle, ed ogni respiro può essere facilmente l’ultimo. – Ed anche adesso fa sentire la sua voce a tutti: bambini, giovani, uomini, vecchi. Dopo tanti inviti quale scusa potremmo addurre per non aver fatto nulla? Non certo quella di alcuni oziosi al padre di famiglia: Nemo nos conduxit. Se ci ostineremo nel nostro ingrato rifiuto, il Signore sarà costretto a ripetere per noi la minaccia di Gerusalemme: « Noluisti. Ecce relinquetur vobis domus vestra deserta », (Mt., XXIII, 37). – Ti ho chiamato e non sei venuto: rimani pure col demonio. Il suo castigo sia il tuo castigo; la sua dimora, la tua dimora. – 2. A QUALE LAVORO DIO CI CHIAMA. Dio ci chiama al lavoro della salvezza eterna. Quando Gesù guariva le malattie del corpo e moltiplicava il pane materiale, una folla immensa lo circondava. Quasi cinquemila persone gli corsero dietro, una volta per tre giorni, sopportando caldo e sete, pur di guarire dal male di un occhio; di un  braccio, delle gambe, od anche solo per aver un tozzo di pane, con cui placare la fame.  Quando invece Gesù, a Cafarnao, pensò di dare a quelle turbe non già un pane che nutra il corpo, ma un pane per l’anima, quando pensò di dare una medicina non già per i mali della carne, ma per quelli dello spirito, la gente infastidita lo abbandonò. « Vedete; — diceva Gesù — i vostri padri nel deserto mangiarono la manna, e poi morirono egualmente. Io invece ho un pane vivo, per il quale non morrete più ». Tutti tacevano aspettando di vedere questo pane misterioso.« E questo pane sono Io: la mia carne è vero cibo, e il mio sangue è vera bevanda ». La gente non ne poté più; cominciò ad ingiuriarlo. « Sappiamo bene chi sei: un fabbro. Conoscemmo già tuo padre e tua madre ». E se ne andarono. Che importava a loro del Pane per la vita eterna? A loro bastava il pane che riempie lo stomaco per la misera vita di quaggiù. Operamini non cibum qui perit sed qui permanet in vitam æternam (Giov., VI. 27). Lavorate non per la roba di questo mondo che passa, ma per l’altro mondo che resta. Gli uomini d’adesso non sono diversi da quelli d’un tempo. « Io vedo — scrive S. Gregorio — una moltitudine che riempie le strade, le piazze, le officine, i tribunali, i mercati che vanno, che vengono; che si urtano, che imbrogliano, che faticano, che sudano da mane a sera, di giorno e di notte; e tutti per il danaro, per il corpo, per le passioni ». Si sola facimus quæ ad nostram pertinent utilitatem sine causa vivimus super terram. O uomini, se noi lavoriamo appena per il guadagno di quaggiù, sprechiamo la vita. Invece tutto si concede all’uomo carnale e terreno e nulla all’uomo cristiano; tutto per il vizio e nulla per la virtù; tutto per il corpo e nulla per l’anima. L’anima: questa vigna del Signore rimane incolta, piena di gramigna e d’ortiche e di spine e di sassi. Una Messa strapazzata alla festa; una Comunione, forse sacrilega all’anno, e nulla di più: non un segno di croce mattina e sera, non una giaculatoria nelle tentazioni, non una elemosina, un digiuno… Non bisogna meravigliarsi allora del terribile enigma con cui Gesù chiude la sua parabola bella: « Molti sono i chiamati, ma gli eletti, pochi ». – Mentre, lontano, il re di Dacia, passato il Danubio, invadeva con ferro e con fuoco l’impero romano, mentre, vicino, il popolo moriva di peste e di fame, Domiziano, imperatore feroce e grottesco, saltarellava per la sala dorata ad acchiappar mosche sulle pareti. Cristiani: pensiamo se, forse, non imitiamo anche noi la sciocchezza di quell’imperatore. La nostra vita è come una giornata di lavoro. L’ha detto S. Gregorio: omnis vita dies unus. Al termine di questa giornata, se non avremo pensato che agli interessi ed ai divertimenti, non avremo preso che delle mosche. Che paga ci potrà dare, allora, la giustizia di Dio. — GENTE INVIDIOSA. Ci furono di quelli arrivati un’ora prima del tramonto! il padrone li aveva visti sulla piazza sfaccendati ed aveva detto loro: « Perché oziate tutto il santo giorno? Andate nella mia vigna che ci sarà lavoro anche per voi ». I primi a presentarsi per la paga furono appunto questi: e ciascuno si intascò un danaro intero. S’accese allora nel cuor degli altri una forte brama. Dicevano: « Se per un’ora un danaro, noi che abbiamo lavorato tre, sei, nove, dodici ore riceveremo tre, sei, nove, dodici, danari ». Ma non fu così. Quando venne il loro turno tutti ebbero la medesima ricompensa: un danaro. Delusi e rabbiosi, cominciarono a invidiare la sorte dei primi. « Ingiustizia! È un’ingiustizia! — si gridava davanti alla porta del padrone. — Han lavorato un’ora e guadagnato come noi che abbiamo sgobbato tutta la giornata, come noi che abbiamo bruciato il cranio sotto il sole!… ». Calmo, ma risoluto, il padrone apparve in mezzo a quella gente invidiosa; prese il primo che gli capitò sotto mano e gli rivolse queste secche parole: « Buon uomo! Cosa c’è da borbottare? ». « C’è che costui ha fatto poco e l’hai messo a pari di me che ho fatto tanto ». « Stamattina, che cosa avevamo pattuito? ». « Che mi avresti dato un danaro ». « E te l’ho dato. Vattene dunque! ». Ci fu come un momento di silenzio. Poi la voce del padrone echeggiò solennemente contro tutti gli invidiosi: « Del mio posso fare quel che voglio. E se all’ultimo voglio dare come al primo, che importa a voi? O è maligno il vostro occhio, perché io sono buono? ». L’invidia! essa — predicava Bossuet — è la più vile, la più odiosa e la più screditata delle passioni; ma forse è la più comune e tale che poche anime ne sono del tutto immuni. I nostri antichi dicevano che nel mondo v’era un’isola soltanto in cui non crescesse erba velenosa, né vivesse bestia velenosa; ma neppur essi avevano saputo immaginare un posto, benché remoto e piccolo, ove non allignasse il veleno dell’invidia. E non si può dar torto a quel nostro proverbio che dice: Se l’invidia fosse febbre tutto il mondo intier l’avrebbe. Quand’è così, Cristiani, ben venga la parabola del Vangelo a farci meditare un po’ sopra questo peccato e a spingerci verso i rimedi di una pronta e santa correzione. – 1. IL PECCATO DELL’INVIDIA. Il primo ad avere invidia, sapete chi fu? il demonio. Dalle fiamme eterne contemplava Adamo ed Eva, beatissimi nel giardino delle delizie; e non potendo egli godere della loro gioia, volle che essi soffrissero del suo tormento. Si trasformò in serpente e fece mangiare alla donna il frutto della perdizione. « Fu per l’invidia del diavolo — dice la Sacra Scrittura — che la morte entrò nel mondo; ma da quel giorno tutti gli invidiosi non fanno che imitarlo » (Sap., II, 24). E nella famiglia di Adamo, lo imitò Caino: egli aveva invidia di suo fratello Abele. « Perché sei invidioso? — gli aveva detto il Signore — perché la tua faccia è crucciata? Non è vero che se anche tu farai bene, troverai bene? ». Ma Caino condusse Abele alla campagna e l’uccise. Nella famiglia di Isacco, lo imitò Esaù: egli odiava sempre il fratello Giacobbe perché aveva invidia della benedizione con la quale il vecchio padre l’aveva benedetto. « Verrà il giorno in cui mio padre morrà! — diceva in cuor suo; — allora io l’ammazzerò ». Nella famiglia di Giacobbe furono gli undici fratelli ad imitarlo. Essi vedendo come il vecchio padre amava Giuseppe più di tutti gli altri figli perché era il più ubbidiente ed ingenuo, cominciarono ad odiare il fratello e non gli parlaron più con amore… E appena un giorno lo videro giungere nei campi, si dissero a vicenda: « Ora il sognatore è nelle nostre mani! Venite che l’uccidiamo e lo gettiamo nella cisterna ». E nella nostra famiglia, non siamo forse noi l’invidioso che imita il demonio? Non è forse per la nostra invidia che la pace è sparita dalla casa, dal cortile, dagli amici e conoscenti? Guardate bene che razza di malattia è l’invidia: da principio vi colpisce negli occhi: poi nel cuore; e poi, se non correte ai rimedi, anche nelle mani. a) È un invidioso, malato negli occhi, colui che nel suo prossimo vuol scoprire soltanto i difetti. E quando non riesce a trovarne, li inventa, interpretando male ogni azione. Se voi gli dite: « Il tale è una persona caritatevole, ho saputo delle sue generose offerte alla Chiesa, ai poveri, ai malati » egli vi risponde. « Tutto per mettersi in vista! e poi chi sa da che parte viene quel danaro! vuol forse sgravarsi la coscienza di qualche rimorso ». E se voi gli dite ancora: « Hai conosciuto che persona onesta è il tal altro? » egli subito fremerà come se quella lode fosse un biasimo per lui e s’affretterà a dirvi: « Se dovessi svelarti tutto quello che io so, sul suo conto… » e magari non sa proprio niente. Ma non importa, egli ormai non è che un pipistrello insofferente d’ogni buona luce ed incapace di vedere se non le tenebre. Povero invidioso! b) Ad altri invece l’invidia ha già pervaso il cuore. Quando vedono che un fratello è più fortunato, che un vicino ha fatto un raccolto più abbondante, che un amico ha figliuoli più timorati, che un conoscente ha ricevuto qualche onore, ecco non hanno più pace. Irrequieti, permalosi, tristi, dalla faccia smorta vanno continuamente imprecando contro la buona sorte altrui, ed augurando male. Non hanno piacere se non quando vedono gli altri crucciati, calunniati, ammalati, sfortunati, disgraziati. c) Ma il peggio è che a furia di odiare il bene e di pensare al male del prossimo, si finisce a fare quello che da prima era soltanto un desiderio cattivo. È così che Saul giunse a vibrare la sua lancia contro Davide; è così che gli undici fratelli ebbero la crudeltà di vendere Giuseppe; è così che Esaù fece fuggire da casa Giacobbe; è così che Caino uccise l’innocente Abele. Ed è proprio così che oggi ancora ci sono parenti che si odiano; ci sono vicini che si danneggiano l’un l’altro nel campo e nella roba e nel commercio; ci sono risse tra amici. – 2. I RIMEDI. Già li aveva trovati, or sono molti secoli, S. Basilio. « Che cosa dobbiamo fare — predicava egli ai Cristiani del suo tempo — per non cadere nel peccato dell’invidia, o per liberarcene al più presto se mai vi fossimo incappati? Tre cose: stimare le cose mondane per quello che valgono; riflettere alla nessuna utilità che dall’invidia ci viene; persuaderci che d’ogni bene, il padrone è Dio. » a) Stimare le cose mondane per quel che valgono. Esse non dànno la felicità: sono forse felici i ricchi? sono forse più contenti di noi le persone onorate dal mondo? Crederlo è un’illusione. Anche il pesce corre bramosamente verso l’esca, ma come l’abbocca si trova uncinato dolorosamente; così è l’uomo che s’affanna verso i beni della terra nella lusinga di trovarsi felice e poi si trova aumentati gli affanni. Inoltre le cose mondane non sono eterne: se ci fosse qualcuno ostinato a rimanere sulla cima d’una torre che il minatore deve far saltare, noi lo diremmo un pazzo; ebbene, il tempo è quel minatore che rovescerà tra poco la torre della ricchezza, dell’onore, del piacere a cui molti hanno attaccato il cuore. Pensate che nell’ora dell’agonia un milione non vi allungherebbe la vita di un minuto; e gli onori di un re non vi farebbero tirare un respiro di più di quelli che per voi sono contati. – b) Nessuna utilità può derivare dall’invidia. Come la ruggine consuma il ferro, così l’invidia altro non giova che a rodere l’invidioso. Essa è come un tarlo, è come una sega, è come una vipera nell’anima. Che cosa dunque avanzano gli invidiosi? Quel che avanzano le farfalle quando volteggiano intorno alla fiamma d’una candela quasi a spegnerla rabbiosamente con le loro alucce: girano e rigirano, batton e sbattono finché stanche e bruciacchiate cadono morte mentre la fiamma continua a brillare. Così quelli che s’illudono, con le loro smanie, di spegnere agli altri la fiamma della virtù o della fortuna, finiscono per cadere bruciati. E Dio non voglia che sia nel fuoco dell’inferno. c) D’ogni bene Dio è il padrone. E li distribuisce secondo i suoi disegni misteriosi. Chi di noi oserebbe dirgli: « Perché fai così? Perché non dài a me più degli altri? ». Egli ci potrebbe rispondere come il padrone della vigna, nella parabola: « Prenditi quel che è tuo, e vattene. Del mio, ne faccio come voglio ». Tolle quod tuum est et vade! Che abbiam mai di nostro? non la vita, non salute, non la roba, non la famiglia, non l’aria, non il cibo… Che cosa dunque abbiamo? solo i peccati. Ma con essi dove si può andare? solo all’inferno. Tolle quod tuum est et vade! – Volete sapere se siete discepoli del Signore o discepoli del demonio? È presto fatto. « I miei discepoli — disse Gesù — si conosceranno dall’amore vicendevole ». Perciò S. Paolo raccomandava ai Cristiani di godere con quelli che godono, e di soffrire con quelli che soffrono (Rom., XII, 15). « I miei discepoli — dice il demonio — si conosceranno dall’invidia vicendevole » (Sap., II, 25). Perciò essi godono quando gli altri soffrono, e soffrono quando gli altri godono.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps XCI:2

Bonum est confitéri Dómino, et psállere nómini tuo, Altíssime.

