TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (11) “da EUGENIO I ad AGATONE”

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (11)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

(Da Eugenio I a Agatone)

EUGENIO I: 10 agosto 654 – 2(3 ?) giugno 657

VITALIANO: 30 luglio 657 – 27 gennaio 672

ADEODATO II: 11 aprile 672-17 (16 ?) Giugno 676

11° “Concilio di Toledo”, iniziato il 7 novembre 675

Professione di fede.

La Trinità divina.

525. (1) Confessiamo e crediamo che la santa ed ineffabile Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, sia un solo Dio per natura, di una sola sostanza, di una sola natura, di una sola maestà e di una sola potenza.

(2) E professiamo che il Padre non sia né generato né creato, ma  ingenito. Non trae la sua origine da nessuno, da cui il Figlio è nato e lo Spirito Santo ha ricevuto la processione.  È quindi la fonte e l’origine di tutta la Divinità.

(3) Egli è anche il Padre della sua stessa essenza, che dalla sua ineffabile sostanza generò il Figlio, e tuttavia non ha generato altro che ciò che Egli stesso è (Lui, il Padre, cioè la sua ineffabile Essenza), ha anche ineffabilmente generato il Figlio dalla sua sostanza): Dio (generò Dio), la luce, la luce, da Lui dunque “ogni paternità in cielo e in terra”. (Ef III,15)

526. (4) Affermiamo anche che il Figlio sia nato dalla sostanza del Padre senza inizio, prima dei secoli, e tuttavia non sia stato creato; perché né il Padre è mai esistito senza il Figlio, né il Figlio mai senza il Padre.

(5) E tuttavia il Padre non è dal Figlio come il Figlio è dal Padre, perché il Padre non ha ricevuto la generazione dal Figlio, come il Figlio l’ha ricevuta dal Padre. Il Figlio è dunque Dio dal Padre, ma il Padre non è Dio dal Figlio. È il Padre del Figlio, ma non è Dio attraverso il Figlio. Il Figlio è Figlio del Padre e Dio attraverso il Padre. Il Figlio, tuttavia, è uguale in tutto e per tutto a Dio, il Padre, perché non ha mai iniziato né cessato di nascere.

(6) Crediamo anche che Egli sia di una sola sostanza con il Padre; per questo si dice che è homoousios al Padre, cioè della stessa sostanza del Padre; in greco homos significa “uno” e ousia “sostanza”; le due parole insieme significano “una sola sostanza”. Dobbiamo credere che il Figlio sia stato generato e che non è nato dal nulla o da un’altra sostanza, ma dal seno del Padre, cioè dalla sua sostanza.

(7) Eterno è il Padre, eterno è il Figlio. Se il Padre è sempre stato, ha sempre avuto un Figlio, di cui era il Padre. Per questo confessiamo che il Figlio è nato dal Padre senza un inizio.

(8) Tuttavia questo stesso Figlio di Dio, in quanto generato dal Padre, non lo chiamiamo “parte della sua natura divisa”, ma affermiamo che il Padre perfetto ha generato il suo Figlio perfetto senza senza diminuzione o divisione, perché appartiene alla sola Divinità non avere un Figlio disuguale.

(9) Questo Figlio è Figlio di Dio per natura, non per adozione, e dobbiamo credere che il Padre non lo abbia generato né per volontà né per necessità, perché in Dio non c’è necessità e la volontà non precede la sapienza.

527. (10) Crediamo anche che lo Spirito Santo, che è la terza Persona della Trinità, sia Dio, uno e uguale al Padre e al Figlio, della stessa sostanza e anche della stessa natura; tuttavia, non è né generato né creato, ma procede da entrambi ed è lo Spirito di entrambi.

(11) Crediamo anche che lo Spirito non sia né innato né generato, in modo che non venga considerato, se diciamo che non è generato, che affermiamo due Padri, o se diciamo che sia generato, predichiamo due Figli; eppure Egli è un’entità che non è stata creata, e non si dica che sia solo lo Spirito del Padre, ma che sia lo Spirito del Padre e del Figlio.

(12) Infatti, non procede dal Padre verso il Figlio, né procede dal Figlio per santificare le creature, ma sembra aver proceduto sia dall’uno che dall’altro, perché è riconosciuto come la carità o la santità di entrambi.

(13) Crediamo, quindi, che lo Spirito Santo sia inviato da entrambi, come il Figlio è inviato dal Padre; ma non è considerato inferiore al Padre e al Figlio, come il Figlio testimonia di essere inferiore al Padre e allo Spirito Santo a causa della carne che ha assunto.

528. (14) Questo è il modo di parlare della Santa Trinità: bisogna dire che non è triplice, ma trina. Non si può dire che la Trinità sia in un solo Dio, ma che un solo Dio sia Trinità.

(15) Nei nomi delle persone che esprimono le relazioni, il Padre è riferito al Figlio, il Figlio al Padre, lo Spirito Santo a entrambi: quando si parla delle tre Persone in considerazione delle relazioni, si ritiene che siano una sola natura o sostanza.

(16) Non affermiamo tre sostanze come tre Persone, ma una sola sostanza e tre Persone.

(17) Il Padre, infatti, è Padre non in relazione a se stesso, ma in relazione al Figlio; il Figlio è Figlio non in relazione a se stesso, ma in relazione al Padre. Allo stesso modo, lo Spirito Santo non si riferisce a se stesso, ma al Padre e al Figlio, ma al Padre e al Figlio, perché è chiamato Spirito del Padre e del Figlio.

(18) Allo stesso modo, quando diciamo “Dio”, non esprimiamo una relazione con un altro, come quella del Padre con il Figlio o del Figlio col Padre, o dello Spirito Santo col Padre ed il Figlio, ma si dice “Dio” soprattutto in riferimento a se stesso.

529. (19) Se ci viene chiesto di ciascuna delle Persone, dobbiamo confessare che è Dio. Si dice che il Padre è Dio, che il Figlio è Dio, che lo Spirito Santo è Dio, ciascuno in particolare; eppure non sono tre dèi, ma un solo Dio.

(20) Allo stesso modo si dice che il Padre è onnipotente, il Figlio è onnipotente, lo Spirito Santo è onnipotente; eppure, non sono tre onnipotenti, ma un solo onnipotente, come noi professiamo una sola luce ed un solo principio.

(21) Confessiamo e crediamo che ogni Persona in particolare sia pienamente Dio e che tutti e tre siano un solo Dio; abbiano una sola divinità, una sola maestà, una sola potenza indivisa, uguale, che non diminuisce in ciascuno, né aumenta in tutti e tre; infatti, non è minore quando ogni Persona viene chiamata Dio in particolare; non è maggiore quando le tre Persone sono chiamate un solo Dio.

530. (22) Questa santa Trinità, che è un unico vero Dio, non è al di fuori del numero ma non èracchiuso nel numero. Nelle relazioni tra le Persone appare il numero; nella sostanza della Divinità non si può cogliere nulla che possa essere contato. C’è quindi un’indicazione di numero solo nelle relazioni tra le Persone, ma non c’è numero per loro, perché sono riferite a se stesse.

(23) Per questa Santa Trinità è quindi necessario un nome di natura, che non può essere usato al plurale nelle tre Persone. Per questo crediamo a quanto dice la Scrittura: “Grande è il nostro Signore e grande è la sua potenza e la sua sapienza è senza numero” (Sal CXLVI,5).

