TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (13) “da GREGORIO III a BENEDETTO III”

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (13)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

(Da Gregorio III a Benedetto III… )

GREGORIO III: 18 marzo 731-28 (29?) – Novembre 741

Lettera “Magna nos habuit” al vescovo Bonifacio, 732 ca.

Battesimo di dubbia validità.

582. Per quanto riguarda coloro che hai detto essere stati battezzati daI pagani, se è così, ti ordiniamo di battezzarli di nuovo nel nome della Trinità. … Ma ti ordiniamo anche che siano battezzati coloro che dubitano se siano stati battezzati o meno, o che siano stati battezzati da unpresbitero che sacrifichi a Giove e mangi carne sacrificale.

583. Avete chiesto se è lecito offrire oblazioni per i morti.La santa Chiesa ritiene che ognuno possa presentare oblazioni per i suoi morti veramente Cristiani, e che i presbiteri possano ricordarli. E anche se tutti siamo soggetti al peccato, è opportunoche il Sacerdote si ricordi dei Cattolici defunti ed interceda per loro. Ma questo non sarà permesso agli empi, anche se fossero Cristiani.

ZACCARIA: 10 (3?) dicembre 741-22 (15?) Marzo 752

586. Lettera “Suscipientes sanctissimae fraternitatis” all’Arcivescovo Bonifacio di Magonza, 5 novembre 744.

Simonia

(2) Abbiamo trovato (in una lettera di Bonifacio al Papa)… che ci è stato riferito da te che noi saremmo dei corruttori dei canoni e che cercheremmo di abrogare le tradizioni dei Padri, e che così facendo – Dio non voglia! – avremmo ceduto con i nostri chierici all’eresia simoniaca, accettando ricompense, o chiedendo a coloro a cui conferiamo il pallio di concederci ricompense chiedendo loro denaro, … (A Bonifacio viene chiesto di non scrivere più cose del genere), perché riteniamo impudente e offensivo che ci venga attribuito ciò che aborriamo totalmente. Lungi da noi e dai nostri chierici vendere per denaro ciò che abbiamo ricevuto per grazia dello Spirito Santo. … Anzi, anatematizziamo tutti coloro che osino vendere per denaro un dono dello Spirito Santo.

Concilio di Roma, terza sessione, 25 ottobre 745.

587. La discesa di Cristo agli inferi.

…Clemente, che nella sua stupidità rifiuta le determinazioni dei santi Padri e tutti gli atti sinodali, e che introduce anche il giudaismo per i Cristiani quando afferma che si può prendere in moglie la vedova di un fratello defunto, e che, inoltre, proclama anche che il Signore Gesù Cristo, scendendo agli inferi ne abbia tratto i pii e gli empi, deve essere spogliato di tutti gli uffici sacerdotali e gettato nelle catene dell’anatema.

588. Lettera Virgilius e Sedonius” all’arcivescovo Bonifacio di Magonza 1 luglio 746 (745?).

L’intenzione e la forma richiesta per il Battesimo.

Ci è stato riportato che in questa provincia c’era un Sacerdote che ignorava totalmente la lingua latina e che, quando battezzava, non conoscendo la pronuncia latina, diceva, distorcendo la lingua “Baptizo te in nomine Patria et Filia et Spiritus Sancti”. E per questo motivo la vostra venerabile fraternità ha pensato di ribattezzare. Ma… se colui che battezzava, mentre battezzava, pronunciava come abbiamo appena detto, non per introdurre l’errore o l’eresia, ma solo per ignoranza della lingua romana, noi non possiamo accettare che siano ribattezzati…

589. Lettera “Sacris liminibus“, all’Arcivescovo Bonifacio di Magonza 1 maggio 748.

L’intenzione e la forma richieste per il Battesimo.

In questo (Sinodo degli Inglesi) è stata manifestamente prescritta con fermezza e dimostrata con cura che chiunque fosse purificato senza l’invocazione della Trinità non avesse il Sacramento della rigenerazione. Questo è vero, perché se qualcuno si immerge nella fonte del Battesimo senza l’invocazione della Trinità, non è perfetto, e se non è stato battezzato nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. … I Sacerdoti del suddetto sinodo vollero che fosse osservato anche che se qualcuno, nel Battesimo, ometta di nominare una sola delle Persone della Trinità, non possa essere un Battesimo, il che è certamente vero; perché chi non ha confessato una delle Persone della Trinità non può essere un perfetto Cristiano.

STEFANO II (III): 26 mars 752-26 Aprile 757

Risposte di Qierzy (Oise), 754

La forma del Battesimo.

592. (Risposta 14). Quanto a quel presbitero che battezzava in modo così rude: Io mi immergo nel nome del Padre, e mi immergo nel nome del Figlio e mi immergo nel nome dello Spirito Santo, e che anche come Sacerdote non sa se sia stato un Vescovo a benedirlo: costui, che ignora la sua ordinazione, deve assolutamente essere deposto; ma i bambini che ha battezzato, anche se in modo rude, dal momento che sono stati battezzati nel nome della Santa Trinità, rimangano in quel Battesimo.

PAOLO I: 29 maggio 757 – 28 giugno 767

STEFANO III (IV): 7 agosto 768 – 24 gennaio 772

ADRIANO I: 9 febbraio 772-25 Dicembre 795

Lettera “Institutio universalis” ai Vescovi di Spagna, tra il 785 febbraio el 791.

L’errore degli adozionisti.

595. … Dalla vostra regione ci è giunta la triste notizia che alcuni dei Vescovi che soggiornano lì, Eliphand ed Ascaricus, con altri che sono d’accordo con loro, non arrossiscono di confessare il Figlio di Dio come figlio adottivo, sebbene nessun eresiarca abbia osato pronunciare una simile bestemmia, ad eccezione di quell’empio di Nestorio, che ha confessato il Figlio di Dio essere un semplice uomo …

Predestinazione.

596. Ma non è vero quello che dicono altri nelle loro file, cioè che la predestinazione alla vita o alla morte sia in potere di Dio e non nostro. Alcuni dicono: “Perché ci sforziamo di vivere, visto che è in potere di Dio?” altri dicono: “Perché preghiamo Dio di non essere vinti dalla tentazione”, visto che è in nostro potere grazie al libero arbitrio? ” In verità non possono né giustificarlo né sentirne la ragione, dal momento che non conoscono gli scritti del Beato Fulgenzio al presbitero Eugippio contro le parole di un pelagiano: “Dio ha dunque predisposto nell’eternità della sua immutabilità opere di misericordia e di giustizia […]; ha quindi predisposto meriti per gli uomini che debbano essere giustificati; per gli stessi uomini, che devono essere glorificati, ha preparato per loro delle ricompense; ma per i malvagi non ha preparato volontà o opere malvagie, ma tormenti giusti ed eterni. Questa è la predestinazione eterna delle opere di Dio a venire, e noi la proclamiamo con tanta fiducia quanto sappiamo che ci venga sempre proposta dalla dottrina apostolica.

2° Concilio di NICEA (7° ecumenico)

24 settembre – 23 ottobre 787

7a sessione, 13 ottobre 787.

Definizione sulle immagini sacre

600. … Avanzando sulla via regale ed aggrappandoci all’insegnamento divinamente ispirato dei nostri santi Padri e alla tradizione della Chiesa cattolica, che noi riconosciamo essere quella dello Spiritoche abita in essa, decidiamo, con tutta la precisione e l’accuratezza possibile, che per quanto riguarda larappresentazione della croce preziosa e vivificante, siano collocate le venerabili e sante immagini, mosaici o opere di qualsiasi altro materiale idoneo, nelle sante chiese di Dio, su oggetti o  paramenti sacri, sui muri e sui quadri, nelle case e sulle strade; l’immagine dinostro Signore, Dio e Salvatore Gesù Cristo, quella della nostra Signora senza macchia, la santa Madre di Dio, quella degli Angeli, degna del nostro rispetto, quella di tutti i Santi e i giusti.

601. Anzi, più li vediamo, grazie alla loro rappresentazione in immagini, più siamo portati a ricordare e ad amare i modelli originali e a rivolgere loro un saluto ed una venerazione rispettosa; non la vera adorazione propria della nostra fede, che è propria solo della natura divina,ma come si fa per la rappresentazione della croce gloriosa e vivificante, per i santi Vangeli e per tutti gli altri oggetti sacri; ed in loro onore si porteranno incensi e lumini, secondo il pio costume degli antichi. Perché “l’onore tributato all’immagine va al modello originale,e chi venera l’immagine venera in essa la Persona di Colui che essa rappresenta”.

602. Così sono confermati gli insegnamenti dei nostri santi Padri, la tradizione della Chiesa cattolica, una Chiesa che da un capo all’altro della terra ha accolto il Vangelo; così ci atteniamo a Paolo, che ha parlato (in 2 Cor II,17) a tutta la divina assemblea degli Apostoli e alla santità dei nostri Padri, tenendo fede alle tradizioni che abbiamo ricevuto (2Th II, 15); così cantiamo profeticamente gli inni che celebrano la vittoria della Chiesa: “Rallegrati, o figlia di Sion, alza la voce, o figlia di Gerusalemme, esulta e rallegrati con tutto il cuore; il Signore ha tolto dall’intorno a te le ingiustizie dei tuoi avversari dalla mano dei tuoi nemici; il Signore è re in mezzo a te; non vedrai più il male.”, e la pace sarà su di te per sempre (So III,14ss.).