[È bello lodare il Signore, e inneggiare al tuo nome, o Altissimo.]

Secreta

Munéribus nostris, quæsumus, Dómine, precibúsque suscéptis: et coeléstibus nos munda mystériis, et cleménter exáudi.

[O Signore, Te ne preghiamo, ricevuti i nostri doni e le nostre preghiere, purificaci coi celesti misteri e benevolmente esaudiscici.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de sanctissima Trinitate

Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui cum unigénito Fílio tuo et Spíritu Sancto unus es Deus, unus es Dóminus: non in uníus singularitáte persónæ, sed in uníus Trinitáte substántiæ. Quod enim de tua glória, revelánte te, crédimus, hoc de Fílio tuo, hoc de Spíritu Sancto sine differéntia discretiónis sentímus. Ut in confessióne veræ sempiternǽque Deitátis, et in persónis propríetas, et in esséntia únitas, et in majestáte adorétur æquálitas. Quam laudant Angeli atque Archángeli, Chérubim quoque ac Séraphim: qui non cessant clamáre quotídie, una voce dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: che col Figlio tuo unigenito e con lo Spirito Santo, sei un Dio solo ed un solo Signore, non nella singolarità di una sola persona, ma nella Trinità di una sola sostanza. Cosí che quanto per tua rivelazione crediamo della tua gloria, il medesimo sentiamo, senza distinzione, e di tuo Figlio e dello Spirito Santo. Affinché nella professione della vera e sempiterna Divinità, si adori: e la proprietà nelle persone e l’unità nell’essenza e l’uguaglianza nella maestà. La quale lodano gli Angeli e gli Arcangeli, i Cherubini e i Serafini, che non cessano ogni giorno di acclamare, dicendo ad una voce:]


Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis
Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps XXX: 17-18

Illúmina fáciem tuam super servum tuum, et salvum me fac in tua misericórdia: Dómine, non confúndar, quóniam invocávi te.

[Rivolgi al tuo servo la luce del tuo volto, salvami con la tua misericordia: che non abbia a vergognarmi, o Signore, di averti invocato.]

Postcommunio

Fidéles tui, Deus, per tua dona firméntur: ut eadem et percipiéndo requírant, et quæréndo sine fine percípiant.

[I tuoi fedeli, o Dio, siano confermati mediante i tuoi doni: affinché, ricevendoli ne diventino bramosi, e bramandoli li conseguano senza fine.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa

LO SCUDO DELLA FEDE (238)

LO SCUDO DELLA FEDE (238)

LA SANTA MADRE CHIESA NELLA SANTA MESSA (6)

SPIEGAZIONE STORICA, CRITICA, MORALE DELLA SANTA MESSA

Mons., BELASIO ANTONIO MARIA

Ed. QUINTA

TORINO, LIBRERIA SALESIANA EDITRICE, 1908

LA MESSA

PARTE SECONDA

L’OFFERTA

CAPO I

ART. III

L’OFFERTORIO CANTATO IN CORO.

Mentre i ministri depongono le offerte innanzi al celebrante, dal coro dei cantanti si accompagna l’oblazione colle più tenere, più vive e più accese espressioni, alla Chiesa inspirate dallo Spirito Santo. Nel canto dell’offertorio, o si esalta la bontà di Dio, o i più bei doni adoperati dalla sua grazia nella vita dei suoi santi, o si presenta una virtù, quasi profumo spirituale, pigliandosi da essa conforto a sollevare il nostro spirito al Signore della bontà. Questo cantico ora comunemente chiamasi offertorio; benché offertorio si dicesse in altri tempi tutta la parte della messa dalla recita del Credo al Prefazio. Cantandosi l’offertorio, mentre si esprime l’espansione dei fedeli, che con le cose ricevute dalla bontà di Dio offeriscono tutti sé stessi in santa letizia (Mansi, Vero Ecclesiastico, part. 2 lib. I, cap. d.), anche si rende immagine nella casa di Dio in terra di ciò che fanno gli Angeli nella celeste magione. Cioè mentre su pei gradini dell’altare, che è la mistica scala del cielo, vanno i ministri a deporre le offerte, come i nostri Angeli custodi su per la scala veduta da Giacobbe vanno a deporre i profumi delle nostre orazioni in paradiso; i cantanti del coro rappresentano gli altri Angeli, che cantano innanzi a Dio gli eterni osanna della beatitudine.

La musica e i motetti.

Egli è questo l’istante, in cui la Chiesa permette ai suoi figliuoli di recare sull’altare e unir coll’offerta del pane e del vino, che stanno per diventare un’offerta veramente divina, tutto che per gli uomini presentar si possa che buono sia. Nell’istante dell’offertorio le cose divine alle umane si congiungono; e qui, mentre Iddio medesimo è per discendere in terra, e darsi in mano agli uomini, anche la terra, per festeggiarlo, manda sull’altare i fiorì più delicati, che le spuntano in seno a fargli presente. Ecco, come noi crediamo, il perché la Chiesa permetta i canti, i suoni e motetti per le particolari solennità. A questo punto della Messa la musica spiega i suoi tesori, e sull’ali della melodia si sollevano gli animi a bere in seno a Dio quasi un’aura di quella armonia, che tratto tratto Egli lascia gustare a certi genii, massime sotto lo splendido cielo d’Italia. L’organo col maestoso composto di tutti i suoi strumenti in unità di accordo, or delicato e flebile si espande, or romba fragoroso, ora soavemente s’allegra, sempre ravviva gli affetti, scuote le anime, le esalta, le indovina e le spiega; rapido nei suoi moti sonori, s’unifica colla rapidità del pensiero, e scorre con esso per gli svariati campi dell’immaginazione. Ti pare, che ora gema sotto voce nelle celle coi penitenti, o che sospiri nel gaudio delle anime inebbriate d’amore divino innanzi all’Oggetto delle loro tenerezze celesti, o che festeggi l’ingresso di chi, dopo le battaglie dei sensi, trionfa in paradiso, quando fa eco all’epitalamio, che cantano gli Angeli nelle eterne nozze delle vergini sante collo Sposo Divino, quando fremente fa sentire il furore delle persecuzioni, o poi fluido e grandioso nelle sue belle variazioni spiega le ricchezze delle opere e le consolazioni dell’uom beato, che teme Iddio: così cammina nell’andamento delle sue armonie, sublimi come le eroiche virtù, che si vanno nella Messa commemorando. Sempre però nel trovarci in mezzo a quel mirabile complesso di tante voci distinte, e nella, concorde varietà di così diversi strumenti legati fra loro, che pare abbiano movimento, pensiero, e vita loro propria, e pure sono mirabilmente unificate, sempre ci pare di gustare un saggio dell’armonia divina insieme coi fedeli del tempio e coi beati in cielo. Deh al lor cantico immortale s’accordino intanto i nostri voti uniti all’inno sublime, che tutte le creature intuonano nel loro linguaggio al Signore dell’universo! Il canto poi solleva l’anima di terra, e quasi l’ali di Angelo le impenna. Leggiero come i pensieri, agile e pronto, col variar d’inflessioni incessanti, coll’inseguirsi di conserva nei canoni, coll’incalzare delle fughe, col serrarsi nello stretto, nell’audace slanciarsi in quei trilli vivaci, tutto vita, movimento, varietà ed affetto e tutto armonia, mentre ti calca le orme dei veloci pensieri, ti colora dinanzi quelle varie tinte di affetti, che mai non può tradurre né dipingere interamente l’umana parola. Che fa adunque un’anima quando, con santi pensieri sublimata in Dio, si esilara nel canto? Diremo che trovandosi come inquieta di non potersi tutta spiegare, in quei movimenti del canto par che si slanci e si versi in seno a Dio, ed a Lui s’abbandoni e trovi, che con Lui la melodia ben l’interpreti e la soddisfaccia. Così, se non fosse la musica un mezzo di espressione naturale, vorremmo dire che la religione l’avrebbe inventata. Le sue verità scuotono fortemente il sentimento, ed il sentimento in armonia coi veri divini si esilara nei movimenti dell’armonia divina. – Ecco di fatto che i Giudei non solo, ma gli Egizi, i Greci, i Romani, le nazioni barbare e le célte accompagnarono ì lor sacrifizi con cantici e suoni. Quella grand’anima di s. Agostino, che penetrava sì addentro nelle cose divine, e nelle cose umane portava un cuore fatto per farsene scala a salire a Dio, quando entrava nei templi, e si trovava in mezzo a un gran popolo, che cantava le lodi e gli inni della Chiesa, si sentiva sublimemente rapire al cielo. Ed invero, chi ha cuore che sente, non può a meno di essere commosso, quando nelle chiese cattoliche si trovi in mezzo a mille e mille suoi fratelli della grande famiglia di una intiera città prostrata appiè degli altari, e tutti cogli occhi al cielo, coi cuori aperti a Dio: quando sente nel canto gli acuti allegri trilli dei fanciulli, le celesti voci delle vergini, e le soavi di tante madri, e le gravi di tanti uomini, e le flebili di tanti afflitti e sofferenti, nell’armonia della carità alzarsi come un grido unisono a Dio Padre delle misericordie! Allora debbe esclamare: « Che bella cosa è pregar tutti insieme! »

Il Pane e il Vino, Il Calice e la Patena.

Dalle offerte si prende adunque il pane e il vino da consacrarsi pel sacrificio. Il pane ed il vino considerati in se stessi, posti sull’altare, sono simboli espressivi di quell’alimento, che la vita nostra mantiene (S. Thom. 3 p., q. 74, art. 1. I ), e sono anche tributi dell’umana riconoscenza a Dio, come a provvidenziale conservatore; come all’assoluto proprietario della universa natura, da cui noi attingiamo continuamente la vita. Nell’offertorio la preghiera è come l’offerta dello Spirito, e questi frutti della terra e del nostro sudore sono l’offerta dei sensi. Se non fossimo altro che puri spiriti, non avremmo a Dio offerto se non adorazioni spirituali; ma poiché allo spirito abbiamo unito il corpo, è d’uopo fare un’offerta anche della materia che lo sostiene. Considerato poi il pane e il vino sacramentalmente, qui si offrono a fine di essere trasmutati nel Corpo e nel Sangue del Signore sotto le specie divise (S. Thom. Ivi), per compier il sacrificio divino, e a questo fine sull’altare si presentano sulla patena e nel calice. Il calice è una coppa, che serve a bere. (Ben. XIV, lib 1, cap. 4, n. 8, De sac. Miss.) Usato da Gesù Cristo nella cena benedetta in cui instituì il SS. Sacramento, fino dagli Apostoli restò adottato nel sacrificio. Nei tesori delle più antiche chiese si conservano calici, che nella loro foggia e negli ornati danno indizio d’essere antichissimi, e sono affatto simili nella forma a quelli, che adoperiamo noi presentemente. La forma tradizionale di questo vaso, destinato all’uso più augusto, meritossi di essere rispettata, e conservata. Essa sembra tolta dai calici dei fiori; e non si poteva invero all’Autore di tutto il creato offrire il più gran dono in vasi di forma né più elegante, né più gentile, né più conveniente di quella dei calici dei fiori, lavorati dalla mano stessa di Dio, per mandargli al cielo dalla terra i profumi che ha loro dato di effondere. Il calice rappresenta il sepolcro, in cui fu deposto il Corpo SS. di Gesù (Ben. XIV, lib. 1, cap. 5, n. 3); dove poi rifiorì a vita immortale, brillante di bellezza divina. – La patena è un piatto, su cui s’offre il pane, e poi si depone il Corpo SS. di Gesù Cristo. Usata dai tempi degli Apostoli, ebbe il nome di patena dalla parola latina patendo, dallo stare aperta (Ivi n. 5.), cioè dall’essere formata in modo, che si mostra nelle mani di chi offre, aperta dinanzi a quegli, a cui si fa l’offerta. La patena, espansa ed allargata così sull’altare, significa la larghezza della carità, e mostra i cuori aperti dei fedeli, che si espandono innanzi a Dio (Durandus Guliel. Kal. div. off.). Nella mistica significazione la patena rappresenta la pietra, che copri il sepolcro di nostro Signore (4(4) Ben. XIV, lib. 1, cap. 5, n. 3, De sac. Miss.) e troviamo patene, che nella parte di sotto in mezzo all’orlo che serve come di piede al piattello, molto appropriatamente portano scolpito Gesù risorgente, quasi il forte dormiente sotto quel sasso, cui risorgendo scosse come arida foglia, nell’ora del sonno a lui caduta sul capo.

IL SACRO CUORE DI GESÙ (62)

IL SACRO CUORE (62)

J. V. BAINVEL – prof. teologia Ist. Catt. Di Parigi;

LA DEVOZIONE AL S. CUORE DI GESÙ-

[Milano Soc. Ed. “Vita e Pensiero, 1919]

PARTE TERZA.

Sviluppo storico della divozione.

