LO SCUDO DELLA FEDE (253)

LO SCUDO DELLA FEDE (253)

LA SANTA MADRE CHIESA NELLA SANTA MESSA (22)

SPIEGAZIONE STORICA, CRITICA, MORALE DELLA SANTA MESSA

Mons., BELASIO ANTONIO MARIA

Ed. QUINTA

TORINO, LIBRERIA SALESIANA EDITRICE, 1908

CAPO III

IL SACRIFICIO DIVINO

SECONDA PARTE DEL CANONE.

CAPO IV

LA PARTECIPAZIONE ossia la Comunione Divina.

Divini Misteri contemplati nel mistero dell’amore.

Si veramente! nell’ultima cena Gesù non soffre più ritegno nel suo amore, e si lascia andare del cuore da non poter più in là! Non come a servi, ma come ad amici confida i più reconditi suoi misteri. Ora anche noi, come l’Apostolo dell’amore, siamo giunti a metterci presso presso a Gesù nel Convito, e qui a riposargli sul petto anche noi! Anche noi ad assistere appiè di Maria alle agonie divine!… E noi rapiti in santo entusiasmo, come l’innamorato Giovanni, vorremmo tremanti alzar la mente a contemplare i misteri divini, che Dio lascia scorgere per Gesù Cristo. – Povera ragione umana! Essa disdegna i misteri della Religione, rifiuta i dogmi, e non vuol altro che scienza; e pretendendo di comprender tutto da sé, comprende il tutto di niente ( Lo confessano i due grandi genii, Platone e Pascal). Così si trova gettata dalla scienza nel buio, nei più tenebrosi misteri, che la fan disperare. La Religione invece, mentre propone da credere, è la sola che spiega i più profondi misteri, così da contentare, anzi consolare la più esigente ragione, fosse pur di s. Agostino e s. Tommaso, i più grandi filosofi del mondo. Vorremmo qui dar prova, come la ragione barcolli alla cieca. Difatti i primi problemi, che la ragione vorrebbe sciogliere colla filosofia, sono certamente questi. Chi è l’Autore del tutto? e come esiston le cose? Ora domandate alla filosofia, che sono mille e mille anni che studia e specula, di scioglierci questo primo problema e di sapere dir qualche cosa di Dio; e se l’immagina, e lo veste a capriccio, e ne ritaglia l’idea e l’impicciolisce, per adattarla alle testoline pretendenti dei dotti suoi; poi astrae da tutto per formarsene la più sublime idea; domandate: chi è l’Autore del tutto, Iddio? Sentite: eh son le cime dei dotti suoi, che vi rispondono! Dio è un Ente, quello che è, che non può non essere, eterno, immenso, indeterminato, l’Ente in somma che si sviluppa nell’esistente, e crea per necessità le cose con cui esiste confusamente, quasi immensa macchina in movimento (e chi ha fatta così ben ordinata macchina?.., e chi la mette in moto? E questo è il Dio creatore definito dai filosofi, qual lo conosce la ragione da sé! Oh! un essere immenso, muto, cieco, sempre in moto nel vortice della eternità, che senza conoscersi e senza amarsi nella solitudine della eterna sua esistenza troverebbe la disperazione! Anzi che Dio, questo è un mostruoso fantasma che spaventa l’immaginazione! Atterriti da questo mostro d’idea ripariamo noi in seno a Gesù, che dal suo Cuore ardente ci piove sull’anime una mite luce celeste che ci fa scorgere Iddio: e non nello sfondato misterioso di un nebuloso ideale, ma nell’amabile realtà di Dio che è Padre: che dall’eternità conosce se stesso, e nel tesoro della onnipotente sua natura divina genera il suo Verbo, il suo Pensiero Sostanziale, il suo Figlio, eguale a se stesso, Dio uno con sé, come il pensiero nostro è uno coll’anima nostra (ce lo ha detto che siamo sua immagine): e il Figlio intende il Padre; gli parla divinamente nello eterno seno: e dal Padre e dal Figlio procede l’Amor sostanziale, lo Spirito Santo, come anche in noi, che siamo la smorta immagine sua, sentiamo tra l’anima nostra e i nostri pensieri svolgerà una potenza, l’amore… Ah! coperti colla croce di Gesù e di sotto le sue piaghe eleviamo colla mente il cuore; e in questa luce inaccessibile ci par