(24) Il fatto che diciamo che queste tre Persone siano un unico Dio non significa che possiamo dire che il Padre sia lo stesso del Figlio, o che il Figlio sia il Padre, o che Colui che è lo Spirito Santo sia il Padre o il Figlio.

(25) Perché colui che è il Figlio non è il Padre e colui che è il Padre non è il Figlio, né lo Spirito Santo è il Padre o il Figlio; eppure il Padre è ciò che è il Figlio, il Figlio ciò che è il Padre, il Padre e il Figlio sono lo stesso dello Spirito Santo, cioè un solo Dio per natura.

(26) Infatti, quando diciamo che il Padre non è uguale al Figlio, ci riferiamo alla distinzione delle Persone. Ma quando diciamo che il Padre è lo stesso del Figlio, il Figlio è lo stesso del Padre, lo Spirito Santo è lo stesso del Padre e del Figlio, esprimiamo che ciò appartiene alla natura o alla sostanza con cui Dio è, perché sono sostanzialmente uno: distinguiamo sì le persone, ma non dividiamo la Divinità.

531. (27) Riconosciamo dunque la Trinità nella distinzione delle Persone; professiamo l’unitàper la natura o sostanza. Questi tre sono dunque uno nella natura, non nella Persona.

(28) Tuttavia, non dobbiamo concepire queste tre Persone come separabili, poiché crediamo che nessuna di Esse sia mai esistita, né abbia mai compiuto alcuna opera né prima dell’altra, né dopo l’altra, né senza l’altra.

(29) Esse sono infatti inseparabili sia in ciò che sono sia in ciò che fanno, poiché tra il Padre che genera, il Figlio che è generato e lo Spirito Santo che procede, non crediamo che ci sia alcun intervallo di tempo in cui Colui che genera avrebbe preceduto di un momento il generato, o il generato avrebbe mancato colui che genera, o lo Spirito Santo, nel procedere, sarebbe apparso dopo il Padre ed il Figlio.

(30) Perciò dichiariamo e crediamo che questa Trinità sia inseparabile e distinta. Parliamo di tre Persone, come definite dai nostri Padri, perché siano conosciute come tali, non perché siano separate.

(31) Infatti, se consideriamo ciò che la Sacra Scrittura dice della Sapienza: “Ella è lo splendore della luce eterna” Sap VII, 26), così come vediamo che lo splendore è un tutt’uno con la luce, inseparabilmente, così confessiamo che il Figlio non possa essere separato dal Padre.

(32) Come non confondiamo queste tre Persone, la cui natura è una ed inseparabile, così dichiariamo anche che non possano essere separate in alcun modo.

532 (33) La Trinità stessa, infatti, si è degnata di mostrarcelo così chiaramente che anche nei nomi con cui ciascuna Persona è stata designata, Egli non ha permesso che l’una fosse compresa senza l’altra. Il Padre, infatti, non può essere conosciuto senza il Figlio e il Figlio non viene scoperto senza il Padre.

(34) La relazione stessa, nella sua denominazione personale, impedisce la separazione delle Persone e, quando non le nomina, le indica insieme. Nessuno può intendere uno di questi nomi che non sia costretto a capire anche gli altri.

(35) Essendo dunque questi tre uno e questo uno tre, ciascuno conserva tuttavia la sua proprietà. Il Padre ha l’eternità senza nascita, il Figlio ha l’eternità con la nascita e lo Spirito Santo ha la processione senza nascita, con l’eternità.

L’incarnazione.

533 (36) Crediamo che di queste tre Persone, solo la Persona del Figlio abbia assunto una vera natura umana, senza peccato, dalla santa e immacolata Vergine Maria, per la liberazione del genere umano; Egli è nato da Lei secondo un nuovo ordine, secondo una nuova nascita: un nuovo ordine, perché invisibile nella sua divinità, appare visibile nella carne; una nuova nascita, perché una verginità intatta non ha conosciuto il contatto virile ed ha fornito la materia del suo corpo fecondato dallo Spirito Santo.

(37) La ragione non può comprendere questo parto della Vergine; nessun esempio lo illumina. Se la ragione lo comprende, non è ammirevole; se gli esempi lo illuminano, non sarà più speciale.

(38) Tuttavia, non è necessario credere che lo Spirito Santo sia il Padre del Figlio, perché Maria ha concepito all’ombra di questo stesso Spirito Santo, poiché non debba sembrare che il Figlio abbia due Padri: è certamente empio dire questo.

534 (39) In questa mirabile concezione, la Sapienza, dopo essersi costruita una dimora, “il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”. (Gv I, 14). Tuttavia, questo Verbo non si è trasformato o cambiato nella carne, in modo che Colui che voleva essere uomo cessasse di essere Dio; ma “il Verbo si è fatto carne in modo che in Lui non ci sia solo il Verbo di Dio e la carne dell’uomo, ma anche un’anima umana ragionevole, e che tutto ciò che è Dio si dica a proposito di Dio e tutto ciò che è uomo, a proposito dell’uomo.

(40) Nel Figlio di Dio crediamo che vi siano due nature, quella della Divinità e quella dell’umanità, che l’unica Persona di Cristo le abbia unite in sé in modo tale che è impossibile separare la divinità dall’umanità e l’umanità dalla divinità.

(41) Pertanto, Cristo è perfetto Dio e perfetto uomo nell’unità di una sola Persona. Tuttavia, dicendo che ci siano due nature nel Figlio, non facciamo in modo che ci siano due Persone in Lui, per non aggiungere alla Trinità – Dio non voglia – una quaternità.

(42) Dio Verbo, infatti, non ha preso la persona dell’uomo, ma la sua natura, e nella Persona eterna della Divinità ha assunto la sostanza temporale della carne.

535. (43) Allo stesso modo crediamo che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo abbiano una sola sostanza, senza dire che la Vergine Maria ha partorito l’unità di questa Trinità: Ella ha partorito solo il Figlio, che solo ha assunto la nostra natura nell’unità della sua Persona.

(44) Dobbiamo anche credere che l’Incarnazione del Figlio di Dio sia stata realizzata da tutta la Trinità, perché le opere della Trinità non possono essere divise. Tuttavia, il Figlio da solo ha preso la forma di servo (Phil. II,7) nella singolarità di persona, non nell’unità della natura divina; in ciò che è proprio del Figlio, non in ciò che è comune alla Trinità:

(45) questa forma è stata unita all’unità della Persona, in modo che il Figlio di Dio e il Figlio dell’uomo siano un unico Cristo. Allo stesso modo Cristo, nelle sue due nature, è composto da tre sostanze, quella del Verbo, che deve essere riferita alla sola essenza di Dio, quelle del corpo e dell’anima che appartengono al vero uomo.

536. (46) Egli ha dunque in sé la duplice sostanza della sua divinità e della nostra umanità.

(47) Poiché è venuto da Dio Padre senza un inizio, si dice che sia solo nato, perché non è stato fatto né predestinato; ma poiché è nato dalla Vergine Maria, si deve credere che sia nato, fatto e predestinato.

(48) Ma in Lui sono mirabili entrambe le generazioni, perché è stato generato dal Padre senza madre prima dei secoli, e perché alla fine dei secoli è stato generato da una madre, senza un padre. In quanto Dio, ha creato Maria; come uomo, è stato creato da Maria. È padre e figlio di Maria sua madre.

(49) Allo stesso modo, poiché è Dio, è uguale al Padre; essendo uomo, è inferiore al Padre.