CAPITOLO SETTIMO

DALLA MORTE DI MARGHERITA MARIA AI NOSTRI GIORNI

IV. – VITA E SVILUPPO INTIMO DELLA DIVOZIONE

In questo. campo, come in tutta la vita della Chiesa, gli atti dell’autorità, sono stati preparati dai desideri intimi delle anime, dall’amore, dalle opere. La divozione al sacro Cuore è vivente nelle anime che ne vivono; ed è perché le anime ne vivono ed essa è viva, che ha fatto sbocciare una serie di pratiche e di divozioni tutte animate dal medesimo principio, di rendere cioè al sacro Cuore l’amore e l’onore che gli son dovuti, di amarlo e di farlo amare. In se stessa non è tanto una pratica o un insieme di pratiche, quanto uno spirito, un principio di vita per le pratiche più diverse. Molte di queste pratiche sono già in germe negli scritti di santa Margherita Maria e molte sono indicate nei primi trattati come esercizi proprî della divozione. Spesso si organizzano in istituzioni stabili; l’Opera dell’adorazione perpetua; l’arciconfraternita del sacro Cuore; l’apostolato della preghiera: l’arciconfraternita della Guardia d’onore; l’arciconfraternita di preghiera e penitenza; l’arciconfraternita del Cuore eucaristico; la comunione riparatrice; la devozione al Cuore agonizzante; il mese del sacro Cuore; i pellegrinaggi; nove venerdì e le pratiche dei primi venerdì; le immagini e gli scapolari del sacro Cuore, ecc. La maggior parte di queste pratiche e di queste istituzioni hanno una storia talvolta interessante; ve ne sono alcune delle quali ci si assicura che hanno una origine soprannaturale, come l’arciconfraternita di preghiera e di penitenza. – A volte sono divozioni nuove, che si sviluppano lato della grande divozione, o che cercano di riallacciarsi ad essa. Così la devozione al Cuore agonizzante di Gesù, la divozione al Cuore eucaristico, a nostra Signora del sacro Cuore. Sono istituzioni ed opere che nascono come fiori e che vengono a porsi attorno ad essa, come sotto la protezione di un grande albero. – Anche le opere sono quasi innumerevoli. E, anche limitandosi alle congregazioni religiose, sarebbe lunga la lista di quelle che si riferiscono al sacro Cuore, sia che abbiano per oggetto principale il sacro Cuore o che la divozione al sacro Cuore sia uno dei principali mezzi per raggiungere il loro fine speciale. Un gran numero ne ha anche preso il nome. Trovo i nomi seguenti nel Kirchenlexikon. Al principio del XIX secolo, la Società del sacro Cuore di Gesù (Paccanaristi); i Padri dei sacri Cuori di Issoudun, 1854; 1 Preti ausiliari del sacro Cuore di Béthartan, 1841; 1 Padri dei sacri Cuori di Gesù e di Maria detti Padri di Picpus, 1805; le Dame del Sacro Cuore, 1800; le Oblate del sacro Cuore, 1866; le Società dei sacri Cuori di Gesù e di Maria dette dello Spirito Santo; le suore del Cuor di Gesù e di Maria (Récaubeau); le Figlie dei sacri Cuori di Gesù e di Maria (Portricux). E la lista è ben lontana dall’esser completa. Vi mancano specialmente: le società del Cuor di Gesù e del Cuore di Maria, fondate dal P. di Clorivière; le due società fondate dal P. Muard, i Preti del Cuor di Gesù, di Pontigny, i Benedettini predicatori dei sacri Cuori di Gesù e di Maria. detti de la Pierre-qui-vire; i Padri del sacro Cuore, di Saint-Quentin; la santa Famiglia del sacro Cuore, e quante altre! – Tutto ciò ci mostra come è viva e ricca la divozione. Vi è perfino, qui, come in tutte le cose, pericolo di eccesso. E la Chiesa è spesso intervenuta, per mettere in guardia contro la manìa di inventare una nuova divozione. Ma, ancor più che non reprimere, ha incoraggiato. Quando una pratica ha fatto le sue prove, essa interviene per approvarle, per arricchirla d’indulgenze, ecc. Ciò che, per dirla di passaggio, deve metterci in guardia contro la tendenza a studiare la divozione soltanto sui documenti ufficiali od anche unicamente sui documenti liturgici. Senza voler enumerare tutti questi documenti, — ve ne sono per tutte le opere organizzate, per molte preghiere e pratiche — diamo uno sguardo a quelli che servono a far meglio intendere qualche aspetto della divozione. Si vedrà che i documenti restrittivi o esplicativi sono in grande numero.

I. Immagini e scapolari del sacro Cuore. — ‘Santa Margherita Maria vedeva ora il Cuore solo, ora il Cuore nel petto del Salvatore, o un po’ al di fuori. Le immagini hanno avuto la stessa differenza. Le prime rappresentavano cuori separati, ed è ad un’immagine di questo genere che furono resi i primi onori, a Paray, nel 1685. Margherita Maria ne portava una sul suo cuore e raccomandava la medesima pratica, come graditissima al sacro Cuore. Durante la peste di Marsiglia, nel 1720 Maddalena Rémuzat fu ispirata di divulgare una piccola immagine, portante un cuore con la iscrizione: Fermati! il Cuor di Gesù è là. Questa immagine fece meraviglie, fu chiamata la salvaguardia. Di poi essa è stata distribuita in circostanze simili; per esempio, ad Amiens, durante la peste del 1866. Poco a poco ha preso grande estensione, e Pio IX vi unì delle indulgenze il 28 ottobre 1872. – Dacché Leone XIII ha mostrato nel sacro Cuore un nuovo labarum, vi è una combinazione della croce col cuore, con l’iscrizione: In hoc signo vinces. Si chiama spesso l’antica immagine: Piccolo scapolare del sacro Cuore. Ma non è lo scapolare propriamente detto. Questo, chiamato qualche volta scapolare di Pellevoisin, è del 1875 o del 1876. È stato arricchito di indulgenze, ma Roma ha spiegato che le indulgenze date allo scapolare non comprendono l’approvazione dei fatti soprannaturali ai quali lo si collega (Decreto del Sant’Uffizio, 3 settembre 1904.). Dopo il 1900 gli Oblati di Maria Immacolata hanno la facoltà di dare uno scapolare del sacro Cuore, che è diventato come lo scapolare di Montmartre. Credo non sia altro che lo scapolare di Pellevoisin leggermente modificato. – Da ciò si vede che la Chiesa continua ad ammettere l’immagine del Cuore separato. Ma essa ha spiegato nel 1891 che questa immagine, permessa nella divozione privata, non deve essere esposta alla venerazione pubblica sugli altari. D’altra parte ciò s’intende da sé, ed anche questo punto è stato spiegato, ché non si ha un’immagine del sacro Cuore, se il cuore non è visibile. Il sacro Cuore offerto dalla Chiesa al culto pubblico è dunque Gesù che mostra il suo Cuore.

.2. Il Cuor di Gesù penitente o il Cuor penitente di Gesù: il Cuore misericordioso. — La Chiesa ha approvatoe arricchito d’indulgenze l’Arciconfraternita di preghierae di penitenza in unione al cuor di Gesù, ma ha condannatoil titolo: Cuore penitente di Gesù; Cuor di Gesùpenitente per noi; Gesù penitente; Gesù penitente pernoi (Decreto del Sant’Uffizio, 15 luglio 1893. Questo decreto fa parte di un insieme di atti della Santa Sede contro un piccolo gruppo di ostinati stabiliti a Loigny, che, malgrado diverse condanne, continuavano ad immaginare e pubblicare delle rivendicazioni del Coeur de Jesu pénitent.). Senza dubbio si può dare a questo titolo unsenso giusto e vero, e qualche volta è stato impiegato insenso giusto; ma in se stesso esso è equivoco o inesatto, perché la penitenza importa il rimpianto e la detestazionedelle nostre proprie colpe.Il titolo di Cuore misericordioso non ha lo stesso inconveniente. Eppure è stato disapprovato nel 1875, perché si voleva sostituirlo a quello di sacro Cuore (Vedi: « Acta S. Sedis », t. XII, pag. 531.).

3. Il Cuore eucaristico di Gesù. — Da qualche anno la Chiesa approvava e arricchiva di indulgenze alcune preghiere e pratiche in onore del Cuore eucaristico. A Roma esiste anche un’arciconfraternita sotto questo titolo, alla quale sono unite diverse confraternite. Ma vi sono state delle resistenze; sono state necessarie delle spiegazioni. Nel 1891 un decreto del Sant’Uffizio disapprovava i nuovi emblemi del sacro Cuore nell’Eucaristia (Si trattava specialmente, pare, di una sorta speciale di ostie e del sacro Cuore). – Sono assai numerose, diceva il decreto, le del sacro Cuore, accolte ed approvate nella Chiesa, e spigava che il culto del sacro Cuore nell’Eucaristia, non è differente da quello del sacro Cuore. A questo decreto, come a quello sul Cuor penitente, come a molti altri, la Sacra Congregazione aggiunge l’avviso del 13 gennaio 1875 contro la manìa d’innovare e d’inventare nuove divozioni: vi è in ciò un pericolo pet la fede, e si dà agli increduli una occasione di biasimo. Con il beneficio di queste spiegazioni, la divozione continuò a vivere e progredire, non senza molte difficoltà, grazie soprattutto all’arciconfraternita che aveva lo scopo di promuoverla. Ma ha ricevuto nuovi colpi. Era stato domandato alla Congregazione dei Riti se era permesso di dedicare una chiesa al Cuore eucaristico di Gesù e di metterne su l’altare l’immagine o la statua. La Sacra Congregazione rispose, con decreto 28 marzo 1914, che bisognava, tanto per la Chiesa, quanto per l’immagine, sostituire al titolo nuovo un titolo liturgico e riportare tutto a qualche culto approvato. E ricorda, in questa occasione, il decreto del 1801 con l’avviso che vi si trovava unito. Il vicedirettore dell’arciconfraternita credette opportuno di mandare occultamente a qualche Vescovo una lettera esplicativa del decreto: di marzo. in cui non era tutto perfettamente giusto (non adeo veritati innixa) né  perfettamente chiaro (et quæ facile confusionem ingerunt). Pio X biasimò il modo di procedere scorretto e lo zelo intempestivo del vicedirettore e fece pubblicare la seguente dichiarazione del 15 luglio 1914: « Nuova conferma del decreto di marzo, con la nota: In decisis et amplius (ciò che significa che la questione è decisa e non bisogna più tornarci sopra). —

II. Il titolo « Cuore eucaristico di Gesù » non è permesso che per le confraternite approvate sotto questo titolo; e a condizione che lo si intenda nel senso di cuor di Gesù, tale quale è presente nell’Eucaristia. — III. Questo titolo non essendo né canonico né liturgico, ed al contrario avendo l’aria molto nuova, non deve mai essere approvato né ammesso nella liturgia. — IV. Le confraternite esistenti sotto questo titolo non possono celebrare, come loro propria festa, altro che la festa del sacro Cuore (con la Chiesa universale) o la festa del SS. Sacramento » (Si veda in argomento il Decreto del 3 aprile 1915 del Santo Uffizio.).

4. Culto e immagine di nostra Signora del sacro Cuore. — Si sa l’estensione che ha preso il culto di nostra Signora del sacro Cuore d’Issoudun. La Chiesa è intervenuta, due o tre volte, per regolarlo. Nel 1875, un decreto del Sant’Uffizio spiegava, che non si può attribuire alla Santissima Vergine alcun potere, propriamente detto, alcuna autorità sul Cuor di Gesù. Il titolo è ammesso sotto il benefizio di questa spiegazione; ma si disapprova l’immagine in cui Gesù è ritto davanti a Maria; si vuole che il fanciullo sia nelle braccia della Madre. Si tollera la statua d’Issoudun, ma non se ne permettono riproduzioni (Decreto del Sant’Uffizio, 3 aprile 1895).