603. Coloro che osano pensare o insegnare diversamente, o che seguono i maledetti eretici, disprezzano le tradizioni della Chiesa e immaginano qualche novità, o rifiutano uno qualsiasi degli oggetti consacrati offerti allaChiesa, Vangeli, rappresentazioni della croce, immagini o sante reliquie di un martire; oppure immaginanomanovre tortuose ed ingannevoli per rovesciare qualcosa nelle legittime tradizioni della Chiesa cattolica; oppure far servire oggetti sacri o monasteri sacri a scopi profani: a tutti questi, se sono Vescovi o chierici, ordiniamo di essere deposti; se sono monaci o laici, di escluderli dalla comunione.

8a sessione, 23 ottobre 787.

Elezioni ai sacri ministeri

604. Qualsiasi elezione di un Vescovo, di un Sacerdote o di un diacono fatta dai principi è nulla, secondo ilcanone (Canone degli Apostoli 30) che dice: Se un Vescovo, ricorrendo a principi secolari, entra per mezzo di questi inpossesso di una chiesa, sia deposto e con tutti coloro che accettano la sua comunione. Infatti, colui che debba essere elevato all’Episcopato deve essere eletto dai Vescovi, come è stato deciso dai santi Padri riuniti a Nicea, nel canone (can. 4) che dice: È molto opportuno che un Vescovo sia stabilito da tutti i Vescovi della provincia; se ciò dovesse risultare difficile, o per necessità urgenti, o per la lunghezza del cammino, è necessario in ogni caso che tre Vescovi si riuniscano nello stesso luogo, e anche gli assenti diano il loro voto ed esprimano il loro consenso per iscritto – e poi procedere all’ordinazione. La piena autorità su ciò che venga fatto è datain ogni provincia al metropolita.

Sulle immagini, l’umanità di Cristo e la tradizione della Chiesa

605. Ammettiamo le immagini venerabili; chi non le giudica tali, lo sottoponiamo all’anatema.

606. Se qualcuno non confessa che Cristo nostro Dio sia circoscritto secondo l’umanità, che sia anatema…

607.

Se qualcuno non ammette le presentazioni del Vangelo fatte con immagini, sia anatema…

608. Se qualcuno non saluta queste immagini, fatte nel nome del Signore e dei suoi santi, sia anatema.

609. Se qualcuno rifiuta tutta la tradizione scritta o non scritta della Chiesa, sia anatema…

Lettera “Si tamen licet” ai Vescovi di Spagna, tra il 793 e il 794.

L’eresia dell’adozionismo

610. La giustificazione addotta per l’eresia dell’adozione di Gesù Cristo, il Figlio di Dio, deve essere respinta come altre cose, perché si basa su argomenti falsi; in essa si può leggere la zizzania delle parole eretiche da una penna disordinata. Questo la Chiesa cattolica non l’ha mai creduto, non l’ha mai insegnato e non ha mai acconsentito a coloro che l’hanno creduto falsamente.

611. Infatti, egli stesso (Cristo) ha reso noto, a proposito di se stesso, di chi è Figlio, quando ha detto di aver proclamato agli uomini il nome del Padre. Egli dice: “Ho rivelato il tuo Nome agli uomini che mi hai dato dal mondo” Gv XVII,6 . Il Nome del Padre è stato fatto conoscere una volta agli uomini quando si è fatto conoscere come il vero Figlio, non putativo, proprio e non adottivo. Ma è necessario notare che si dice: “agli uomini che mi hai dato”. Di quegli uomini, infatti, che il Padre gli aveva dato e che aveva eletto prima della costituzione del mondo, non fanno parte coloro che lo confessano come figlio adottivo e non come Figlio suo, come se per un momento fosse stato estraneo al Padre o si fosse allontanato da Lui prendendo carne, mentre era un’unica volontà del Padre e del Figlio che il Verbo si facesse carne, come sta scritto: “Fa’ che io faccia la tua volontà; Dio mio, io l’ho voluta” Sal XXXIX, 9. Per questo dice altrove: “Salgo al Padre mio e Padre vostro” Gv XX, 17. Dice proprio “mio” e “vostro”, cioè suo non per grazia ma per natura, ma nostro per grazia di adozione. Inoltre, il Figlio non è mai stato, perché il Padre non è mai stato. Sempre e ovunque lo chiama espressamente suo Padre. Il Padre mio – dice – opera fino ad ora e anch’io opero” (Gv V, 17); e ancora: “Padre, glorifica il tuo Figlio, affinché il tuo Figlio glorifichi te” (Gv XVII, 1), e: “Quello che il Padre mio mi ha dato è più grande di tutte le cose” (Gv X, 29). – Ma se nelle loro astute prevaricazioni pensano che tutto ciò che abbiamo esposto sia da riferire solo alla divinità del Figlio di Dio, dicano dove Egli ha mai detto con un sentimento comune a noi “Padre nostro”. “Il Padre vostro – dice – sa di cosa avete bisogno”. Non dice “nostro”, come se fosse stato adottato con noi per grazia. E altrove: “Siate dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt V, 48). Perché non ha detto “nostro”? Perché Egli è altrimenti nostro ed altrimenti suo. Poi dice ancora: “Se voi, che siete cattivi, sapete dare buoni doni ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà uno spirito buono a coloro che lo pregano? “Lc XI, 13 ecc. Poi Paolo, il vaso scelto, dice: “Dio non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi”, Rm VIII, 32. Sappiamo infatti che non è stato consegnato secondo la divinità, ma secondo il suo essere vero uomo.

Concilio di Francoforte (sul Meno), intorno al giugno 794.

a) Lettera sinodale dei Vescovi del regno dei Franchi ai vescovi di Spagna.

612. .. Infatti, all’inizio della vostra lettera troviamo scritto che affermate: “Confessiamo e crediamo che Dio, il Figlio di Dio, sia stato generato dal Padre prima di tutti i secoli e senza inizio, coeterno e consustanziale, non per adozione ma secondo la discendenza”. Allo stesso modo, nello stesso luogo leggiamo: “Confessiamo e crediamo che, fatto da donna, fatto sotto la legge, Gal IV,4, non è Figlio di Dio per discendenza ma per adozione, non per natura ma per grazia. Questo è il serpente che si nasconde tra gli alberi da frutto del paradiso per ingannare tutti gli incauti…”.

613. Allo stesso modo, ciò che avete aggiunto di seguito, non lo abbiamo trovato affermato nella professione di fede del simbolo niceno: “in Cristo due nature e tre sostanze” Lettera “regi regum” all’Imperatore Costantino IV intorno all’agosto 682 e “uomo deificato” e “Dio umanizzato“. Qual è la natura dell’uomo, se non l’anima e il corpo? O qual è la differenza tra “natura” e “sostanza”, per cui dovremmo parlare di tre sostanze e non semplicemente, come dicono i santi Padri, confessare nostro Signore Gesù Cristo vero Dio e vero uomo in una sola Persona? Ma la persona del Figlio è rimasta nella Santa Trinità; a questa Persona è stata unita la natura umana, così che c’è una sola Persona, Dio e uomo, non un uomo divinizzato e un Dio umanizzato, ma Dio uomo e l’uomo Dio: per l’unità della Persona, un solo Figlio di Dio, e lo stesso Figlio dell’uomo, Dio perfetto, uomo perfetto. L’uomo è perfetto solo con l’anima e il corpo…; né neghiamo che in Cristo siano realmente presenti questi tre elementi, cioè la divinità, l’anima e il corpo. Ma poiché Egli è veramente chiamato Dio e uomo, nel nome “Dio” è designato tutto ciò che è di Dio, e in quello di “uomo” è compreso tutto ciò che è uomo. Perciò è sufficiente confessare in Lui l’uno e l’altro: la perfetta sostanza della divinità e la perfetta sostanza dell’umanità… L’uso ecclesiastico è di nominare in Cristo due sostanze, quella di Dio e quella di uomo….

614. Se dunque è vero Dio colui che è nato dalla Vergine, come può essere figlio adottivo o schiavo? Infatti non osate confessare Dio come schiavo o come figlio adottivo; e anche se il profeta lo chiamò schiavo, non fu per la condizione di servitù, ma per l’obbedienza dell’umiltà con cui divenne per il Padre “obbediente fino alla morte”.

b) Capitolare del Concilio.

Condanna degli adozionisti.

615. Can. 1… All’inizio dei capitoli l’empia e blasfema eresia dei vescovi Elifandro di Toledo e Felice di Urgel e dei loro seguaci, che nel loro falso pensiero affermavano per il Figlio di Dio un’adozione: cosa che tutti i suddetti santissimi Padri con una sola voce contraddissero e respingessero, e decisero che questa eresia dovesse essere estirpata del tutto dalla santa Chiesa.

LEONE III: 27 dicembre 795-12 giugno 816

Concilio del Friuli, 796 o 797: professione di fede. Symbolo.

La Trinità divina.