(50) Allo stesso modo dobbiamo credere che Egli sia più e meno di se stesso. Nella forma di Dio, il Figlio è più di se stesso, perché ha assunto l’umanità a cui la divinità è superiore; ma nella forma di schiavo, è meno di se stesso, cioè nell’umanità che è riconosciuta come inferiore alla Divinità.

(51) Infatti, come la carne che ha assunto lo rende inferiore non solo a suo Padre, ma anche a Se stesso, così anche secondo la sua divinità, per la quale è uguale al Padre, Egli e il Padre sono più che uomo, che solo la Persona del Figlio ha assunto.

537 (52) Allo stesso modo, si cerca di capire se il Figlio possa essere allo stesso tempo uguale allo Spirito Santo e più grande di Lui, poiché si ritiene che sia talvolta uguale al Padre e talvolta inferiore al Padre, risponderemo: secondo la forma di Dio, è uguale al Padre ed inferiore al Padre, secondo la forma di Dio, è uguale al Padre e allo Spirito Santo; secondo la forma di schiavo, è inferiore al Padre e allo Spirito Santo, perché non si è incarnato né lo Spirito Santo né Dio Padre, ma solo la Persona del Figlio.

(53) Allo stesso modo crediamo che questo Figlio, come Persona, sia distinto ma inseparabile dal Padre e dallo Spirito Santo; come natura sia distinto dalla natura umana che ha assunto. Allo stesso modo, insieme alla natura umana, costituisce una Persona; con il Padre e lo Spirito Santo, è la natura o sostanza della Divinità.

538 (54) Tuttavia, dobbiamo credere che il Figlio non sia stato inviato solo dal Padre, ma anche dallo Spirito Santo, poiché Egli stesso dice per mezzo del Profeta: “Ecco, ora il Signore ha mandato me e il suo Spirito.” (Is XLVIII,16).

(55) Si riconosce anche che è stato mandato da Se stesso, perché indivisibile non è solo la volontà, ma l’operazione di tutta la Trinità.

(56). Colui che era chiamato unigenito prima dei secoli, è diventato il primogenito nel tempo: unico in ragione dell’Essenza divina, unigenito a motivo dell’essenza divina, primogenito a motivo della natura della carne che ha assunto.

La redenzione.

539 (57) Nella forma di uomo che assunse, crediamo che Egli fu, secondo la verità del Vangelo, concepito senza peccato, nato senza peccato, morto senza peccato, che da solo è “diventato peccato” per noi, cioè un sacrificio per i nostri peccati.

(58) Tuttavia, Egli ha sofferto la Passione per noi, rimanendo intatta la sua divinità. Fu condannato a morte, morì di una vera morte di carne sulla croce; e il terzo giorno, risuscitato con il suo stesso potere è risorto dalla tomba.

Il destino dell’uomo dopo la morte.

540 (59) Così l’esempio del nostro Capo ci porta a confessare che ci sia una vera risurrezione della carne per tutti i morti.

(60) Non crediamo che risorgeremo in un corpo etereo o in un altro tipo di carne, secondo i deliri di alcuni, ma in quella carne con cui viviamo, esistiamo e ci muoviamo.

(61) Nostro Signore e Salvatore, dopo aver fornito il modello di questa santa risurrezione, ha riconquistato con la sua Ascensione il trono paterno che la sua Divinità non aveva mai abbandonato.

(62) Seduto alla destra del Padre, è atteso per giudicare tutti i vivi e tutti i morti per la fine dei tempi.

(63) Da lì verrà con tutti i Santi [Angeli ed uomini] per giudicare e rendere a ciascuno la ricompensa che gli è dovuta, secondo ciò che ciascuno ha fatto nel corpo, sia in bene che in male. (2 Co V, 10).

(64) Crediamo che la Santa Chiesa cattolica, redenta con il suo sangue, regnerà con Lui per sempre.

(65) Riuniti in questa Chiesa, crediamo e professiamo un solo Battesimo per la remissione di tutti i peccati.

(66) In questa fede crediamo sinceramente nella risurrezione dei morti e attendiamo le gioie dell’età futura.

(67) Non ci resta che chiedere questo nella nostra preghiera: quando, dopo l’esecuzione e la fine del giudizio, il Figlio avrà consegnato il suo Regno a Dio suo Padre (1Cor XV, 24), possa renderci partecipi di esso, affinché, per la fede che ci unisce a Lui, possiamo regnare con Lui senza fine.

541 (68) Questa è l’affermazione della fede che professiamo. Per mezzo di essa, le dottrine di tutti gli eretici sono annientate; con essa si purificano i cuori dei fedeli; con essa si arriva gloriosamente a Dio… [nei secoli dei secoli. Amen.]

DONO: 2 novembre 676 – 11 aprile 678

AGATONE: 27 giugno 678 – 10 gennaio 681

Lettera Consideranti mihi agli Imperatori, 27 marzo 680

La Trinità divina.

542. Questa è dunque la fede evangelica e apostolica e la tradizione che ne è la regola: noi confessiamo che la santa e indivisibile Trinità, cioè il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo, si di una sola divinità, di una sola natura e sostanza o essenza, e proclamiamo anche che sia di una sola volontà naturale, di una sola forza, operazione, signoria, maestà, potenza e gloria. E tutto ciò che è stato detto di questa stessa santa Trinità per quanto riguarda l’essenza, istruiti in ciò dalla dottrina che è la regola, noi vogliamo intenderlo al singolare come un’unica natura delle tre Persone consustanziali.

Il Verbo incarnato.

543. Ma quando professiamo la nostra fede riguardo ad una di queste tre Persone della santa Trinità, il Figlio di Dio, Dio Verbo, e del mistero della sua adorabile economia nella carne, spieghiamo, secondo la tradizione del Vangelo, tutto ciò che appartiene all’unico e medesimo Signore, il nostro Salvatore Gesù Cristo, in una duplice maniera, cioè, proclamiamo le sue due nature, quella divina e quella umana, dalle quali e nelle quali Egli esiste ugualmente secondo un’unione mirabile ed inseparabile. Confessiamo anche che ognuna delle sue nature abbia la sua proprietà naturale: che il Divino possieda tutto ciò che è divino, e l’umano tutto ciò che è umano, con l’eccezione del peccato. E riconosciamo che entrambe appartengono all’unico e medesimo Dio, Verbo incarnato, cioè divenuto uomo, senza confusione, senza separazione, senza cambiamento; solo l’intelligenza discerne ciò che è unito, a causa dell’errore che la confusione rappresenterebbe. Infatti, detestiamo allo stesso modo la blasfemia della divisione e quella della mescolanza.

544. Ma quando confessiamo due nature, nonché due volontà naturali e due operazioni, non diciamo che siano contrarie l’una all’altra o che siano in opposizione tra loro, né che siano per così dire separate in due Persone o ipostasi; ma diciamo che lo stesso Gesù Cristo, così come ha due nature, ha anche in sé due volontà e due operazioni naturali: cioè, ha in comune la volontà e l’operazione divina da tutta l’eternità con la volontà e le operazioni dall’eternità con il Padre coessenziale, e che la volontà e l’operazione umana l’ha presa temporalmente da noi con la nostra natura.