V.- VITA E DIFFUSIONE SOCIALE DELLA DIVOZIONE

Santa Margherita Maria aveva chiesto, in nome del sacro Cuore, un omaggio solenne del re e della corte. Questo omaggio non fu reso allora. Ma i Cattolici francesi, ne hanno ripreso l’idea dopo il 1870, e serbano la speranza che la nazione farà un giorno ciò che il re non ha fatto. A questa idea di omaggio, la santa ne univa un’altra, quella del sacro Cuore, come rifugio e salvezza nelle calamità pubbliche. Questa entrò presto in uso. Abbiamo visto Marsiglia nel 1720 e nel 1722 ricorrere a questo Cuore misericordioso; altre città fecero lo stesso. Così, per citare un esempio, il P. Lorenzo Ricci, generale dei Gesuiti, in mezzo alle disgrazie che colpivano la Compagnia e a quelle più gravi ancora che la minacciavano, alzava la voce per esortare i suoi a ricorrere al sacro Cuore. E, quando il Papa ebbe soppressa la Società, i Gesuiti dispersi, esiliati, prigionieri, conservavano la speranza che il sacro Cuore finirebbe per averne pietà. Il fiore dei Cattolici di Francia faceva lo stesso durante la Rivoluzione. Ricorrevano con fervore al sacro Cuore, si era sparsa fra essi l’idea che non vi era altra salvezza. Si dice che Luigi XVI, già quasi prigioniero, potesse, il 10 febbraio 1790, entrare in Notre Dame di Parigi con la famiglia e che si sarebbe consacrato al sacro Cuore, lui, la sua famiglia e il suo regno. Nel 1815 l’« Ami de la religion » pubblicava una bella preghiera e un voto che il re prigioniero avrebbe fatto nel 1792; egli prometteva, fra l’altro, se ritornava al potere, di andare a Notre Dame di Parigi, « dopo tre mesi a contare dal giorno della sua liberazione… e di pronunciarvi…, nelle mani del celebrante, un atto di solenne consacrazione al sacro Cuore, con promessa di dare a tutti i suoi sudditi l’esempio del culto e della divozione che son dovuti a questo Cuore adorabile ». Si davano particolari precisi sulla provenienza dei due documenti, preghiera e voto; venivano dal P. Hebert, generale degli Eudisti, confessore del re; l’abate che li aveva rimessi al giornale era designato con iniziali trasparenti e assicurava di averli avuti da Hebert stesso; il giornale aggiungeva che queste preghiere erano già state pubblicate « in una raccolta di preghiere stampate senza data ». Di poi è stato scritto molto su questo oggetto; io non oserei dire che la questione sia stata completamente chiarita. Almeno è sicuro che, nello stesso tempo, si credeva « che il re, per ottenere da Dio la liberazione sua e della sua famiglia, avesse fatto voto di domandare al Papa… di voler elevare a festa solenne, per tutto il suo regno la festa dei sacri cuori di Gesù e di Maria ». È sicuro anche che fra i prigionieri del Tempio si parlava del sacro Cuore e che si pensava di consacrare la Francia al cuor di Gesù. L’inventario degli oggetti trovati dai delegati della Convenzione l’indica chiaramente. Vi è segnalata un’immagine del cuor di Gesù e del cuor di Maria, come pure un foglio di quattro pagine intitolato: Consacrazione della Francia al sacro Cuore di Gesù; esso contiene un estratto bellissimo dell’atto di consacrazione. Abbondano le testimonianze di questo ricorso generale al cuor di Gesù durante la Rivoluzione. Si sa che i soldati della Vandea portavano ostensibilmente una piccola immagine ricamata del sacro Cuore. Il P. Lanfant, una delle vittime del settembre, parla in una delle sue lettere, aprile 1791, di miracoli attribuiti all’immagine. Altrove dice che un sol convento di Parigi ne ha distribuite cento venticinque mila e che « le persone più illustri, anche le teste coronate, sono munite di questo pio scudo ». Scrive ancora, in stile volontariamente oscuro: « La divozione al Cuore fa grandi progressi … Essa è guardata come destinata ad essere la salvezza dell’impero. Senza dubbio, non è una verità di fede; ma la pietà si nutre di questa idea ». Particolari simili abbondano sotto la sua penna. – Quelle immagini eccitavano il furore dei Giacobini che vedevano in esse un distintivo di cospiratori contro la Repubblica. La signora De la Biliais e le sue due figlie ghigliottinate a Nantes il 7 marzo 1794, erano accusate principalmente di aver distribuito « a profusione immagini del sacro Cuore ed altri segni anti-rivoluzionari… ». Il 19 luglio dello stesso anno, dieci giorni avanti la caduta di Robespierre, Vittoria de Saint-Luc moriva nella stessa maniera a Parigi, condannata « come religiosa e propagatrice d’immagini superstiziose ». Ell’era infatti religiosa del Ritiro a Carhaix, in Bretagna, ed aveva ricamato e divulgato delle immagini del sacro Cuore. – Il pensiero del sacro Cuore è stato intimamente unito, in Francia, durante tutto il secolo XIX, alle idee di restaurazione cristiana e di elevazione nazionale. Al principio del secolo, Margherita Maria era poco conosciuta, soprattutto prima che fosse ripreso, nel 1826 il processo di beatificazione, e tanto meno si parlava del messaggio al re. Sul culto stesso del sacro Cuore, all’infuori di un piccolo cerchio di anime scelte, si avevano soltanto nozioni confuse. Ma la divozione e i desiderî dei prigionieri del Tempio erano conosciuti; la duchessa di Ansoulème era là per testimoniare; alcune amiche di Madame Elisabeth cercavano di realizzare un voto della pia principessa al Cuore immacolato di Maria, e raccontavano una consacrazione fatta dalla famiglia reale, già prigioniera; circolavano gli scritti sotto il nome di Luigi XVI e della sua sorella pieni di queste idee; una religiosa del Convento des Oiseaux, Madre Maria di Gesù, intendeva da nostro Signore, il 21 giugno 1823, parole simili a quelle che erano state dette, altra volta, a Margherita Maria, perché il re si consacrasse al sacro Cuore, con la famiglia ed il regno. –  Questa idea di risveglio per mezzo del sacro Cuore non doveva scomparire con i re. Essa è vissuta nelle anime pie, attraverso le ida della patria e del suo governo, essa è fra quelle che hanno contribuito a dare al secolo XIX, nella sua vita cristiana, il carattere segnalato da Mons. D’Hulst nel 1896 allorché lo chiamava il secolo – del sacro Cuore. Essa è già compresa nella tendenza quasi i istintiva che, da duecento anni, spinge le anime devote a ricorrere nelle pubbliche calamità e che suscitò tanti voti al sacro Cuore, tante consacrazioni, durante la guerra del 1870. Essa si associa, naturalmente, alle idee di riparazione sociale, di penttimento e di ammenda onorevole, per le infedeltà pubbliche e le apostasie della società moderna. Basta ricordare a questo proposito la Basilica del Voto nazionale a Montmartre, con la sua iscrizione: Christo ejusque sacratissimo Cordi Gallia poenitens et devota; anche la consacrazione fatta a Paray il 29 giugno 1873 da un gruppo di deputati Cattolici, in attesa della consacrazione nazionale, che in quel tempo pareva molto prossima a spuntare sull’orizzonte. Paray e Montmartre, Mortmartre soprattutto, stavano per diventare un focolare vivente di devozione al sacro Cuore. Quante idee vi anno germogliato e vi sono sbocciate di sacrificio al sacro Cuore o di risveglio per mezzo di quel sacro Cuore! Quante opere son sorte là o vanno là a ritemprarsi. – Dopo l’idea di elevazione per mezzo del sacro Cuore stesso, si ebbe quello di omaggio degli individui; soprattutto omaggio di gruppi sociali, in attesa dell’omaggio solenne della nazione tutta. –  Una delle forme di questo ricorso, od omaggio, è stato lo stendardo del sacro Cuore. Il sacro Cuore l’aveva chiesto al re, per mezzo di Margherita Maria. La Francia cattolica del XIX secolo ha sognato, ancora una volta, di riprendere l’eredità del passato caduta senza eredi. Sappiamo come l’immagine del sacro Cuore servì di insegna a Patay e come fu portata gloriosamente nel 1870 dagli zuavi di Charette. Non era la bandiera nazionale, ma ne diede l’idea. Questa bandiera tricolore colla parte bianca ha fatto la sua apparizione a Montmartre il 29 giugno 1890. Era portata da una delegazione d’impiegati di commercio e d’industria. Di poi è stata adottata da numerose associazioni particolari, e gli occhi dei pii Francesi si sono abituati a poco a poco, a vedere l’immagine del sacro Cuore spiccare col suo colore vermiglio sul fondo bianco della bandiera tricolore. – Questo non è confiscare il sacro Cuore a profitto della Francia. Sappiamo bene che il sacro Cuore è per tutti. Ma  come il Tirolo si è distinto con la sua festa solenne stabilita fin dal 1796 e con la sua divozione al sacro Cuore; come l’Equatore gli ha fatto la sua consacrazione solenne nel 1873, perché i Francesi non dovrebbero conservare la speranza che la Francia, ritornata cristiana, sarà un giorno la Francia del sacro Cuore e, fedele alla sua missione di proselitismo, farà diffondere da per tutto la divozione al Cuore di Cristo Re? – Queste idee e queste aspirazioni, viventi nelle anime dei Cattolici francesi, hanno servito molto a rendere popolare in Francia questa divozione, che sul principio si sarebbe creduta riservata a pochi eletti. Le hanno dato un carattere sociale molto caratteristico. Il regno sociale del sacro Cuore, è ora nelle prospettive delle anime cattoliche. E non soltanto in Francia, ma un po’ da per tutto. Per non citare altro che i Cattolici tedeschi, essi parlano spesso nei loro congressi annuali generali del sacro Cuore o del suo regno nelle famiglie e nella società. Alcuni anni fa questa idea ha incominciato a tradursi, sotto una nuova forma, che ha imbarazzato, o anche inquietato, buon numero di Cattolici e anche di Cattolici pii. Si è incominciato a incoronare solennemente le immagini del sacro Cuore. Il 21 giugno 1900 l’arcivescovo del Messico incoronava una statua; il cardinale Goossens, faceva lo stesso il 30 agosto 1903, ad Anversa, per delegazione speciale di Leone XIII; lo stesso Mons, Amette a Caen, il 25 giugno 1903. Di poi sono state segnalate diverse cerimonie analoghe, e il 25 aprile 1905, Mons. Douais, vescovo di Beauvais, spiegava nella basilica di Montmartre, « che l’incoronazione, sarebbe un mirabile complemento della consacrazione del genere umano al Cuor di Gesù, fatta dal Sovrano Pontefice Leone XIII ». Questa cerimonia, infatti, serve a mettere in rilievo la regalità del sacro Cuore, che il Papa proclamava così solennemente: Rex esto, Siate Re. – L’omaggio al sacro Cuore ha lo stesso senso. Come pure lo stendardo del sacro Cuore incoronato ed anche l’immagine regale del sacro Cuore, distribuita in più di un milione di esemplari nel mondo intero.

NOVENA ALLA MADONNA DI LOURDES

NOVENA ALLA MADONNA DI LOURDES

(inizia il 2 febbraio, festa l’11 Febbraio ).

I. Immacolata Regina, che personalmente apparendo qual maestosa Matrona, nella grotta di Massabielle sopra Lourdes, onoraste dei vostri benigni sguardi e della comunicazione dei vostri segreti la povera e infermiccia Bernardina Soubirous, quanto poco stimabile presso gli uomini per la sua deficienza d’ogni coltura, altrettanto accettissima a Voi pel candore della sua innocenza e il fervore della sua divozione, ottenete a noi tutti la grazia che, mettendo sempre ogni nostra gloria nel renderci cari al Signore con una vita tutta conforme alla specialità dei nostri doveri, ci rendiamo al tempo stesso sempre meritevoli dei vostri più speciali favori. Ave.

II. Immacolata Regina, che, esternando alla povera Bernardina il vostro desiderio di venire onorata con nuovo tempio nel luogo stesso della vostra  apparizione sopra le alture di Lourdes, le ingiungeste ancora di partecipare il vostro ordine ai  preti siccome quelli che ne dovevano promuovere la esecuzione, ottenete a noi tutti la grazia che, in quanto può riferirsi alle celeste comunicazioni, ci rimettiamo sempre al giudizio dei Sacerdoti, essendo dessi le guide che Dio medesimo ci ha assegnate per non mai mettere il piede in fallo in tutto ciò che riguarda così il vero culto di Dio, come il vero bene delle anime. Ave.

III. Immacolata Regina, che, ad assicurar tutto il mondo così della realtà nella vostra apparizione sopra le alture di Lourdes, come del desiderio da Voi espresso di essere ivi onorata con nuovo tempio, faceste sgorgare sotto gli occhi di Bernardina una sorgente affatto nuova di perenne abbondantissima acqua, quanto gustevole al labbro, altrettanto efficace al risanamento d’ogni più incurabile morbo, ottenete a noi tutti la grazia che, risanandosi per vostra intercessione ciò che è infermo, rinvigorendosi ciò che è sterile nel nostro spirito, apriamo nei nostri cuori quella mistica fonte di virtù e di opere buone, le cui acque salgono alla vita eterna per assicurarcene il felice possedimento. Ave.

IV. Immacolata Regina, che faceste svanir come nebbia in faccia al sole tutte le armi impugnate dalle più maligne potenze del mondo e dell’inferno per infirmare e sventare le vostre divine rivelazioni fatte nella grotta della vostra comparsa alla buona Bernardina, ottenete a noi tutti la grazia che, lungi dallo sgomentarci per qualsivoglia contraddizione, tanto più spieghiamo di coraggio nel camminare sulle orme da Voi insegnateci, quanto più spiegheranno di forza i nostri spirituali nemici per farci declinare dal cammino retto che solo guida a salute. Ave.

V. Immacolata Regina, che vi degnaste assicurare la buona Bernardina della eterna beatitudine nell’altra vita, quando ella vi promettesse di cuore di tornare per quindici volte al luogo della vostra apparizione sulle alture di Lourdes, come fece realmente col vostro ajuto, malgrado tutte le arti adoperate contro di lei per distornarla, ottenete a noi tutti la grazia che perseveriamo sempre fedeli nei buoni propositi da Voi suggeritici colle vostre santissime ispirazioni; e così ci assicuriamo quel premio che solo ai perseveranti nel bene è da Dio preparato. Ave.

VI. Immacolata Regina, che, a sempre meglio inculcare a tutto il mondo la divozione del santo Rosario, mostraste Voi stessa di tenere carissima nelle vostre mani la misteriosa corona e accompagnarne la recita che ne faceva la devota Bernardina, ottenete a noi tutti la grazia che, facendoci sempre un dovere di praticare colle nostre famiglie una devozione così bella, ci conformiamo ancora costantemente ai divini insegnamenti che ci derivano così dalle santissime preghiere che vi si devon ripetere, come dai salutari misteri che vi si devon meditare. Ave.

VII. Immacolata Regina, che, a glorificare in modo degno di Voi la vostra devotissima Bernardina, la preservaste da ogni sgomento e da ogni anche minima perturbazione della propria inalterabile tranquillità fra i più insidiosi interrogatori, le più severe minacce e le più inique persecuzioni, la trasformaste in creatura affatto celeste nel tempo delle vostre apparizioni, e la rendeste, alla vista d’immenso popolo, affatto insensibile anche agli ardori di una fiamma su cui nell’estasi della propria preghiera teneva immote le mani, ottenete a noi tutti la grazia che in tutti i nostri pericoli e in tutte le nostre tribolazioni ci affidiamo fiduciosi al materno vostro patrocinio, siccome quello da cui solo possono prometterci la liberazione di ogni male e il conseguimento d’ogni bene. Ave.

