DOMENICA V DOPO PASQUA (2023)

3DOMENICA V DOPO PASQUA (2023)

Semidoppio. – Paramenti bianchi.

La liturgia continua a cantare il Cristo risorto e ci invita, in questa settimana delle Rogazioni, ad unirci a quella preghiera con la quale il Salvatore ha chiesto a Dio di far partecipe, con l’Ascensione, la propria umanità di quella gloria che, come Dio, possiede fin dall’eternità (Off.). Anche noi possederemo un giorno questa gloria, poiché ci ha liberati dal peccato con la virtù del Suo Sangue (Intr., Comm.). Poiché Gesù Cristo partendosi da noi ci ha lasciato come consolazione « di poter pregare in Nome suo, onde la nostra gioia sia perfetta », cosi domandiamo a Dio « per nostro Signore » di non rimanere senza frutto nella conoscenza di Gesù, affinché, credendo alla sua generazione da parte del Padre, (Vang.) noi meritiamo di entrare con Lui nel Regno di suo Padre.

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Isa. XLVIII: 20

Vocem jucunditátis annuntiáte, et audiátur, allelúja: annuntiate usque ad extrémum terræ: liberávit Dóminus pópulum suum, allelúja, allelúja.

[Annunciate la gioiosa notizia, che sia ascoltata, allelúia: annunciatela fino all’estremo della terra: il Signore ha liberato il suo pòpolo, allelúia, allelúia]

Ps LXV: 1-2

Jubiláte Deo, omnis terra, psalmum dícite nómini ejus: date glóriam laudi ejus.

[Acclama a Dio, o terra tutta, canta un inno al suo nome: dà a Lui lode di gloria].

Vocem jucunditátis annuntiáte, et audiátur, allelúja: annuntiáte usque ad extrémum terræ: liberávit Dóminus pópulum suum, allelúja, allelúja

[Annunciate la gioiosa notizia, che sia ascoltata, allelúia: annunciatela fino all’estremo della terra: il Signore ha liberato il suo pòpolo, allelúia, allelúia].

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

 Orémus.

Deus, a quo bona cuncta procédunt, largíre supplícibus tuis: ut cogitémus, te inspiránte, quæ recta sunt; et, te gubernánte, éadem faciámus.

[O Dio, da cui procede ogni bene, concedi a noi súpplici di pensare, per tua ispirazione, le cose che son giuste; e, sotto la tua direzione, di compierle.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Jacóbi Apóstoli.

Jac. I: 22-27

Caríssimi: Estóte factóres verbi, et non auditóres tantum: falléntes vosmetípsos. Quia si quis audítor est verbi et non factor: hic comparábitur viro consideránti vultum nativitátis suæ in spéculo: considerávit enim se et ábiit, et statim oblítus est, qualis fúerit. Qui autem perspéxerit in legem perfectam libertátis et permánserit in ea, non audítor obliviósus factus, sed factor óperis: hic beátus in facto suo erit. Si quis autem putat se religiósum esse, non refrénans linguam suam, sed sedúcens cor suum, hujus vana est relígio. Relígio munda et immaculáta apud Deum et Patrem hæc est: Visitáre pupíllos et viduas in tribulatióne eórum, et immaculátum se custodíre ab hoc sæculo.

[“Carissimi: Siate osservanti della parola, e non uditori soltanto, che ingannereste voi stessi. Perché se uno ascolta la parola e non l’osserva, egli rassomiglia a un uomo che contempla nello specchio il suo volto naturale. Contemplato, se ne va, e subito dimentica come era. Ma chi guarda attentamente nella legge perfetta della libertà, e persevera in essa, diventando non un uditore smemorato, ma un operatore di fatti, questi sarà felice nel suo operare. – Se alcuno crede d’essere religioso, e non frena la propria lingua, costui seduce il proprio cuore, e la sua religione è vana. Religione pura e senza macchia dinanzi a Dio e al Padre è questa: visitare gli orfani e le vedove nelle loro tribolazioni, e conservarsi incontaminati da questo mondo”].

STUDIO E CURIOSITA.

L’esposizione cristiana — ed è il Cristianesimo che noi, sulle orme degli Apostoli veniamo esponendo in queste spiegazioni — oscilla tra le verità più alte, trascendenti addirittura ed i concetti più umili, più pratici. Qualche volta il pensiero apostolico vola, tal altra cammina per vie piane, quasi trite. Abbiamo volato con Paolo, camminiamo oggi con S. Giacomo. Il quale è molto preoccupato dei pericoli della speculazione pura, anche religiosa. È facile illudersi e credere, per illusione, che il parlare molto di una cosa, o il meditarla profondamente, lo specularvi d’intorno voglia dire amarla per davvero. Illusione funesta sempre; ma più funesta quando la materia della illusione, sia religiosa; quando si creda religiosità o religione perfetta la speculazione teologica la più sottile e più alta. La speculazione ci vuole, perché noi uomini, anche nel campo religioso siamo esseri intelligenti, razionali: vogliamo capire. È un bisogno ed un dovere, è un ossequio a Dio: l’ossequio dell’intelligenza. Ma non basta, ma non è la cosa più importante. Perciò l’Apostolo dice ai fedeli: siate osservanti della Legge, non solo curiosi di essa. Mettetela in pratica, non appagatevi di conoscerla a perfezione. E continua osservando che il fare diversamente, il preferire la speculazione curiosa all’osservanza pratica, il guardare e sentire al fare, ancora il separare quello da questo, è un’illusione, un auto inganno. – E dopo avere insistito su questo concetto fondamentale, non con l’abilità del sofista, ma collo zelo dell’apostolo, conclude in un modo e con una formula anche più severamente e modestamente pratica, che per le sue qualità apparenti, può anche scandalizzare, ma che importa rammentare sempre per fare del buon Cristianesimo, fare della religione autentica. La quale consiste, dice l’Apostolo (e adopera la parola « religione pura ed immacolata presso Dio e il Padre ») nel « visitare i pupilli e le vedove tribolate ed oppresse, custodendo il proprio cuore senza macchia fra la corruttela del nostro secolo ». Visitare i pupilli e le vedove tribolate, oppresse; notoriamente i deboli sono stati il bersaglio della perversità vile. E nessuno è così tipicamente debole come la vedova coi suoi orfanelli. Le anime pagane approfittano di queste debolezze per opprimerle e spogliarle ed angariarle: prendono quel poco che c’è, spogliano di quel nulla che è rimasto. Le anime pagane… le quali proprio così, proprio in questo assalto ostile, cupido avido al poco benessere di questi deboli, si rivelano tali: pagane. Ed è inutile che ostentino così facendo, così trattando il prossimo, sentimenti buoni di adorazione, di amore per il loro Dio, per Iddio. L’abito religioso su queste anime egoistiche è una maschera, che non inganna nessuno, certo non inganna Dio. La pietà verso di lui si rivela e traduce in modo irrefragabile solo nella carità operosa, benefica verso i poveri, anzi verso quei poveri che non sono più poveri, verso quelli dei quali chi fa il bene non ha nulla da umanamente ripromettersi, tanto sono poveri e miseri! I pupilli e le vedove, bersagliati, oppressi. Il linguaggio apostolico è di una singolare chiarezza. Senza questa carità o attuta, o almeno sinceramente voluta, non c’è religione, c’è una lustra di Cristianesimo. Ma basta questa carità, perché si possa dire religiosa un’anima? Basta? Delicato problema, ma a cui si può sicuramente rispondere: Se c’è in un’anima carità sincera, senza secondi fini, senza alterazioni innaturali, c’è la religione, almeno embrionalmente. Non c’è ancora la pienezza, c’è già il principio: non c’è ancora l’albero, c’è già il germe. Non siamo all’arrivo; siamo alla partenza per… verso la religione, verso Dio. Ecco perché noi possiamo predicare a tutti i nostri uditori, a quelli che hanno ancora la fede e a quelli che non l’hanno forse mai avuta, che forse l’hanno disgraziatamente perduta: siate caritatevoli, cioè fate la carità, e avrete nell’anima l’aurora e il meriggio di Dio.

(G. Semeria: Epistole della Domenica – Milano – 1939)

Alleluja

Allelúja, allelúja.

Surréxit Christus, et illúxit nobis, quos rédemit sánguine suo. Allelúja.

[Il Cristo è risuscitato e ha fatto sorgere la sua luce su di noi, che siamo redenti dal suo sangue. Allelúia.]

Joannes XVI: 28

Exívi a Patre, et veni in mundum: íterum relínquo mundum, et vado ad Patrem. Allelúja.

[Uscii dal Padre e venni nel mondo: ora lascio il mondo e ritorno al Padre. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Joánnem.

Joann XVI:23-30

In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Amen, amen, dico vobis: si quid petiéritis Patrem in nómine meo, dabit vobis. Usque modo non petístis quidquam in nómine meo: Pétite, et accipiétis, ut gáudium vestrum sit plenum. Hæc in provérbiis locútus sum vobis. Venit hora, cum jam non in provérbiis loquar vobis, sed palam de Patre annuntiábo vobis. In illo die in nómine meo petétis: et non dico vobis, quia ego rogábo Patrem de vobis: ipse enim Pater amat vos, quia vos me amástis, et credidístis quia ego a Deo exívi. Exívi a Patre et veni in mundum: íterum relínquo mundum et vado ad Patrem. Dicunt ei discípuli ejus: Ecce, nunc palam loquéris et provérbium nullum dicis. Nunc scimus, quia scis ómnia et non opus est tibi, ut quis te intérroget: in hoc crédimus, quia a Deo exísti.

[“In quel tempo disse Gesù ai suoi discepoli: In verità in verità vi dico, che qualunque cosa domandiate al Padre nel nome mio, ve lo concederà. Fino adesso non avete chiesto cosa nel nome mio: chiedete, e otterrete, affinché il vostro gaudio sia compito. Ho detto a voi queste cose per via di proverbi. Ma viene il tempo che non vi parlerò più per via di proverbi, ma apertamente vi favellerò intorno al Padre. In quel giorno chiederete nel nome mio: e non vi dico che pregherò io il Padre per voi; imperocché lo stesso Padre vi ama, perché avete amato me, e avete creduto che sono uscito dal Padre. Uscii dal Padre, e venni al mondo: abbandono di nuovo il mondo, e vo al Padre. Gli dissero i suoi discepoli: Ecco che ora parli chiaramente, e non fai uso d’alcun proverbio. Adesso conosciamo che tu sai tutto, e non hai bisogno che alcuno t’interroghi: per questo noi crediamo che tu sei venuto da Dio”].

Omelia

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956.)

LA PREGHIERA DEL MATTINO E DELLA SERA.

Quando il re Demetrio mandò contro i Giudei un esercito poderoso, un capitano espertissimo, Giuda Maccabeo, raccolse i suoi soldati impauriti, e raccontò loro una visione che li rallegrò tutti. « Non temete! — disse; — nel cuor della notte m’è apparso un personaggio venerando per età e gloria e circonfuso di una magnifica maestà. A me che meravigliato guardavo, una voce disse: « Questi è l’amico dei fratelli e del popolo d’Israele, questi è colui che molto prega per noi e per la città santa: Geremia è, il profeta di Dio ». Allora Geremia, stendendo la destra, mi consegnò una spada d’oro, dicendomi: « Ricevi la spada santa dono di Dio, con la quale abbatterai i nemici d’Israele mio popolo ». Confortati da queste parole, i valorosi attaccarono battaglia, pregando. La vittoria fu compiutamente splendida: ritornando giubilanti attraverso i campi insanguinati s’accorsero che il capitano dei nemici era tra i morti. Allora, alzato un grido di trionfo, benedissero il Signore onnipotente (II Macc., XV). Cristiani, che siete impauriti davanti agli assalti continui delle tentazioni e del mondo, Cristiani che siete oppressi dalle tribolazioni, Cristiani che soffrite stanchi e aggravati, alzate gli occhi al cielo: nella gloria di Dio Padre v’è Uno sempre intento a pregare per noi. Semper vivens ad interpellandum pro nobis (Ebr., VII, 25). Assai più fortunati noi siamo dei guerrieri di Giuda, perché chi intercede senza posa per noi, non è un profeta, non è un semplice uomo, ma è lo stesso Figlio di Dio, Gesù Cristo. Ecco perché Egli stesso, nel suo Vangelo, ha promesso che la nostra preghiera sarà sempre esaudita: « Se voi domandaste qualsiasi cosa al Padre, in mio Nome, non vi sarà negata. Ma finora non avete mai pregato in mio Nome: su! Domandate e avrete; chiedete ed ogni vostra brama sarà compiuta ». La preghiera è la spada d’oro che Cristo consegna a ciascuno di noi: solo con essa supereremo ogni lotta della vita e abbatteremo il nostro nemico d’inferno. Solo con essa si sono formati i Santi: noi ci meravigliamo davanti alla purezza di S. Luigi Gonzaga, all’umiltà di S. Carlo Borromeo, alla carità di S. Filippo Neri, come di cose favolose e impossibili. Sì, sarebbero state davvero cose favolose e impossibili, se questi uomini avessero pregato così poco e così male come noi. – Questa volta non è della preghiera in generale che vi voglio parlare. Già tutti avete sentito e siete convinti che la preghiera sia necessaria all’anima, come al corpo il respiro; che chi prega si salva e chi non prega si danna. Oggi invece vi parlerò di un dovere quotidiano, dovere indispensabile che distingue il Cristiano di fede viva, dal Cristiano di fede morta. Nell’Antico Testamento, v’era una legge che obbligava gli Ebrei ad offrire due sacrifici al giorno: uno all’alba, l’altro al tramonto. Unum offeretis mane et alterum ad vesperum (Num., XXVIII, 4). Nel Nuovo Testamento, noi pure dobbiamo innalzare, al principio e alla fine di ogni giorno, un sacrificio di lodi che appunto si chiama preghiera del mattino e della sera. – 1. LA PREGHIERA DEL MATTINO. Milton, nel suo poema Il Paradiso perduto, descrive Adamo che, appena creato, apre gli occhi a contemplare le meraviglie del mondo. Vede i fiori coloriti, il verde dei boschi, vede l’azzurro del firmamento disteso sulla sua testa, e rapito in estasi manda un grido. « Mi slanciai e saltai verso il cielo come per toccarlo!» fa dire il poeta al primo uomo. Spontaneo come quello di Adamo deve essere, tutte le mattine appena apriamo gli occhi, lo slancio del nostro cuore impaziente di elevarsi a Dio. Comincia un altro giorno: un’altra pagina del libro di nostra vita. Oh se tutte le pagine cominciassero col santo Nome di Dio, di Gesù Salvatore, di Maria madre amorosissima, del nostro Santo protettore, del nostro Angelo custode, come ci troveremmo lieti quando, finita l’ultima pagina, dovremo consegnare il libro nelle mani della Giustizia Divina!…  Tutto prega alla mattina. Ecco ad oriente il cielo si sbianca: non sentite in questo momento come un invito universale a pregare? Venite adoremus Dominum, qui fecit nos! È la voce dei monti che si districano dalle tenebre; è la voce delle valli che come cappe smeraldine, si riempiono di luce; è la voce delle acque vicine o lontane, è la voce dei campi delle piante dei fiori; è la voce dei passeri che garriscono insieme sulla gronda del vostro tetto; è la voce del sole levante, del sole bello radioso, del sole immagine di Dio nel suo grande splendore. Questi milioni di voci, che sorgono da ogni parte della terra, sono voci di adorazione e di ringraziamento: ma è una musica senza parole. Ci vogliono le parole: ma queste non le può dire che l’uomo. Non le potete dire che voi. E non le direte? Iddio ha sempre avuto un gran desiderio delle primizie. Dalla storia sacra conosciamo che i primi frutti del campo erano per Lui; i primi agnelli del gregge; le prime bestie dell’armento; il primo figliuolo d’ogni famiglia era per Lui. Questo suo amore per le cose prime, incontaminate, Dio lo conserva ancora ed esige da noi la primizia di ogni giorno. Il mondano quando si sveglia pensa ai piaceri, perché suo dio è la passione ed a lei offre le sue primizie. L’uomo avaro e affarista pensa all’interesse, perché suo dio è il danaro, e a lui offre le sue primizie. L’uomo superbo e smanioso d’emergere pensa agli onori, perché suo dio è l’ambizione e a lei offre le sue primizie. Ma noi, che siamo Cristiani di nome e di fatto, noi che per Dio abbiamo il Signore del cielo e della terra, il Creatore delle visibili cose e delle invisibili, doniamo a Lui le primizie di ogni nostra giornata. Ci sono alcuni che, per pigrizia o per occupazioni, spesse volte cedono alla tentazione di rimandare le preghiere: « Le dirò dopo; prima devo far questa o quella osa; prima devo mangiare… ». L’esperienza insegna che orazioni tramandate sono orazioni tralasciate. E poi, se anche avessimo a dirle più tardi, non sarebbero primizie e perderebbero molto di valore. Nella santa Scrittura Dio si paragona ad un viaggiatore mattutino che sta in piedi vicino alla porta, e batte perché gli sia aperto. Ecce sto ad ostium et pulso. Cristiani, non siate maleducati con Dio! Non fatelo attendere in anticamera! Ma la prima parola di ogni giorno sia: « avanti, Signor mio e Dio mio ». Per fortuna a questo mondo ci sono cuori generosi. Non solo si accontentano al mattino delle preghiere comuni, ma vogliono offrire a Dio una grande primizia: la S. Messa. Beate queste anime, a cui è dato di capire quello che altri non capiscono. Nel primo scampanio esse ascoltano la squilla del Gran Re e accorrono in Chiesa. Se è vero che il lavoro impedisce a molti d’ascoltare la S. Messa ogni giorno, è non meno vero che altri la trascurano per la sola pigrizia di alzarsi per tempo. Segno è che non riescono a comprendere che tesoro si gettano dietro le spalle. Io ripeterò le parole che S. Ambrogio diceva ai Milanesi: « È una vergogna che il primo raggio del sole vi trovi inerti nel letto, e che la luce venga a colpire occhi ancora imbambolati da una sonnolenta spossatezza; questo raggio ci rimprovera il lungo tempo perduto per i meriti e l’oblazione del Sacrificio spirituale. Prevenite dunque l’aurora!… » (In Ps., CXVIII, n. 22). Si legge nel Vangelo che, essendosi Gesù avvicinato al letto di una fanciulla di dodici anni per risuscitarla, la prese per mano dicendo: « Fanciulla, alzati ». Ecco ciò che vi dice la mattina Gesù: vi comanda d’alzarvi e vi porge la mano. È una mano divina: stringetela, adoratela, baciatela con le vostre preghiere. Così trascorreranno i giorni e gli anni: alla fine dei secoli sentirete ancora la medesima voce, e vedrete la medesima mano: « Alzati! ». Sarà il risveglio di un giorno senza tramonto. – 2. LA PREGHIERA DELLA SERA. Una sera, uno dei più grandi ingegni del medioevo, il celebre Lanfranco, allora studente e più tardi Vescovo di Cantorbery, camminava verso Roano. Nel traversare una foresta, fu assalito e derubato dai ladri che poi lo legarono, mani e piedi, ad un albero e, tiratogli il cappuccio sugli occhi, lo abbandonarono. Tremante di spavento, umido di rugiada notturna, immobile, con gli occhi sotto il nero del cappuccio, comprese d’essere esposto a certa morte. Lontano s’udiva l’urlo di qualche belva randagia… Perduta ogni speranza umana, si ricordò di Dio, si ricordò ch’era sera e che era bene pregarlo. Cominciò le orazioni che fanciulletto tante volte aveva recitate, giunte le manine, a piè del letto; ma dopo le prime parole non seppe proseguire: non le ricordava più. Confuso e vergognoso di se stesso, si rivolse a Dio singhiozzando così: « Come, o Signore, da tanto tempo studio nelle università, e non so a memoria neppure la maniera d’invocarvi e di pregare ». Allora fece voto di consacrarsi a Dio, se fosse potuto scampare da quel pericolo. E così fu, poiché all’alba seguente alcuni viandanti lo liberarono. Lanfranco corse tosto nel convento più vicino e si fece monaco. Ed al tramonto d’ogni sera, quando la campanella invitava a preghiera, egli arrossendo s’inginocchiava. Anche ai nostri tempi, e più numerosi che mai ci sono uomini a cui si può applicare questo racconto in tutta la sua estensione. Anche essi sono in viaggio, devono attraversare la foresta del mondo anch’essi, e nemmeno mancano assassini e bestie feroci. Anch’essi alla fine della loro giornata sono forse caduti nelle mani del nemico delle anime; sono stati presi, legati col legame del peccato… Una cosa sola potrebbe liberarli: la preghiera. Ma essi non sanno più pregare; ne hanno perduta l’abitudine, hanno dimenticato perfino le parole. Da mesi e da anni, alla sera, si gettano stanchi ed infelici a dormire senza mai levare il cuore a Dio, senza neppure un segno di croce forse, così come le bestie sopra il loro strame. Ah, Cristiani, nessuno di noi rimanga in questo povero stato! Alla sera ricordiamoci dell’obbligo di ringraziare Dio che un altro giorno ha concesso alla nostra vita, un giorno pieno talvolta di gioie e talvolta di dolori, e sempre di grazie e di benedizioni. Ricordiamoci dell’obbligo di domandare perdono a Dio di tante offese nuove aggiunte alla grave somma delle vecchie. Infine, ricordiamoci di supplicarlo perché la notte passi tranquilla e il giorno veniente ci trovi migliori. – Tra le orazioni della sera, due pratiche non si possono trascurare: il santo Rosario e l’Esame di coscienza. L’una è una dolce catena di rose mistiche che lega i figli coi genitori e tutta la famiglia con la Vergine Maria; l’altro è un piccolo conto delle perdite e dei guadagni spirituali. « Sentite; — diceva ai primi Cristiani S. Giovanni Crisostomo, — voi tutti avete un registro in cui scrivete ogni giorno le entrate e le uscite; certamente non andrete mai a dormire prima d’aver fatto i vostri conti, ma la vostra coscienza non è anch’essa un libro aperto in cui dovete notare ogni sera il guadagno e la perdita, l’amore e l’ingratitudine? Ogni sera quindi, prima d’addormentarvi, prendete a tu per tu la vostra anima e ditele: « Su anima mia, su facciamo i conti: che bene hai fatto? che male hai fatto? ». Allora vi sorgerà spontaneo l’atto di ringraziamento per l’aiuto ricevuto dal Cielo, l’atto di dolore per la nostra cattiveria, e il sincero proposito di un migliore domani. – Infelici le case ove discende la notte senza preghiera! Intorno ad esse invano s’aggirano gli Angeli invisibili, invano aspettano nella malinconia. Infelici le famiglie dove la madre trascura questo suo dovere, dove il padre manca per divertirsi nelle osterie, dove i figliuoli cresciuti nell’età e nel male sono in giro, chi sa dove… chi sa dove… E ritorneranno a notte alta, sotto le stelle numerose nel cielo: ma nessuna stella è accesa nell’anima loro. « Diciamo le preghiere della sera » disse alla sua donna un padre di famiglia  sofferente da anni di una seria malattia. Da un pezzo nella casa si era dimenticato di pregare, ma dopo che il Signore aveva mandato quella prova, un barlume di fede era ritornato. Appena la madre incominciò le orazioni, rientrarono i figliuoli adulti dai loro divertimenti serali e rimasero a bocca chiusa, distratti. Il povero padre li sogguardava, e lagrime silenziose gli rigavano la faccia patita. « Che hai da piangere? », gli chiese la donna sottovoce. « Io morrò: — rispose amaramente, — e quando sarò sotterra nemmeno un suffragio riceverò dai miei figliuoli: essi hanno dimenticato le preghiere; non sanno pregare più ». La madre allibì, e tremò tutta. Il cuore le diceva ch’ella senza colpa non era della cattiva educazione religiosa dei figli. Oh quanti genitori, sentendosi morire, usciranno in quel grido straziante! « Quando sarò sotterra non un suffragio avrò dai miei figliuoli: essi non pregano, né sanno pregare più! ».  E la colpa di chi sarà stata?.. — I DIFETTI DELLA PREGHIERA. Quando fu eletto papa Gregorio VII, la Chiesa viveva un’ora difficile della sua storia. Il potere civile s’era intruso negli affari ecclesiastici fino ad arrogarsi la nomina dei Vescovi e talvolta dei Pontefici stessi; uomini indegni, più simili a lupi che ai pastori, riuscivano non raramente ad occupare i posti più alti; l’avarizia e il mal costume s’erano diffusi anche tra coloro che avrebbero dovuto dare il buon esempio. Tutto c’era da estirpare e rinnovare nella Chiesa. Invece papa Gregorio, ch’era un santo, pensando che quasi nulla vi fosse da fare, si ritirò per giorni interi a pregare. Poi cominciò a scriver lettere: scrisse ai monaci del convento di Cluny, dove aveva passato alcuni anni della sua giovinezza, scongiurandoli di pregare per lui; scrisse a parecchi suoi amici, che sapeva devoti, domandando la carità di preghiere. « Ma, o santo Padre, — diremmo noi — perché perdete il tempo così? Non vedete come il demonio devasta la Chiesa? Su, lanciate la scomunica ai ribelli di Germania, castigate gli avari, deponete gli intrusi, accorrete… ». – « Sì — ci par che risponda quel grande Papa dal silenzio della sua tomba, — sì, tutto questo va bene; ma prima e sempre e sopra ogni cosa, pregate. Senza preghiera non si fa niente ». Che dire allora di certa gente che si scusa così: « Io non prego perché non ho tempo: ho troppe faccende ». Per quante faccende abbiate, certo non sarete occupati come il Papa san Gregorio. E poi: non sapete che la prima, la più necessaria faccenda è la preghiera? Non sapete che più si prega e più si trova tempo anche per le altre cose? Non sapete che si salva soltanto chi prega? Ecco perché Gesù nel Vangelo ci stimola con insistenza a pregare. « In verità vi dico che qualunque cosa domanderete al Padre in nome mio ve la concederà. Finora nulla avete chiesto in Nome mio: chiedete e otterrete. I vostri  desideri saranno compiuti in gioia  ». « Come si spiega allora, — pensano alcuni, — che molte volte ho pregato ed il Signore ha fatto il sordo con me? » Non diamo la colpa al Signore quando la colpa è tutta nostra: se non abbiamo ottenuto è perché abbiamo pregato male. Non accipitis eo quod male petatis (Giac. IV, 3). E S. Agostino spiega: « Non ricevete o perché voi siete cattivi, o perché domandate cose cattive, o perché pregate malamente ». Non accipitis eo quod mali, mala, male petatis. Consideriamo, ad uno ad uno, questi difetti che rendono vana la nostra preghiera. – 1. EO QUOD MALI. Il re Antioco si vide perduto (II Macc., IX). Era stato scacciato da Persepoli vergognosamente; ed anche i suoi generali, Nicanore e Timoteo, erano stati sconfitti dai Giudei. Il Signore poi, che tutto vede, lo faceva spasimare con un lancinante dolore di visceri. E quasi non bastasse, mentre spingeva a corsa impetuosa il suo cocchio, il cavallo impennatosi lo sbalzò sulla strada, ammaccandolo in tutte le membra. Quando quest’uomo perfido, che aveva sognato di comandare alle onde del mare e di pesare sulla sua stadera le cime dei monti, si vide sbattuto a terra, quando vide la sua carne sfasciarsi e marcire viva in un fetore a cui egli stesso non sapeva più resistere, allora rivolse a Dio la sua preghiera. « È giusto ch’io mi sottometta al Signore… ». E pregandolo, promise che avrebbe dato libertà a Gerusalemme che poco prima aveva pensato di ridurre a cimitero; promise di restituire l’oro e l’argento che aveva sacrilegamente rubato nel tempio; promise di rispettare quei Giudei che non reputava degni neppur di sepoltura ma che avrebbe voluto sterminare e lasciarli in preda agli avvoltoi e alle belve; promise perfino di farsi circoncidere e diventare anch’egli uno del popolo di Dio. Quante promesse! E quale fervore in questa preghiera! Eppure i dolori non cessarono, eppure non guarì. Tra le montagne selvagge e rocciose, lungi dal suo paese, abbandonato da tutti, come l’ultimo miserabile del mondo, disperatamente moriva Antioco, il re. Perché Dio, che è sì buono, non ha esaudito la sua preghiera? Orabat hic autem scelestus (Macc. IX, 13). Con cuore iniquo e senza aver rinnegato alla sua malizia, costui pregava Dio, a quo non esset misericordiam consecuturus, dal quale non avrebbe giammai ottenuto grazia. Pensiamo un poco: noi, che spesso ci lamentiamo di non essere esauditi nella preghiera, come stiamo di coscienza? Come pretendere che Dio ci ascolti se siamo in peccato? Il peccato ci fa servi del demonio: e noi dopo aver servito il demonio, abbiamo il coraggio di domandare la paga al Signore? Il peccato ci fa nemici di Dio: e noi pretendiamo che Egli aiuti i suoi nemici i quali si beffano in Lui, e saranno peggio che prima? Il Signore non è come gli uomini che vedono appena la vernice esterna, ne scruta nel cuore. Possono essere belle e buone le parole che gli diciamo, ma se il nostro animo è cattivo non saremo esauditi; bensì riceveremo il rimprovero che Gesù lanciò in faccia agli ipocriti farisei: « Questa gente mi onora con la bocca, ma il loro cuore è lontano da me. Vi dico che mi onora inutilmente ». (Mt. XV, 8). Quante volte ancor noi abbiamo pregato con la bocca mentre il nostro cuore era lontano: con una creatura, con un divertimento, con una passione, col demonio. Per ciò non fummo esauditi. – 2. EO QUOD MALA. « Finora, — diceva Gesù, — non avete chiesto cosa alcuna nel mio Nome: domandatela e la riceverete ». Che cosa significa domandare nel Nome del Salvatore? Significa chiedere cose che riguardano la nostra eterna salvezza. A quanti Gesù potrebbe rispondere la parola che disse ai figli di Zebedeo: « Voi non sapete cosa domandate » (Mt. XX, 22). Purtroppo, la nostra debolezza ci china verso terra e ci mette la benda sugli occhi circa l’ultimo fine della vita. Infatti, che cosa si domanda da tanti? Forse la luce della verità, forse l’amore della virtù, l’aumento della grazia? No, non è così. Si domanda una vita senza croci, piena di ricchezze, di onori, si domanda che questa terra che è valle d’esilio diventi un paradiso. E spesso questi beni sono la rovina di molte anime. Quanti se non fossero stati ricchi ora sarebbero in Paradiso; quanti se non fossero saliti tanto in alto tra gli uomini, ora non sarebbero discesi tanto in basso tra i demoni; quanti, se a tempo opportuno avessero avuto una croce, una malattia, la morte, ora non gemerebbero per sempre nel fuoco eterno! Ecco perché Iddio, che ha la vista più lunga della nostra, non sempre ci esaudisce quando gli chiediamo i beni del mondo. Chi è quella madre che darebbe a suo figlio per giocare un rasoio, le forbici, gli aghi? E voi pensate che Dio non faccia per le anime nostre quello che anche noi sappiamo fare con i nostri figliuoli? Il Signore disse un giorno a Salomone: « Domandami quel che vuoi e l’avrai ». Oh se facesse a noi questa domanda! Chiederemmo subito una vita lunga come quella di Matusalem, una forza terribile come quella di Sansone; chiederemmo ricchezze infinite. Invece Salomone rispose: « Dammi, o Signore, lo spirito della sapienza che guidi i miei passi sulla retta strada, e non ti abbia ad offendere mai ». E Dio fu commosso da questa risposta e aggiunse: « Giacché non mi hai domandato un bene fugace del mondo, ma un bene eterno, abbiti non solo la sapienza, ma anche un regno florido e ricchezze, e onori, tutto ». Ricordiamo anche noi, quando preghiamo, la parola di Gesù: « Cercate soprattutto il regno di Dio e la sua giustizia; il resto vi sarà dato per giunta ». – 3. EO QUOD MALE PETATIS. La preghiera talvolta non è esaudita perché fatta male: senza umiltà, senza sostanza, senza fiducia. a) Senza umiltà: Due uomini entrano nel tempio a pregare. Uno è un fariseo, l’altro è un pubblicano. Il fariseo, dritto davanti a Dio, non fa che esaltare se stesso e umiliare gli altri: « Grazie, o Signore, che non m’hai fatto un ladro, un ingiusto, un disonesto come gli altri, come quel pubblicano là in fondo ». Il pubblicano invece, là in fondo, non osava neppure levare gli occhi dal suolo e si batteva il petto e singhiozzava: « Signore, sii buono anche con me che son peccatore ». « Guardate — concluse Gesù, narrando la Parabola, — guardate che dal tempio uscì giustificato solo il povero ed umile pubblicano (Lc., XVIII, 14). b) Senza costanza: Un uomo, a mezzanotte in punto, batte alla porta d’un suo amico. « Amico, prestami tre pani. M’è capitata gente che ha fame in casa, ed io non ne ho più, nemmeno una briciola ». L’amico non viene neppure alla finestra e di dentro gli risponde: « Senti, mi dispiace, ma ho già chiuso tutta la casa. Io sono a letto, i miei figli anche: non vorrai farci alzare per darti del pane!… ». L’altro in piedi davanti alla porta chiusa non si scoraggia e comincia a battere. Batte una volta, due, tre… L’amico non può più dormire. Se non per amicizia, ameno per levarsi quella seccatura, si alza e lo esaudisce (Lc., XI, 5). Dunque, bisogna pregare, senza scoraggiarsi, fin quando si ottiene quel che si domanda. Oportet semper orare et numquam deficere. Non lasciamoci vincere dal silenzio del Signore: più tarda la grazia e più bella sarà. Trenta anni ha pregato santa Monica per il suo figliuolo, ma poi quale grazia! Suo figlio fu un santo. c) Senza fiducia: Una donna vien dalla terra di Chanaan per far la sua preghiera a Gesù: « Signore! Figliuolo di Davide, pietà di me, che ho una figlia indemoniata! ». Gesù non la guarda, non le risponde nemmeno una parola. Non respondit ei verbum. Ma essa vuol essere esaudita. Gli va dietro, e non guardata piange, e non ascoltata prega, tanto che gli Apostoli ne sentono compassione: « Maestro — dicono — lasciala andare, non vedi come grida? — Gesù allora si volge e le dice burberamente: « Io son venuto per i Giudei e non per i Cananei ». La povera donna non è vinta da questo reciso rifiuto: vuole essere esaudita e va dietro sempre e non guardata piange e non ascoltata prega. Non capisci, — la rimprovera Gesù, — ch’Io non posso strappare il pane di bocca ai figli per darlo ai cani? ». E quella donna accetta d’essere come un cane, anzi si chiama cagnolino; e nell’impeto della sua fede, risponde: « Sì, è vero, ma i cagnolini hanno le briciole che cadono dalla mensa del padrone, dunque, una briciola, tra quelle che cadono dalla mensa del padrone, anche per me, anche per mia figlia indemoniata una briciola… ». Gesù allora non poté più resistere e le rispose: « La tua fede è grande; sia fatto come tu vuoi ». In quel momento sua figlia guariva. È questa la fiducia delle nostre preghiere? – San Luigi IX, re di Francia, era partito per la crociata. Ma quando con la sua flotta si trovò in mezzo al mare, una burrasca terribile cominciò a flagellare e squassare le navi. Tutti urlavano e piangevano di paura. Il re pallido e tremante s’inginocchiò sul ponte della nave ammiraglia e pregò un istante; poi alzatosi calmo e sorridente disse a tutti che niente di male li avrebbe incolti. « Donde ricavate questa fiducia? », gli domandarono i suoi. Laggiù, — rispose egli, — nel monastero di Chiaravalle in questo istante si prega fervorosamente per noi. Tutto andrà bene ». Cristiani! Quando nella vita attraversiamo certe ore di burrasca, quando l’anima nostra sta per affondare nel male, ricordiamoci allora della preghiera e saremo salvi.

IL CREDO

Offertorium

Orémus Ps LXV: 8-9; LXV: 20

Benedícite, gentes, Dóminum, Deum nostrum, et obœdíte vocem laudis ejus: qui pósuit ánimam meam ad vitam, et non dedit commovéri pedes meos: benedíctus Dóminus, qui non amóvit deprecatiónem meam et misericórdiam suam a me, allelúja.

[Popoli, benedite il Signore Dio nostro, e fate risuonare le sue lodi: Egli che pose in salvo la mia vita e non ha permesso che il mio piede vacillasse. Benedetto sia il Signore che non ha respinto la mia preghiera, né ritirato da me la sua misericordia, allelúia].

Secreta

Súscipe, Dómine, fidélium preces cum oblatiónibus hostiárum: ut, per hæc piæ devotiónis offícia, ad cœléstem glóriam transeámus.

[Accogli, o Signore, le preghiere dei fedeli, in uno con l’offerta delle ostie, affinché, mediante la pratica della nostra pia devozione, perveniamo alla gloria celeste].

Prefatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

Paschalis

Vere dignum et justum est, æquum et salutáre: Te quidem, Dómine, omni témpore, sed in hac potíssimum die gloriósius prædicáre, cum Pascha nostrum immolátus est Christus. Ipse enim verus est Agnus, qui ábstulit peccáta mundi. Qui mortem nostram moriéndo destrúxit et vitam resurgéndo reparávit. Et ídeo cum Angelis et Archángelis, cum Thronis et Dominatiónibus cumque omni milítia cœléstis exércitus hymnum glóriæ tuæ cánimus, sine fine dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare: Che Te, o Signore, esaltiamo in ogni tempo, ma ancor piú gloriosamente in questo giorno in cui, nostro Agnello pasquale, si è immolato il Cristo. Egli infatti è il vero Agnello, che tolse i peccati del mondo. Che morendo distrusse la nostra morte, e risorgendo ristabilí la vita. E perciò con gli Angeli e gli Arcangeli, con i Troni e le Dominazioni, e con tutta la milizia dell’esercito celeste, cantiamo l’inno della tua gloria, dicendo senza fine:]

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps XCV: 2

Cantáte Dómino, allelúja: cantáte Dómino et benedícite nomen ejus: bene nuntiáte de die in diem salutáre ejus, allelúja, allelúja.

[Cantate al Signore, allelúia: cantate al Signore e benedite il suo nome: di giorno in giorno proclamate la salvezza da Lui operata, allelúia, allelúia].

Postcommunio

Orémus.

Tríbue nobis, Dómine, cæléstis mensæ virtúte satiátis: et desideráre, quæ recta sunt, et desideráta percípere.

[Concedici, o Signore, che, saziati dalla forza di questa mensa celeste, desideriamo le cose giuste e conseguiamo le desiderate.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

ORDINARIO DELLA MESSA

TUTTA LA MESSA (L’UNICA “VERA” CATTOLICA ROMANA) MOMENTO PER MOMENTO (1)

LO SCUDO DELLA FEDE (251)

LO SCUDO DELLA FEDE (251)

LA SANTA MADRE CHIESA NELLA SANTA MESSA (20)

SPIEGAZIONE STORICA, CRITICA, MORALE DELLA SANTA MESSA

Mons., BELASIO ANTONIO MARIA

Ed. QUINTA

TORINO, LIBRERIA SALESIANA EDITRICE, 1908

CAPO III

IL SACRIFICIO DIVINO

SECONDA PARTE DEL CANONE.

CAPO IV

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LA PARTECIPAZIONE

ossia la Comunione Divina.

ART.  II.

LIBERA NOS ECC.

Orazione.

« Liberateci, ve ne supplichiamo, o Signore da tutti i mali presenti, passati e futuri , e per intercessione della Beata, Gloriosa e sempre Vergine e genitrice di Dio, Maria, e dei Beati Apostoli vostri Pietro e Paolo, ed Andrea, e di tutti i santi (Si segna dalla fronte al petto colla patena e la bacia). Date, propizio, pace nei nostri giorni, affinché per opera della vostra misericordia restiamo sempre liberi dai peccati, e sicuri da ogni perturbazione. (Qui sottomette la patena all’Ostia, scopre il calice, genuflette, sorge, prende l’ Ostia, la spezza per mezzo sopra il calice dicendo): « Pel medesimo Signor nostro Gesù Cristo Figliuol vostro. » (Pone la parte, che ha nella destra sopra la patena: di poi si divide una particella della parte che gli è rimasta nella sinistra, dicendo): « Il quale con Voi vive e regna nell’unità dello Spirito Santo. » (L’altra mezza parte ripone colla sinistra presso alla prima sulla patena, e colla destra poi tenendo la particella sopra il calice, che tiene colla sinistra, dice): « Per tutti i secoli dei secoli. » (Il popolo risponde): « Così sia. »

Esposizione dell’Orazione:

Libera nos etc.

« Liberateci, o Signore, vi preghiamo, da tutti i mali presenti, passati e futuri ecc. ecc. » Quest’orazione non altro essendo che un’aggiunta, anzi un’esposizione dell’ ultima dirnanda dell’ orzione domenicale, per essa la Chiesa c’ insegna che ben si può con Dio Padre dire tutto il nostro cuore e mettergli dinanzi ad uno ad uno tutti i nostri mali, dai quali lo vogliamo supplicare di liberarci per poi abbandonarci rassegnati in braccio alla bontà di così gran Padre amoroso. I tanti mali di noi poveri figli sono i peccati passati, di cui non possiamo mai essere senza timore (1) : poi sono i pericoli e le amarezze che ci angustiano presentemente: finalmente la paura dei mali venturi, i castighi cioè e le pene, che abbiamo tanto ragione di aspettarci dalla giustizia di Dio, e le nuove cadute che temiamo per le proprie infermità, come mali che più ci mettono spavento. – Quest’orazione, sia per la sua antichità, sia per le sue espressioni, accenna ai tempi delle persecuzioni. Allora si recitava insieme con tutto il popolo; e per questo il Sacerdote la dice ancora adesso ad alta voce nel venerdì santo; nel qual dì tutto sacro alla morte del Redentore, alla Chiesa, raccomandate distintamente tutte le varie persone ed i vani oggetti per cui prega nel corso dell’anno, preme di fare quelle raccomandazioni in modo tenerissimo; essendo che in quel giorno lo spettacolo della morte di Gesù, messo così vivamente innanzi, fa concepire speranza di maggiore propiziazione. Noi intanto figuriamoci quei poveri fedeli perseguitati, che col favor delle tenebre si raccoglievano nelle catacombe pei santi misteri. Là non si arrischiavano di alzar la voce, paventando ad ogni istante, che non corressero dentro in quegli antri a slanciarsi sopra loro quelle belve umane, nel perseguitarli inferocite. Là trovandosi insieme intorno all’altare, avevano ogni dì novelle perdite da piangere; alcuno raccontava tristamente, come qualche povero fratello aveva ceduto nel terribile cimento; e insieme piangendolo, lo raccomandavano a Dio. Altri raccontavano i particolari della morte dei loro Vescovi e dei fedeli compagni: chi li aveva osservati ritti là in mezzo del circo col petto ignudo ad aspettare i leoni, le iene, le tigri aizzate dai truci custodi: diceva uno di aver veduto il leone, quando dava dentro nel petto a quel Santo; come versasse le viscere per terra, e barcollando morisse abbracciato all’orribile testa col grido: « Viva Gesù! » Altri diceva della iena: con terribile salto gettarsi sulle spalle di un giovine eroe, e con tremendo ruggito, trascinarlo pell’anfiteatro… mentre i feroci spettatori battevan le mani; ed egli, col collo tra le zanne della fiera, guardando il cielo gridare: « Viva Gesù! » Chi sentiva ancor terrore della tigre accosciata, che acceffava fremente nel vergine petto a quella fanciulla (che ieri qui aveva con essi ricevuta la Comunione), e diceva piangendo, come la buona slanciava le candide braccia verso del cielo; e la tigre gettarle gli unghioni nel viso, ed alzando il terribile ceffo lasciare cadere giù le viscere palpitanti dal muso insanguinato! Chi raccontava del rogo acceso, e come soffiassero dentro col viso infocato i rabidi sgherri: e sopra i crepitanti carboni guizzasse la vampa celestina e rosseggiante: e quei crudeli stendere sul graticolato di ferro rovente, e tener con tenaglie i prodi compagni, con cui avevano là tante notti insieme vegliato: e rosseggiare le membra orribilmente gonfie, e screpolare la pelle, e la carne squagliata cadere giù in stille di fuoco; e sbuffare le fiamme e come serpenti di fuoco e taglienti lamine, girar intorno alla persona: e tra il crepitare dei carboni sotto alle nere ruote del fumo pareva ancora di sentirli tutti gridare: « Viva Gesù! » Alcuni altri poi si portavano sul petto in un vaso il sangue dei martiri, che avevano raccolto dai supplizi; altri gli avanzi, con gran rischio sottratti a chi li faceva disperdere: altri un cadavere santo portato via dalle gogne o tratto fuori dalle cloache, in cui il prefetto lo aveva fatto gettare. Qui purificate con balsami quelle reliquie, si ponevano sotto la mensa, su cui gli spiriti che gli animarono, dal cielo vedrebbero sacrificato Gesù. Così tutti quei buoni, anch’essi minacciati da quegli spettacoli di ferocia, che raccontavano, si stavano prostrati ai piedi dell’ara santa, come agnelletti da essere svenati la dimane, e dopo di avere mangiato il Pane divino, e bevuto al Calice dei forti, sorgevano dall’altare come leoni (così s. Giovanni (Hom. 61, ad Pop.) e s. Cipriano) terribili al diavolo ed agli amici suoi. Deh! in quel furore di tempesta quanto veniva loro bene gridare: « Liberateci, o Signore, dai mali passati, presenti e futuri; » e qui pieni di diffidenza di loro medesimi, confidare a Dio le proprie debolezze e tentazioni e la paura dei mali futuri. Qui col cuor di un figlio che piglia tutte le occasioni di parlar della madre noi facciamo questa osservazione. Tutti i fedeli del mondo cattolico dopo il Pater noster usano sempre a recitare l’ Ave Maria. Bene sta: si termina il Pater noster con una paurosa parola: a malo! In vero coll’inferno spalancato sotto dei piedi, nel pericolo di cader in peccato, ed offendere Iddio Santissimo, colla morte che ci corre incontro ad ingoiarci, l’Ave Maria è il grido dei figliuoli che chiamano la Madre a salvarli e poi è anche il sospiro della speranza di spirare tra le sue braccia. A ragion adunque nell’orazione libera nos si dice subito: « Per l’intercessione della Beata Vergine, genitrice di Dio, e dei beati Apostoli Pietro e Paolo, ed Andrea e di tutti i Santi ecc, ecc. » E poi così vivamente rinnovando la memoria della passione di Gesù Cristo, potevano dimenticarsi che ai piedi della croce stessa, nell’ora del gran Sacrificio, stava Maria? A questa potentissima Regina dei martiri, a questa più tenera delle madri si raccomandavano quei figli in procinto di essere martirizzati, e le correvano in seno con tutte le paure e speranze loro: poi ai beati Pietro e Paolo, e Andrea: a Pietro, su cui fu edificata la Chiesa (Cyp. ep. 71.); a Paolo, che tanto l’ha propagata e sublimemente istruita; ed Andrea, primo chiamato alla sequela del Signore (Bon. rerum liturg. lib. 2, n. 2). A tutti e tre in somma, che la confermarono col proprio sangue; ad essi, che precedendoli al martirio, bevettero il calice di Gesù con tutte le sue amarezze sino all’ultima goccia: poi a tutti i Santi, da cui per un istante eran divisi ancora, facevano supplica di aiutarli di forza in quei cimenti, in cui mentre tenevano dietro ai loro esempi così luminosi, sentivano il peso della propria infermità. Dio della bontà! ecco un mondo che viene a perseguitarci fino nei più reconditi recessi del santuario vostro! Ecco i popoli sconvolti cercano di rovesciarsi sul capo ciò che a loro sta sopra, e tutto sobbissare nella polvere e nel sangue; in questi giorni di procella, tra un passato che crolla, ed un avvenire che non si può formare di getto; noi per Gesù Cristo tranquilli nella vostra immutabilità, noi contempleremo il trionfo, che preparate alla vostra Chiesa sulle rovine dei vostri nemici. Ecco qual è la pace di Gesù; la pace del bambino in seno alla madre. Bella immagine, che parla ai sensi ed al cuore più ancora! Quando una madre prende in braccio il suo bambino, il bambino in quel seno non ha più paura, e dorme tranquillo e riposa dolcemente sul petto: e ne ha ragione, perché veglia per esso l’ amor della madre. Che, se alcun le si facesse vicino, o scuotesse con sorpresa il bimbo per risvegliarlo, come fosse sopra pericolo, gridandogli forte: « Bimbo, sta desto! Perché guai, se la madre ti dimentica un momento; aperte le braccia, cadi a sfracellarti per terra!: » la madre garrirebbe costui acremente; « che? gli direbbe, non lo porto io in seno, che sono sua madre? E l’amor della madre non si dimentica mai, che ha il bambino in braccio: e seppur si dimenticasse, le braccia della madre starebbero conserte per istinto, a tener fermo sul seno il figlio delle viscere sue. » Ed è così. Ora diciamo noi: e chi mai ha creato l’amore in petto alla madre? Iddio (crediamo!), da cui ogni paternità deriva; ed ha tale amore creato, perché sapeva che la creaturina sua di tanto avrebbe bisogno. Viva Dio! Il Creatore dell’amore ben ne avrà ancora in sé tanto serbato, per aver cura dei figli del Sangue del suo Gesù! Egli, così s. Giovanni Grisostomo, dei padri più indulgente, e più di madre tenero, dice per bocca del suo profeta (Is. XLIX, 15), che la madre può forse dimenticarsi del suo bimbo; ma non Egli di noi, che tutti ci porta in cuore. Così noi non possiamo a tenero padre, né a “più sincero amico, né a più potente, che sia Dio, abbandonare noi stessi per vivere più in pace. « Concedeteci propizio pace nei nostri giorni, affinché aiutati dall’opera della vostra misericordia, restiamo sempre liberi dai peccati, e da ogni perturbazione sicuri ecc. ecc. » Pregavano un po’ di pace per quei dì; pace perché potesse stabilirsi il regno di Gesù Cristo: pace, perché la Chiesa non venisse lacerata dalle discordie, e specialmente dalle eresie, amarezze maggiori per lei in quella pressura: ma che al tutto fossero liberati per Gesù Cristo dal peccato e dalle continue paure di tanti nemici, che loro fremevano d’intorno. – Ora per potere accompagnare quest’orazione con disposizioni convenienti ai nostri tempi, osserveremo: che nel recitare quest’orazione il Sacerdote posa le mani sulla mensa, come se si abbracciasse all’ altare per mostrare che sopra vi è Gesù, per cui possiamo con fiducia farci appresso al trono della misericordia per porgere le nostre suppliche (Heb., IV, 16 ). Qui noi pensando che se si mutarono i tempi, i bisogni della Chiesa ora sono forse maggiori, col cuor pieno delle antiche memorie e dei mali nuovi, non cessiamo mai di gridare attaccati all’altare: « Signore, Signore, per pietà liberateci da ogni maniera di mali, che c’invadono da tutte le parti: dai mali passati; e sono i peccati commessi, che ci tengono inquieti sull’esito della nostra salute: dai mali presenti, che sono le nostre passioni, le persecuzioni alla sordina contro i fedeli vostri, la guerra universale contro alla Chiesa, rotta dai nemici nostri e di Voi, che s’ingrossano ogni dì, e diventano ognora più audaci e minacciosi. Liberateci dai mali futuri: prima di tutto dalla perdita della fede, di cui siamo minacciati, conservateci pel vostro regno, e non ci mandate cogli empi in perdizione. E voi, o tenerissima Madre di Dio, al Signore che abbiamo offeso, dite per noi quelle parole di pietà che voi sola sapete: che, se egli è vero che siamo peccatori, siam pure i vostri figli, e voi la più buona madre: e le madri sono sempre madri, anche coi figliuoli che vorrebbero diventar buoni. Voi pure, o beati, Pietro, che dall’alto de’ cieli come capo della Chiesa presiedete ancora alle sue battaglie; Paolo, gran maestro delle nazioni; Andrea, che dalla croce consolavate il popolo fedele colle vostre parole, anche in mezzo ai terrori di morte; voi, Santi tutti, che nella gloria godete la pace, come corona delle combattute battaglie, a noi qui, drappello in combattimenti ottenete una coscienza senza rimorsi, la confidenza nel Dio delle vittorie, e la pace di Gesù Cristo. »

Divisione dell’Ostia. Continua la spiegazione

del!’ orazione: Libera nos ecc.

Chiediamo di poter insistere su questa parte della Messa, così poco avvertita, che pure così grandi e tenerissimi misteri contiene. Noi ci faremo a contemplare questi tre che vi si esprimono; osservando come pel primo si viene a significare esser Gesù Crocifisso fatto pace nostra: Ipse est pax nostra… solvens inimicitias in carne sua (Ephes. II, 14.). Nel secondo si figura la formazione della Chiesa. Nel terzo si ricordano e la risurrezione e la vita eterna in paradiso. Faremo ora di spiegare come si esprimono questi tre misteri in questo punto della Messa: e li noteremo coi numeri per distinguere dessi misteri dalle devote osservazioni.

I° Ecco in fatti come si esprime essere Gesù Cristo la pace nostra. Già prima d’incominciare quest’orazione il suddiacono nella Messa solenne sale sull’altare e rimette all’uopo la patena al diacono: il quale anticamente, come fassi ancora al presente in qualche Chiesa, la mostrava al popolo per invitarlo alla Comunione. Il Sacerdote prende da lui la patena, su di cui ha da deporre il Santissimo per distribuirlo in Comunione ai fedeli. Con essa fa il segno di croce sulla sua persona, e la bacia dicendo: « Date,propizio, pace nei nostri giorni, affinché siam sempre liberi dal peccato, e posti da ogni perturbazione al sicuro. » Col baciar la patena su cui si pone Gesù, viensi ad esprimere, che Gesù nel Sacramento appunto è nostra pace: perché in sulla croce in cui fu posto, Egli disciolse le nostre inimicizie (Eph. II, 14. Coloss. I, 20) nella sua carne crocifissa; è nostra pace, perché ci raccoglie tutti insieme, e vuole che siamo uniti in carità per disporci alla comunione (S. Hier. q. ad Rom.): è nostra pace perché ci ha riconciliati col suo Padre e ci fa adottare per figliuoli: è nostra pace, perché ora ci vuol dare Se stesso in pegno di quella pace che sarà la futura nostra beatitudine. Ecco il mistero accennato pel primo. – Continua l’ orazione: « Per il medesimo Signor nostro, il quale con Voi vive e regna Dio nell’unità dello Spirito Santo. » Ora prima di esporre, come si esprima il mistero, che accennammo, intorno alla formazione della Chiesa, continuando a riscontrarci nella meditazione nostra sulla passione del divin Redentore, premetteremo alcune piissime osservazioni, che all’accennato mistero ci condurranno. Il Sacerdote bacia la patena, la quale significa la lapide del santo Sepolcro; e questo rito esprime la pietà delle donne, che, comprati gli aromi, vennero per ungere Gesù. Esse, poverine! si davano pensiero del gran sasso, che non avrebbero potuto smuovere. Ma Gesù Cristo le consolò. Con quel bacio si esprime la grazia, di che Egli degnolle, nella sua apparizione. Egli le salutò, ed esse verisimilmente gettatesegli innanzi, cercarono di baciargli i piedi santissimi. Intanto il Sacerdote, deposto il SS. Corpo sopra la patena, scopre il calice, l’ adora genuflesso; prende l’Ostia colla mano destra, e la solleva sopra il calice, e nel dividerla in mezzo, dice: « Pel medesimo Signor nostro Gesù Cristo. » Depone la parte, che gli resta nella destra, sopra la patena; poi dalla parte, che egli tien sopra del calice nella sinistra, divide una porzione; e colla destra ritenendola ancora sul calice sollevata, quella che gli resta nella sinistra, depone presso alla prima sulla patena, nel dire: « Il quale con Voi vive e regna nell’unità dello Spirito Santo. » Questo dividere, che fa il sacerdote, dell’Ostia in tre parti, l’abbiam noi dagli Apostoli imparato: anzi da Gesù medesimo, il quale, quando ci donava la SS. Eucaristia nell’ultima cena, la divideva colle sue mani, distribuendola a tutti i discepoli (Matt, XXIV, 26). Così ci dava modo di saziarci tutti a nostra volontà di questo cibo celeste; e di potere tutti insieme noi, umana famiglia, raccoglierci alla mensa del comune Padre e comunicare con Esso nel bacio santo di carità. E siccome l’Eucaristico Sacramento esprime in modo particolare questa riconciliazione universale, ed unione di carità; così Gesù con un miracolo d’amore divinamente ingegnoso lo ordinava in modo, che nel dividere in parti, potessero i suoi fedeli per esso comunicarsi con Dio e con tutti i fratelli, anche quelli che non avrebbero potuto godere la sorte di trovarsi presenti. Anticamente i diaconi erano incaricati di portare agli assenti, agli infermi, e fino nelle carceri ai confessori questo pegno di pace e di carità divina. – Fermiamoci un istante a pensare a quei generosi in carcere per Gesù Cristo, che tornavano forse dagli interrogatorii, in cui si era cercato di convincerli e persuaderli a rinunciare alla fede con quegli eloquenti argomenti, che sono i letti di ferro e le torture danti uno stiramento a slogar loro le ossa, e le ruote dentate facenti un giro a lacerare loro la carne, ad ogni lor franca parola. Tornavano adunque da quelle prove crudeli; ed ecco appunto il diacono aveva ottenuto di penetrare ad essi travestito; e portava in buon punto Gesù, mandato dalla santa Messa coi saluti dei fedeli, che avevano con tanto fervore pregato per loro, e che a loro si raccomandavano. Ben pareva a quei forti di vedere quasi cogli occhi Gesù entrar nel carcere, per dare loro la pace e sostenere con essi le catene, i ceppi, la morte. « Deo gratias, » dicevano quei santi, per dire: « Dio sia benedetto! presto ci ciberemo insieme nel banchetto del Padre celeste in paradiso. » Era pure costume di conservar nelle chiese la SS. Eucaristia; e si trovano nei monumenti dell’antichità cristiane certe custodie in forma di colombe che si tenevano sospese sopra l’altare, dove si riserbava per essere all’uopo distribuita agli infermi, agli assenti e per essere adorata dai fedeli: se la portavano gli anacoreti negli eremi, i fedeli in casa. Si conservano veli e pezzuole ricchissime in cui si ravvolgeva. Ora qui vorrebbe la pietà che noi parlassimo della reale presenza del SS. Sacramento: ma ci riserbiamo di contemplare questo tutto nostro tesoro nel volume III, Prediche e Meditazioni. Del resto tutta questa opera corrisponde a questo scopo cioè mirabilmente stringerci intorno a Gesù e farci con Lui santi qui, per possederlo in paradiso. Ma la santa Messa va di pari passo colla passione di Gesù Cristo: e questa nella passione è l’ora della maggior pietà. Quando, spirato il benedetto Gesù, i crocifissori ed i nemici suoi in quel tenebrore con neri pensieri e con orribile rimorso nell’anima si ritiravano da quel tristo monte taciturni ed atterriti, alcuni di essi già ravvedendosi si fermavano da lungi, ed alzando gli occhi spaventati al Corpo di Gesù pendente da quella croce, si picchiavano il petto, dicendo sommessamente: « Tristi a noi, che abbiam mai fatto! Misericordia, misericordia! » Intanto giravano voci di tremende apparizioni; si diceva, che si eran veduti cadaveri e scheletri fremere orribilmente in gola agli spalancati sepolcri: che s’era spezzata la rupe del Calvario, come è ancor veramente: e il velo del tempio da cima a fondo squarciato. Qui già cominciavano a girare intorno alcuni più amici di Gesù, e farsi più appresso alla croce, ed al vederlo là morto, empire le mani di pianto! Poi si davano faccenda per usare a Gesù quel poco di carità ultima, che per loro si poteva, preparandosi a staccarlo di croce, e ricoverarlo in sepolcro. Maria Maddalena e Giovanni e le pie donne, fissi gli occhi sul morto Gesù, con ansioso lamento stavano tutti esterrefatti ed atterriti, e tratto tratto lasciavano cadere lo sguardo sulla santissima sua povera Madre… E Maria?… Ci manca il cuore a dirne parola! perché fino lo Spirito Santo non volle dir altro che: « stava…. sotto la croce di Gesù la sua Madre Maria!… » – Piovevano ancor le gocce di Sangue, ed intanto già si mettevano all’opera pietosa di deporlo dalla croce, tutti dicendosi in cuore quei buoni, che avrebbero fra poco baciato lui morto fra le braccia della SS. Madre di tutti i dolori! Così adoperavansi in quella infinita pietà. Ed ora appunto il diacono col dare il segno al popolo di farsi vicino, e il Sacerdote nel segnare, che fa, se stesso di croce colla patena col baciarla, e col deporre Gesù sulla patena, fanno segno di prepararci a pianger del cuore sopra Gesù con quella tenerissima pietà, con cui Giuseppe, Nicodemo, e gli altri pii lo deponevano dalla croce. Il cuore ha da fare qui tutta la sua parte. Il Sacerdote, abbiam detto, tiene il corpo di Gesù sollev«««ato sopra del santo calice. Deh! lasciamo correre ancora uno sguardo con quei santi e con Maria SS. sopra Gesù, misticamente qui dinanzi, come sulla croce, spirato. Ecco quel Corpo, che pendeva giù da quei chiodi con orribili squarci! eccolo col Capo sul petto tutto pieno di Sangue, che dalle spine stilla giù ancora grommato. Ve’ quegli occhi lividi e spenti e quella bocca ancora semiaperta, per dirci l’ultima sua parola al cuore. No: Egli è spento! Non dice più parola; ma parlano per noi tutte le sue Piaghe; parla Maria nel suo mar di dolori, che allarga le braccia e le mani per ricoverarselo in seno almeno morto, il suo Gesù!… « O santissima Madre, aspettate; ché per voi faranno i buoni, che vi piangon d’intorno! » Ma chi viene innanzi? Chi?… Un soldato che fieramente lo guarda, e trovatolo estinto, ah! gli dà della lancia nel petto: in quel gran colpo gli squarcia il Cuore. Ah! mette un grido Maria; ché « propriamente, dice s. Bernardo (Sermo de 12 stelle), Maria si ebbe nel cuore quel colpo, non Gesù, che non aveva più l’anima là, mentre la Madre non si poteva da quel Cuore divellere. » Così la ferita del Costato di Gesù, si può dire ferita al cuor di Maria! E Maria a quel colpo lascia cadere giù le braccia: e sotto le braccia, ah! buon Gesù! si trova d’avere con Giovanni noi, divenuti a piè della croce a Lei figliuoli. Oh! sì, che nel vederci ancora qui intorno all’altare rossi del Sangue di Gesù (Io. Chrys. De Sacer 2) deve ben esclamare: « miei figliuoli, che mi costate sì caro, per salvarvi vi voglio riporre in questa mia ferita del Costato divino.» Intanto sgorga giù a terra, misto coll’acqua, l’ultimo Sangue, il Sangue, diremo, più vitale di Gesù, Cristo. Ed ecco come in questo punto si figurano la Chiesa e le sue varie parti, che è il secondo mistero, che abbiam detto significarsi qui nella Messa.

II. Come ad Adamo addormentato fu tratta una costa di petto, e ne fu da Dio creata la madre degli uomini, condannati poi alla morte pel peccato; così dal Costato di Gesù Cristo dormiente in quel sonno di morte, esce purificata e rigenerata nel Sangue divino la Madre dei viventi, la sposa di Dio, la Chiesa (S. August. lib. 2, de Genes. contra Man. v. 24). Ammirando mistero! Nel calice fu infusa l’acqua per esprimere il popolo cristiano. Perché poi quello che era vino, e si mischiava col l’acqua nel calice, ora è vivo Sangue di Gesù Cristo; ed in Gesù la natura umana si tocca, si unisce, si bacia, si accoppia colla Divinità: perciò la natura nostra collegandosi colla Divinità, si rinnovella a vita eterna, ed in Lui si rigenera l’umanità. Piglia adunque in Gesù Cristo capo e cominciamento una nuova generazione: rirnpastandosi nell’acqua del Battesimo, per dirla con Tertulliano, di Spirito Santo la natura umana, ed immollandosi l’umanità nel balsamo vivificatore e ristoratore della Divinità nel divin Riparatore. Ggsù poi trasfonde questo principio divinizzato in noi, come la vite mette il sugo vegetale nel tralcio, che le sta unito (Jo XV., 5). Ad esprimere poi questa generazione rinnovellata, che è la Chiesa, sgorgò fuori del petto squarciato di Gesù Acqua mista col vivo Sangue (Bened. in infas. e Missal.), per fare intendere come nella Chiesa vi sia e il popolo cristiano significato nell’acqua, e con esso vi sia incorporato Gesù, che col Sangue suo comunica a questa madre la potenza di generare figliuoli a Dio in modo purissimo ed ineffabile (S. August. De siinb. et serin. 12 de temp.) per mezzo dei Sacramenti. Si, da questo Sacratissimo Cuore di Gesù Redentore esce quel Sangue divino, che lava nel Battesimo le anime dei rigenerati: che li consacra col Crisma dei forti: che con noi s’imrnedesima nell’Eucarestia: che ci monda e santifica nella Penitenza: che infonde la virtù ad operare prodigi ineffabili nei sacri ministri: che consacra i nostri matrimoni (Uomini animali, che non comprendono le cose di Dio, si preparano con opere indegne e laide ad esse:e consecrati col Sangue di Gesù nel Matrimonio, che s. Paolo chiama il Gran Sacram., che rende così sacra la società coniugale; anzi la civiltà corrotta cerca di sconsacrare, e disvolgere il primo elemento del civile consorzio riducendo ad un atto civile il matrimonio. Ma vi è una fiera che rugge e si getta sulla società a vendicare il sacrilegio, la fiera del divorzio, che strugge le umane famiglie. Tolto via il ritegno del Sacramento, nessuna legge umana può impedire, senza esser tiranna, che coloro che hanno fatto il contratto, non sciolgano il contratto a volontà): che finalmente dà l’ultima mano a ristorare alla vita eterna le nostre persone; quasi nei sette sacramenti, secondo la viva espressione di Tertulliano, rimpastandgsi di Spirito Santo l’umana natura. Sangue propiziatore, di cui sono bagnate le porte, per cui entrano nella Chiesa e nel paradiso coloro che si salvano! Cuore amabilissimo, che fu dato da Gesù a consumare l’opera della redenzione, secondo l’espressione dello Spirito Santo (Eccl. 38, 31): perciò, consumato il divin Sacrificio, si lasciò squarciare il cuore. S. Giovanni Grisostomo e con lui s. Agostino osservano come ne sgorgasse il Sangue misto all’acqua dal cuore, affinché n’uscisse il Sangue a ricrearci, ed immedesimarci con Lui a vita eterna. – Convengono di fatto gl’interpreti, che nella divisione della SS. Ostia in tre parti si rappresentano assai bene le tre porzioni della Chiesa, unite nel gran Capo Divino (S. Thom. 3 p., q. 85, a. 5, et Innoc. III, lib. 5 Myster. Mis:. cap. 3). Nella prima porzione rimessa sull’altare è Gesù Cristo, una delle specie divise, che colla virtù del suo Sangue, dal sacrificio versa e fa discendere continuamente sull’anime del purgatorio il refrigerio, la luce, e la pace (Innoc. III, lib. 4, Myster 3fiss., c. 3.). Nella porzione dell’Ostia SS., che coll’altra mano il Sacerdote depone ed unisce alla prima, è Gesù che dal seno del Padre s’accompagna alla Chiesa militante, che siamo noi; la guida e la sorregge nella battaglia; e pel Sacrificio che fa con essa, la prepara a salire coll’altra porzione al trionfo nella patria celeste. Per essa intanto Egli s’abbassa a regnar sulla terra: perché la Chiesa, che qual Eva novella gli esce dal petto, per la virtù del Sangue di Gesù genera figliuoli, adoratori fedeli, che formano il suo regno in terra, e che gli faran corona in paradiso. Nella porzione, che tien sollevata sopra il calice, è Gesù, che beatifica la Chiesa in Gloria (S. Thom. 3 p. q. 83, a. 5.). Sopra quel calice l’adorano i celesti e si letificano del profumo divino che manda in cielo il Sacrificio del Verbo, Splendor della gloria, che regnando col Padre e collo Spirito Santo, gli alimenta di sua beatitudine in paradiso per tutti i secoli dei secoli. Aggiungeremo a pascolo di pietà un’altra esposizione di s. Bonaventura (Opusc. Pers. 3. expos. Miss., c. 4.), il quale dice, che la particola deposta sull’altare significa che la Carne di Cristo nella passione fu deposta e subì l’azione della morte, e le due parti fuori del calice esprimono l’Anima che restò immortale, e la Divinità pure immortale ed impassibile. – Ora ci resta a dire ‘del terzo mistero espresso in quest’orazione, cioè della risurrezione e della vita eterna.

III. Ecco glorificato il paradiso, consolati i defunti, santificati i fedeli; il Sacerdote tenendo sospeso sopra il calice il santissimo Corpo, fa con questo sopra il calice stesso tre croci, dicendo: « La pace del Signore sia sempre con voi. » Il popolo risponde: « e collo spirito tuo. » Poi depone entro il calice la sacra particola che tiene in mano. Ma deh! ora che vediamo ancora? L’Ostia SS., che è il Corpo di Gesù, discende per man del Sacerdote nel santo calice, e si frammischia nelle specie col SS. Sangue? Contempliamone il mistero consolantissimo! Qui sull’altare, per rappresentare la mistica morte di Gesù Cristo sta deposto il Corpo sotto le forme delle specie diverse, diviso dal Sangue, per mettere misticamente sotto gli occhi, come era difatti nella morte reale là sulla croce il Sangue tutto versato da quel Corpo pendente, lacero e dissanguato. Ma come Gesù poi nel risorgere riassunse il Sangue nel suo Corpo, che riprese vita: cosi ora qui, secondo Innocenzo III e Benedetto XIV (Inn. III, Myst. Miss. liv. 5, c. 3), nell’atto dell’unire, che si fa dal Sacerdote, il Corpo col Sangue divino nel calice, si esprime appunto la riunione del Sangue col SS. Corpo nel momento della risurrezione. Riassuntosi nel Corpo di Gesù il SS. Sangue, si diffuse nelle vene, e l’anima benedetta allora rianimandolo, fece con quello battere quel Cuore del battito della vita immortale, a cui risorgeva, nella beatitudine della divinità da Lui inseparata. – Tergiamo noi dunque il pianto, e diamo luogo a tutta la consolazione. Nel farsi le tre croci e nell’invocare la pace sopra del calice, si esprime la SS. Trinità, che restituisce l’Anima al Corpo di Gesù, affinché non veda la corruzione (S. Thom. 3 p., q. 43, a. 5. Inn. III, lib. Myst. Miss.). E l’istante in cui l’anima di Gesù discende nel sepolcro, si unisce al Corpo (Sergius Papa apud D. Bon. ia expo. Miss. Inn. III, lib. 6 cap. I.), ne spezza i vincoli di morte; rifiorisce l’aspetto suo di celeste bellezza: l’occhio brilla di una luce divina: palpita il cuore del palpito immortale della beatitudine: si trasfigura carne e diventa impassibile, in istato come di lui agile e spirituale : così risorge a vita il Trionfatore della morte. Balza via la pietra rovesciata dall’Angelo, e lascia vedere dentro il vuoto sepolcro e le sacre bende a terra, segnali di morte trionfata. – Angeli sfolgoranti di splendor brillantissimo annunziano il trionfo di Gesù che è risorto. Ministri di morte, da quella tomba fuggite: fugge anche la morte, e guarda attonita fallito il colpo, e rotta la lancia nella tremenda mano. Ecco i morti escono vivi dai loro sepolcri, van pubblicando colla testimonianza della lor miracolosa risurrezione, che orrende prigioni della morte furono spezzate da una forza da cui essa fu vinta. Approssimiamoci colla più viva ed ardente carità a questo sacro Corpo (Io. Chrys. hom. 24, I ad Cor.). Ma ritorniamo al sacerdote per osservare, con sull’istante di deporre la SS. Ostia nel calice, col Corpo di Gesù tre croci sopra del calice e dice: « la pace † del Signore sia † sempre con noi †. » Con queste tre croci sopra la bocca del calice pare che si vogliano figurare le tre donne, che cercavano di Gesù sull’entrata del santo Sepolcro, di cui la bocca del calice esprimerebbe l’entrata (Inn. III, lib. 6, Myst. Miss. cap. 2.). Significano anche che tutto è crocesignato nella Chiesa, che dalla croce derivano le sue vittorie. Coll’invocare la pace significa, che non solamente pel merito del divin Sacrificio verremo assorti in Dio, e troveremo pel Redentore la pace in unione col Padre, col Figlio, collo Spirito Santo; ma ancora che per Gesù, in seno alla sua Chiesa, per mezzo de’ suoi precetti, consigli e Sacramenti, l’anima con coscienza senza rimorsi, già crocifissa nelle passioni, tranquilla tra le braccia di Dio, gode coi fratelli quella anticipata concordia, che si ha da godere eterna in paradiso (S. Hier. ep. ad Rum.), perché le guerre vengono dalle passioni traboccanti. La pace vera poi si gode dall’anima, quando essa vuole solo quel che vuole Iddio, e come lo vuole Iddio. Il popolo dovrebbe rispondere al Sacerdote con lagrime d’infinita gratitudine: « sia pure così, Amen! » Il Sacerdote poi nell’infondere nel calice santo il Corpo dice:

L’orazione: Hæc commixtio.