545. Inoltre, la Chiesa apostolica di Cristo … riconosce, a motivo delle proprietà naturali, che ciascuna di queste nature di Cristo sia completa, e tutto ciò che si riferisce alle proprietà delle nature lo confessa come due volte dato, dal momento che nostro Signore Gesù Cristo stesso è sia Dio completo che uomo completo, sia da e in due nature…Di conseguenza… confessa e proclama che in Lui vi sono anche due volontà naturali e due operazioni naturali. Infatti, se si intendesse la volontà come personale, si dovrebbe anche, dato che parliamo di tre Persone nella Santa Trinità, che parlare di tre volontà personali e tre operazioni personali (il che è assurdo e totalmente empio). Ma se,come implica la verità della fede cristiana, la volontà è naturale, dove si parla di questo della Santa ed Inseparabile Trinità, sarà necessario riconoscere anche, quindi, un’unica volontà naturale ed un’unica operazione naturale. Ma quando confessiamo nell’unica Persona di nostro Signore Gesù Cristo, mediatore tra Dio e gli uomini (1Tm II, 5), due nature: la divina e l’umana, in cui Egli esiste ugualmente dopo l’ammirabile unione, così come confessiamo due nature, confessiamo regolarmente anche le sue due volontà naturali e le sue due operazioni naturali.

Concilio di Roma, Lettera dogmatica sinodaleOmnium bonorum spes” agli imperatori, 27 marzo 680.

La Trinità divina.

546. Noi crediamo in Dio Padre… e nel suo Figlio… e nello Spirito Santo, Signore e vivificante, che procede dal Padre, che è co-adorato e con-glorificato con il Padre e con il Figlio: la Trinità nell’unità e l’unità nella Trinità, cioè nell’unità dell’essenza, ma nella Trinità delle Persone o ipostasi. Confessiamo Dio Padre, Dio Figlio e Dio Spirito Santo, non tre dèi, ma un solo Dio, Padre e Figlio e Spirito Santo; non la l’ipostasi di tre nomi, ma una sola sostanza delle tre ipostasi; Esse possiedono un’unica essenza o sostanza o natura, cioè un’unica Divinità, un’unica eternità, un’unica potenza, un’unica signoria, un’unica gloria, un’unica adorazione, un’unica volontà essenziale e un’unica ed una sola operazione della stessa santa ed indivisibile Trinità, che ha creato, ordina e conserva.

547. Confessiamo che l’unico di questa stessa santa e coessenziale Trinità, Dio Verbo, che nacque dal Padre prima dei secoli, negli ultimi secoli discese dal cielo per noi e per la nostra salvezza, e si fece carne dallo Spirito Santo e da Maria santa, immacolata e gloriosa, sempre Vergine, nostra Signora, veramente e propriamente Madre di Dio secondo la carne, che cioè nacque da Lei e divenne veramente uomo; lo stesso è vero Dio e lo stesso è vero uomo, Dio da Dio Padre, ma uomo dalla Vergine Madre, incarnato da quella carne che aveva un’anima razionale ed intellettuale; lo stesso è consustanziale a Dio secondo la Divinità e consustanziale a noi secondo l’umanità, simile a noi in tutto tranne che nel peccato; fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, patì e fu sepolto e risuscitò. ..

548. Riconosciamo, dunque, che un solo e medesimo Gesù Cristo nostro Signore, l’unigenito Figlio di Dio, esiste di due e in due sostanze senza confusione, senza mutamento, senza divisione e senza separazione, non essendo mai abolita dall’unione la differenza delle nature, ma al contrario rimanendo inalterate le proprietà delle due nature, che concorrono in una sola persona ed in una sola ipostasi; non è diviso o scisso in una dualità di Persone, né è confuso in una sola natura composta. Ma riconosciamo che un solo e medesimo Figlio, Dio Verbo, nostro Signore Gesù Cristo, non è un altro in un altro, né un altro e un altro, ma è lo stesso in due nature, cioè in Divinità ed umanità, anche dopo l’unione ipostatica. Infatti, né il Verbo fu mutato nella natura della carne, né la carne fu mutata nella natura del Verbo, poiché entrambi rimasero ciò che erano per natura, poiché la differenza delle nature unite in Lui, da cui è composto senza confusione, senza separazione, senza cambiamento, la riconosciamo solo per riflessione: ‘una infatti dalle due, ed entrambe da una perché l’elevazione della Divinità così come l’umiltà della carne sono allo stesso tempo, ciascuna dalle due nature, conservando intatta la sua proprietà anche dopo l’unione, e ‘l’una e l’altra forma facendo in comunione con l’altra ciò che le è proprio: il Verbo operando ciò che appartiene al Verbo, e la carne eseguendo ciò che appartiene alla carne: l’uno brillando nei miracoli, l’altro soccombendo sotto gli oltraggi’. (v. n. 294). Perciò, come confessiamo che Egli abbia veramente due nature o sostanze, cioè la Divinità e l’umanità, senza confusione, divisione o cambiamento, così confessiamo che abbia due volontà naturali e due operazioni, poiché la regola della pietà ci insegna che un solo e medesimo Signore Gesù Cristo è perfetto Dio e perfetto uomo (vv. 501-522). Ci viene infatti dimostrato dalla regola di pietà, ciò che è stato stabilito dalla tradizione apostolica ed evangelica e dall’insegnamento dei santi Padri, e che la santa Chiesa cattolica ed apostolica e i venerabili Sinodi riconoscono.

3° Concilio di Costantinopoli (6° ecumenico)

7 novembre 680-16 settembre 681.

Condanna dei monoteliti e di papa Onorio I

550. Dopo aver esaminato le lettere dogmatiche scritte da Sergio, un tempo patriarca di questa città imperiale, ed affidato alla protezione di Dio, a Ciro, allora Vescovo di Phasis, così come a Onorio, un tempo Papa dell’antica Roma, come anche la lettera scritta da quest’ultimo, Onorio, in risposta allo stesso Sergio [cf.487], e avendo constatato che esse contraddicono totalmente gli insegnamenti apostolici dei santi Concili e di tutti i santi Padri riconosciuti, e che essi seguono piuttosto le false dottrine degli eretici, li respingiamo totalmente e li aborriamo come dannosi per le anime.

551. Per quanto riguarda coloro, cioè, di cui rifiutiamo le empie dottrine, abbiamo giudicato cheanche i loro nomi siano banditi dalla santa Chiesa, cioè i nomi di Sergio… il quale ha iniziato a scrivere di questa empia dottrina, di Ciro di Alessandria, di Pirro, di Paolo e Pietro, e di coloro che hanno presieduto la sede di quella città affidata alla protezione di Dio e che la pensavano come questi; poi anche quella di Teodoro, già Vescovo di Faran; tutte queste persone sono state citate da Agatone, il santissimo e beatissio Papa dell’antica Roma, nella sua lettera all’Imperatore [542-545] e da lui respinti in quanto contrari alla nostra fede ortodossa; e decretiamo che anche questi sono soggetti ad anatema.

552. Ma con loro siamo dell’opinione che Onorio, già Papa dell’antica Roma, debba essere bandito dalla santa Chiesa di Roma e di colpirlo con l’anatema, perché abbiamo trovato nella lettera scritta da lui a Sergio che seguisse in tutto l’opinione di quest’ultimo e confermasse i suoi empi insegnamenti.

XVIII sessione, 16 settembre 681.

Definizione delle due volontà e operazioni in Cristo.