VIII. Immacolata Regina, che, a soddisfare le pie domande ripetutamente indirizzatevi dalla vostra affezionatissima Bernardina, ora le spiegaste il motivo del vostro insolito rattristamento, ripetendo nella parola Penitenza ciò che resta sempre da fare a chiunque coi propri peccati ha meritato i divini castighi, ora colle grandi parole da Voi proferite nel giorno stesso della vostra annunciazione: Io sono la Immacolata Concezione, le faceste conoscere con precisione l’inarrivabilità della vostra eccellenza e la divinità del gran dogma poco prima proclamato dal Sommo Pontefice Pio IX vostro fedelissimo servo, quando vi dichiarò affatto esente dall’originale peccato, ottenete a noi tutti la grazia che ci facciam sempre un dovere di placare colla debita penitenza la divina collera provocata dai nostri falli, e di sempre propiziarci la divina bontà colla più cordiale venerazione del vostro immacolato Concepimento, che è il più onorifico fra i vostri pregi, il più istruttivo fra i vostri misteri, e l’ossequio il quale è il più proprio a meritarci la vostra potentissima protezione. Ave.

IX. Immacolata Regina, che a perpetuar la memoria della vostra personale apparizione, per ben diciotto volte ripetuta alla buona Bernardina sulle alture di Lourdes, e dei tanti miracoli operati in tutto il mondo dall’acqua prodigiosamente sgorgata ai vostri piedi, moveste i cuori più duri a concorrere insieme coi più pii alla costruzione di un nuovo tempio rappresentante nella propria magnificenza la nazione primogenita della Chiesa, che si fece poi una gloria di ivi invocare il vostro aiuto coi più devoti pellegrinaggi e colle più splendide testimonianze della propria fede, ottenete a noi tutti la grazia che spieghiamo sempre la più viva riconoscenza a tutti i vostri favori, e congiungendo allo zelo pel vostro culto la imitazione sempre fedele delle vostre celesti virtù, ci assicuriamo la tenerezza del vostro patrocinio in questa vita, e la partecipazione alla vostra gloria tra i Santi e gli Angeli nella eternità. Ave, Gloria.

ORAZIONE.

Deus qui, per Immaculatam Virginis Conceptionem, dignum Filio tuo habitaculum præparasti, quæsumus, ut qui ex morte ejusdem Filii tui prævisa, eam ab omni labe præservasti, nos quoque mundos, ejus intercessione, ad te pervenire concedas. Per eumdem Dominum nostrum Jesum Christum, etc. Amen.

FESTA DELLA PURIFICAZIONE DELLA VERGINE (2023)

FESTA DELLA PURIFICAZIONE DELLA VERGINE (2023)

MESSA

Benedictio Candelarum

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
Orémus. Domine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus, qui ómnia ex níhilo creásti, et jussu tuo per ópera apum hunc liquorem ad perfectionem cérei veníre fecísti: et qui hodiérna die petitiónem justi Simeónis implésti: te humíliter deprecámur; ut has candélas ad usus hóminum et sanitátem córporum et animárum, sive in terra sive in aquis, per invocatiónem tui sanctíssimi nóminis et per intercessiónem beátæ Maríæ semper Vírginis, cujus hódie festa devóte celebrántur, et per preces ómnium Sanctórum tuórum, bene ✠ dícere et sancti ✠ ficáre dignéris: et hujus plebis tuæ, quæ illas honorífice in mánibus desíderat portare teque cantando laudare, exáudias voces de cœlo sancto tuo et de sede majestátis tuæ: et propítius sis ómnibus clamántibus ad te, quos redemísti pretióso Sánguine Fílii tui:
Qui tecum vivit et regnat in unitáte Spíritus Sancti Deus per ómnia sǽcula sæculórum.

Orémus. Omnípotens sempitérne Deus, qui hodiérna die Unigénitum tuum ulnis sancti Simeónis in templo sancto tuo suscipiéndum præsentásti: tuam súpplices deprecámur cleméntiam; ut has candélas, quas nos fámuli tui, in tui nóminis magnificéntiam suscipiéntes, gestáre cúpimus luce accénsas, benedícere et sanctificáre atque lúmine supérnæ benedictiónis accéndere dignéris: quaténus eas tibi Dómino, Deo nostro, offeréndo digni, et sancto igne dulcíssimæ caritátis tuæ succénsi, in templo sancto glóriæ tuæ repræsentári mereámur.

Per eúndem Dóminum nostrum Jesum Christum Fílium tuum, qui tecum vivit et regnat in unitáte Spíritus Sancti, Deus, per ómnia sǽcula sæculórum.

R. Amen.

Orémus. Dómine Jesu Christe, lux vera, quæ illúminas omnem hóminem veniéntem in hunc mundum: effúnde benedictiónem tuam super hos céreos, et sancti ✠ fica eos lúmine grátiæ tuæ, et concéde propítius; ut, sicut hæc luminária igne visíbili accénsa noctúrnas depéllunt ténebras; ita corda nostra invisíbili igne, id est, Sancti Spíritus splendóre illustráta, ómnium vitiórum cæcitáte cáreant: ut, purgáto mentis óculo, ea cérnere possímus, quæ tibi sunt plácita et nostræ salúti utília; quaténus post hujus sǽculi caliginósa discrímina ad lucem indeficiéntem perveníre mereámur. Per te, Christe Jesu, Salvátor mundi, qui in Trinitáte perfécta vivis et regnas Deus, per ómnia sǽcula sæculórum.

R. Amen.

Orémus. Omnípotens sempitérne Deus, qui per Móysen fámulum tuum puríssimum ólei liquórem ad luminária ante conspéctum tuum júgiter concinnánda præparári jussísti: bene ✠ dictiónis tuæ grátiam super hos céreos benígnus infúnde; quaténus sic adminístrent lumen extérius, ut, te donánte, lumen Spíritus tui nostris non desit méntibus intérius.

Per Dóminum nostrum Jesum Christum, Fílium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitáte ejúsdem Spíritus Sancti Deus, per ómnia sǽcula sæculórum.
R. Amen.

Orémus. Dómine Jesu Christe, qui hodiérna die, in nostræ carnis substántia inter hómines appárens, a paréntibus in templo es præsentátus: quem Símeon venerábilis senex, lúmine Spíritus tui irradiátus, agnóvit, suscépit et benedíxit: præsta propítius; ut, ejúsdem Spíritus Sancti grátia illumináti atque edócti, te veráciter agnoscámus et fidéliter diligámus: Qui cum Deo Patre in unitáte ejúsdem Spíritus Sancti vivis et regnas Deus, per ómnia sǽcula sæculórum.

R. Amen.

Ant. Lumen ad revelatiónem géntium et glóriam plebis tuæ Israël.
Nunc dimíttis servum tuum, Dómine, secúndum verbum tuum in pace
Ant. Lumen ad revelatiónem géntium et glóriam plebis tuæ Israël.
Quia vidérunt óculi mei salutáre tuum.

Ant. Lumen ad revelatiónem géntium et glóriam plebis tuæ Israël.
Quod parásti ante fáciem ómnium populorum.

Ant. Lumen ad revelatiónem géntium et glóriam plebis tuæ Israël.
Glória Patri, et Fílio, et Spirítui Sancto.
Ant. Lumen ad revelatiónem géntium et glóriam plebis tuæ Israël.
Sicut erat in princípio, et nunc, et semper, et in sǽcula sæculórum. Amen.
Ant. Lumen ad revelatiónem géntium et glóriam plebis tuæ Israël.

Ant. Exsúrge, Dómine, ádjuva nos: et líbera nos propter nomen tuum.
Deus, áuribus nostris audívimus: patres nostri annuntiavérunt nobis.
V. Glória Patri, et Fílio, et Spirítui Sancto.
R. Sicut erat in princípio, et nunc, et semper, et in sǽcula sæculórum. Amen.
Ant. Exsúrge, Dómine, ádjuva nos: et líbera nos propter nomen tuum.
Orémus.
V. Flectámus génua.
R. Leváte.
Exáudi, quǽsumus, Dómine, plebem tuam: et, quæ extrinsécus ánnua tríbuis devotióne venerári, intérius asséqui grátiæ tuæ luce concéde. Per Christum, Dóminum nostrum.
R. Amen.
V. Procedámus in pace.
R. In nómine Christi. Amen.
Ant. Adórna thálamum tuum, Sion, et súscipe Regem Christum: ampléctere Maríam, quæ est cœléstis porta: ipsa enim portat Regem glóriæ novi lúminis: subsístit Virgo, addúcens mánibus Fílium ante lucíferum génitum: quem accípiens Símeon in ulnas suas, prædicávit pópulis, Dóminum eum esse vitæ et mortis et Salvatórem mundi.
Ant. Respónsum accépit Símeon a Spíritu Sancto, non visúrum se mortem, nisi vidéret Christum Dómini: et cum indúcerent Púerum in templum, accépit eum in ulnas suas, et benedíxit Deum, et dixit: Nunc dimíttis servum tuum, Dómine, in pace.
V. Cum indúcerent púerum Jesum parentes ejus, ut fácerent secúndum consuetúdinem legis pro eo, ipse accépit eum in ulnas suas.
V. Obtulérunt pro eo Dómino par túrturum, aut duos pullos columbárum: * Sicut scriptum est in lege Dómini.
V. Postquam impléti sunt dies purgatiónis Maríæ, secúndum legem Moysi, tulérunt Jesum in Jerúsalem, ut sísterent eum Sicut scriptum est in lege Dómini.
V. Glória Patri, et Fílio, et Spirítui Sancto.
R. Sicut scriptum est in lege Dómini.

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

V. Adjutórium nostrum ✠ in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
M. Misereátur tui omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis tuis, perdúcat te ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
Orémus,

Introitus

Ps XLVII: 10-11.
Suscépimus, Deus, misericórdiam tuam in médio templi tui: secúndum nomen tuum, Deus, ita et laus tua in fines terræ: justítia plena est déxtera tua.
Ps 47:2.
Magnus Dóminus, et laudábilis nimis: in civitáte Dei nostri, in monte sancto ejus.
Suscépimus, Deus, misericórdiam tuam in médio templi tui: secúndum nomen tuum, Deus, ita et laus tua in fines terræ: justítia plena est déxtera tua.

[Abbiamo conseguito, o Dio, la tua misericordia nel tuo tempio: secondo il tuo nome, o Dio, la tua lode andrà fino ai confini della terra: le tue opere sono piene di giustizia.
Ps 47:2.
Grande è il Signore e sommamente lodevole: nella sua città e nel suo santo monte.
V. Gloria al Padre, e al Figlio, e allo Spirito Santo.
R. Come era nel principio e ora e sempre nei secoli dei secoli. Amen.
Abbiamo conseguito, o Dio, la tua misericordia nel tuo tempio: secondo il tuo nome, o Dio, la tua lode andrà fino ai confini della terra: le tue opere sono piene di giustizia.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, majestátem tuam súpplices exorámus: ut, sicut unigénitus Fílius tuus hodiérna die cum nostræ carnis substántia in templo est præsentátus; ita nos fácias purificátis tibi méntibus præsentári.
Per eúndem Dóminum nostrum Jesum Christum Fílium tuum, qui tecum vivit et regnat in unitáte Spíritus Sancti, Deus, per ómnia sǽcula sæculórum.
R. Amen.

[Preghiamo.
Onnipotente e sempiterno Iddio, supplichiamo la tua maestà onde, a quel modo che il tuo Figlio Unigenito fu oggi presentato al tempio nella sostanza della nostra carne, cosí possiamo noi esserti presentati con ànimo puro.
Per il medesimo nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, in unità con lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
R. Amen.]

Lectio

Léctio Malachíæ Prophétæ.
Malach 3:1-4.
Hæc dicit Dóminus Deus: Ecce, ego mitto Angelum meum, et præparábit viam ante fáciem meam. Et statim véniet ad templum suum Dominátor, quem vos quæritis, et Angelus testaménti, quem vos vultis. Ecce, venit, dicit Dóminus exercítuum: et quis póterit cogitáre diem advéntus ejus, et quis stabit ad vidéndum eum? Ipse enim quasi ignis conflans et quasi herba fullónum: et sedébit conflans et emúndans argéntum, et purgábit fílios Levi et colábit eos quasi aurum et quasi argéntum: et erunt Dómino offeréntes sacrifícia in justítia. Et placébit Dómino sacrifícium Juda et Jerúsalem, sicut dies sǽculi et sicut anni antíqui: dicit Dóminus omnípotens.
R. Deo grátias.

Epistola

Lettura del Profeta Malachia.
Malach 3:1-4.
Questo dice il Signore Iddio: Ecco, io mando il mio Angelo, ed egli preparerà la strada davanti a me. E súbito verrà al suo tempio il Dominatore che voi cercate, e l’Angelo del testamento che voi desiderate. Ecco, viene: dice il Signore degli eserciti: e chi potrà pensare al giorno della sua venuta, e chi potrà sostenerne la vista? Perché egli sarà come il fuoco del fonditore, come la lisciva del gualchieraio: si porrà a fondere e purgare l’argento, purificherà i figli di Levi e li affinerà come l’oro e l’argento, ed essi offriranno al Signore sacrificii di giustizia. E piacerà al Signore il sacrificio di Giuda e di Gerusalemme, come nei secoli passati e gli anni antichi: cosí dice Iddio onnipotente.
R. Grazie a Dio.]