di scorgere Dio col sorriso di Padre, ed il Salvator nostro a Lui in seno, e l’Eterno Amore che ha da alimentare l’anima nostra di eterna beatitudine in paradiso. O Platone, tu pur parlavi confusamente dell’Essenza divina, e intravedevi da Lei distinta la divina Sapienza, e in Dio quasi il vero Verbo: O Platone, se tu sentissi adesso i novellini del catechismo, ammessi alla prima Comunione, parlare colle più ardite, ma le più esatte espressioni così sublime verità e farti intendere ciò che tu presentivi in confusione; tu esclameresti consolato: « Colui, che io sospirava con Socrate mio, che venisse a tutto insegnarci, è venuto, è venuto sì veramente! » In quanto al secondo problema, quello della creazione, mentre filosofi ci mettono dinanzi irragionevoli e troppo ridicoli, anzi spaventosi sistemi, noi godiamo di contemplare come Dio, Volontà onnipotente, Virtù benevolissima, Lume eterno, Beatitudine somma, Padre della bontà, il sommo Bene vuol per isfogo di sua bontà dar del suo bene; per diffonderne fuori di sé e comunicarne, crea gli esseri a parteciparlo, li vivifica a sentirlo, crea le anime a conoscerlo, le santifica a meritarlo, e vuole alimentarle di sua beatitudine eterna. Sono queste le espressioni di s. Bernardo, che senza accorgersene diventa il più gran filosofo nell’amore di Dio. Ed oh! se è buono il Signor nostro Iddio! e se sa impicciolirsi per adattare il dono del ben suo alla capacità degli esseri i più minuti! Creandolo par che dica al granellino di sabbia: « ti do l’esistenza, di cui sono Io la fonte; » al fiorellino: « ti do una piccola immagine della bellezza mia, e della soavità dei miei profumi; » all’animaletto: « ti do un segno della mia vita. » Ma all’uomo volendo tutto comunicare se stesso, Egli crea un’anima vasta più che l’Oceano, in cui tutto che entra, che non è Dio, gli fa sentire maggiore il vuoto e la mancanza del proprio elemento. Consigliasi seco per farlo proprio ad immagine sua; e nel formarlo uomo gli lascia scorrere un raggio della sua intelligenza, che è il lume della ragione, e l’uom con esso scorge il ben di Dio in ogni cosa, che gli sveglia in cuor il desiderio di possederlo. Così Dio in ogni cosa gli fa veder del bene sommo ch’Egli è: nelle arti belle gli rivela della sua bellezza, nella musica gli lascia gustare della sua armonia, nella scienza del calcolo dell’ordine suo, nell’astronomia della sua potenza, nella virtù della sua bontà, nel genio della sua sublimità. Sì, sì dappertutto è Dio che ama, suscita ed agita ed inquieta l’uomo, con tanti assaggi l’invoglia del sommo Bene, tanto, che non ha pace più il cuor umano, finché non giunga a possederlo in Paradiso. Oh! mentre la Religione con tutta la potenza delle prove della verità ci fa conoscere così buono il Dio nostro, noi lo possiamo contemplare ancora nel Mistero dell’Amor Creatore e Salvatore! Come alla polvere unisce il moto della vegetazione, e crea le piante; come alla polvere organizzata alla vegetazione unisce la sensibilità, e crea gli animali: come alla polvere più perfettamente organizzata all’animalità unisce l’anima che lo intende e lo ama, e crea l’uomo: così crea l’uomo unito nella sua Divinità, e ne riesce il Capo d’opera dell’Amor Creatore, l’Uomo-Dio Salvatore!… Ah, ah! la ragione consolata qui cade in ginocchio davanti all’altare: il cuor batte forte sul Cuor di Gesù, e sente il palpito del Cuore dell’Uomo-Dio, che gli comunica un’aura di vita divina… Qui un cuor che ama divinamente con Gesù, s’inabissa smarrito in questo oceano d’amore, e nella luce che spande il Cuor ardente di Gesù sente proprio quasi di comprendere come Gesù poteva, anzi doveva morire, e poi restar qui nel Sacramento per questa sua onnipotenza d’amore, con queste sue creature, che senza di Lui si vanno a perdere.