616. (Dopo il Simbolo di Costantinopoli segue questo): Ma la santa Trinità, perfetta, inseparabile, ineffabile e vera, cioè il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo, la confesso senza divisione nell’unità della natura, perché Dio è trino e uno; cioè trino per la distinzione delle Persone, uno per la sostanza inseparabile della Divinità. Crediamo, quindi, che queste tre Persone… non siano solo in apparenza o come ipotizzato, ma vere, sussistenti, coeterne, coeguali e consustanziali…

617. Il Padre, vero Dio, è veramente e propriamente Padre, che da Se stesso, cioè dalla sua sostanza, ha generato il vero Figlio fuori dal tempo e senza inizio, coeterno, consustanziale e coeguale con Lui. E il Figlio, vero Dio, è veramente e propriamente Figlio, che è stato generato dal Padre in tutti i secoli… E mai il Padre fu senza il Figlio, né il Figlio senza il Padre. … – E lo Spirito Santo, vero Dio, è veramente e propriamente lo Spirito Santo: non generato né creato, ma procedente dal tempo e inseparabile dal Padre e dal Figlio. Era, è e sarà sempre consustanziale, coeterno e uguale al Padre e al Figlio. E mai il Padre o il Figlio sono stati senza lo Spirito Santo, né lo Spirito Santo senza il Padre e il Figlio.

618. Perciò le opere della Trinità sono sempre inseparabili, e nella Trinità non c’è nulla di diverso, dissimile o disuguale; nulla è diviso nella natura, nulla è confuso nelle Persone, nulla è maggiore o minore, nulla è prima o dopo, nulla è superiore; ma una sola e medesima potenza, una sola e medesima maestà, per sempre coeterna e consustanziale….

Cristo, Figlio di Dio per natura, non per adozione.

619. Ma di questa ineffabile Trinità, solo la Persona del Verbo, cioè del Figlio… è scesa dal cielo da cui non si è mai allontanata. Si è incarnato per mezzo dello Spirito Santo e si è fatto vero uomo dalla sempre vergine Maria, e rimane vero Dio. E la nascita umana e temporale non ha pregiudicato questa nascita senza tempo, ma il vero Figlio di Dio e il vero Figlio dell’uomo sono nell’unica Persona di Cristo Gesù; Egli non è: altro che è Figlio dell’uomo e altro che è Figlio di Dio, ma uno e lo stesso è Figlio di Dio e Figlio dell’uomo, in entrambe le nature, quella divina e quella umana, vero Dio e vero uomo; non è un Figlio di Dio putativo, ma vero; non un figlio adottivo, ma il suo stesso Figlio, perché mai la natura umana che ha assunto lo ha allontanato dal Padre. Perché solo Lui è nato senza peccato, perché solo Lui si è incarnato, uomo nuovo, dallo Spirito Santo e dalla Vergine immacolata. Egli è consustanziale a Dio Padre nella sua natura, cioè divina; consustanziale anche alla madre, senza macchia di peccato, nella nostra natura, cioè umana. Perciò confessiamo che in ciascuna delle due nature Egli sia Figlio di Dio e non figlio adottivo, perché, senza confusione e senza separazione, avendo assunto la natura umana, uno e lo stesso è Figlio di Dio e Figlio dell’uomo. È Figlio del Padre per natura secondo la divinità, e Figlio della madre per natura secondo l’umanità, ma propriamente Figlio del Padre in entrambi.

PASQUALE I: 25 gennaio 817 – 11 febbraio 824.

EUGENIO II: febbraio – maggio 824 – agosto 827

VALENTINO: agosto – settembre 827

GREGORIO IV: settembre (?)827 – gennaio 844

SERGIO II : gennaio 844 – 27 gennaio 847

LEONE IV : 10 aprile 847 – 17 luglio 855

Concilio di Pavia, 850.

Il Sacramento dell’unzione degli infermi.

620. (8) Anche questo salutare Sacramento, che l’Apostolo Giacomo raccomanda dicendo: “Se qualcuno di voi è malato?… gli sarà perdonato” (Giacomo V, 14), deve essere fatto conoscere al popolo con un’abile predicazione: si tratta infatti di un mistero grande e desiderabilissimo, con il quale, se viene chiesto con fede, il peccato viene perdonato e di conseguenza anche la salute corporale viene ristabilita… Ma bisogna sapere che se l’ammalato si dà alla penitenza pubblica, non può ricevere il rimedio di questo mistero, se prima non abbia ottenuto la riconciliazione e non ha potuto ricevere il corpo e il sangue di Cristo. Infatti, a colui al quale sono proibiti gli altri Sacramenti, non sarà in nessun caso permesso di usare questo.

Concilio di Quierzy, maggio 853

Libero arbitrio e predestinazione dell’uomo.

621. Cap. 1. Dio onnipotente creò l’uomo integro, senza peccato e dotato di libero arbitrio, e lo pose in Paradiso, con l’intenzione di farlo dimorare nella santità della giustizia. L’uomo, avendo abusato del suo libero arbitrio, peccò e cadde, e divenne “una massa di perdizione” (Sant’Agostino), di tutto il genere umano. Ma Dio, buono e giusto, ha scelto da questa massa di perdizione, secondo la sua prescienza, quelli che ha predestinato per grazia (Rm VIII, 29; Eph I, 11) alla vita, e li ha predestinati alla vita eterna; gli altri, quelli che il giudizio della sua giustizia ha innalzato nella massa di perdizione, sapeva in anticipo che si sarebbero persi, ma non li ha predestinati alla perdizione; tuttavia, li ha predestinati ad un castigo eterno, perché è giusto. E per questo si parla di un’unica predestinazione, che ha a che fare o con il dono della grazia o con il castigo della giustizia.

622. Cap. 2. Abbiamo perso il libero arbitrio nel primo uomo, e lo abbiamo ricevuto per mezzo di Cristo nostro Signore, e il libero arbitrio lo abbiamo per il bene, aiutato dalla grazia, e il libero arbitrio lo abbiamo per il male, abbandonati dalla grazia. Ma il libero arbitrio lo abbiamo, perché è liberato dalla grazia e guarito dalla corruzione per mezzo della grazia.

623. Cap. 3. Dio onnipotente vuole che “tutti gli uomini”, senza eccezione, “siano salvati” (1 Tm II, 4), anche se non tutti sono salvati. Il fatto che alcuni si salvino è un dono di Colui che salva; il fatto che alcuni si perdano è la retribuzione di coloro che si perdono.

624. Cap. 4. Come non c’è stato, non c’è e non ci sarà nessun uomo la cui natura non sia stata assunta in Cristo Gesù nostro Signore, così non c’è, non c’è stato e non ci sarà nessun uomo per il quale Egli non abbia sofferto, anche se non tutti sono redenti dal mistero della sua Passione. Il fatto che non tutti siano redenti dal mistero della sua Passione non riguarda la grandezza o l’abbondanza della Redenzione, ma la parte degli infedeli e di coloro che non credono in quella fede che “opera per mezzo della carità”, (Gal V, 6); perché il calice della salvezza degli uomini, composto dalla nostra debolezza e dalla potenza divina, contiene ciò che è utile per tutti; ma se non si beve da esso, non si è guariti.

Concilio di Valencia, 8 gennaio 855.

Predestinazione.

625. Can. 1… Evitiamo, con ogni sforzo, nuove espressioni e discorsi presuntuosi che possono avere più effetto nell’accendere la brace delle dispute e degli scandali tra i fratelli che nell’apportare qualsiasi edificazione nel timore di Dio. Tuttavia, senza esitare, ascoltiamo con riverenza e sottomettiamo le nostre menti con obbedienza a quei maestri che trattano la parola di verità in modo pio e giusto, e a coloro che hanno spiegato le Sacre Scritture in modo particolarmente luminoso, cioè a Cipriano, Ilario, Ambrogio, Girolamo, Agostino e altri che riposano nella pietà cattolica, e con tutte le nostre forze abbracciamo ciò che hanno scritto per la nostra salvezza. Infatti, sul tema della prescienza di Dio e della predestinazione, e su altre questioni per le quali è apparso che i fratelli abbiano provato non poco scandalo, riteniamo di dover tenere ben fermo solo ciò che per la nostra gioia abbiamo tratto dal grembo materno della Chiesa.

626. Can. 2. Noi riteniamo fedelmente che “Dio conosca ed abbia conosciuto in anticipo da tutta l’eternità sia il bene che il bene avrebbe fatto, sia il male che il male avrebbe commesso”, perché abbiamo la parola della Scrittura che dice: “Dio eterno che conosce le cose nascoste, che conosce tutte le cose prima che siano”; e ci compiacciamo di ritenere che “sapeva in anticipo, in modo assoluto, che i buoni sarebbero stati buoni per la sua grazia, e che avrebbero ricevuto per questa stessa grazia la ricompensa eterna; e sapeva in anticipo che i malvagi sarebbero stati malvagi per la loro stessa malvagità, e che sarebbero stati condannati dalla sua giustizia alla pena eterna”; come secondo il Salmista: “Perché Dio ha potenza e il Signore ha misericordia, che dà a ciascuno secondo le sue opere” (Sal. LXI, 12ss.), e come nella dottrina apostolica: “A coloro che con la perseveranza nel bene cercano la gloria, l’onore e l’incorruttibilità, la vita eterna; ma a coloro che per ribellione non aderiscono alla verità, riponendo la loro fiducia nell’iniquità, ira e sdegno, tribolazione e angoscia per ogni anima umana che commette il male” (Rm II, 7-10). Nello stesso senso lo stesso dice altrove: “Nella rivelazione del Signore nostro Gesù Cristo dal cielo con gli angeli della sua potenza, che si vendicherà con fuoco ardente di coloro che non conoscono Dio e non obbediscono al vangelo del Signore nostro Gesù Cristo, i quali subiranno la pena eterna nella rovina,… quando verrà per essere glorificato nei suoi santi e per essere ammirato in tutti coloro che credono” (2Ts I,7-10).

627. Inoltre, la prescienza di Dio non ha imposto a nessun malvagio una necessità che gli avrebbe impedito di essere altro, ma ciò che sarebbe stato per sua volontà, in quanto Dio che conosce tutte le cose prima che siano, lo sapeva in anticipo a motivo della sua onnipotente ed immutabile maestà. “Né crediamo che qualcuno sia condannato a causa di un giudizio che egli (Dio) ha emesso in anticipo, ma a causa della propria iniquità. E questi malvagi non periscono perché non hanno potuto essere buoni, ma perché non hanno voluto esserlo e con il loro vizio sono rimasti nella massa della dannazione, o per demerito originario o anche per demerito attuale”.

628. Can. 3. Anche sul tema della predestinazione abbiamo deciso, e lo manteniamo fedelmente, secondo l’Autorità Apostolica che dice: “Il vasaio non ha forse il potere di fare della stessa pasta un vaso destinato ad essere un vaso nobile e un altro destinato ad un uso ignobile? ” (Rm IX, 21), aggiungendo subito: “Se dunque Dio, volendo mostrare la sua ira e manifestare la sua potenza, sopportò con grande pazienza i vasi d’ira pronti o preparati per la perdizione, per mostrare le ricchezze della sua grazia nei vasi di misericordia che ha preparato per la gloria” (Rm IX, 22 ss.). Affermiamo con fiducia la predestinazione degli eletti alla vita e la predestinazione degli empi alla morte; nell’elezione di coloro che devono essere salvati, tuttavia, la misericordia di Dio precede il merito, mentre nella dannazione di coloro che devono perire, il demerito precede il giusto giudizio di Dio. “Con la predestinazione Dio ha determinato solo ciò che Egli stesso avrebbe fatto o con la misericordia gratuita o con il giusto giudizio”, secondo la Scrittura, che dice: “Egli ha fatto ciò che sarà”, (Isaia XLV:11; Sept.); nei malvagi, tuttavia, Egli conosceva in anticipo la loro malvagità, perché proveniva da loro; non l’ha predestinata, perché non proveniva da Lui.

629. Ma il castigo che segue il loro demerito, come Dio che vede tutte le cose in anticipo, lo conosceva e lo destinava in anticipo, perché è giusto, Colui presso il quale, come dice Sant’Agostino, c’è sia un giudizio fisso che una certa prescienza per ogni cosa. A questo corrisponde la parola del Saggio: “I giudizi sono preparati per gli schernitori e le mazze che colpiscono per i corpi degli stolti” (Pr XIX, 29). Da questa immutabilità della prescienza e della predestinazione di Dio, per cui le cose future sono già avvenute ai suoi occhi, si possono comprendere anche le parole dell’Ecclesiaste: “Ho visto che tutte le opere che Dio ha fatto rimangono per sempre”. Non si può aggiungere né togliere nulla a ciò che Dio ha fatto, perché sia temuto” (Qo III, 14). Ma che ci siano uomini predestinati al male dalla potenza divina”, in modo che, per così dire, non possano essere altro, “non solo non lo crediamo, ma se c’è qualcuno che vuole credere una cosa così malvagia, con tutta la nostra detestazione”, come anche il Concilio di Orange, “gli diciamo: anatema”.

630. Cap. 4. Anche riguardo alla Redenzione per mezzo del Sangue di Cristo: a causa del grandissimo errore che è sorto su questo argomento, tanto che alcuni, come indicano i loro scritti, definiscono che sia stato versato anche per quegli empi che, dall’inizio del mondo fino alla Passione del Signore, sono morti nella loro empietà e sono stati puniti con la dannazione eterna, e che contro questa parola profetica: “Io sarò la tua morte, o morte, io sarò il tuo flagello, nel ferro” (Os XIII, 14), abbiamo deciso che dobbiamo semplicemente e fedelmente ritenere e insegnare secondo la verità del Vangelo e degli Apostoli che dobbiamo ritenere che questo premio sia stato dato solo per coloro di cui nostro Signore stesso dice: “Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, affinché chiunque crede in Lui non perisca, ma abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in Lui non perisca, ma abbia la vita eterna” (Gv III, 14-16), e l’Apostolo dice: “Cristo è stato offerto una volta per tutte per togliere i peccati di molti” (Eb IX, 28).

631. Per quanto riguarda i quattro capitoli che sono stati imprudentemente accettati dal consiglio dei nostri fratelli, a causa della loro inutilità e persino dannosità, e dell’errore contrario alla verità; ma anche gli altri) – diciannove capitoli, frutto di un ragionamento inetto e che – anche se se ne vantano – non sono sostenuti da alcuna erudizione secolare, in cui si trova più un’invenzione del diavolo che un qualsiasi argomento di fede: le sottraiamo completamente all’ascolto devoto dei fedeli e, affinché siano preservati in tutto da queste e simili cose, le proibiamo con l’autorità dello Spirito Santo; riteniamo inoltre che coloro che introducono novità debbano essere castigati per non essere colpiti ancora più duramente.

632. Allo stesso modo riteniamo che sia necessario affermare con molta fermezza che tutta la moltitudine dei fedeli che sono stati rigenerati “con acqua e Spirito Santo” (Gv III, 5), che sono stati così realmente incorporati nella Chiesa e, secondo la dottrina apostolica, battezzati nella morte di Cristo (Rm VI, 3), sono stati lavati dai loro peccati nel suo sangue; Perché non ci sarebbe stata in loro una vera rigenerazione se non ci fosse stata anche una vera Redenzione; perché nei Sacramenti della Chiesa non c’è nulla di vano, nulla di ingannevole, ma tutto è vero e sostenuto dalla sua verità e sincerità. Tuttavia, di questa stessa moltitudine di fedeli e di redenti, alcuni si salvano con la salvezza eterna, perché per grazia di Dio sono rimasti fedeli alla sua Redenzione, portando nel cuore la parola del Signore stesso: “Chi persevererà fino alla fine sarà salvo (Matt. X, 22. XXIV, 13). Gli altri, che non hanno voluto rimanere nella salvezza della fede ricevuta all’inizio, e che hanno preferito cancellare la grazia della Redenzione con una dottrina od una vita depravata piuttosto che conservarla, non raggiungono in alcun modo la pienezza della salvezza e il conseguimento della beatitudine eterna. Rm VI, 3 Gal III, 27 Eb X, 22 Eb. 22 sgg. 26, 28 segg..)

633. Cap. 6. Allo stesso modo, riguardo alla grazia per la quale coloro che credono sono salvati, e senza la quale la creatura ragionevole non è mai vissuta in modo beato, e riguardo al libero arbitrio ferito dal peccato nel primo uomo, ma restaurato e guarito dalla grazia del Signore Gesù, confessiamo nel modo più fermo e con piena fede quella stessa cosa che i santi Padri, con l’autorità delle sante Scritture, ci hanno insegnato a ritenere, ciò che hanno professato il Concilio africano (222) e il Concilio di Orange (370-397), ciò che hanno sostenuto i beatissimi Pontefici della Sede Apostolica (238-249) per la fede cattolica, e anche per quanto riguarda la natura e la grazia non ci permettiamo in alcun modo di andare in un’altra direzione. Per quanto riguarda le argomentazioni insensate ed i pettegolezzi delle donne anziane (1Tm IV, 7) e la poltiglia dei seguaci di Scoto, – che ripugnano in modo nauseante alla purezza della fede in ciò che in questi tempi pericolosi e difficili e, per aumentare ulteriormente il nostro lavoro, è aumentata in modo miserabile e deplorevole fino a spezzare la carità – la rifiutiamo completamente affinché le menti cristiane non siano corrotte da essa e non si allontanino dalla semplicità e dalla purezza della fede che è in Cristo Gesù (2Co XI, 3) e nella carità di Cristo esortiamo la carità fraterna a frenare il suo udito guardandosi da tali cose.

BENEDETTO III: luglio 855-17 aprile 858.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (14) “da NICCOLÓ I a LEONE IX”

GNOSI TEOLOGIA DI sATANA (67): IL MODERNISMO (1)

GNOSI, TEOLOGIA DI Satana (67)

IL MODERNISMO

(Enciclopedia Cattolica, C.d. V., vol. VIII Coll. 1188-1197; 1952)

MODERNISMO. – È l’indirizzo eterodosso delineatosi fra gli studiosi cattolici alla ine del secolo scorso e nei primi anni del presente, che si proponeva di rinnovare e interpretare la dottrina cristiana in armonia col pensiero moderno. Il termine modernismo ricorre ufficialmente la prima volta nell’Enciclica Pascendi dominici gregis del papa Pio X come comune denominazione di un complesso di errori in tutti i campi della dottrina cattolica (S. Scrittura, dogmi, culto, filosofia) per ridurlo al nucleo originario.

SOMMARIO: I. Genesi storica. – II. L’Enciclica, « Pascendi » III. Indole dottrinale. – IV. Errori principali, – V. Critica.

I. GENESI STORICA. — L’origine remota del Modernismo è da vedere nell’irrequietezza e bramosia di novità che sino dai pontificati di Gregorio XVI e di Pio IX serpeggiavano in alcuni ambienti cattolici, specialmente in Francia, insofferenti della teologia scolastica: le condanne dell’’indifferentismo di Lamennais (1834), del tradizionalismo di Bautain (1840) e del Bonetty (1855), del razionalismo di G. Hermes (1835), di Günter (1857) dell’ontologismo (1861) e del Frohschammers (1962), il cumulo di errori raccolti nel Sillabo di Pio IX (1864) sono le tappe dell’errore e i sintomi della tempesta che si addensava per la Chiesa. La celebrazione del Concilio Vaticano (1870) fu per un poco il provvidenziale argine: lo costituzione dogmatica De fide catholica definiva i rapporti tra scienza e fede e stabiliva l’essenza soprannaturale della fede e quindi della genuina nozione cattolica della Rivelazione e dell’ispirazione biblica; la costituzione I., l’unica portata a termine) De Ecclesia Christi affermava la divina autorità della Chiesa e il suo infallibile Magistero nella persona del successore del Principe degli Apostoli, il Romano Pontefice. Le prime avvisaglie della nuova eresia nel campo cattolico si maturano in Francia, dopo il Renan, con l’opera di A. Loisy, e la tendenza di non pochi studiosi cattolici, che intendevano adeguarsi ai risultati delle recenti indagini della storia comparata delle religioni e dei dogmi, della filologia dei testi, dell’archeologia biblica per fornire un’apologetica del Cristianesimo conforme ai bisogni dei tempi nuovi. La Chiesa aveva già riconosciuta la necessità di un opportuno ed urgente rinnovamento degli studi sacri e biblici in particolare e ne è documento l’Encicl. Providentissimus Deus (1893) di Leone XIII che ne tracciava il senso, il programma ed i principi: l’Enciclica lasciava allo studioso privato ampio campo di ricerca per tutti quei punti « qui expositionem certam et definitam adhuc desiderant » (Denz-U, 1942), mentre per i punti già definiti dalla Chiesa egli li poteva ancora approfondire, adattare ai bisogni dei tempi e difenderli dagli attacchi degli avversari.  All’uopo lo stesso Pontefice istituì la Pontificia Commissione Biblica (1902) ma il Loisy procedette per la sua via e il modernismo poté diffondersi e organizzarsi in Inghilterra col Tyrrell, in Italia col Buonaiuti, Murri, Minocchi ed in alcuni ambienti cattolici tedeschi, con un’ampiezza e penetrazione sempre più preoccupanti. – Toccò a Pio X l’arduo compito di smascherare l’eresia; e, fatto unico nella storia della Chiesa, il modernismo sprofondò su se stesso quasi immediatamente. Il primo intervento di Pio X fu il decreto del S. Uffizio Lamentabili del 3 luglio 1907, che riassume in 65 articoli i nuovi errori. Il decreto divenne condanna solenne con l’encicl. Pascendi dell’8 settembre dello stesso anno 1907; l’Enciclica, con grande sorpresa degli stessi fautori del modernismo, ha condensata la « sintesi logica dei loro principi con una « magistrale esposizione critica ed una critica magnifica » (G. Gentile). Infine, per evitare ogni compromesso e ambiguità nella sfera dell’insegnamento e della disciplina ecclesiastica, Pio X col motu proprio Sacrorum Antistitum del 1 sett. 1910, richiamandosi espressamente ai due documenti precedenti, pubblicava la formula del « giuramento antimodernista » che presenta ad un tempo i caposaldi della dottrina cattolica e i principali errori del modernismo che la volevano scalzare. Si può dire che così finisce la storia del modernismo, il cui doloroso ma ormai necessario epilogo furono le condanne pontificie dei capi dimostratisi ribelli o ricalcitranti. Invano alcuni fautori del modernismo (Programma dei modernisti, 2a, ed., Torini 1911, p. 97 sg.) si sono richiamati alle dottrine del Newmann sul « senso illativo » della fede e sull’evoluzione dei dogmi da lui difesa, perché egli ha sempre mantenuta la necessità della guida del Magistero ecclesiastico (cfr. J. Guitton, La philosophie de Newman. Essai sur l’idée de développement, Parigi 1933, p. 166 sgg.). In particolare l’idea centrale del modernismo di un antagonismo insanabile tra la tradizione della Chiesa e il pensiero contemporaneo a discrezione completa di quest’ultimo, è in aperto contrasto con la formola dello sviluppo del dogma di Newman secondo il quale « i vecchi principi ritornano sotto nuove forme, e l’idea cambia con essi per poter rimanere identica », principio che doveva impedire piuttosto che favorire il modernismo. (Essay on the development of christian doctrine, Londra 1878, p. 40). Del resto l’ortodossia di Newman è stata difesa da Pio X nella lettera al Vescovo di Limerick del 10 marzo 1908: « Profecto in tanta locubrationum eius copia, quidpiam reperiri potest, quod ad usitata theologorum ratione videatur, nihil potest quod de ipsius fide suspicionem afferat » (Acta S. Sedis, 41 [1908], p. 201). – In senso analogo, non vanno espressamente compresi nel modernismo condannato dall’Enciclica (e furono la maggior parte) quegli studiosi che, pur simpatizzando per le nuove idee, hanno accettato la decisione pontificia protestando di voler rimanere fedeli all’autorità della Chiesa. Fra questi va forse compreso anche il barone von Hügel (1852-1925) che subì profondamente l’influenza del Newmann (cf. M. Schillter-Hermkes, Friedrich von gel, Religion als Ganaheit, Düsseldorf 1948, p. 441 sgg.) : approfittando del favore che godeva presso i modernisti egli tentò, quanto era in suo potere, di riportare il Loisy e il Tyrrell all’obbedienza alla Chiesa (op. cit., p. 467 sgg. dove l’autore conchiude : « Hügels Religionsphilosophie ist also unzweidentig antimodernistisch »; tuttavia, a p. 480, n. 180 è riportata la lettera del 4 maggio 1907 del card. Steinhuber, prefetto dell’Indice, al card. Ferrari nella quale si deploravano gli scritti del v. Hügel insieme con quelli del Tyrrell, Fogazzaro e Murri. Ma è ancora prima di ogni condanna formale; difende l’ortodossia del v. Hügel anche M. Nédoncelle, La pensée religieuse de Fr. von Hügel, Parigi 1935, pp. 15-40).

II. L’ENCICLICA «PASCENDI ». — Considerata nel suo contenuto, nel procedere ed anche nello stile del tutto inconfondibile, è un documento fra i più decisivi del supremo Magistero, e fra tutti gli atti di Pio X resta il monumento più insigne del suo pontificato, documento delle sue più accorate preoccupazioni e come completamento definitivo di quella diga alla marea dei moderni errori, che da un secolo ormai teneva impegnata l’opera del Pontificato romano per la salvezza della fede. La sua caratteristica è nella struttura fortemente teoretica che le conferisce una singolare trasparenza, attraverso la quale le molteplici aberrazioni del modernismo, si dissolvono rivelando la loro stortura e l’evidente dissonanza col sacro deposito della fede. Gli errori del modernismo erano stati accuratamente raccolti e denunziati dal decreto Lamentabili con formule risolute e perspicue (Denz-U, 2005-65); l’Enciclica li riprende e li presenta nella loro genesi e li concatena strappandoli a quell’alone d’indeterminatezza in cui erano volutamente lasciati dai loro propugnatori: in questo senso si può dire che, pur a così breve distanza dal decreto, l’Enciclica dà una esposizione originale e nuova dei medesimi con un dominio della terminologia e della tecnica avversaria, unica forse in un documento del genere e che per questo doveva attirare sulla retta via quanti militavano in buona fede nelle file dell’errore. A questa prima parte, la più vasta ed elaborata, seguono le istruzioni disciplinari che i Vescovi devono attuare nella scelta dei professori nei seminari e per l’incremento degli studi filosofici, teologici e delle materie profane ausiliari. La parte dottrinale è divisa in tre punti nei quali vengono analizzate le tre principali tappe o fasi dell’errore o meglio, come si esprime profondamente l’Enciclica, le diverse personalità che si fondono e s’intersecano nei fautori del modernismo: il filosofo, il credente, il teologo, lo storico, il critico, l’apologeta, il riformatore. Il nerbo dell’esposizione è nella dimostrazione della solidarietà e continuità dei tre momenti nella demolizione della fede, in quanto il filosofo inizia con l’affermazione di soggettivismo e relativismo individuale assoluto, proclamando l’unico criterio del sentimento privato (è questo il solito, antico concetto gnostico delle idee innate ed immanenti di memoria platonica e neoplatonica, dell’altrettanto gnostico esame privato autorefenziale delle sette del Protestantesimo, e di tutte le eresie storiche opportunamente modificate, scientificamente abbigliate ed adattate al sentire moderno – ndr. -) di ciascuno in cui si risolve non solo la convinzione sull’Essere Supremo ma il contenuto ed il senso degli stessi dogmi. L’Enciclica ammonisce contro la doppia esasperazione a cui va soggetta la dottrina cattolica con il nuovo criterio: la « trasfigurazione in quanto la verità divina è costretta ad assumere un’esaltazione soggettiva per, muovere il soggetto, e la « deformazione » (defiguratio) in quanto arbitrariamente si crea alla fede una situazione diversa dalla sua realtà, in contrasto con le dichiarazioni del Concilio Vaticano (Denz-U, 1808). La conseguenza più deleteria è la professione dell’evoluzione intrinseca « illimitata dei dogmi il cui significato e valore non proviene dall’immutabile contenuto ma dall’emozione soggettiva che può suscitare nel credente: cecità nata da prurito di novità e da superba presunzione, come già aveva denunziato Gregorio XVI (Denz-U, 2072-80). – Si comprende come il credente si trovi svincolato da ogni criterio di oggettività e autorità estrinseco, dalla divina tradizione, così da abbracciare l’assurdità di affermare che da una parte, ad es., la storia nulla può dire sulla divinità di Gesù Cristo e che questa è unicamente presente alla coscienza del credente: separazione violenta già condannata da Pio IX (Denz-U, 1656) e prima da Gregorio IX nel 1228, al primo comparire del razionalismo teologico (Denz-U, 442 sg.). Sotto l’apparente fideismo i fautori del modernismo intendono mettere la fede a discrezione della coscienza umana (Denz-U, 2081-86). L’immanenza, proclamata dal filosofo e vissuta dal credente, viene applicata dal « teologo » alle formole e verità di fede con la conclusione che « le rappresentazioni della realtà divina si riducono a « simboli », che si rapportano a particolari situazioni di coscienza del credente e che mutano con essa: ciò vale anche dei Sacramenti e della divina ispirazione. La stessa Chiesa è un frutto di esperienza collettiva e deve adattarsi al suo ritmo senza coercizione o imposizione alcuna di autorità esteriore. Su questa linea i fautori del modernismo trapassano anche a definire i rapporti della Chiesa con il potere politico affermando la separazione assoluta fra Chiesa e Stato, contro la determinazione fatta da Pio VI nella costit. Auctorem fidei, che condannava l’errore del Concilio di Pistoia (Denz-U, 1502 sgg.). A questo modo viene demolita ogni consistenza e autorità del Magistero ecclesiastico e ogni sua esterna manifestazione o apparato gerarchico: non c’è campo che il modernismo non abbia invaso e scardinato dalla sua base per sostituirvi l’arbitrio. La conclusione finale è già implicita nel primo passo del soggettivismo filosofico: la proclamazione dell’ateismo e l’abolizione di ogni religione (Denz-U, 2087-2109). Strano miscuglio di torbide aspirazioni, le quali con il pretesto di una vernice pseudomistica e col richiamo ad un’interiorità più teoretica che intimamente pratica, pretendeva di patrocinare la politica della nuova democrazia (come in Italia fece il Murri) da sovrapporre e sostituire all’azione della Chiesa.-  Di lì a poco, con il motu proprio Præstantia Scripturæ (18 nov. 1907), il Papa insorgeva contro le deformazioni tentate nei riguardi del decreto Lamentabili e dell’Encicl. Pascendi, comminando la scomunica contro i contraddittori e dichiarando che i contumaci negli errori ivi condannati erano colpevoli di eresia, perché nella maggior parte di quelle proposizioni si attenta ai fondamenti della fede (Denz-U, 2114). Il Papa non solo seguì personalmente l’esecuzione della disposizioni dell’Enciclica e quelle relative al giuramento antimodernista, ma intensificò l’attività della Pontificia Commissione Biblica che si pronunciò « con autorità » sui principali problemi della teologia e dell’esegesi biblica; parimenti fondò il Pontificio Istituto Biblico in Roma, perché raccogliesse i più esperti studiosi cattolici del S. Testo e vi si preparassero i nuovi professori di S. Scrittura nei seminari.

III. INDOLE DOTTRINALE. – La gravità dell’errore dogmatico del modernismo. è tutta nel suo principio fondamentale. Il modernismo non consiste tanto nell’opposizione all’una o all’altra delle verità rivelate, ma nel cambiamento radicale della nozione stessa di « verità », di « religione » e di « rivelazione »: l’essenza di questo cambiamento è nell’accettazione incondizionata del « principio dell’immanenza » che sta a fondamento del pensiero moderno. È vero che tale principio teoretico è espresso raramente dai fautori del modernismo in modo sistematico, perché essi si applicano di preferenza alla ricerca positiva della storia della Chiesa, dei dogmi e della Bibbia: tuttavia l’indirizzo critico da loro seguito nelle ricerche è dominato da quel principio che abbandona senza residui la verità cristiana alla contingenza della cultura umana e dell’esperienza soggettiva. Il modernismo deriva in questo per tramite anche storicamente evidente dal movimento della riforma luterana, come l’Enciclica stessa ammonisce (Denz-U, 2086), in quanto la « Riforma » staccò la fede del singolo dall’ossequio all’autorità gerarchica stabilita nella Chiesa visibile. Il principio protestante ebbe la sua versione laica nel soggettivismo gnoseologico kantiano e di qui nel doppio indirizzo dell’idealismo trascendentale di Fichte-Schiling-Hegel che subordinava la religione alla filosofia dell’irrazionalismo fideistico (più vicino a Kant) di Jacobi-Fries-Schleiermacher, che poneva l’essenza della religione nel « sentimento » individuale del divino. – Frutto inevitabile di questa invasione della soggettività nel campo della fede fu la disgregazione della dottrina tradizionale della verità operata dalla « teologia liberale » tedesca della seconda metà del sec. XIX, la quale, dopo gli hegeliani Feuerbach, Strauss e Bauer, negatori non solo della Rivelazione, ma di ogni religione naturale e positiva, trattò la verità del Cristianesimo, e della religione in genere, come prodotto storico e culturale dell’epoca che le vide nascere (Ritschl, Vatke, Tröltsch, Hermann). Il concetto poi di « sviluppo » o « divenire » (Werden) della coscienza, elaborato da Hegel dal punto di vista della dialettica astratta, posto dal Darwin come la legge unica e fondamentale per la comprensione dell’origine della vita e della stessa coscienza. Spencer, nell’ambito della filosofia esponeva nei suoi Primi principi la « teoria dell’inconoscibile » che, come già Kant un secolo prima, dichiarava impossibile ogni via razionale per attingere l’Assoluto. Inoltre, la nuova via per accedere alla realtà spirituale veniva indicata nell’analisi psicologica dell’esperienza intima contemporaneamente nell’opera di H. Bergson in Francia e di W. James in America. Ma la fonte più diretta e completa cui attinsero i fautori del modernismo è la teoria del « fideismo simbolico » che A. Sabatier ha esposto con grande fascino in Esquisse d’une philosophie de la religion (Parigi 1879, specialmente p. 390 sgg.). In essa si fa un’applicazione radicale del principio dell’immanenza vitale a tutti i fondamenti della fede cristiana e si mostra insieme, con perfetta padronanza della teologia protestante (e dello gnosticismo in generale – ndr.- ), che la riduzione della fede a « istinto » soggettivo è l’unico logico principio della « Riforma » (cf. Fr. Heiler, A. Loisy, der Vater des katholischen Modernismus, Monaco, p. 46). Contemporaneamente i risultati della moderna filologia applicati al Testo Sacro ponevano problemi nuovi su l’autenticità, la struttura e l’interpretazione dei libri ispirati, che la teologia patristica e  la scolastica non potevano sospettare nella composizione del Nuovo Testamento; le esplorazioni delle civiltà antiche del mondo biblico in Medio Oriente e lo studio delle religioni extrabibliche mettevano di fronte ad analogie e somiglianze che non potevano essere casuali e che esigevano perciò un’interpretazione complessiva secondo un principio unitario. Il modernismo ne ha approfittato per riprendere un tentativo dello « gnosticismo » di abbracciare tutte le istanze della verità con un principio unico, la soggettività della verità e la relatività di tutte le sue formule e quindi la relatività del dogma. –  Il pericolo del modernismo è nella sua estrema duttilità che vuol schivare ogni qualificazione determinata e precisa sia in filosofia come in teologia: infatti i fautori del modernismo sfuggono dall’accettare l’uno e l’altro sistema filosofico in forma integrale, pretendendo di aver colto il principio unitario che caratterizza l’uomo moderno al di là e al di sopra delle opposizioni dei sistemi. Questo principio, che forma l’essenza del modernismo, è indicato nell’immanenza vitale intesa come « esperienza privata ». Il suo significato per la conoscenza cristiana è nella « mediazione » che il principio dell’immanenza opera di ogni dato reale, storico e filosofico rispetto ai prolegomeni della fede: l’esistenza di Dio, l’immortalità e la vita futura nel campo strettamente teoretico, e rispetto al valore oggettivo probante dei miracoli e delle profezie nel campo dell’apologetica. Poi nell’ambito stesso delle verità di fede il modernismo opera tale « mediazione » nel modo più radicale eliminando qualsiasi distinzione effettiva di valore fra le varie religioni e fra gli stessi atteggiamenti più opposti che può prendere il singolo dentro la sua religione. Si può oggi dire che il modernismo abbia unificato, in questo principio dell’immanenza, gli indirizzi opposti del fenomenismo, dello storicismo idealista e del fideismo di Kant-Schleiermacher, vale  dire: 1) la « realtà » è l’impressione di coscienza (Hume, James. Bergson); 2) la verità si risolve nel destino o sviluppo  della coscienza umana (Hegel); 3) tale coscienza si manifesta e si attesta nell’impressione o percezione intima ( « sensus » dell’encicl. Pascendi, « Gefühl » di Schleiermacher), quale si dà al singolo volta per volta. così i fautori del modernismo hanno potuto protestare di accettare tutta la dottrina della Chiesa, ma in realtà essi respingevano ad un tempo: 1) il concetto di « trascendenza ontologica » di Dio rispetto al creato e alla mente finita così che Dio è sostituito col « divino »; 2) il concetto stesso di soprannaturale così che i dogmi sono ridotti a « simboli » e ad « approssimazioni  »; 3) il concetto infine di « Magistero ecclesiastico » la cui autorità impegna per quel tanto in cui la coscienza privata del singolo si trova in accordo con l’autorità esterna. Il modernismo quindi ha capovolto il metodo tradizionale dell’apologetica cristiana nel rapporto tra « scienza e fede », rinnovando l’errore averroista della dissociazione nella coscienza stessa del Cristiano, come avverte il  Giuramento (Denz-U, 2146), fra l’ossequio esterno del credente all’autorità della Chiesa che propone l’autorità da credere e la convinzione interiore dello studioso. Così il contenuto e il valore stesso delle medesime verità venivano sottratti al Magistero ecclesiastico e riservati ad una forma di « supercomprensione » in virtù dell’emozione religiosa del soggetto. Allora, in ultima analisi, l’unica formula valida della verità religiosa si risolveva nella struttura che la coscienza dà a se stessa di fronte ai singoli problemi della fede. Giustamente perciò l’Enciclica qualifica il modernismo non tanto di eresia, quanto di « compendio di tutte le eresie »; si potrebbe quasi chiamare l’ « eresia essenziale » in quanto capovolge e nega la garanzia stessa dell’ortodossia, cioè il supremo Magistero che, mediante l’assistenza dello Spirito Santo, continua nella Chiesa secondo la promessa di Gesù Cristo. [Po ssiamo dire che l’« eresia essenziale » non sia altro che la solita gnosi primordiale, la teologia di satana, che perde il pelo ma non il vizio … – ndr. -)

ERRORI PRINCIPALI. — L’Encicl. Pascendi dichiara nel modo più perentorio che il modernismo, a causa della sua professione di soggettivismo radicale, trapassi al di là di ogni religione nell’agnosticismo assoluto e quindi di necessità finisce nell’ateismo. Il programma dei modernisti, pubblicato nel nov. 1907, come risposta all’Enciclica, lungi dallo scagionarlo, risulta una conferma punto per punto della opportunità e fondatezza della condanna papale.

.1. Modernismo biblico.— Alla dottrina (il Programma dice « opinione ») tradizionale che nella Bibbia si possiede il processo genuino della Rivelazione sia del Vecchio sia Del Nuovo Testamento, perché garantita dall’autorità di Dio che l’ha ispirata in ogni sua parte e per l’autorità degli scrittori secondari (ad es., Mosè, Giosuè, gli Evangelisti), che furono testimoni immediati o mediati di ciò che narrano, si oppongono, a sentire i modernisti, i recenti risultati della critica biblica secondo i quali i libri storici del Vecchio Testamento sono semplici raccolte di materiali che « non mostrano alcuna pretesa di provare la verità, ma semplicemente di purificare il sentimento religioso del lettore » e che perciò non possono aver Dio come autore principale. In questo senso principale. In questo senso si può ben ammettere che la Bibbia « non contenga alcun errore propriamente detto e molto meno le bugie sia pur officiose », in quanto che il racconto biblico si rapporta « a quelle forme e alle esigenze di vita dei lettori per i quali ciascun libro è stato scritto » (Il Programma dei modernisti, 2a ed., Torino 1911, p. 40). Parimenti l’ispirazione biblica non è più da concepire come una meccanica trasmissione delle parole o dell’idea da Dio all’uomo, ma in una vitale concezione della parola insieme e dell’idea per opera dell’uomo unito a Dio in una maniera speciale e soprannaturale (ibid., p. 41) che però il Programma non precisa. Va notato infine che, secondo il modernismo, lo scopo e il contenuto della divina Rivelazione non ha tanto carattere dottrinale riguardante la conoscenza astratta della divinità, quanto l’istruzione pratica del come venerare Dio e conformare la vita alla norma suprema della sua volontà (ibid., p. 45). La negazione dell’ispirazione come carisma, della storicità e del contenuto di verità assoluta del libro sacro è ripetuta e analizzata a riguardo del Nuovo Testamento, nella composizione dei Vangeli e dei rapporti fra loro, dove si fa distinzione fra l’elemento storico e l’elemento soprannaturale della fede, per passare alla distinzione nominata dalla stessa Enciclica (Denz-U, 2076) fra « il Cristo della storia e il Cristo della fede (Programma, pp. 66 sgg., 115): all’una appartiene di conoscere che Cristo è uomo, all’altra che Cristo è Dio e tocca al fedele vedere dappertutto il Cristo secondo lo spirito » (ibid., p. 75). Importa poco alla fede di accertare la nascita verginale, i miracoli clamorosi e infine la resurrezione del Redentore e se è possibile o no attribuire a Cristo l’annuncio di alcuni dogmi e la fondazione della Chiesa: questi fatti sfuggono alla storia e non hanno realtà che per la fede (ibid., p. m). Il principale rappresentante del modernismo biblico fu A. Loisy.

2. Modernismo teologico. — Al principio del Cristianesimo non c’era che la fede intensamente vissuta, senza dottrine definite o dogmi: questi sono « incrostazioni depositate dalla riflessione di coscienze esaltate, specialmente di s. Paolo, ma estranee al contenuto primitivo del Vangelo di Gesù ch’era un caldo e appassionato annuncio del regno imminente e un invito alla purificazione interiore » (ibid., pp. 74, 88). Altrettanto dicasi della dottrina dei primi Padri, dai quali esula ogni tendenza dogmatica così che è « arbitrario e aprioristico » far risalire all’insegnamento primitivo di Gesù e dei suoi primitivi seguaci i dogmi dei Concili e specialmente la fede del Concilio di Trento nella loro espressione. La « evoluzione dei dogmi » è stata, secondo il modernismo, l’effetto dell’adattamento vitale « indispensabile al Cristianesimo per sopravvivere nell’ambiente ellenistico in cui venne a trovarsi fuori della Palestina, e ciò vale specialmente per i dogmi fondamentali trinitario e cristologico e per l’organizzazione della Chiesa » (ibid., p. 81 sgg.). Così che « tutto è cambiato nella storia del Cristianesimo, pensiero, gerarchia e culto: l’elemento costante di verità ai primi tempi della Chiesa, nei secoli seguenti, compresa la scolastica e il Concilio di Trento che la canonizzò, come ai nostri giorni, è l’esperienza religiosa ch’è sempre identica negli uni e negli altri » (ibid., p. 92). In tutta la storia del Vecchio e del Nuovo Testamento si attua « la continuità di una Rivelazione che nella coscienza umana il divino fa di se stesso sempre più intensamente » (ibid., p. 111): dogmi, organizzazione ecclesiastica, Sacramenti… non sono che mezzi per realizzare quell’esperienza più profonda del divino; e i fautori del modernismo auspicano di poter in futuro farne a meno (ibid., p. 112).

3. Modernismo filosofico. — Il Programma rigetta categoricamente l’accusa di «agnosticismo » e — pur riconoscendo di accettare la critica negativa fatta alla ragione da Kant e Spencer (ibid., p. 28) — dichiara di professare un atteggiamento radicalmente diverso, quello cioè di spiegare ogni tipo di conoscenza (fenomenica, scientifica, filosofica, religiosa) in funzione dell’« azione » e quindi dell’esperienza che è propria ad ognuno in quei campi. In particolare nella sfera religiosa, sia per provare l’esistenza di Dio come per accertarsi della divina Rivelazione, non importano più le dimostrazioni della metafisica medievale e la testimonianza del miracolo e della profezia: oggi sono invece « le esigenze della nostra vita morale e l’esperienza del divino che si compie nelle profondità più oscure della nostra coscienza, che conducono ad un senso speciale delle realtà soprasensibili » (ibid., p. 97). Quanto all’accusa d’immanentismo, il Programma, pur riconoscendo che l’Enciclica ha visto bene, si affanna a dimostrare che il « principio d’immanenza » non è affatto in contrasto con la tradizione cattolica in quanto anche per questo il giudizio « Dio esiste », ammesso come la stessa teologia scolastica ammette che non è giudizio né analitico a priori né sintetico a priori, resta che sia sintetico a posteriori, cioè dimostrabile con l’esperienza, « la quale non può essere altro che quella che si compie dalla e nella coscienza dell’uomo » (ibid., p. 100). – Anche i Padri e lo stesso s. Tommaso non hanno voluto, dire altro, e l’immanentismo non è quel grosso errore che l’Enciclica ha voluto far credere (ibid., pp. 101 sgg., 120 sgg., 138 sgg.). Quanto ai rapporti fra scienza e fede, il Programma professa di ammettere la distinzione più netta nel senso che la fede religiosa è il « bisogno istintivo.., che nasce spontaneamente e si svolge indipendentemente da ogni tirocinio di preparazione scientifica » (ibid., p. 123). Il Programma come conclusione dichiara che il modernismo non avversa né la Scrittura e neppure la tradizione ma soltanto l’interpretazione scolastica delle medesime perché ormai sorpassata dal metodo critico della coscienza moderna (ibid., p. 127).

V. CRITICA. — Il Programma ha confermato pertanto tutti i principali capi d’accusa dell’Enciclica Pascendi e quale principio ispiratore nella concezione della fede, della storia, delle formule dogmatiche, della gerarchia del culto: l’esperienza privata soggettiva. Tale criterio dell’esperienza privata è presentato come il risultato indiscusso e definitivo del pensiero moderno che dovrebbe costituire la formula unica della possibilità della verità religiosa per la coscienza umana in generale. Il modernismo, sfruttando ed esasperando l’insufficienza critica di alcune posizioni tradizionali nel campo dell’esegesi e della storia della Chiesa, ha cambiato sostanzialmente l’interpretazione dei dati e del significato stesso della fede, della religione naturale e della funzione della ragione umana. È stato così rigettato in blocco il realismo greco-cristiano che aveva per fondamento la distinzione dell’uomo dal mondo e da Dio e la distinzione dell’ordine naturale dall’ordine soprannaturale; con ciò si aboliva ogni vestigio di trascendenza. Viene eliminato di conseguenza ogni valore assoluto e trascendente dei primi principi della ragione e con essi è tolta la possibilità della struttura logica del discorso e la validità di ogni posizione metafisica. A nulla valgono le proteste di alcuni modernisti di accettare integralmente la dottrina cattolica, perché il modernismo ha nel « principio d’immanenza vitale » il veleno corrosivo non solo dell’essenza e delle verità di fede ma del valore oggettivo di qualsiasi verità assoluta di fatto e di ragione e ritorna al principio di Protagora che « l’uomo è misura di tutte le cose » (Theæt., 152, fram. B I). Il modernismo, ancora pur derivando per canali molteplici dal soggettivismo del pensiero moderno, non presenta alcuna consistenza teoretica perché non s’impegna a fondo con nessun sistema o filosofia determinata, così che si risolve in un fenomeno di « contaminazione teoretica » e di superficiale concordismo. La contaminazione però più essenziale è stata il tentativo d’interpretare l’esperienza intima del soggetto (autocoscienza) in diretta continuità e come espressione unica autentica della vita religiosa e di prendere la coscienza religiosa comune o naturale come l’essenza o il comune denominatore della stessa divina Rivelazione e della vita della Grazia. La realtà è che ogni esperienza religiosa, nell’ambito della vita della Grazia e della fede, può avere sol valore secondario e in dipendenza della Rivelazione e del Magistero ecclesiastico. – L’errore del modernismo ha però giovato indirettamente alla vita della Chiesa, chiamando a raccolta le sue forze migliori per fronteggiare l’attacco più subdolo e vasto alla sua missione spirituale; gli studi superiori delle università cattoliche, stimolati dal modernismo, si sono in questa metà del secolo completamente rinnovati, specialmente nel campo delle scienze bibliche e della storia dei dogmi dove il modernismo teneva l’arsenale delle sue armi. Tuttavia, il pericolo del modernismo non è mai completamente debellato perché  è insita nella ragione umana, corrotta dal peccato, la tendenza ad erigersi a criterio assoluto di verità per assoggettare a sé la fede. Un tentativo affine al modernismo è la cosiddetta « théologie nouvelle » comparsa in dopo la II guerra mondiale ed energicamente denunziata dall’encicl. Humani generis (12 ag. 1950) di Pio XII.. – (Poi il ribaltone conciliare, ed ancor più le aberrazioni postconciliari degli antipapi dal 26 ottobre del 1958 in poi, hanno confezionato un ultramodernismo tuttora in corso in cui la Rivelazione divina è sovvertita totalmente senza maschere, sia in campo teologico, dottrinale, liturgico, che ancor più nella moralità pubblica e privata, e nella organizzazione della vita sociale – ndr. -)

Cornelio Fabro.

MODERNISMO SOCIALE. – A somiglianza di quello dogmatico, si può chiamare m. s. quel movimento di idee e di attività che, a riguardo della società politica e professionale, pretende di regolarsi senza tener conto delle norme e dei principi essenziali proclamati dalla Chiesa, o senza dare alla Chiesa il posto che le compete. Esso prende le mosse da un erroneo sconfinamento ideale e pratico, oltre i limiti dottrinali della morale cattolica, con il pretesto di dover camminare con i tempi, quasi che la verità essenziale fosse mobile e soggetta a variazioni. – Tali deviazioni modernistiche furono descritte nell’Enciclica Ubi arcano di Pio XI, del 28 dic. 1922, e si riferiscono alle teorie da taluni professate « intorno alla autorità sociale, al diritto di proprietà, ai rapporti fra capitale e lavoro, ai diritti degli operai, alle relazioni fra Chiesa e Stato, fra religione e politica, fra classe e classe, fra nazione e nazione, ai diritti della S. Sede e alle prerogative del Romano Pontefice e dell’episcopato, ai diritti sociali di Gesù Cristo stesso, Creatore e Redentore, Signore degli individui e dei popoli » (AAS, 14 [1922], p. 696). Storicamente, una anticipazione di modernismo sociale, sebbene la denominazione sia di data più recente, può dirsi il moto intellettuale che fu capeggiato dal Lamennais (v.) e compagni dell’Avenir, in quanto veniva alterato il concetto di libertà e si metteva in equivalenza il bene e il male: moto prontamente condannato da Gregorio XVI, con le Encicliche Mirari vos (1832) e Singulari (1834), seguite poi da documenti, come il Sillabo di Pio IX (1864), e soprattutto dalle Encicliche sociali di Leone XIII, fra cui l’Enciclica Libertas (1888) e la Rerum novarum (1891). Nel progredire degli studi sociali e con il sorgere della Democrazia Cristiana (concetto sociale volgarizzato con il favore di Roma e sùbito sostenuto fervidamente da molti giovani sacerdoti), un gruppo notevole di conservatori e di integristi di Francia e d’ Italia, che di fatto ripudiavano della democrazia e il nome e la sostanza, volle accusare di modernismo sociale tutte le iniziative dei più arditi e schietti sociologi cristiani, in testa ai quali erano, in Francia, Leone Harmel e, in Italia, Giuseppe Toniolo, prendendo a pretesto qualche inesatta espressione sfuggita ai più ardenti propagandisti. La verità è che, né i fautori della Democrazia cristiana, né gli abati Lemire, Naudet, Gayrand, Garnier e Marc Sagnier in Francia, né i sacerdoti don Albertario, don Vercesi, don Torregrossa, p. Ghignoni, p. Semeria, don Sturzo ecc. in Italia, con largo seguito di gioventù, possono chiamarsi modernisti sociali. Essi rimasero, anche nella polemica, generalmente ortodossi. Del resto, Leone XIII, con la sua Encicl. Graves de communi (19o1), aveva messo opportunamente in guardia tutti gli aspiranti al regno sociale di Gesù Cristo, preservando da ogni possibile deviazione, e Pio X, nella sua la sua Encicl. Il fermo proposito dell’11 giugno 1903, aveva dato norme pratiche all’Azione Cattolica Sociale. – Intemperanze varie nel senso modernistico avvennero nondimeno, in quel tempo, in Belgio, con l’atteggiamento dell’abate Daens e la sua Lega democratica; in Francia, con l’organizzazione dei Sillon riprovato da Pio X (1910), in Italia con la Rivista di cultura, Battaglie d’oggi e l’Organizzazione della Lega democratica nazionale di don Romolo Murri, propugnatore di un autonomismo che non poteva essere consentito. Nel momento presente, tanto in Francia che in Italia, e anche nelle altre nazioni, la sociologia cristiana è inquadrata in organismi di Azione Cattolica di piena garanzia. In particolare le « Settimane sociali »si mantengono nella più assoluta ortodossia, pur dando luogo a discussioni libere nelle quali possono esprimersi le tesi più ardite.

GNOSI, TEOLOGIA DI sATANA (68): IL MODERNISMO (2)