Graduale

Ps 47:10-11; 47:9.
Suscépimus, Deus, misericórdiam tuam in médio templi tui: secúndum nomen tuum, Deus, ita et laus tua in fines terræ.
V. Sicut audívimus, ita et vídimus in civitáte Dei nostri, in monte sancto ejus. Allelúja, allelúja.
V. Senex Púerum portábat: Puer autem senem regébat. Allelúja.

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Lucam.
Luc 2:22-32.
In illo témpore: Postquam impleti sunt dies purgatiónis Maríæ, secúndum legem Moysi, tulérunt Jesum in Jerúsalem, ut sísterent eum Dómino, sicut scriptum est in lege Dómini: Quia omne masculínum adapériens vulvam sanctum Dómino vocábitur. Et ut darent hóstiam, secúndum quod dictum est in lege Dómini, par túrturum aut duos pullos columbárum. Et ecce, homo erat in Jerúsalem, cui nomen Símeon, et homo iste justus et timorátus, exspéctans consolatiónem Israël, et Spíritus Sanctus erat in eo. Et respónsum accéperat a Spíritu Sancto, non visúrum se mortem, nisi prius vidéret Christum Dómini. Et venit in spíritu in templum. Et cum indúcerent púerum Jesum parentes ejus, ut fácerent secúndum consuetúdinem legis pro eo: et ipse accépit eum in ulnas suas, et benedíxit Deum, et dixit: Nunc dimíttis servum tuum, Dómine, secúndum verbum tuum in pace: Quia vidérunt óculi mei salutáre tuum: Quod parásti ante fáciem ómnium populórum: Lumen ad revelatiónem géntium et glóriam plebis tuæ Israël.

[Luc 2:22-32.
In quel tempo: Compiutisi i giorni della purificazione di Maria, secondo la legge di Mosè, portarono Gesú a Gerusalemme per presentarlo al Signore, come è scritto nella legge di Dio: Ogni maschio primogénito sarà consacrato al Signore; e per fare l’offerta, come è scritto nella legge di Dio: un paio di tortore o due piccoli colombi. Vi era allora in Gerusalemme un uomo chiamato Simone, e quest’uomo giusto e timorato aspettava la consolazione di Israele, e lo Spirito Santo era in lui. E lo Spirito Santo gli aveva rivelato che non sarebbe morto prima di vedere l’Unto del Signore. Condotto dallo Spirito andò al tempio. E quando i parenti vi recarono il bambino Gesú per adempiere per lui alla consuetudine della legge: questi lo prese in braccio e benedisse Dio, dicendo: Adesso lascia, o Signore, che il tuo servo se ne vada in pace, secondo la tua parola: Perché gli occhi miei hanno veduta la salvezza che hai preparato per tutti i popoli: Luce per illuminare le nazioni e gloria del popolo tuo Israele.
R. Lode a Te, o Cristo.]

Omelia

 (Otto Hophan: MARIA – Marietti ed. Torino, 1955 – Imprim. Treviso, 25 marzo 1953, G. Carraro Vesc. aus. Vic. Gen.)

« ORA LASCIA, O SIGNORE, CHE IL TUO SERVO SE NE VADA IN PACE »

Era uno dei primi giorni di primavera. tiepido e azzurro. Sui colli di Betlemme era diffusa un’aria di presagio, e di lontano giungevan voci. I tralci venivan tagliati e mondati, e dal suolo olezzante della madre terra germinavano gli steli dell’orzo e del grano. « Se il chicco di frumento gettato in terra… muore, porta frutto abbondante… »

Preparazione.

Lassù a Betlemme Maria preparava allegra il suo Bambino per la sua solenne consacrazione a Dio. è un’ora grande per ogni madre quella nella quale si presenta al Signore il figlio suo. Una mamma è la sorgente, dalla quale zampilla il bimbo, ma oa sorgente va debitrice al mare. E così Maria e Giuseppe portarono il Bambino da Bethlemme al Tempio in Gerusalemme – un tratto di strada di due ore scarse —. passando di mezzo alla primavera in fiore, mentre essi stessi eran in piena primavera, « per offrirLo al Signore », come dice il Vangelo, assegnando il primo scopo di quel viaggio. Gesù era “il primogenito” di Maria; e la legge mosaica aveva delle esigenze ben determinate per i primogeniti: essi dovevano essere consacrati al Signore in modo tutto speciale e particolare in confronto degli altri figli: « Tutto quello che per primo esce dal seno materno, devi consacrarlo al Signore ». Il legislatore stesso fornisce il motivo di questa speciale appartenenza dei primogeniti a Dio quando scrive: «Quando nell’avvenire il tuo figliuolo ti domanderà: “ Che cos’è questo? ”, gli risponderai: “ Con la sua forte mano il Signore ci trasse dall’Egitto… E poichè il Faraone si ostinò a non lasciarci andare, il Signore uccise tutti i primogeniti del paese d’Egitto… Perciò io sacrifico al Signore ogni primo parto maschio e ogni primogenito dei figliuoli miei lo riscatto ». A perpetuo ricordo di questa miracolosa liberazione d’Israele dalla schiavitù d’Egitto, tutti i primogeniti israeliti dovevano essere consacrati al servizio del Signore. Più tardi fu incaricata del culto divino ufficiale, nel tabernacolo e nel Tempio, una particolare tribù, la tribù di Levi; ma per i primogeniti rimase il dovere di farli espressamente “riscattare” da quel servizio: «Farai che si riscattino i primogeniti degli uomini… Tu ne riceverai il riscatto dall’età di un mese alla tassa di cinque sicli d’argento, al siclo del santuario ». Questo “riscatto” non voleva significare che il primogenito andava esente dalla sua speciale consacrazione a Dio, lo liberava solamente dal servizio del Tempio, cui ora provvedevano in vece sua i Leviti. – Anche Giuseppe dovette sborsare per Gesù, il primogenito di Maria, quei cinque sicli d’argento, che per un uomo di modesta condizione costituivano un gruzzolo prezioso, quasi tremila lire, il salario, per quei tempi, di tre dure settimane. Quali sentimenti avrà provati Maria, quando udì il tintinnio di quel singolare “denaro del riscatto” su un tavolo del Tempio! È ora il suo Piccolo, di fatto, tutto di Lei, sciolto e libero da speciali obblighi dinanzi al Signore? Maria sorride al vedere quelle monete d’argento; Ella sa che il Figlio suo non può essere “riscattato” dal servizio di Dio neppure con tutto il denaro della terra, poiché già dall’Angelo Gabriele fu chiamato “il Santo”, il segregato dal terreno, il dedicato a Dio; il suo Bambino starà sempre al servizio di Dio e dinanzial suo volto. Ella però non sa ancora quale prezzo spaventoso verrà a costarLe questa “soluzione” totale presentata a Dio; sarà infinitamente maggiore di quel legale “riscatto” per cinque sicli d’argento; verrà a conoscerne il peso in questo bel giorno di primavera. – La Legge prescriveva solo il riscatto e non anche la presentazione al Tempio del primogenito in persona; però in Israele era divenuto sempre più comune, specialmente dai tempi di Neemia, del restauratore del culto israelitico nel secolo quinto, il pio uso di portare al Tempio non soltanto il denaro per il primogenito, ma il primogenito stesso, quasi per un immediato e sensibile incontro e legame col Signore. L’ingresso di Gesù nel Tempio era stato già previsto con occhio raggiante e predetto con splendide parole dal profeta Malachia: « Ecco, io mando il mio Angelo e preparerà la strada dinanzi a me; e tosto verrà al suo Tempio il Dominatore che voi cercate, e l’Angelo dell’alleanza che voi volete… Ma chi potrà sostenere il giorno della sua venuta? chi reggerà al suo apparire? Perché egli sarà come un fuoco di fusione, come ranno bollente del lavandaio. E siederà e purificherà l’argento, purificherà i figli di Levi». – Quando Maria e Giuseppe portarono al Tempio il loro Bambino assopito, niente accennava all’adempimento di questa grande profezia: non v’era là nessun Messaggero, non suonò alcuna tromba, non echeggiò nessun osanna; nessuno s’interessò dell’insignificante gruppetto di quella santa Trinità. Nulla v’era di più quotidiano: due giovani coniugi, che come mille altri portavan al Tempio il primogenito; d’intorno, uno strepitare e un contrattare così stridente, che un giorno quel Bambino darà mano ai flagelli per creare nel Tempio un’atmosfera di silenzio e di riverenza. Maria attese umilmente fra le molte donne d’Israele, finché venne la volta sua; il sacerdote compì il rito svelto e distratto; e il Bambinello giaceva pacifico sulle braccia di sua Madre, come gli altri piccoli suoi compagni, quasi nulla sapesse di tutto quello che avveniva. E nondimeno dal suo piccolo cuore ascese al Cielo, in quell’ora, una preghiera così possente, che quel Tempio non aveva ancora mai sentita l’uguale: «Ecco, Io vengo, o Dio, a fare la tua volontà, come sta scritto di Me in principio del libro ». In quel giorno all’aprirsi della primavera Maria pellegrinò al Tempio anche per un motivo personale. Ogni donna israelita infatti nel quarantesimo giorno dalla nascita d’un bambino, nell’ottantesimo da quella d’una bambina, doveva presentarsi al Tempio per la purificazione legale. (La Legge prescriveva espressamente a una donna che s’era sgravata d’un bambino: « Una donna, come sia fecondata e partorisca un maschio, sarà immonda per sette giorni… L’ottavo giorno si circoncide il bambino, ed essa per altri ventitré giorni stia ritirata a purificarsi del sangue. Non tocchi alcun oggetto sacro, e non vada al santuario, finché si compiano i giorni della sua purificazione… Compiuti i giorni della sua purificazione, sia per un figlio che per una figlia, recherà un agnello nato quell’anno per olocausto, ed un colombo o una tortora per vittima espiatoria, all’ingresso del padiglione di convegno, al sacerdote… Che se ella non ha tanto da procacciarsi un agnello, prenda due tortore o due colombi, uno per olocausto, l’altro per vittima espiatoria; e il sacerdote espierà per lei, ed ella così sarà monda » (La Liturgia osserva esattamente questo termine di tempo prescritto dalla legge mosaica poiché festeggia la Purificazione di Maria — Candelora — il 2 febbraio, quaranta giorni dopo la festa della nascita del Signore, il 25 dicembre). – Non si tratta qui d’una impurità interiore, ma solamente di quella legale che escludeva dal santuario, paragonabile sotto qualche aspetto al precetto ecclesiastico del digiuno prima di ricevere l’Eucarestia: chi non osserva il precetto del digiuno eucaristico, non si grava per questo di nessun peccato, però in quel giorno la legge della Chiesa lo esclude dalla recezione del Santissimo Sacramento. Nondimeno fa particolare impressione che Maria, la Purissima, sia stata un dì così immonda dinanzi alla Legge, da vedersi vietato l’ingresso al Tempio, e proprio a causa di Gesù, perché Ella Lo aveva generato. L’evangelista Luca fa notare espressamente che Maria e Giuseppe offrirono il sacrificio dei poveri, non un agnello e un colombo, ma due colombini di poco prezzo. I due Sposi, che per Gesù, il primogenito, avevan già pagato cinque sicli d’argento, attesa la loro modesta condizione non potevano per la purificazione della Madre offrire pure un agnello, e tanto meno in quanto si trovavano ancora a Betlemme. lontani dalla casa e dal guadagno. E tuttavia in quell’occasione Maria offrì anche un agnello, l’Agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo… Ella non avrebbe avuto bisogno affatto di purificazione, come neppure Gesù di riscatto; era pura non soltanto spiritualmente, dinanzi a Dio, ma anche legalmente, di fronte alla lettera della Legge, perché aveva concepito e partorito restando vergine. Il grande Tommaso d’Aquino fa notare con profondo intuito che, a tenore della Legge, lo stesso Mosè volle in anticipo esimere Maria dalla presente prescrizione: « Una donna, che ha concepito per opera del marito, sia immonda dopo il parto per sette giorni »; ora precisamente questo modo di concepire non s’era verificato per Maria, che aveva concepito per opera dello Spirito Santo. Tuttavia, Ella si sottomise alla Legge con la naturalezza propria dell’umiltà. – Il breve tratto evangelico della Messa della Purificazione insiste non meno di cinque volte ripetendo legge, legge, legge, legge, legge! Son cinque colpi di martello, che aprono cinque piaghe; e Maria proprio oggi verrà a conoscenza d’un primo accenno alle cinque piaghe del Signore. Ma appunto nell’obbedienza del Signore troviamo il motivo e il segreto anche dell’obbedienza di Maria: se Cristo Signore si addossò la circoncisione, il riscatto e tutto il peso della Legge sin dall’infanzia, nonostante la delicatezza di quell’età e sebbene ne fosse esente, conveniva che anche la Madre imitasse questo esempio di umiltà e di obbedienza del Figlio nell’adempimento della Legge, alla quale Lei come Gesù non sarebbe stata soggetta. – L’evangelista Luca, con fine accorgimento, allude alla stretta unione fra Gesù e Maria nell’osservanza delle prescrizioni legali nel periodo che introduce al Vangelo della Candelora — il pensiero nel testo greco è espresso più chiaramente che non nelle traduzioni —: «Quando furon compiuti i giorni della loro — “autòn ”, che vuol dire “ di loro due?” — purificazione »: tutti e due, Gesù e Maria, son qui un’unità, la medesima legge li vincola; nel medesimo giorno, anzi col medesimo atto Gesù fa l’offerta prescritta dalla Legge e Maria la purificazione dalla Legge richiesta. – Ma qui v’è già un cenno a cose più profonde; l’adempimento delle prescrizioni legali non è che la prima parte del racconto evangelico della presentazione di Gesù e della purificazione di Maria nel Tempio; Luca stesso se la sbriga con rapidi tocchi per passare alla sostanza, al fatto nuovo e inaudito, che oggi capiterà a tutti e due, a Gesù e a Maria; la loro stretta unione nell’osservanza dei riti dell’Antico Testamento non è che il simbolo della nuova e più profonda unità, che fra Figlio e Madre s’inizia oggi, dell’unità nel sacrificio. Incontro. « Ed ecco, a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone ». Ancor oggi s’indovina da questa notizia il muto stupore di Maria, perché questo vecchio venerando stette accanto a Lei e al Figlio d’improvviso, quasi sorto dal suolo. Come a Betlemme, in occasione della nascita, non s’era trovato nessuno che rendesse omaggio al Bambino, così anche a Gerusalemme in occasione della Presentazione. A Betlemme gli Angeli musicanti convocarono per la prima adorazione i pastori; a Gerusalemme lo stimolo interno della grazia condusse al riconoscimento del Bimbo un uomo attempato. A Betlemme dunque e a Gerusalemme e in tutto il mondo vi son sempre degli uomini, che seguono la luce e, circondati dalla cecità dei molti, riconoscono anche nei suoi velami la verità divina.. Vi son uomini che, avanzando in età, divengono presbiti anche in senso spirituale; essi non badano al vicino, al noioso, al quotidiano, e scorgono invece quello ch’è lontano, l’essenziale. Questo Simeone, chiamato da Dio a rappresentare la parte migliore di Gerusalemme presso il bambino Gesù, vide più lontano, penetrò più a fondo degli stessi pastori nell’essenza di quel misterioso Bambino. Si sono avanzate molte ipotesi intorno alla personalità di Simeone. Gli uni vorrebbero vedere in lui un sacerdote, anzi, appoggiandosi all’informazione leggendaria dell’apocrifo vangelo di Nicodemo, il sommo Sacerdote stesso; gli altri lo riterrebbero per il padre del celebre maestro giudeo Gamaliele: Luca da parte sua introduce Simeone nel Vangelo con le parole semplici e insieme lusinghiere: « Egli era giusto », il che vuol dire che osservava coscienziosamente i precetti del Vecchio Testamento, « e pio » anche internamente e non si contentava di una parvenza di giustizia, « e lo Spirito Santo era con lui», avvolgendolo come di santa nube, donde guizzavano i lampi della divina illuminazione. Quello però che più sorprende in Simeone è che « Egli aspettava la consolazione d’Israele »: quanto, quanto a lungo aveva atteso! Il Vangelo però non fornisce nessuna esplicita indicazione circa la sua età, come, ad esempio, per la profetessa Anna; tuttavia il suo profondo sospiro: « Nunc dimittis — ora lascia, o Signore, che il tuo servo se ne vada in pace » fa concludere per una età molto avanzata. Aleggia qualche cosa di grande attorno a un vecchio, che ha conservata la fiduciosa speranza; del resto nel destino d’invecchiare potrebbe interiormente sostenerlo forse qualche cosa di diverso dalla speranza delle eterne cose? Paolo stesso nella sua vecchiaia si ascrive a gloria speciale d’avere perseverato nella: fede, nella speranza e nell’amore: « Io ho conservata la fede ». La vita è aspra, prepara duri disinganni a tutti e a tutti spezza fiorenti aspettative; a mano a mano che gli anni passano si fa grande la tentazione di disimparare la speranza e di inaridire, di amareggiarsi o anche semplicemente di stancarsi, a tal punto da non riuscire a trovar più la forza di sperare. Anche il vecchio Simeone avrebbe avuto motivi di seppellire la sua speranza come una bella illusione e di attendere rassegnato la sua fine; in Israele infatti le cose andavan male. Il paese era stato umiliato e asservito da una potenza pagana; la religione ridotta a una apparenza esteriore e alla lettera della legge dalle proprie guide; « il popolo travagliato e abbattuto come pecore senza pastore ». Né si scorgeva Via d’uscita da nessuna parte, da nessuna parte splendeva uno sprazzo di luce: niente faceva intravvedere che si sarebbero adempiute le divine promesse fatte ai Patriarchi e ai Profeti; tutto era notte sconsolata. Eppure Simeone rimase nell’attesa e, come dice bene il testo evangelico, « aspettava la consolazione d’Israele ». Come una guardia notturna, spiava e, aguzzando lo sguardo, tornava a spiare nella densità delle tenebre, che l’avvolgevano, per vedere quando e dove fosse possibile scorgere un raggio di luce. Già « dallo Spirito Santo gli era stato rivelato che non avrebbe veduto la morte prima che avesse visto il Cristo del Signore ». Questa risposta divina presuppone la ricerca e la supplica umana di Simeone; essa fu il primo punto luminoso nel folto delle tenebre dilaganti; però quanto ci volle prima che quel punto crescesse sino a radioso splendore! Ma Simeone restò fedele e lieto nella sua speranza. Pensiamo qui a un altro vecchio uomo, che pure attendeva la salvezza d’Israele al tempo di Simeone, a Zaccaria, padre di Giovanni Battista; la speranza di quel sacerdote del Vecchio Testamento era vacillante nei confronti dell’attesa immobile di Simeone, che, nonostante l’apparente mancanza di ogni visione, ritenne con sicurezza e con gioia che sarebbe sorto su di lui il mattino di Dio. La liturgia ‘greca chiama la festa della Candelora “ Hypapante ”. incontro. E quale incontro! « Quando i genitori vi portarono il bambino Gesù » e Simeone « mosso dallo Spirito Santo se ne venne al Tempio », l’ardente attesa incontrò il compi mento consolante; il fiume del Vecchio Testamento, il mare scaturiente della Nuova Alleanza; l’uomo stanco, il giovane Iddio. Anche la liturgia latina non può saziarsi di guardare il caro miracolo di quest’incontro, e durante la processione con le candele il giorno della Purificazione ripete continuamente le parole, che Simeone dovette balbettare le cento volte, quando tenne fra le sue mani tremanti per la gioia il Giubilo divino: « Ora lascia, o Signore, che il tuo servo se ne vada in pace! Lascia che se ne vada in pace! ». « Senex puerum portabat — il vecchio portava il Bimbo; il Bimbo però troneggiava sul vecchio »; e ci si meraviglia quasi che quelle vecchie braccia, sotto il peso divino del Bambino, non abbiano ceduto, come le spalle robuste del gigante leggendario Cristoforo. Simeone ebbe in quel gran giorno della sua vita anche un secondo incontro, l’incontro con Maria. Simeone e Maria! il vecchio, che stava con un piede sulla tomba, e la Madre che come ogni madre e più d’ogni madre è la promessa che la vita, a dispetto della morte, continua. Una misteriosa parentela legava Simeone e Maria: in Maria Vera lo Spirito Santo, per opera di Lui aveva concepito; lo Spirito Santo era pure su Simeone; nei pochi versetti della Messa della Purificazione lo Spirito Santo e Simeone son ricordati insieme tre volte. Molto Maria aveva da dare a Simeone in quell’incontro, e molto anche Simeone a Maria. La Madre diede al Vecchio il suo Bambino, come L’aveva già porto a Elisabetta e ai pastori, perché Lei, quell’eterna mediatrice di Cristo, apre la via agli incontri col Figlio suo. Senza esitazione posa il suo Tesoro su quelle braccia supplici e cadenti; sapeva che il suo Piccino presso Simeone era sostenuto da un amore più forte della morte. Anche Simeone aveva qualche cosa da offrire a quella giovane Madre, qualche cosa di così pesante, che solamente quella Donna magnanima poteva reggervi. Il Vecchio venerando era stato prescelto dalla Provvidenza per posare sulla Madre felice il fardello della sua vita. Egli dovette tremare, nella piena del suo gaudio, quando dovette annunciare a quella Madre felicissima, ancor nella sua primavera, anche la parte tanto dolorosa che L’attendeva. Verrà un giorno nel quale un Simeone toglierà, per breve tratto, la croce al Signore; strano che un altro Simeone sia stato chiamato a caricare della croce per tutta la durata della sua vita la Madre di quel Figlio!