La Comunione

Qui parleremo il linguaggio del cuore, che trova sempre dei cuori che sentono più in là che non può dire l’umana parola, e sanno perdonare, se ragioniamo miseramente così. Gesù è Dio fatto uomo per amore; e l’amore è così generosa potenza, che fa gustare quasi una felicità nel morire per chi si ama. In vero il soldato sa gettarsi ardente nel vortice della battaglia e sa morir generoso per la patria amata: e la madre per salvare il bambino delle viscere sue si getterebbe in gola alla morte! Deh! se un soldato ed una donna hanno tanta bontà da poter e dover morire per amore; non lo poteva, non lo doveva l’Uomo-Dio con quella onnipotenza di amore divino? Se lo stentiamo a capire, è perché non conosciamo l’amore. Sì, sì, se Gesù non fosse morto, gli avremmo potuto dire: Ecchè? Una misera creaturella sarà capace ad amare più dell’Uomo Dio?… Ma quando invece lo contempliamo al morir sulla croce, e lasciarsi squarciare il cuore per l’ultima goccia del più vitale suo Sangue, qui noi abbiamo compreso, Egli è l’Uomo-Dio, che ha amato divinamente; Vidimus gloriam eius… plenum gratiæ: l’abbiam veduto; Egli visse e morì da Uomo-Dio. Si (diceva anche un uomo di mondo, ma era un più gran genio dei tempi moderni, Napoleone I), sì, io conosco gli uomini; ma Gesù, credetelo, non è uomo; visse e morì da Dio! – Ancora vorremmo dire che ci par nel Cuor di Gesù comprendere, come Ei doveva darsi tutto nel Sacramento (ci si perdoni la povertà delle espressioni). Questo Gesù nostro è lo stesso Eterno Verbo, Creator dell’universo. Questo Figliuol di Dio, quando creava il tutto, pigliava un po’ di polvere, che in principio aveva creata (ché tutti i mondi pel firmamento altro non sono che un po’ di polvere in mano sua) , e gettando quel po’ di polvere nel firmamento, le disse colla creatrice Parola: « Sii tu il sole, e sii l’immagine della mia bontà; e getta luce, splendore e forza in tutte le creature che ti ho messo d’ intorno. » Ed il sole è creato: ed ecco da mille e mille anni il sole è li, che versa con una rapidità che spaventa il pensiero, forza, calore, luce nel mondo d’intorno, ed ha raggi per tutti gli esseri i più minuti! Ora un po’ di polvere, in cui spira il Figliuol di Dio la sua parola, diventa il sole che irraggia la sua potenza, ed è tutto, con tutti i suoi raggi, negli occhi di tutti!… Oh! Oh!… E Gesù con questo suo Cuore, in cui versa la pienezza della sua Divinità, non dovrà irraggiarsi (oh, che parole povere son mai le nostre!) ed esser qui, là, dovunque vuole, tutto col suo Corpo divinizzato? Oh via! se mai qualche carnale giudeo avesse ardimento di domandare, come lo domandarono i Giudei d’allora a Gesù, come Ei potesse dare il suo Corpo e il suo Sangue a nostro alimento? Noi risponderemo che ben lo potranno capire, quando colle loro testoline saran giunti a comprendere che cosa sia il corpo. Il corpo? oh si giungerà mai a capire che cosa sia il corpo, che pur ci tocca i sensi! Poi bisogna sappiano coi loro studi misurare il tesoro della bontà di Dio; e poi spiegare, come Dio creò l’amore; questa potenza che inspira l’entusiasmo del sacrificio negli esseri che più si assomigliano al Creatore. Così poi solo allora, quando sapranno tutto spiegare, saranno capaci a comprendere, come il Figliuol di Dio abbia potuto trovare un sottile ingegno e divinamente appropriarselo da poter con esso all’amor suo soddisfare pienamente. – Egli