553. Il presente Santo Concilio Ecumenico ha fedelmente ricevuto e accolto a braccia aperte la relazione fatta dal santissimo e benedetto Papa dell’antica Roma Agatone al nostro religiosissimo e fedelissimo Imperatore Costantino, che per nominativamente rifiutava coloro che predicavano e insegnavano, come è stato mostrato sopra, una sola volontà e una sola attività nell’economia del Cristo, nostro vero Dio fatto carne [cfr. 542-545]; allo stesso modo ha ricevuto anche l’altra relazione sinodale inviata sotto lo stesso santissimo Papa dal santo sinodo dei centoventicinque Vescovi amati da Dio alla Sua divinamente saggia Serenità (cfr. 546-548). Che queste relazioni fossero in accordo con il santo Concilio di Calcedonia (vv. 300-306) e con il Tomo di Leone, il santissimo e benedetto Papa della stessa antica Roma, indirizzato a San Flaviano (vv. 290-295), che questo Concilio chiamava pilastro dell’ortodossia.

554. Erano in accordo anche con le lettere sinodali scritte dal beato Cirillo contro l’empio Nestorio ed inviate ai Vescovi orientali. Secondo i cinque Concili santi ed ecumenici ed i santi Padri approvati, questa definisce e confessa unanimemente il nostro Signore Gesù Cristo, nostro vero Dio, uno della santa, consustanziale e vivificante Trinità, perfetto in divinità e perfetto, allo stesso modo, in umanità; veramente Dio e veramente uomo, allo stesso modo, fatto di un corpo e di un’anima; consustanziale e consanguineo; consustanziale con il Padre nella Divinità e consustanziale con noi, in tutto simile a noi, tranne che per il peccato (Heb, IV: 15).

555. Generato dal Padre prima dei secoli secondo la divinità, e negli ultimi giorni per noi e per la nostra salvezza, lo stesso, dallo Spirito Santo e dalla Vergine Maria, che è di diritto e realmenteMadre di Dio, secondo l’umanità; un solo e medesimo Cristo, Figlio, Signore, unigenito, riconosciuto senza confusione, senza mutamento, senza separazione, senza divisione; la differenza delle nature non essendo in alcun modo abolita a causa dell’unione, ma anzi la proprietà di ciascuna natura è conservata e contribuisce ad una sola Persona e ad una sola ipostasi. Egli non è né separato né diviso in due persone, ma è un solo e medesimo Figlio, l’unigenito, Dio Verbo, il Signore Gesù Cristo, come i profeti hanno detto di Lui molto tempo fa, come Gesù Cristo stesso ci ha insegnato e come il Credo e come ci ha tramandato il Credo dei santi Padri.

556. Allo stesso modo proclamiamo in Lui, secondo l’insegnamento dei santi Padri, due volontà naturali e due attività naturali, senza divisione, senza cambiamento e senza confusione. Le due volontà naturali non sono, come hanno detto gli empi eretici, opposte l’una all’altra, tutt’altro. Ma la sua volontà umana segue la sua volontà divina ed onnipotente, non vi si oppone, ma si sottomette ad essa. La volontà della carne doveva essere mossa e sottomessa alla volontà divina, secondo il sapientissimo Atanasio. Infatti, così come la sua carne è detta essere ed èla carne di Dio Verbo, così la volontà naturale della sua carne è detta essere la volontà di Dio Verbo, come Egli stesso dichiara: “Sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà del Padre che mi ha mandato”. (Gv VI, 38). Dichiara che la volontà della sua carne è la sua, poiché la carne è diventata sua. Infatti, così come la sua carne animata, tutta santa e immacolata, non è stata soppressa essendo divinizzata, ma è rimasta nel proprio limite e nel proprio scopo, così anche la sua volontà umana, essendo divinizzata, non è stata soppressa. Anzi, è stata salvaguardata, secondo la parola di Gregorio il Teologo: “Infatti l’atto di volontà di colui che è considerato Salvatore non si oppone a Dio, essendo totalmente divinizzato”.

557. Noi glorifichiamo le due attività naturali, senza divisione, senza cambiamento, senzaconfusione, in nostro Signore Gesù Cristo, nostro vero Dio, cioè un’attività divina ed una umana, secondo Leone, l’ispirato di Dio, che afferma molto chiaramente: “Ogni natura fa in comunione con l’altra ciò che è proprio della sua natura”, il Verbo operando ciò che è del Verbo, e il corpo ciò che è del corpo” [v. 294]. In effetti non concederemo che esista un’unica attività naturale di Dio e della creatura per non elevare il creato alla sostanza divina e abbassare la sublimità della natura divina al livello che genera esseri. Riconosciamo infatti che i miracoli e le sofferenze sono quelli dell’uno e dell’altro, secondo l’una e l’altra natura di cui è composto e in cui ha il suo essere, come diceva l’ammirabile Cirillo (cfr. 255 260, 271-273, 423)

558. Conservando totalmente ciò che è senza confusione o divisione, proclamiamo il tutto in una formula concisa: credendo che l’uno della Trinità sia anche, dopo l’incarnazione, il nostro Signore Gesù Cristo, il nostro vero Dio, diciamo che abbia due nature che risplendono nella sua unica ipostasi. In essa, durante la sua esistenza secondo l’economia, ha manifestato i suoi miracoli e le sue sofferenze, non in apparenza, ma in verità. La differenza naturale in questa stessa ipostasi è riconoscibile in quanto che ogni natura vuole e compie ciò che le è proprio in comunione con l’altra. Per questo motivo glorifichiamo due volontà naturali e due attività naturali, che contribuiscono entrambe alla salvezza del genere umano.

559. Avendo formulato questi punti con totale precisione e accuratezza, definiamo che a nessuno è permesso proporre un’altra confessione di fede, cioè scriverla, comporla, meditarla o insegnarla ad altri. Per quanto riguarda coloro che osano comporre un’altra confessione di fede, di diffondere, insegnare o trasmettere un altro simbolo a coloro che desiderano convertirsi dal paganesimo, dal giudaismo, o da qualsiasi eresia, alla conoscenza della verità, o introdurre un qualsiasi nuovo linguaggio o un’espressione inventata per invalidare i punti che abbiamo appena definito,se fossero Vescovi o chierici, sarebbero esclusi, i Vescovi dall’episcopato e i chierici dal clero;se fossero monaci o laici, sarebbero colpiti da anatema.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (12) “da LEONE II a GREGORIO II”

IL SACRO CUORE DI GESÙ (65)

IL SACRO CUORE (65)

P. SECONDO FRANCO

SACRO CUORE DI GESÙ

TORINO – Tipgrafia di Giulio Speirani e fligli – 1875

V° per delegazione di Mons. Arciv. Torino, 1 maggio 1875, Can. Ferdinando Zanotti.

Perehè si presti un cultò speciale al Cuore Santissimo Gesti Cristo.

La prima domanda che si fa da molti, quando si sentono proporre la divozione al Cuore SS. di Gesù, suole esser questa. Qual ragione vi ha di onorare specialmente il Cuore di Gesù Cristo? Sia pure un oggetto degno d’infinita lode, tuttavia non basta adorare, come sempre si è fatto, tutto intero il nostro Signor Gesù Cristo? Si potrebbe rispondere semplicemente che, avendo Nostro Signore fatto conoscere che gli era carissimo un tal culto, ed essendovi noi confortati da Santa Chiesa, questo è bastante perché l’abbracciamo con ogni fiducia. Ma vi sono ragioni saldissime che a ciò fare ci muovono, che sarà utile il considerare e varranno eziandio per solido fondamento a quel che diremo dappoi. Queste ragioni si possono brevemente accogliere in questo. 1° Che la fede ci mostra adorabile il Cuor divino. 2. Che la pietà peculiarmente il domanda. 3. Che lo stesso Cuor divino soavemente ci attrae.