Significato.

Nella presentazione di Gesù qual primogenito al Tempio e nella purificazione di Maria sono dunque in gioco realtà molto più profonde che non l’ossequente compimento d’una prescrizione legale del Patto Antico. Quell’antica legge con la sua applicazione a Gesù e a Maria fu talmente densa di realtà, che cessò di essere cerimonia: la parabola si cambiò allora in fatto: « Cristo, il vero Agnello del sacrificio, volle che fossero offerti sacrifici per Lui stesso, affinché il significato simbolico avesse a conoscere la sua realizzazione e la realizzazione avesse a ratificare il significato simbolico. » – Tutti i primogeniti, processione mai interrotta e sempre fiorente, che moveva da tutte le direzioni del paese d’Israele verso il santuario sul Sion, potevano essere riscattati dal servizio di Dio con poche monete d’argento; tutti furono dichiarati liberi e rinviati a casa per menare la vita civile; uno solo fra tutti non fu in realtà riscattato; nonostante i cinque sicli d’argento, che i suoi poveri genitori sborsarono per. Lui, Egli rimase legato a Dio e al suo servizio sino alle ultime gocce di sangue: è Gesù, il primogenito di Maria. La divina Maestà aveva posata la sua mano pesante proprio su di Lui; Egli solo fra tutte le centinaia di migliaia di primogeniti non se n’andò libero. Egli è il Primogenito, « il Primogenito di tutta la creazione, il Primogenito fra molti fratelli, il Primogenito fra i morti »? Se tutti gli altri divengono liberi, questo lo si deve alla fine non a quei sicli dei Giudei, ma al sangue, che questo Primogenito ha versato per essi tutti, per noi. E solamente in virtù di questo prezzo Egli sarà “salvezza”, “luce”, “risurrezione ” per i popoli. Proprio in questo Tempio, che oggi, a dir il vero, Lo rinvia libero, Egli tornerà, e quante volte vi tornerà con zelo divorante per la gloria del Padre! E precisamente qui, dove Simeone Lo aveva annunziato quale « segno di contraddizione », incapperà nella contraddizione così inscrutabile e inconciliabile, da non ritenersi paga neppure del sangue. In questo Tempio Gesù comincerà ad essere « in risurrezione e in rovina » di molti. – In questo penoso Mistero è coinvolta anche Maria. Vedendo la giovane Madre che porta felice il suo Piccolo al Tempio, si potrebbe pensare che il suo compito essenziale sia ormai assolto; Ella ricevette la grazia di intessere col suo proprio sangue una veste umana al Verbo, e questo ormai l’ha fatto con fede e con amore. Ma Gesù non è solamente il “Verbo” che s’è fatto uomo, bensì anche l’“Agnello”, che dev’esser vittima; e l’offerta in vittima del Figlio richiede anche il sacrificio della Madre. Maria oggi deve decidersi per Gesù una seconda volta. Ella ha il suo posto non solo nell’Incarnazione, ma anche nella Redenzione; è insieme la Madre del Creatore e del Redentore. Nel discorso di Simeone la parola diretta a Maria — « e Tu stessa ne avrai l’anima trafitta da una spada » — è inserita nella profezia riguardante il Bambino. In realtà poi il dolore di Maria crebbe così strettamente unito col dolore del Figlio, che ne divenne una parte; senza la passione del Figlio non si avrebbe la passione della Madre. e — quest’è ancor più misterioso! — senza la passione della Madre mancherebbe anche alla passione del Figlio l’ultima amarezza; era proprio del suo dolore che anche la Madre avesse a soffrire. Quale paurosa “integrazione” ottenne il suo dolore, quando Egli vide la Mamma, la cara Mamma col cuore trafitto! Dal giorno della Purificazione Gesù e Maria sono congiunti in ordine ad una nuova unione; è appena completa l’opera dell’Incarnazione, il Bambino s’è appena staccato dalla Madre, e Maria diventa di nuovo una cosa sola con Gesù, una cosa sola anche per la redenzione. Oggi Ella era venuta al Tempio per una purificazione, di cui non abbisognava, la quale però significava qualche cosa di profondo. Maria è pura, la Purissima dinanzi a Dio, pura persino dinanzi alla Legge; ma Ella è madre legata al Figlio con tutti i filamenti del sangue, dell’amore e della grazia. E precisamente questa intrinseca e intimissima unione, questo intreccio col Figlio suo ha di mira la parola di Simeone. Ella dovrà lasciare il suo Bambino, dovrà lasciare che incappi in contraddizione alta come le montagne, in ostilità profonda come gli abissi; dovrà staccarsi da Lui a tal segno — e tuttavia resta indissolubilmente ed eternamente a Lui vincolata —, che Lo offrirà sul Calvario alla morte sacrificale. – Come sarà abbandonata allora la Madre! Lo sarà tanto, che solamente Uno lo sarà ancor più di Lei, Gesù, il Figlio suo. Questo distacco e separazione della Madre, questo straziante svuotamento dell’anima, questa mistica “purificazione” sino agli estremi confini: questo sarà il grande dolore nella vita di Maria, la spada che trafiggerà sino in fondo l’anima di Lei. Come però Gesù diventa “salvezza” e “luce” solo a condizione che prenda su di sé la sanguinosa contraddizione dell’umanità, così « anche saranno svelati i pensieri di molti cuori », se Maria non sfuggirà a questa spada terrorizzante. E la Madre, con la spada infissa nel cuore, i pensieri di molti, che a causa di Cristo stesso sarebbero incappati “nella rovina”, dirigerà in ‘risurrezione ”. Perché, chi può resistere a una Madre con la spada confitta nel cuore? Là, nel Tempio, si restituì di nuovo il Piccolo a Maria, ma Ella sa dalle parole di Simeone che il suo Bambino Le sarà richiesto; Lo riceve di ritorno esclusivamente per crescerLo al sacrificio; ché adesso l’Agnellino è ancor troppo giovane; una volta fatto Agnello, sarà macellato e Lei dovrà esser presente. Questo Primogenito si fa mallevadore per noi tutti; l’umanità attende questo Agnello, che toglie i peccati del mondo.