venne in terra a farsi uomo, per farci diventare Figliuoli di Dio, fattosi nostro fratello. – Dio e gli uomini, ecco i due termini che il Figliuol di Dio voleva avvicinare fra loro: ma trovava gli uomini troppo lontani e separati da Dio da un abisso di distanza infinita; questo abisso scompariva in Lui, in cui i due termini, Dio e l’uomo, si sono unificati, così che l’Uomo è Dio, Dio è l’uomo in una sola Persona, Gesù. Così avendo Dio presa la carne nostra, ed immolatala nel balsamo vivificante della Divinità, gli restava trovar modo da comunicare questa carne divinizzata agli uomini, per farli partecipi della divinità, e santificare tutto l’uomo; e tutto l’uomo è l’anima e il corpo. Questo non poteva far meglio, che col compenetrare della sua Sostanza Divina la nostra umana natura, ed immedesimarsi con noi come fa il cibo nostro. Gesù voleva farci amare dal Padre suo celeste; ma l’amore è sempre tra persone che hanno somiglianza, anzi una qualche eguaglianza, o di condizione e di età, o almeno di pensieri e di affetti: ma tra noi e Dio non vi è questa cotale eguaglianza; e Gesù trova il modo di entrare in noi, e di farci partecipi della sua Divinità umanizzata (participes divinæ naturæ): ci fa uomini che abbiam del divino (Ego dixi: dii estis). Oh! se siamo preziosi, amabili, quando è Gesù con noi, agli occhi di Dio! Mettete dell’oro col piombo, fondeteli al fuoco insieme: il piombo diventa prezioso anch’esso. Così per l’amore Gesù ci voleva unire con sé, perché l’amore vuole l’unione. Per ben comprendere come l’amore vuole l’unione, considerate una madre che si delizia col bambino, suo sangue. La madre è a vederla in quei cari vezzi, in quelle innocenti delizie, come guarda con tutta l’anima negli occhi il bimbo, amor suo: se lo stringe sul cuore, lo bacia: poi torna a riguardarlo, e lo ribacia più infervorata, quasi volesse la buona genitrice per la bocca versare l’anima in seno al bambino, e col cuore nel cuore compenetrarsi, e dargli tutto il suo bene; ma trova il suo corpo che si attraversa e l’impedisce; Ella quel corpicciuolo delle viscere sue si vorrebbe come assorbire in baciarlo: e con un cotal amoroso furore quasi come mangiarselo a forza di baci, per inviscerarsi, come sua cara porzione, quella cara vita. Ebbene! quello che non può la buona donna, e vorrebbe far per amore materno, lo può fare per amore divino Gesù. Contempliamolo in mezzo ai figliuoli del suo Sangue rigenerati! Egli sminuzza sotto le specie del pane il suo Corpo. Egli discioglie sotto le specie del vino il suo Sangue, e si dilegua, direm così, per penetrarci nelle viscere, e portarci dentro, divenuto nostro cibo, la sua carne, sposata alla Divinità. Apri adunque, par che dica Gesù, apri, o diletto, ché io sto per entrare: allarga il cuore, dammi te stesso, come io a te mi dono. Così entra nella nostra persona, compenetrandoci come cibo spirituale: la sua mischia alle nostre carni; il suo col sangue nostro: scende ad abbracciar l’anima nel più interno centro della vita umana. Qui l’umana persona si tocca, si bacia, s’unisce colla Divina: Dio è nell’uomo, e l’uomo è in Dio: sicché può dir qui ogni fedele: « Vivo io; non son io che vivo, ma vive in me il Figliuol di Dio. » Deh! anche noi nel trasporto dell’amore più vivo cadiamogli fra le braccia col Sacerdote, che s’inginocchia nell’atto di prendere il Corpo santissimo, e dice quest’orazione.

Orazione.

« Prenderò il Pane celeste, ed invocherò il nome di Dio. »

Esposizione.

L’anima da tanto amore di Dio beatificata, nell’atto di ricevere da Dio il dono di tutto Lui stesso, accoglie e ringrazia. È uno slancio del cuore, che troppo pieno di gratitudine vuol assicurare l’Amante divino, che mentre Egli troppo si degna, ella non potrà vivere per altro, che per ringraziarlo di tanta divina bontà, ed esclama: « Prenderò, sì prenderò il Pane celeste: ma invocheremo sempre il Nome di Dio per glorificarlo. » Cioè la creatura umana, forzata dal comando di Dio, attirata dai suoi bisogni al Signore, nello slanciarsi a Dio esclama: Oh! che sommo bene è il mio Dio ! Non potendo far altro, invocherò il Nome del mio Dio, per protestar che, se ardisco far tanto, è per la sola bontà di Dio! e tutta la vita mia sarà amarlo sempre! Poveri noi non sappiamo dir altro!

Orazione: Domine, non sum dignus.

« O Signore, io non son degno che Voi entriate nella casa mia; ma dite una parola solamente, e sarà salva l’anima mia, » – « O Signore, io non son degno che Voi entriate nella casa mia, ma dite una sola parola, e sarà salva l’anima mia! « O Signore, io non son degno che Voi entriate nella casa mia, ma dite una sola parola, e sarà salva l’anima mia!

Spiegazione.

« Domine, non sum dignus: Signore, non son degno. »

Per poco non si comprende, come un uomo possa avere cuore di tenere in mano il Corpo di Gesù Cristo. Oh Dio! oh Dio! La mente è confusa nel trovarsi tra le mani il suo Dio! Lascia cadere le sue braccia sull’altare, guarda fisso a Gestì! Si batte il petto, e mette il gemito: «Signore, non son degno, ma pur salvatemi per la vostra pietà. » ‘Signore, non son degno! Eppure già gli entra il suo Dio!… Ah! si mette di nuovo ad esclamare; « Signore, non son degno io! » e gli vuol dire: « ben io ho bisogno di miracoli della vostra carità: per questo ho supplicato con tante istanze; ma nel veder così pronto entrare in me Voi stesso in Persona, o Signore, io debbo dirvi, che non m’aspettava tanto: né di tanto avrei osato a supplicarvi. » Che venire in me Voi! Gli va ripetendo col buon Centurione. Questi, pregato Gesù di salvargli il servo con un miracolo da lungi, senza che si degnasse di scendere a lui, vedendolo avviarsi alla sua casa, andava dicendo: » Signore, non son degno, che Voi entriate nella mia casa, ma dite una parola, che basterà da qui ad operare al servo mio la guarigione (1). » Anche ciascuno di noi col Sacerdote ripeta: « o Signore, io son troppo meschino, e Voi troppo grande; la mia miseria mi confonde, e la vostra santità mi spaventa; restate per pietà! basta che diciate una sola parola, e varrà ben a salvarmi! « Signore, io non son degno.» – « Ma volete proprio venire? Sì sì, anch’io ho bisogno della vostra Divinità. Ma deh! Per pietà, o Signore, non ricusate di farmi degno con una vostra parola! » Vengo a ricevervi, perché se vado lontano da Voi vado a perdermi! (Prende colla destra il SS. Corpo, si segna con esso sospeso sopra la patena, tenuta innanzi colla sinistra, e dice:)

L’Orazione: Corpus Domini, etc.

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.