I. La Fede cristiana ci mostra adorabile il Cuor divino. La fede cristiana insegna che in Gesù Cristo vi sono due nature, le quali sussistono in una sola Persona, che è quella del divin Verbo. Che quindi Gesù Cristo sia che si risguardi secondo la natura divina, sia secondo l’umana, deve essere adorato collo stesso supremo culto di latria, con cui si adora la divinità. Una adoratione Deum Verbum incarnatum cum propria ipsius carne adorat, sicut ab initio Dei Ecclesiæ traditum est. Così il V. Conc. tenuto in Laterano. E la ragione di ciò è che sebbene l’umanità sacrosanta del Redentore per sé medesima non sia Dio, né  si confonda colla divinità, tuttavia come è Umanità assunta dal Verbo, il quale è Dio, così deve essere col Verbo adorata in quel modo medesimo onde si adora Iddio. – Esprime questa dottrina di Santa Chiesa mirabilmente S. Giovanni Damasceno. « Uno è Gesù Cristo perfetto Iddio, perfetto uomo, cui noi col Padre e collo Spirito Santo adoriamo di una sola adorazione insieme alla sua Carne immacolata. Né ricusiamo di adorare la carne, poiché l’adoriamo nella Persona del Verbo che in sé l’ha assunta: né per questo adoriamo una creatura, poiché non adoriamo la carne presa da sé sola, ma come congiunta alla divinità e perché le due Nature di Lui sono unite nella Persona del divin Verbo ». Così il Santo. Di che se ne trae che come tutto il nostro Gesù, cioè la Persona del Verbo colle due Nature Umana e Divina che le sono proprie, sono l’oggetto assoluto ed adeguato di ogni nostro culto, così l’umanità sua sacrosanta con tutte le parti che la compongono, in quanto è fatta natura del divin Verbo, è oggetto della nostra adorazione parziale. Or posto ciò quel Cuore è certamente adorabile. Ma se è adorabile perché non l’adoreremo? Tutto sta che vi siano ragioni speciali per farlo, e queste vi sono oltre ogni dire efficaci.

Il. La pietà cristiana ce lo domanda a gran voce. Conciossiaché non potendo noi adorare l’Umanità SS. di Gesù Cristo se non secondo le manifestazioni che esso si compiace di farne (dacché possiamo solo adorarlo in quanto lo conosciamo) in quel Cuore le manifestazioni di Gesù ci appaiono più belle, più tenere, più commoventi che tutto altrove. Infatti, come e dove è che ci si manifesta Gesù? Nella sua vita mortale Ei ci si presenta sotto le forme amabili ora di bambino per noi lattante, ora di fanciullo per noi affaticato, ora di giovane per noi nascoso in una bottega, ora di annunziatore della parola di vita eterna e quindi in tutti questi stati noi siamo in caso di adorarlo. Nella sua Passione ci si dà a vedere agonizzante nell’orto, coronato di spine, lacero da flagelli, confitto su di una Croce e riscuote in tutti quegli stati la nostra adorazione. Nella divina Eucaristia ci appare e medico delle nostre piaghe, e amante sviscerato di tutti noi, e cibo sostanziale delle anime e pegno di eterna vita: e secondo che lo conosciamo, qui pur l’adoriamo. Nel Cielo Gesù ci mostra la sua SS. Umanità rivestita di gloria, alla destra del Padre, e ci rappresenta la carità, la misericordia, la benignità onde ama ciascuno di noi come capo le sue membra, come arbore i suoi rami, come Redentore i suoi riscattati, ed è, come è chiaro, oggetto di tutte le nostre adorazioni. Ma dove ci presenti poi il suo Cuore squarciato da cruda lancia, che versa fino le ultime stille di acqua e sangue che in lui si contengono, che ci rammemora come tutto ci abbia dato quel che possedeva sino al Cuore, che tutto si è immolato fino allo squarciamento del Cuore, che tutti ci offre i suoi doni e le sue grazie sino ad aprirci per ogni rifugio e conforto il suo medesimo Cuore, come non dovrà a sé rapire tutti i nostri affetti? E di quale argomento più tenero ed affettuoso può occuparsi la pietà cristiana? Potrà mai un’anima che senta meno indegnamente di Gesù non sentirsi attratto soavemente a riamarlo, ad adorarlo, a glorificarlo?

III. Lo stesso Cuor divino ci attrae. Gesù stesso offrendoci il Cuore ci porge il più caro invito che possa farci ad adorarlo, ossequiarlo, amarlo. Che cosa è infatti il SS. Cuore di Gesù? È il principio immediato di tutte le sue opere e di tutti i suoi patimenti. Perché mai Gesù si affaticò per trentatré anni in sulla terra? Perché fondò la Chiesa, perché operò la Redenzione con sì smisurati patimenti, perché ci dischiuse il Cielo, insomma perché tanto fece e tanto patì per noi? L’unica risposta che si può dare a tante interrogazioni non è poi mai altra che pure questa: perché il suo Cuore pietoso arse per noi di amore smisuratissimo. In quel Cuore vi è dunque la cagione, il principio di tutto quello che ha fatto e patito per noi. Cagione che supera in eccellenza l’effetto che ne provenne, perocché più è che Gesù si sia degnato di amarci che non è che ci abbia colmati di grazie, se pur è vero, come è verissimo che più del dono valga il donatore. Di che possiamo dire con verità che il suo Cuore è il compendio ed il fiore più bello di tutte le sue opere. Ne è il compendio perché tutte muovono dall’amore del suo Cuore il quale le elesse, le volle, ne sopportò le necessarie fatiche per eseguirle, ne fece diremo così le spese. Ne è il fiore più bello perché è quello che pone il colmo a tutte le sue degnazioni. Se è amabile Gesù che vagisce in fasce, quel che più ci ferisce è che quei vagiti sono per nostro amore. Se è bello Gesù già tutto sparso di sudore nella sua bottega, quel che più ci muove è il pensare che per amore di noi Egli lavora. Se è mirabile Gesù che percorre la Giudea, che dirozza gli Apostoli, che fonda la Chiesa, il più soave di quello spettacolo è l’amore con cui viene divisando sì belle imprese. E così contemplando Gesù in croce, o nella divina Eucaristia, o lassù nel Cielo quel che più ci commuove è l’amore paziente, l’amor prigioniero, l’amore che ci prepara le sedi celesti. Quanti debiti adunque abbiamo con quel Cuore sacrosanto che tanto ci ha amato! Quante ferite d’amore partono verso di noi da quel buon Cuore!

Cor Jesu flagrans amore nostri, infiamma cor nostrum amore tui.

I. Qual sia l’oggetto materiale della devozione

al SS. Cuore.

Che il Cuore SS. di Gesù sia adorabile l’abbiamo considerato già. Si può ora richiedere in qual modo cel proponga ad adorare la S. Chiesa. Al che è da rispondere brevemente che essa ci presenta come oggetto materiale di questo culto quel Cuore SS. quale si trova in Gesù Cristo, e come oggetto spirituale l’amore smisurato che Gesù ci ha portato e ci porta incessantemente. Per l’uno e per l’altro capo cotesta devozione riesce ammiranda. Considerate frattanto l’oggetto materiale, e vedrete che ad adorarlo peculiarmente cel persuadono d’accordo 1° la sua dignità, 2° la nostra riconoscenza, 3° la pietà nostra.

.1° La sua dignità. Il Cuore in G. Cristo è un cuore vivo, è un cuore congiunto a tutta l’Umanità sacrosanta di Gesù Cristo. Ora quel Cuore non trae la vita naturale se non dall’anima, la quale è senza dubbio l’anima più perfetta che sia uscita dalle mani di Dio creatore. La umanità di G. C. di cui è parte sì precipua il Cuore, è sostentata, come abbiam detto, dalla Persona del divin Verbo, quindi è l’Umanità del Figliuolo di Dio; e se è così, come è certamente, il Cuore di Gesù Cristo è il Cuore di Dio. Quindi la divinità sebbene non distrugga il cuore umano, pure inondandolo di sé medesima, lo innalza, lo sublima ad una dignità infinita. La porpora diventa nobile allorché è portata da un Monarca: ma non cessa per questo di essere sempre separabile da lui, poiché è cosa estrinseca al medesimo. Non è così del Cuore del nostro Gesù. Esso è stato coll’Umanità sacrosanta sì fattamente congiunto alla Persona del Figlio di Dio che è e sarà in eterno il Cuore di Dio. Il Verbo divino che in sé medesimo è immutabile per mezzo di questo cuore palpita, si rallegra, si affligge, si consola, va soggetto a tutte le affezioni della nostra vita mortale, e la nostra umanità di rincontro in Gesù Cristo in maniere al tutto ineffabili è ammessa alle ricchezze, alla gloria, alla maestà della Divinità. Quale oggetto non è pertanto quel Cuore divino anche preso solo materialmente! Come non accarezzerà volentieri ognuno di noi questo Cuore che è accarezzato così intimamente, dalla divinità che l’ha fatto Cuore suo in eterno?

II. La nostra riconoscenza. Due sono senz’alcun dubbio i maggiori beni che noi abbiamo ricevuto da Dio in questa valle di lagrime, lì dono della S. Fede e la divina Eucaristia. La Fede perché è la radice di tutti gli altri doni, e la porta per cui solo si entra a parteciparne e senza di cui è al tutto impossibile il mai pervenire a piacere al Signore: la divina Eucaristia perché contiene non solo le grazie più elette che Dio comunica agli uomini, ma la fonte stessa, l’autore medesimo della grazia N. S. Gesù Cristo. Ora questi due doni volle il Signore che immediatamente ci pervenissero dal Cuore dolcissimo di Gesù Cristo trafitto in croce. Conciossiaché qual è il mistero che sul Calvario si è compiuto? L’Evangelio ci fa sapere che trapassato il costato e ferito il Cuore di Gesù, prontamente ne sgorgò acqua e sangue. Or che cosa è quell’acqua, che cosa è quel sangue? Ah non è soltanto l’ultima prova di quell’affetto per cui Gesù ci volle dare fino all’ultima stilla il sangue delle sue vene, ma per sentimento di tutti i Padri è la grazia della Fede che vien raffigurata in quell’acqua che ne diviene nel Battesimo lo strumento, è il dono della Eucaristia simboleggiato in quel sangue che a noi si comunica nei santi misteri. Cosi lo notò tra molti altri S. Giovanni Grisostomo, osservando che prima noi siamo mondati coll’acqua, poi col sangue siamo consacrati. Primum enim aqua diluimur, deinde sanguine dedicamur. Il perché se vi ha un Sacramento il quale mi ha purificato dalla colpa, mi ha infusa la fede, la speranza,la carità, mi ha conferito l’onore sublimissimo d’esser Figliuolo di Dio, che mi ha conferito il diritto all’eterna eredità, iolo debbo a quel Cuore sacrosanto che mel’ha concesso. Se posso ora con invidiadegli Angeli accostarmi a Gesù Cristo, cibarnele carni immacolate, beverne il preziosissimosangue ed attingere dalla fontestessa ogni maniera di grazie io lo debboal Cuore SS. di Gesù che nell’amor suome le ha dischiuse. Quale riconoscenza nondovrebbe essere la mia! Come potrei mirarequel Cuore senza sentirmi grato a’suoi doni, e come ricevere i suoi donisenza risalir subito alla sorgente da cuimi sono provenuti?

III. La nostra pietà. Dovrei andare anche più oltre: questi smisurati beni mi provengano dal Cuore di Gesù non solo, ma dal Cuore di Gesù ferito e squarciato. Deh! che cosa è questa? Una piaga sanguinolente in mezzo ad un Cuore, e ad un Cuor divino! Chi avrebbe potuto farla se Egli già non l’avesse voluta? Poteva forse l’umana barbarie giungere fino a quell’estremo? E donde avrebbe preso la forza quand’anche ne avesse avuto l’ardire? Ah, quel Cuore è ferito perché ha voluto, e del volerlo ne fa cagione una ferita immensamente più profonda che già gli aveva fatto il suo inestimabile amore. Così lo considera l’amante S. Bernardo, dicendo: Mira come il nostro dolce Gesù a guisa di rosa sia tutto fiorente. Contemplane tutto il corpo ed osserva se v’abbia parte di Lui che non mostri il color sanguigno della rosa. Sono rosei i piedi e le mani, roseo costato altresì, benché sia più pallido il colore, poiché frammista al sangue vi scaturì eziandio dell’acqua. Ora quel colore è indizio dell’ardentissima sua carità. Rubet in indicium ardentissintæ charitatis. Il dolore e l’amore fanno a gara: questo per ardere maggiormente, quello per maggiormente patire. Contendunt passio et charitas, ista ut plus ardeat, illa ut plus rubeat. Che se questo è vero di tutte le ferite sacrosante del Redentore, comenol sarà peculiarmente del suo Cuore dolcissimoche è pure il centro della sua carità?Oh le altre ferite le ha tollerateperché era ferito il suo Cuore, ed all’amoredi questo Cuore dobbiamo tutte le altre sue pene. Gli è però che i Santi trovano che se tutte le piaghe di Gesù sono altrettante porte di salute per gli uomini, quella del Cuore è la più spaziosa ed amena: se tutte le piaghe di Gesù sono fontane donde derivano le grazie e le consolazioni celesti, la piaga del Cuore è quella che mena le acque più abbondanti e più deliziose: se tutte le piaghe di Gesù sono un luogo dolcissimo di rifugio pei peccatori, il suo Cuore è il più sicuro ed il più favorevole. Sanno essi che questa è la cagione intima delle altre sue ferite e però in esse amano di riposarsi tranquillamente di preferenza. Oh perché non prenderemo anche noi a fare altrettanto? Quando ripensiamo ai benefici che Gesù ci ha compartiti, soprattutto alla fede che ci ha donata, all’Eucaristia che per noi ha istituita, perché, dico, non rimonteremo alla sorgente da cui tutto ci è provenuto? Quando mireremo alle sue piaghe perché non ci arresteremo di preferenza al suo Cuore? E perché non ricorreremo a lui nelle nostre necessità più urgenti? Se tanto ha fatto già per noi, Ei ci dimostra quel che sia ancora disposto a fare. Quel Cuore è sempre lo stesso, sempre ci ama, sempre per noi si adopera. Deh! adoperiamoci. ancor noi una volta ad amarlo!

Cor Jesu pro me vulneratum miserere mei.

II. Qual sia l’oggetto spirituale della devozioue al SS.. Cuore.

Il Cuore di Gesù è oggetto di adorazione in sé medesimo perché è il Cuore del Verbo di Dio. Ma di che cosa inoltre è simbolo naturale. Chiunque veda un cuore non può non sentirsi risvegliare il concetto dell’amore. Trattandosi poi di un cuore impiagato, aperto, sormontato da una croce, come è quello di Gesù, il concetto dell’amore infinito che ci ha portato, riesce evidente. Ed appunto per richiamarci alla mente cotesto amore, Egli ci ha offerto il suo SS. Cuore, ed intende coll’offrircelo di provocare i nostri cuori ad un’affettuosa corrispondenza. Qual è dunque l’amore, che ci ricorda? Un amore che non ha limiti 1° nella durata; 2° nella efficacia; 3° nella soavità.

I. Non ha limiti nella durata. Non erano ancora i cieli, non era ancora la terra, non esistevano ancora né Angeli né uomini, e Gesù Verbo divino già era. In principio erat Verbum. E là nel seno delPadre, tra gli splendori della divina gloriaviveva col Padre e collo Spirito Santo infinitamentebeato. Però da tutta l’eternitàEgli aveva già presente il nostro esserefuturo, la nostra caduta, la nostra rovinaed aveva presente altresì tutto quello cheper nostro rimedio avrebbe operato. Né in qualunque modo l’aveva presente, macon infinita compiacenza prendeva dilettodel bene che avrebbe fatto a ciascuno di noi. Vedeva quel che per noi avrebbe patito, quel che avrebbe meritato, la larghezzadivina con cui ce ne avrebbe conmille maniere di grazie, di Sacramenti,di dottrine, di esempi applicati i frutti edi tutto ciò si compiaceva infinitamente.Vedeva i vantaggi che ce ne sarebbero ridondatidi santificazione nella vita presente,di gloria nella vita avvenire e sene rallegrava. Chi lo mosse ad una degnazionecosi smisurata? I nostri meriti? Eche meriti vide in noi carichi d’iniquità?Forse la nostra natura lo esigeva? Ma ecome può richiedere la natura doni chetanto sono sopra ogni natura? Nulla lopoté muovere fuori di quella bontà infinitaper cui si compiacque di amarci diun amore tutto gratuito. E così per tuttaun’eternità si contentò di amarci. In charitate perpetua dilexi te. (Jer. 31, 3). Mio Dioche cosa è questa? Il Verbo di Dio chepensa a me da tutti i secoli, che mi tienpresente, che con tutto sé mi ama? Ah. Uomini, uomini, che v’intenerite se unapersona vi si mantiene fedele ad amarvi qualche anno, sarete dunque freddi perun amore che ha durato un’eternità? Igenitori più affettuosi, gli sposi più teneri,gli amici, i fratelli più affezionati vi hannoamato qualche anno, Gesù Verbo divinovi ha amato un’eternità e solo per Lui nonavrete una fibra che si risente di amore?Oh quando comprenderete che ad un amore eterno ci vuole nulla meno per contraccambioche un’eternità di amore?

II. Non ha limiti nell’efficacia. L’amore che da tutta l’eternità mi portò Gesù non è stato sempre racchiuso in lui solo, ma fu per noi divinamente operoso. Conciossiaché questo lo mosse, dice S. Gregorio, a dare passi da gigante in nostro favore. Mosso dall’amore il Verbo divino venne a vestirsi della nostra umanità quale uno di noi. Qual eccesso di amore che un Dio si sia sottoposto a tutte le infermità di una creatura, quale noi siamo! Né prese la nostra umanità, intorniata di quelle delizie che pur poteva offrire questa misera terra, ma la elesse nelle condizioni più misere di povertà, di abbiettezza, di nascondimento. Dalla vita misera passò più oltre e venne ai dolori, alle agonie, alle ambasce d’una crudelissima morte. Quali prove di amore non sono queste! Eppure di abisso passò ad altro abisso. Non gli bastò di nascondere la sua divinità sotto le spoglie dell’umanità, l’amore gli fe’ nascondere anche questa sotto le specie di poco pane e di poco vino nel mistero Eucaristico per poter così rimanere lungo i secoli a nostro conforto. Di tutte queste opere immense poi quale fu il vantaggio che per noi intese? Volle che noi dalla schiavitù del demonio fossimo redenti, volle che di figliuoli d’ira diventassimo figliuoli di Dio, volle che di miseri condannati che eravamo alle eterne pene fossimo ravviati invece ad una eterna beatitudine. A questo fine accumulò meriti e poi ce ne fece comunicazione. Radunò soddisfazioni e poi le fece nostre. Sparse il suo sangue divino e poi con esso diede valore alle nostre opere, ai nostri patimenti di meritare la vita eterna. Quale operosità nell’amore di Gesù Cristo! Eppure o disconoscere queste verità volgarissime della nostra S. Fede, o confessare che l’amore di Gesù è stato come un amore eterno, così un amore efficacissimo a nostro riguardo. Ed è di qua che le anime amanti non si contentano di amar Gesù a parole, ma procurano di operare per Lui, di mortificarsi per lui, di non darsi posa per lui fino a sacrificarsi per Lui totalmente. Ah se Gesù vi chiedesse qualche particolar sacrificio, sarebbe questo il giorno da non negarglielo.

III. Non ha limiti nella soavità. La grandezza dell’amore di Gesù alla fortezza divina con cui ci ama congiunge una ugual tenerezza. Imperocché se Gesù avesse voluto solo la nostra salvezza ei la poteva ottenere impiegando anche solo un atto della sua divina volontà. Ma ciò non gli bastava se non mostrava altresì la tenerezza dell’amor suo. Che cosa elesse adunque? Volle impiegarvisi con invenzioni si dolci, sì tenere, sì amorose che ottenessero l’effetto, e mostrassero tutto insieme la sua tenerezza infinita. Il Verbo divino poteva salvare gli uomini senza farsi uomo, ma volle abbracciare strettamente la natura nostra assumendola in sé, esaltarla, dignificarla, accarezzarla, divinizzarla. Perché cosi? Ah ci saremmo sentiti più amati avendo un Dio Uomo al pari di noi. Fattosi già uomo poteva con una preghiera, con una lagrima, con un sospiro redimerci a tutto rigor di giustizia, perché dunque le spine, i flagelli, la crocifissione, la morte? Se poco gli avessimo costato, ci saremmo forse creduti amati poco: ora Egli vuole che conosciamo l’infinita tenerezza che ha per noi, quindi colla immensità delle pene ce l’ha dimostrata. Non era necessario che Gesù rimanesse con noi lungo i secoli: perocché qualunque gran bene avrebbe potuto farcelo senza la sua presenza reale nell’Eucaristia. Ma troppo maggiore affetto dimostra quel bene che si fa in persona: quindi Gesù vuol essere Lui a venire da noi, Lui a guarirci, Lui a mondarci, Lui a santificarci: e vuole di presenza trattenersi con noi, e cuore a cuore con noi comunicarsi. Sono queste tenerezze ineffabili della carità di Gesù. Ora non vi sembra che un amore sì lungo, sì smisurato, si affettuoso non meriti qualche corrispondenza? Sappiate adunque che appunto per rendere questa è stata istituita la devozione al suo Cuore divino. In questi tempi di tanta freddezza Ei vuole ristorare il regno della carità. Aspirate adunque ad esser dei primi che si consacrano a sì bella impresa e se ne allontani solo colui che creda non esser dovere di un Cristiano rendere amor per amore. Ma chi invece intenderà che il più grande ed il più dolce nostro dovere è di amarlo per quell’amore che ci ha portato, vede altresì quanto debba amare quel SS. Cuore.

Diligam te fortitudo mea.