Accettazione.

A incoraggiamento del Figlio suo nell’angoscia del Monte degli Olivi Iddio inviò un Angelo; Egli inviò un Angelo anche alla Madre del Figlio suo, quando venne su di Lei, qual sinistra luce lunare, la prima ora del Monte degli Olivi: Le inviò la profetessa Anna. Simeone, uomo, aveva annunziato a Maria la parte terribile; Anna, donna, aveva atteso; adesso « sopravvenne anche lei nella medesima ora ». Solamente delle donne possono capire altre donne nelle loro ore difficili. L’evangelista Luca presenta Anna con la stessa schietta benevolenza, con la quale aveva presentato il nobile vecchio Simeone; e tutte e due le figure gli furono abbozzate certamente da Maria stessa, giacché quando si soffre molto s’imprime in noi con chiarezza cristallina ciascun particolare anche delle persone, che allora incontriamo. Anna era “profetessa”, che nel linguaggio biblico può significare non solo una veggente del futuro, ma anche una consigliera, una consolatrice inviata da Dio. Aveva ella stessa molto sofferto nella sua vita, e per questo era anche compassionevole ed esperta per coloro, che dovevano incamminarsi nella notte della sofferenza. Di nobile origine, « della tribù di Aser, una figliuola di Fanuele », « era vissuta col marito sette anni da quando era vergine, e rimasta poi vedova fino a ottantaquattro anni » — di cento e più anni secondo una interpretazione — La vita della vedova è dura. La sposa è legata allo sposo da intenso amore, sì da formare con lui una sola carne e un solo spirito, ma ecco, la morte spezza violenta questa naturale o, meglio ancora, divina unità. La casa è vuota, il cuore è vuoto, la vita è vuota, e la nostalgia soffoca; i figli sono i dolorosi pegni del caro sepolto, ciascuno è una nuova rivelazione del diletto defunto, un ricordo di lui tanto dolce, epperò anche tanto triste. E dove troverà in avvenire aiuto e sostegno nella sua solitudine la donna derelitta? Una vedova è secondo il proverbio « un muro basso, che tutti sormontano »; una vedova, deve soccombere anche lei. Anna sa che cosa vuol dire “vivere”, una spada aveva trafitto anche la sua anima, ma in Dio aveva trovato quello, che gli uomini non le potevano dare; ella aveva praticato già prima di Paolo quello che Egli insegna alle vedove: « La vera vedova ha riposto le sue speranze in Dio, e persevera nelle preghiere e nelle suppliche notte e giorno ». Di Anna, Luca riferisce sorridendo una voce popolare, che ancor oggi si ripete di molte buone e attempate vecchierelle: « Non si allontanava mai dal Tempio, e serviva Iddio con digiuni e preghiere notte e giorno ». – Può essere che Maria avesse incontrato spesso nel Tempio, sin da bambina, quella donna conosciuta da tutte le pie donne di Gerusalemme; come può essere che anche Anna qualche volta avesse posato pensosa lo sguardo su quella singolare bambina. Ora stanno di fronte l’una all’altra, a quattr’occhi, la giovane Madre atterrita dinanzi alla sua delicata felicità, e la pia vecchia, che ha alle spalle la sua via. Anna non può togliere a Maria l’ora difficile; ma nelle ore difficili è già un aiuto, se altri ci dicono che anch’essi hanno patito e hanno vinto; Anna non ritira nessuna delle parole di Simeone, lascia a ognuna il suo valore, lei stessa anzi parla della “redenzione”, e ne loda Iddio come Simeone, poiché la redenzione è una sublime opera di Dio. Maria, che oggi è stata convocata per questo, è piuttosto da felicitare che da compiangere. Dopo questo contegno però che si direbbe liturgico, Anna dovette fare le parti della vera donna: le sue mani stecchite presero la destra tremante di Maria, i suoi occhi semispenti s’immersero lagrimanti negli occhi della giovane Madre, e poi la Profetessa disse a Maria una parola di conforto, ma così sommessa, che neppur l’evangelista Luca giunse a sentirla. Adesso Maria è contornata da Simeone e Anna, Lei, la giovane Madre, che oggi s’è vista spalancata d’improvviso la dura via, dai due Vecchi, che della loro via son giunti al termine. E nel silenzio dell’anima ringrazia il Signore, perché Egli Le ha posto a fianco due Angeli consolatori sin dalla prima stazione della Via Crucis. – Luca non riferisce nessuna parola detta da Maria nel Tempio a Simeone e ad Anna; nell’Annunciazione aveva offerto all’Angelo Gabriele il “Fiat — sia fatto!”; oggi quel “Fiat” si esprime senza parole, e fa intuire gli abissi toccati. Nel Tempio Ella mantenne la parola già data, e per questo non parlò, ma accettò. Questa accettazione e donazione silenziosa, coraggiosa, è l’atto sublime nella Presentazione di Maria, un atto veramente eroico. Quando il Signore, non sin dall’inizio ma solo a metà delle sue lezioni apostoliche, parlò per la prima volta della passione agli Apostoli, Pietro, atterrito e violento, la respinse dicendo: « Non sia mai!». Persino poche settimane prima della morte del Signore, in occasione del terzo annuncio della passione, l’Evangelista è costretto a riferire confuso: « Ed essi non ne capirono nulla; era per loro un enigma e non sapevano che volesse dire ». E gli Apostoli erano uomini, adusati alle tempeste del lago e della vita, istruiti dal Signore con molti discorsi della sua sapienza e con i miracoli della sua onnipotenza; e però non entrarono nel mistero della passione! Quanto diversa la cosa per Maria, la Madre tenera e amante! Ella sin da principio, ancor prima che il suo Bambino abbia proferita una paroletta, ancor prima che abbia rivelata la sua mirabile natura, si piega alla croce senza piangere, senza contraddire, benché la croce sia per colpirLa ben più paurosamente che gli Apostoli, nel cuore del suo essere di madre. L’accettazione! Dalla profezia di Simeone Ella non venne ancora a conoscenza dei particolari del giorno tanto duro e minaccioso; non seppe ancora del legno della croce, né del sangue, né del colpo di lancia, che avrebbe trafitto il cuore del Figlio suo; Ella seppe soltanto della trafittura del proprio cuore a motivo del Figlio; e questo per l’inizio era abbastanza. Ma appunto questa angosciosa incertezza circa il quando, il dove, il come delle terribili vicende dovette accrescere la sua pena. Ma per questo fu la sua vita oscurata da continua malinconia, di modo che dal giorno della Purificazione non godette più un’ora di letizia? Vi son libri, che dal giorno della Presentazione al Tempio in poi non La vedono aggirarsi che nei luttuosi veli d’una santa mestizia. A torto! La vita di Maria conobbe anche in seguito molte ore belle, liete, sublimi: gli anni dell’intimità a Nazaret, le profonde intuizioni dovute alla grazia, i successi messianici del Figlio suo; di modo che esultò felice e cantò di nuovo il suo Magnificat. Non abbiamo anche noi conoscenza della croce che ci attende, specialmente dell’ultima grande tribolazione al momento della morte? Eppure ci rallegriamo nella nostra vita delle cose belle: del sorger del sole e delle notti rischiarate dalla luna, della magnificenza dei fiori e della maestosità dei monti, del fascino della musica, dell’elevatezza della poesia e della profondità degli umani pensieri, soprattutto di tante care e buone persone che percorrono con noi il cammino della vita; e più ancora ci rallegriamo dei disegni della grazia di Dio tutti volti a nostra salvezza. Oh, quante bellezze cela in se stessa anche la nostra dura vita! Ancora più di noi, e a nostro esempio, Maria accolse con riconoscenza e gaudio la divina bontà, che fluì lungo la sua vita in tanta copia da non potersi misurare; Ella aveva certamente anche un motivo più profondo per non sommergersi nella tristezza al sopraggiungere della tribolazione; sapeva infatti che la sua tribolazione avrebbe diretto i pensieri di molti « a risurrezione » e che, come il Figlio suo, doveva Lei stessa soffrire per entrare così nella gloria. Oggi Ella era venuta al Tempio qual Madre gaudiosa e se ne tornerà a casa pensosa e dolorosa; ma anche nella sua regale serietà non perde la sua gioia, perché per Lei gioia e dolore sono irradiati dal diadema della gloria futura. –  Luca fa che la Sacra Famiglia si rechi a Nazaret, ove dimorava precedentemente, subito dopo la Presentazione al Tempio; frattanto però sappiamo dalle informazioni di Matteo che al viaggio al Tempio tennero dietro ancora i drammatici episodi dell’adorazione dei Magi e della fuga in Egitto. Agostino è dell’opinione che il testo presso Luca: « Quando ebbero compiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, ritornarono in Galilea, nella loro città di Nazaret », si debba intendere soltanto del tempo del ritorno dall’Egitto. Potrebbe essere però che i santi Coniugi, come il testo di Luca suggerisce, ritornassero realmente subito a Nazaret dopo la Presentazione al Tempio, ma solamente per disporre il trasferimento a Betlemme, che era nella ferma intenzione di Giuseppe ancor dopo il ritorno dall’Egitto. Maria s’allontanò da Gerusalemme e s’incamminò per la lunga via del ritorno in Galilea, pensosa. In quelle poche settimane s’erano compiute molte grandi cose; quel giorno stesso nel Tempio era stata messa nuovamente a parte di importanti notizie: il suo Bambino è il salvatore dei popoli, ma solo al prezzo d’una terribile opposizione contro di Lui e la trafittura del suo proprio cuore. « Nunc dimittis! », aveva detto Simeone nel Tempio nella sua esultanza per la felice liberazione: « Ora lascia, o Signore, che il tuo servo se ne vada in pace! ». Anche Maria è lasciata alla sua via; è una via di dolore, che mette però a una meta luminosa; mena alla salvezza e alla luce e alla gloria di molti. Allora emise un profondo respiro e camminò per la via, sulla quale L’aveva messa la Provvidenza. O augusta e coraggiosa Signora, prendi noi con Te, affinché anche noi, camminando sopra “contraddizioni”, “rovine” e “trafitture”, giungiamo alla “purificazione” e di qui alla generosa “presentazione” e offerta di noi stessi a Dio e così alla “risurrezione”.

IL CREDO

Offertorium

Orémus.
Ps 44:3.
Diffúsa est grátia in lábiis tuis: proptérea benedíxit te Deus in ætérnum, et in sǽculum sǽculi.

[Ps 44:3.
La grazia è diffusa sulle tue labbra: perciò Iddio ti benedisse in eterno e nei sécoli dei sécoli.]

Secreta

Exáudi, Dómine, preces nostras: et, ut digna sint múnera, quæ óculis tuæ majestátis offérimus, subsídium nobis tuæ pietátis impénde.
Per Dóminum nostrum Jesum Christum, Fílium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitáte Spíritus Sancti Deus, per ómnia sǽcula sæculórum
.
R. Amen.

[Esaudisci, o Signore, le nostre preghiere: e, affinché siano degni i doni che offriamo alla tua maestà, accordaci l’aiuto della tua misericordia.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de Nativitate Domini
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Quia per incarnáti Verbi mystérium nova mentis nostræ óculis lux tuæ claritátis infúlsit: ut, dum visibíliter Deum cognóscimus, per hunc in invisibílium amorem rapiámur. Et ídeo cum Angelis et Archángelis, cum Thronis et Dominatiónibus cumque omni milítia cæléstis exércitus hymnum glóriæ tuæ cánimus, sine fine dicéntes.

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: Poiché mediante il mistero del Verbo incarnato rifulse alla nostra mente un nuovo raggio del tuo splendore, cosí che mentre visibilmente conosciamo Dio, per esso veniamo rapiti all’amore delle cose invisibili. E perciò con gli Angeli e gli Arcangeli, con i Troni e le Dominazioni, e con tutta la milizia dell’esercito celeste, cantiamo l’inno della tua gloria, dicendo senza fine:]

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tuaHosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster, qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Luc 2:26.
Respónsum accépit Símeon a Spíritu Sancto, non visúrum se mortem, nisi vidéret Christum Dómini.

[Lo Spirito Santo aveva rivelato a Simone che non sarebbe morto prima di vedere l’Unto del Signore.]

Postcommunio

Quǽsumus, Dómine, Deus noster: ut sacrosáncta mystéria, quæ pro reparatiónis nostræ munímine contulísti, intercedénte beáta María semper Vírgine, et præsens nobis remédium esse fácias et futúrum.
Per Dóminum nostrum Jesum Christum, Fílium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitáte Spíritus Sancti Deus, per ómnia sǽcula sæculórum.
R. Amen.

[Ti preghiamo, o Signore Dio nostro: affinché questi sacrosanti misteri, che ci procurasti a presidio della nostra redenzione, intercedente la beata sempre Vergine Maria, ci siano rimedio per la vita presente e futura.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA