GNOSI TEOLOGIA DI sATANA (67): IL MODERNISMO (1)

GNOSI, TEOLOGIA DI Satana (67)

IL MODERNISMO

(Enciclopedia Cattolica, C.d. V., vol. VIII Coll. 1188-1197; 1952)

MODERNISMO. – È l’indirizzo eterodosso delineatosi fra gli studiosi cattolici alla ine del secolo scorso e nei primi anni del presente, che si proponeva di rinnovare e interpretare la dottrina cristiana in armonia col pensiero moderno. Il termine modernismo ricorre ufficialmente la prima volta nell’Enciclica Pascendi dominici gregis del papa Pio X come comune denominazione di un complesso di errori in tutti i campi della dottrina cattolica (S. Scrittura, dogmi, culto, filosofia) per ridurlo al nucleo originario.

SOMMARIO: I. Genesi storica. – II. L’Enciclica, « Pascendi » III. Indole dottrinale. – IV. Errori principali, – V. Critica.

I. GENESI STORICA. — L’origine remota del Modernismo è da vedere nell’irrequietezza e bramosia di novità che sino dai pontificati di Gregorio XVI e di Pio IX serpeggiavano in alcuni ambienti cattolici, specialmente in Francia, insofferenti della teologia scolastica: le condanne dell’’indifferentismo di Lamennais (1834), del tradizionalismo di Bautain (1840) e del Bonetty (1855), del razionalismo di G. Hermes (1835), di Günter (1857) dell’ontologismo (1861) e del Frohschammers (1962), il cumulo di errori raccolti nel Sillabo di Pio IX (1864) sono le tappe dell’errore e i sintomi della tempesta che si addensava per la Chiesa. La celebrazione del Concilio Vaticano (1870) fu per un poco il provvidenziale argine: lo costituzione dogmatica De fide catholica definiva i rapporti tra scienza e fede e stabiliva l’essenza soprannaturale della fede e quindi della genuina nozione cattolica della Rivelazione e dell’ispirazione biblica; la costituzione I., l’unica portata a termine) De Ecclesia Christi affermava la divina autorità della Chiesa e il suo infallibile Magistero nella persona del successore del Principe degli Apostoli, il Romano Pontefice. Le prime avvisaglie della nuova eresia nel campo cattolico si maturano in Francia, dopo il Renan, con l’opera di A. Loisy, e la tendenza di non pochi studiosi cattolici, che intendevano adeguarsi ai risultati delle recenti indagini della storia comparata delle religioni e dei dogmi, della filologia dei testi, dell’archeologia biblica per fornire un’apologetica del Cristianesimo conforme ai bisogni dei tempi nuovi. La Chiesa aveva già riconosciuta la necessità di un opportuno ed urgente rinnovamento degli studi sacri e biblici in particolare e ne è documento l’Encicl. Providentissimus Deus (1893) di Leone XIII che ne tracciava il senso, il programma ed i principi: l’Enciclica lasciava allo studioso privato ampio campo di ricerca per tutti quei punti « qui expositionem certam et definitam adhuc desiderant » (Denz-U, 1942), mentre per i punti già definiti dalla Chiesa egli li poteva ancora approfondire, adattare ai bisogni dei tempi e difenderli dagli attacchi degli avversari.  All’uopo lo stesso Pontefice istituì la Pontificia Commissione Biblica (1902) ma il Loisy procedette per la sua via e il modernismo poté diffondersi e organizzarsi in Inghilterra col Tyrrell, in Italia col Buonaiuti, Murri, Minocchi ed in alcuni ambienti cattolici tedeschi, con un’ampiezza e penetrazione sempre più preoccupanti. – Toccò a Pio X l’arduo compito di smascherare l’eresia; e, fatto unico nella storia della Chiesa, il modernismo sprofondò su se stesso quasi immediatamente. Il primo intervento di Pio X fu il decreto del S. Uffizio Lamentabili del 3 luglio 1907, che riassume in 65 articoli i nuovi errori. Il decreto divenne condanna solenne con l’encicl. Pascendi dell’8 settembre dello stesso anno 1907; l’Enciclica, con grande sorpresa degli stessi fautori del modernismo, ha condensata la « sintesi logica dei loro principi con una « magistrale esposizione critica ed una critica magnifica » (G. Gentile). Infine, per evitare ogni compromesso e ambiguità nella sfera dell’insegnamento e della disciplina ecclesiastica, Pio X col motu proprio Sacrorum Antistitum del 1 sett. 1910, richiamandosi espressamente ai due documenti precedenti, pubblicava la formula del « giuramento antimodernista » che presenta ad un tempo i caposaldi della dottrina cattolica e i principali errori del modernismo che la volevano scalzare. Si può dire che così finisce la storia del modernismo, il cui doloroso ma ormai necessario epilogo furono le condanne pontificie dei capi dimostratisi ribelli o ricalcitranti. Invano alcuni fautori del modernismo (Programma dei modernisti, 2a, ed., Torini 1911, p. 97 sg.) si sono richiamati alle dottrine del Newmann sul « senso illativo » della fede e sull’evoluzione dei dogmi da lui difesa, perché egli ha sempre mantenuta la necessità della guida del Magistero ecclesiastico (cfr. J. Guitton, La philosophie de Newman. Essai sur l’idée de développement, Parigi 1933, p. 166 sgg.). In particolare l’idea centrale del modernismo di un antagonismo insanabile tra la tradizione della Chiesa e il pensiero contemporaneo a discrezione completa di quest’ultimo, è in aperto contrasto con la formola dello sviluppo del dogma di Newman secondo il quale « i vecchi principi ritornano sotto nuove forme, e l’idea cambia con essi per poter rimanere identica », principio che doveva impedire piuttosto che favorire il modernismo. (Essay on the development of christian doctrine, Londra 1878, p. 40). Del resto l’ortodossia di Newman è stata difesa da Pio X nella lettera al Vescovo di Limerick del 10 marzo 1908: « Profecto in tanta locubrationum eius copia, quidpiam reperiri potest, quod ad usitata theologorum ratione videatur, nihil potest quod de ipsius fide suspicionem afferat » (Acta S. Sedis, 41 [1908], p. 201). – In senso analogo, non vanno espressamente compresi nel modernismo condannato dall’Enciclica (e furono la maggior parte) quegli studiosi che, pur simpatizzando per le nuove idee, hanno accettato la decisione pontificia protestando di voler rimanere fedeli all’autorità della Chiesa. Fra questi va forse compreso anche il barone von Hügel (1852-1925) che subì profondamente l’influenza del Newmann (cf. M. Schillter-Hermkes, Friedrich von gel, Religion als Ganaheit, Düsseldorf 1948, p. 441 sgg.) : approfittando del favore che godeva presso i modernisti egli tentò, quanto era in suo potere, di riportare il Loisy e il Tyrrell all’obbedienza alla Chiesa (op. cit., p. 467 sgg. dove l’autore conchiude : « Hügels Religionsphilosophie ist also unzweidentig antimodernistisch »; tuttavia, a p. 480, n. 180 è riportata la lettera del 4 maggio 1907 del card. Steinhuber, prefetto dell’Indice, al card. Ferrari nella quale si deploravano gli scritti del v. Hügel insieme con quelli del Tyrrell, Fogazzaro e Murri. Ma è ancora prima di ogni condanna formale; difende l’ortodossia del v. Hügel anche M. Nédoncelle, La pensée religieuse de Fr. von Hügel, Parigi 1935, pp. 15-40).

II. L’ENCICLICA «PASCENDI ». — Considerata nel suo contenuto, nel procedere ed anche nello stile del tutto inconfondibile, è un documento fra i più decisivi del supremo Magistero, e fra tutti gli atti di Pio X resta il monumento più insigne del suo pontificato, documento delle sue più accorate preoccupazioni e come completamento definitivo di quella diga alla marea dei moderni errori, che da un secolo ormai teneva impegnata l’opera del Pontificato romano per la salvezza della fede. La sua caratteristica è nella struttura fortemente teoretica che le conferisce una singolare trasparenza, attraverso la quale le molteplici aberrazioni del modernismo, si dissolvono rivelando la loro stortura e l’evidente dissonanza col sacro deposito della fede. Gli errori del modernismo erano stati accuratamente raccolti e denunziati dal decreto Lamentabili con formule risolute e perspicue (Denz-U, 2005-65); l’Enciclica li riprende e li presenta nella loro genesi e li concatena strappandoli a quell’alone d’indeterminatezza in cui erano volutamente lasciati dai loro propugnatori: in questo senso si può dire che, pur a così breve distanza dal decreto, l’Enciclica dà una esposizione originale e nuova dei medesimi con un dominio della terminologia e della tecnica avversaria, unica forse in un documento del genere e che per questo doveva attirare sulla retta via quanti militavano in buona fede nelle file dell’errore. A questa prima parte, la più vasta ed elaborata, seguono le istruzioni disciplinari che i Vescovi devono attuare nella scelta dei professori nei seminari e per l’incremento degli studi filosofici, teologici e delle materie profane ausiliari. La parte dottrinale è divisa in tre punti nei quali vengono analizzate le tre principali tappe o fasi dell’errore o meglio, come si esprime profondamente l’Enciclica, le diverse personalità che si fondono e s’intersecano nei fautori del modernismo: il filosofo, il credente, il teologo, lo storico, il critico, l’apologeta, il riformatore. Il nerbo dell’esposizione è nella dimostrazione della solidarietà e continuità dei tre momenti nella demolizione della fede, in quanto il filosofo inizia con l’affermazione di soggettivismo e relativismo individuale assoluto, proclamando l’unico criterio del sentimento privato (è questo il solito, antico concetto gnostico delle idee innate ed immanenti di memoria platonica e neoplatonica, dell’altrettanto gnostico esame privato autorefenziale delle sette del Protestantesimo, e di tutte le eresie storiche opportunamente modificate, scientificamente abbigliate ed adattate al sentire moderno – ndr. -) di ciascuno in cui si risolve non solo la convinzione sull’Essere Supremo ma il contenuto ed il senso degli stessi dogmi. L’Enciclica ammonisce contro la doppia esasperazione a cui va soggetta la dottrina cattolica con il nuovo criterio: la « trasfigurazione in quanto la verità divina è costretta ad assumere un’esaltazione soggettiva per, muovere il soggetto, e la « deformazione » (defiguratio) in quanto arbitrariamente si crea alla fede una situazione diversa dalla sua realtà, in contrasto con le dichiarazioni del Concilio Vaticano (Denz-U, 1808). La conseguenza più deleteria è la professione dell’evoluzione intrinseca « illimitata dei dogmi il cui significato e valore non proviene dall’immutabile contenuto ma dall’emozione soggettiva che può suscitare nel credente: cecità nata da prurito di novità e da superba presunzione, come già aveva denunziato Gregorio XVI (Denz-U, 2072-80). – Si comprende come il credente si trovi svincolato da ogni criterio di oggettività e autorità estrinseco, dalla divina tradizione, così da abbracciare l’assurdità di affermare che da una parte, ad es., la storia nulla può dire sulla divinità di Gesù Cristo e che questa è unicamente presente alla coscienza del credente: separazione violenta già condannata da Pio IX (Denz-U, 1656) e prima da Gregorio IX nel 1228, al primo comparire del razionalismo teologico (Denz-U, 442 sg.). Sotto l’apparente fideismo i fautori del modernismo intendono mettere la fede a discrezione della coscienza umana (Denz-U, 2081-86). L’immanenza, proclamata dal filosofo e vissuta dal credente, viene applicata dal « teologo » alle formole e verità di fede con la conclusione che « le rappresentazioni della realtà divina si riducono a « simboli », che si rapportano a particolari situazioni di coscienza del credente e che mutano con essa: ciò vale anche dei Sacramenti e della divina ispirazione. La stessa Chiesa è un frutto di esperienza collettiva e deve adattarsi al suo ritmo senza coercizione o imposizione alcuna di autorità esteriore. Su questa linea i fautori del modernismo trapassano anche a definire i rapporti della Chiesa con il potere politico affermando la separazione assoluta fra Chiesa e Stato, contro la determinazione fatta da Pio VI nella costit. Auctorem fidei, che condannava l’errore del Concilio di Pistoia (Denz-U, 1502 sgg.). A questo modo viene demolita ogni consistenza e autorità del Magistero ecclesiastico e ogni sua esterna manifestazione o apparato gerarchico: non c’è campo che il modernismo non abbia invaso e scardinato dalla sua base per sostituirvi l’arbitrio. La conclusione finale è già implicita nel primo passo del soggettivismo filosofico: la proclamazione dell’ateismo e l’abolizione di ogni religione (Denz-U, 2087-2109). Strano miscuglio di torbide aspirazioni, le quali con il pretesto di una vernice pseudomistica e col richiamo ad un’interiorità più teoretica che intimamente pratica, pretendeva di patrocinare la politica della nuova democrazia (come in Italia fece il Murri) da sovrapporre e sostituire all’azione della Chiesa.-  Di lì a poco, con il motu proprio Præstantia Scripturæ (18 nov. 1907), il Papa insorgeva contro le deformazioni tentate nei riguardi del decreto Lamentabili e dell’Encicl. Pascendi, comminando la scomunica contro i contraddittori e dichiarando che i contumaci negli errori ivi condannati erano colpevoli di eresia, perché nella maggior parte di quelle proposizioni si attenta ai fondamenti della fede (Denz-U, 2114). Il Papa non solo seguì personalmente l’esecuzione della disposizioni dell’Enciclica e quelle relative al giuramento antimodernista, ma intensificò l’attività della Pontificia Commissione Biblica che si pronunciò « con autorità » sui principali problemi della teologia e dell’esegesi biblica; parimenti fondò il Pontificio Istituto Biblico in Roma, perché raccogliesse i più esperti studiosi cattolici del S. Testo e vi si preparassero i nuovi professori di S. Scrittura nei seminari.

III. INDOLE DOTTRINALE. – La gravità dell’errore dogmatico del modernismo. è tutta nel suo principio fondamentale. Il modernismo non consiste tanto nell’opposizione all’una o all’altra delle verità rivelate, ma nel cambiamento radicale della nozione stessa di « verità », di « religione » e di « rivelazione »: l’essenza di questo cambiamento è nell’accettazione incondizionata del « principio dell’immanenza » che sta a fondamento del pensiero moderno. È vero che tale principio teoretico è espresso raramente dai fautori del modernismo in modo sistematico, perché essi si applicano di preferenza alla ricerca positiva della storia della Chiesa, dei dogmi e della Bibbia: tuttavia l’indirizzo critico da loro seguito nelle ricerche è dominato da quel principio che abbandona senza residui la verità cristiana alla contingenza della cultura umana e dell’esperienza soggettiva. Il modernismo deriva in questo per tramite anche storicamente evidente dal movimento della riforma luterana, come l’Enciclica stessa ammonisce (Denz-U, 2086), in quanto la « Riforma » staccò la fede del singolo dall’ossequio all’autorità gerarchica stabilita nella Chiesa visibile. Il principio protestante ebbe la sua versione laica nel soggettivismo gnoseologico kantiano e di qui nel doppio indirizzo dell’idealismo trascendentale di Fichte-Schiling-Hegel che subordinava la religione alla filosofia dell’irrazionalismo fideistico (più vicino a Kant) di Jacobi-Fries-Schleiermacher, che poneva l’essenza della religione nel « sentimento » individuale del divino. – Frutto inevitabile di questa invasione della soggettività nel campo della fede fu la disgregazione della dottrina tradizionale della verità operata dalla « teologia liberale » tedesca della seconda metà del sec. XIX, la quale, dopo gli hegeliani Feuerbach, Strauss e Bauer, negatori non solo della Rivelazione, ma di ogni religione naturale e positiva, trattò la verità del Cristianesimo, e della religione in genere, come prodotto storico e culturale dell’epoca che le vide nascere (Ritschl, Vatke, Tröltsch, Hermann). Il concetto poi di « sviluppo » o « divenire » (Werden) della coscienza, elaborato da Hegel dal punto di vista della dialettica astratta, posto dal Darwin come la legge unica e fondamentale per la comprensione dell’origine della vita e della stessa coscienza. Spencer, nell’ambito della filosofia esponeva nei suoi Primi principi la « teoria dell’inconoscibile » che, come già Kant un secolo prima, dichiarava impossibile ogni via razionale per attingere l’Assoluto. Inoltre, la nuova via per accedere alla realtà spirituale veniva indicata nell’analisi psicologica dell’esperienza intima contemporaneamente nell’opera di H. Bergson in Francia e di W. James in America. Ma la fonte più diretta e completa cui attinsero i fautori del modernismo è la teoria del « fideismo simbolico » che A. Sabatier ha esposto con grande fascino in Esquisse d’une philosophie de la religion (Parigi 1879, specialmente p. 390 sgg.). In essa si fa un’applicazione radicale del principio dell’immanenza vitale a tutti i fondamenti della fede cristiana e si mostra insieme, con perfetta padronanza della teologia protestante (e dello gnosticismo in generale – ndr.- ), che la riduzione della fede a « istinto » soggettivo è l’unico logico principio della « Riforma » (cf. Fr. Heiler, A. Loisy, der Vater des katholischen Modernismus, Monaco, p. 46). Contemporaneamente i risultati della moderna filologia applicati al Testo Sacro ponevano problemi nuovi su l’autenticità, la struttura e l’interpretazione dei libri ispirati, che la teologia patristica e  la scolastica non potevano sospettare nella composizione del Nuovo Testamento; le esplorazioni delle civiltà antiche del mondo biblico in Medio Oriente e lo studio delle religioni extrabibliche mettevano di fronte ad analogie e somiglianze che non potevano essere casuali e che esigevano perciò un’interpretazione complessiva secondo un principio unitario. Il modernismo ne ha approfittato per riprendere un tentativo dello « gnosticismo » di abbracciare tutte le istanze della verità con un principio unico, la soggettività della verità e la relatività di tutte le sue formule e quindi la relatività del dogma. –  Il pericolo del modernismo è nella sua estrema duttilità che vuol schivare ogni qualificazione determinata e precisa sia in filosofia come in teologia: infatti i fautori del modernismo sfuggono dall’accettare l’uno e l’altro sistema filosofico in forma integrale, pretendendo di aver colto il principio unitario che caratterizza l’uomo moderno al di là e al di sopra delle opposizioni dei sistemi. Questo principio, che forma l’essenza del modernismo, è indicato nell’immanenza vitale intesa come « esperienza privata ». Il suo significato per la conoscenza cristiana è nella « mediazione » che il principio dell’immanenza opera di ogni dato reale, storico e filosofico rispetto ai prolegomeni della fede: l’esistenza di Dio, l’immortalità e la vita futura nel campo strettamente teoretico, e rispetto al valore oggettivo probante dei miracoli e delle profezie nel campo dell’apologetica. Poi nell’ambito stesso delle verità di fede il modernismo opera tale « mediazione » nel modo più radicale eliminando qualsiasi distinzione effettiva di valore fra le varie religioni e fra gli stessi atteggiamenti più opposti che può prendere il singolo dentro la sua religione. Si può oggi dire che il modernismo abbia unificato, in questo principio dell’immanenza, gli indirizzi opposti del fenomenismo, dello storicismo idealista e del fideismo di Kant-Schleiermacher, vale  dire: 1) la « realtà » è l’impressione di coscienza (Hume, James. Bergson); 2) la verità si risolve nel destino o sviluppo  della coscienza umana (Hegel); 3) tale coscienza si manifesta e si attesta nell’impressione o percezione intima ( « sensus » dell’encicl. Pascendi, « Gefühl » di Schleiermacher), quale si dà al singolo volta per volta. così i fautori del modernismo hanno potuto protestare di accettare tutta la dottrina della Chiesa, ma in realtà essi respingevano ad un tempo: 1) il concetto di « trascendenza ontologica » di Dio rispetto al creato e alla mente finita così che Dio è sostituito col « divino »; 2) il concetto stesso di soprannaturale così che i dogmi sono ridotti a « simboli » e ad « approssimazioni  »; 3) il concetto infine di « Magistero ecclesiastico » la cui autorità impegna per quel tanto in cui la coscienza privata del singolo si trova in accordo con l’autorità esterna. Il modernismo quindi ha capovolto il metodo tradizionale dell’apologetica cristiana nel rapporto tra « scienza e fede », rinnovando l’errore averroista della dissociazione nella coscienza stessa del Cristiano, come avverte il  Giuramento (Denz-U, 2146), fra l’ossequio esterno del credente all’autorità della Chiesa che propone l’autorità da credere e la convinzione interiore dello studioso. Così il contenuto e il valore stesso delle medesime verità venivano sottratti al Magistero ecclesiastico e riservati ad una forma di « supercomprensione » in virtù dell’emozione religiosa del soggetto. Allora, in ultima analisi, l’unica formula valida della verità religiosa si risolveva nella struttura che la coscienza dà a se stessa di fronte ai singoli problemi della fede. Giustamente perciò l’Enciclica qualifica il modernismo non tanto di eresia, quanto di « compendio di tutte le eresie »; si potrebbe quasi chiamare l’ « eresia essenziale » in quanto capovolge e nega la garanzia stessa dell’ortodossia, cioè il supremo Magistero che, mediante l’assistenza dello Spirito Santo, continua nella Chiesa secondo la promessa di Gesù Cristo. [Po ssiamo dire che l’« eresia essenziale » non sia altro che la solita gnosi primordiale, la teologia di satana, che perde il pelo ma non il vizio … – ndr. -)

ERRORI PRINCIPALI. — L’Encicl. Pascendi dichiara nel modo più perentorio che il modernismo, a causa della sua professione di soggettivismo radicale, trapassi al di là di ogni religione nell’agnosticismo assoluto e quindi di necessità finisce nell’ateismo. Il programma dei modernisti, pubblicato nel nov. 1907, come risposta all’Enciclica, lungi dallo scagionarlo, risulta una conferma punto per punto della opportunità e fondatezza della condanna papale.

.1. Modernismo biblico.— Alla dottrina (il Programma dice « opinione ») tradizionale che nella Bibbia si possiede il processo genuino della Rivelazione sia del Vecchio sia Del Nuovo Testamento, perché garantita dall’autorità di Dio che l’ha ispirata in ogni sua parte e per l’autorità degli scrittori secondari (ad es., Mosè, Giosuè, gli Evangelisti), che furono testimoni immediati o mediati di ciò che narrano, si oppongono, a sentire i modernisti, i recenti risultati della critica biblica secondo i quali i libri storici del Vecchio Testamento sono semplici raccolte di materiali che « non mostrano alcuna pretesa di provare la verità, ma semplicemente di purificare il sentimento religioso del lettore » e che perciò non possono aver Dio come autore principale. In questo senso principale. In questo senso si può ben ammettere che la Bibbia « non contenga alcun errore propriamente detto e molto meno le bugie sia pur officiose », in quanto che il racconto biblico si rapporta « a quelle forme e alle esigenze di vita dei lettori per i quali ciascun libro è stato scritto » (Il Programma dei modernisti, 2a ed., Torino 1911, p. 40). Parimenti l’ispirazione biblica non è più da concepire come una meccanica trasmissione delle parole o dell’idea da Dio all’uomo, ma in una vitale concezione della parola insieme e dell’idea per opera dell’uomo unito a Dio in una maniera speciale e soprannaturale (ibid., p. 41) che però il Programma non precisa. Va notato infine che, secondo il modernismo, lo scopo e il contenuto della divina Rivelazione non ha tanto carattere dottrinale riguardante la conoscenza astratta della divinità, quanto l’istruzione pratica del come venerare Dio e conformare la vita alla norma suprema della sua volontà (ibid., p. 45). La negazione dell’ispirazione come carisma, della storicità e del contenuto di verità assoluta del libro sacro è ripetuta e analizzata a riguardo del Nuovo Testamento, nella composizione dei Vangeli e dei rapporti fra loro, dove si fa distinzione fra l’elemento storico e l’elemento soprannaturale della fede, per passare alla distinzione nominata dalla stessa Enciclica (Denz-U, 2076) fra « il Cristo della storia e il Cristo della fede (Programma, pp. 66 sgg., 115): all’una appartiene di conoscere che Cristo è uomo, all’altra che Cristo è Dio e tocca al fedele vedere dappertutto il Cristo secondo lo spirito » (ibid., p. 75). Importa poco alla fede di accertare la nascita verginale, i miracoli clamorosi e infine la resurrezione del Redentore e se è possibile o no attribuire a Cristo l’annuncio di alcuni dogmi e la fondazione della Chiesa: questi fatti sfuggono alla storia e non hanno realtà che per la fede (ibid., p. m). Il principale rappresentante del modernismo biblico fu A. Loisy.

2. Modernismo teologico. — Al principio del Cristianesimo non c’era che la fede intensamente vissuta, senza dottrine definite o dogmi: questi sono « incrostazioni depositate dalla riflessione di coscienze esaltate, specialmente di s. Paolo, ma estranee al contenuto primitivo del Vangelo di Gesù ch’era un caldo e appassionato annuncio del regno imminente e un invito alla purificazione interiore » (ibid., pp. 74, 88). Altrettanto dicasi della dottrina dei primi Padri, dai quali esula ogni tendenza dogmatica così che è « arbitrario e aprioristico » far risalire all’insegnamento primitivo di Gesù e dei suoi primitivi seguaci i dogmi dei Concili e specialmente la fede del Concilio di Trento nella loro espressione. La « evoluzione dei dogmi » è stata, secondo il modernismo, l’effetto dell’adattamento vitale « indispensabile al Cristianesimo per sopravvivere nell’ambiente ellenistico in cui venne a trovarsi fuori della Palestina, e ciò vale specialmente per i dogmi fondamentali trinitario e cristologico e per l’organizzazione della Chiesa » (ibid., p. 81 sgg.). Così che « tutto è cambiato nella storia del Cristianesimo, pensiero, gerarchia e culto: l’elemento costante di verità ai primi tempi della Chiesa, nei secoli seguenti, compresa la scolastica e il Concilio di Trento che la canonizzò, come ai nostri giorni, è l’esperienza religiosa ch’è sempre identica negli uni e negli altri » (ibid., p. 92). In tutta la storia del Vecchio e del Nuovo Testamento si attua « la continuità di una Rivelazione che nella coscienza umana il divino fa di se stesso sempre più intensamente » (ibid., p. 111): dogmi, organizzazione ecclesiastica, Sacramenti… non sono che mezzi per realizzare quell’esperienza più profonda del divino; e i fautori del modernismo auspicano di poter in futuro farne a meno (ibid., p. 112).

3. Modernismo filosofico. — Il Programma rigetta categoricamente l’accusa di «agnosticismo » e — pur riconoscendo di accettare la critica negativa fatta alla ragione da Kant e Spencer (ibid., p. 28) — dichiara di professare un atteggiamento radicalmente diverso, quello cioè di spiegare ogni tipo di conoscenza (fenomenica, scientifica, filosofica, religiosa) in funzione dell’« azione » e quindi dell’esperienza che è propria ad ognuno in quei campi. In particolare nella sfera religiosa, sia per provare l’esistenza di Dio come per accertarsi della divina Rivelazione, non importano più le dimostrazioni della metafisica medievale e la testimonianza del miracolo e della profezia: oggi sono invece « le esigenze della nostra vita morale e l’esperienza del divino che si compie nelle profondità più oscure della nostra coscienza, che conducono ad un senso speciale delle realtà soprasensibili » (ibid., p. 97). Quanto all’accusa d’immanentismo, il Programma, pur riconoscendo che l’Enciclica ha visto bene, si affanna a dimostrare che il « principio d’immanenza » non è affatto in contrasto con la tradizione cattolica in quanto anche per questo il giudizio « Dio esiste », ammesso come la stessa teologia scolastica ammette che non è giudizio né analitico a priori né sintetico a priori, resta che sia sintetico a posteriori, cioè dimostrabile con l’esperienza, « la quale non può essere altro che quella che si compie dalla e nella coscienza dell’uomo » (ibid., p. 100). – Anche i Padri e lo stesso s. Tommaso non hanno voluto, dire altro, e l’immanentismo non è quel grosso errore che l’Enciclica ha voluto far credere (ibid., pp. 101 sgg., 120 sgg., 138 sgg.). Quanto ai rapporti fra scienza e fede, il Programma professa di ammettere la distinzione più netta nel senso che la fede religiosa è il « bisogno istintivo.., che nasce spontaneamente e si svolge indipendentemente da ogni tirocinio di preparazione scientifica » (ibid., p. 123). Il Programma come conclusione dichiara che il modernismo non avversa né la Scrittura e neppure la tradizione ma soltanto l’interpretazione scolastica delle medesime perché ormai sorpassata dal metodo critico della coscienza moderna (ibid., p. 127).

V. CRITICA. — Il Programma ha confermato pertanto tutti i principali capi d’accusa dell’Enciclica Pascendi e quale principio ispiratore nella concezione della fede, della storia, delle formule dogmatiche, della gerarchia del culto: l’esperienza privata soggettiva. Tale criterio dell’esperienza privata è presentato come il risultato indiscusso e definitivo del pensiero moderno che dovrebbe costituire la formula unica della possibilità della verità religiosa per la coscienza umana in generale. Il modernismo, sfruttando ed esasperando l’insufficienza critica di alcune posizioni tradizionali nel campo dell’esegesi e della storia della Chiesa, ha cambiato sostanzialmente l’interpretazione dei dati e del significato stesso della fede, della religione naturale e della funzione della ragione umana. È stato così rigettato in blocco il realismo greco-cristiano che aveva per fondamento la distinzione dell’uomo dal mondo e da Dio e la distinzione dell’ordine naturale dall’ordine soprannaturale; con ciò si aboliva ogni vestigio di trascendenza. Viene eliminato di conseguenza ogni valore assoluto e trascendente dei primi principi della ragione e con essi è tolta la possibilità della struttura logica del discorso e la validità di ogni posizione metafisica. A nulla valgono le proteste di alcuni modernisti di accettare integralmente la dottrina cattolica, perché il modernismo ha nel « principio d’immanenza vitale » il veleno corrosivo non solo dell’essenza e delle verità di fede ma del valore oggettivo di qualsiasi verità assoluta di fatto e di ragione e ritorna al principio di Protagora che « l’uomo è misura di tutte le cose » (Theæt., 152, fram. B I). Il modernismo, ancora pur derivando per canali molteplici dal soggettivismo del pensiero moderno, non presenta alcuna consistenza teoretica perché non s’impegna a fondo con nessun sistema o filosofia determinata, così che si risolve in un fenomeno di « contaminazione teoretica » e di superficiale concordismo. La contaminazione però più essenziale è stata il tentativo d’interpretare l’esperienza intima del soggetto (autocoscienza) in diretta continuità e come espressione unica autentica della vita religiosa e di prendere la coscienza religiosa comune o naturale come l’essenza o il comune denominatore della stessa divina Rivelazione e della vita della Grazia. La realtà è che ogni esperienza religiosa, nell’ambito della vita della Grazia e della fede, può avere sol valore secondario e in dipendenza della Rivelazione e del Magistero ecclesiastico. – L’errore del modernismo ha però giovato indirettamente alla vita della Chiesa, chiamando a raccolta le sue forze migliori per fronteggiare l’attacco più subdolo e vasto alla sua missione spirituale; gli studi superiori delle università cattoliche, stimolati dal modernismo, si sono in questa metà del secolo completamente rinnovati, specialmente nel campo delle scienze bibliche e della storia dei dogmi dove il modernismo teneva l’arsenale delle sue armi. Tuttavia, il pericolo del modernismo non è mai completamente debellato perché  è insita nella ragione umana, corrotta dal peccato, la tendenza ad erigersi a criterio assoluto di verità per assoggettare a sé la fede. Un tentativo affine al modernismo è la cosiddetta « théologie nouvelle » comparsa in dopo la II guerra mondiale ed energicamente denunziata dall’encicl. Humani generis (12 ag. 1950) di Pio XII.. – (Poi il ribaltone conciliare, ed ancor più le aberrazioni postconciliari degli antipapi dal 26 ottobre del 1958 in poi, hanno confezionato un ultramodernismo tuttora in corso in cui la Rivelazione divina è sovvertita totalmente senza maschere, sia in campo teologico, dottrinale, liturgico, che ancor più nella moralità pubblica e privata, e nella organizzazione della vita sociale – ndr. -)

Cornelio Fabro.

MODERNISMO SOCIALE. – A somiglianza di quello dogmatico, si può chiamare m. s. quel movimento di idee e di attività che, a riguardo della società politica e professionale, pretende di regolarsi senza tener conto delle norme e dei principi essenziali proclamati dalla Chiesa, o senza dare alla Chiesa il posto che le compete. Esso prende le mosse da un erroneo sconfinamento ideale e pratico, oltre i limiti dottrinali della morale cattolica, con il pretesto di dover camminare con i tempi, quasi che la verità essenziale fosse mobile e soggetta a variazioni. – Tali deviazioni modernistiche furono descritte nell’Enciclica Ubi arcano di Pio XI, del 28 dic. 1922, e si riferiscono alle teorie da taluni professate « intorno alla autorità sociale, al diritto di proprietà, ai rapporti fra capitale e lavoro, ai diritti degli operai, alle relazioni fra Chiesa e Stato, fra religione e politica, fra classe e classe, fra nazione e nazione, ai diritti della S. Sede e alle prerogative del Romano Pontefice e dell’episcopato, ai diritti sociali di Gesù Cristo stesso, Creatore e Redentore, Signore degli individui e dei popoli » (AAS, 14 [1922], p. 696). Storicamente, una anticipazione di modernismo sociale, sebbene la denominazione sia di data più recente, può dirsi il moto intellettuale che fu capeggiato dal Lamennais (v.) e compagni dell’Avenir, in quanto veniva alterato il concetto di libertà e si metteva in equivalenza il bene e il male: moto prontamente condannato da Gregorio XVI, con le Encicliche Mirari vos (1832) e Singulari (1834), seguite poi da documenti, come il Sillabo di Pio IX (1864), e soprattutto dalle Encicliche sociali di Leone XIII, fra cui l’Enciclica Libertas (1888) e la Rerum novarum (1891). Nel progredire degli studi sociali e con il sorgere della Democrazia Cristiana (concetto sociale volgarizzato con il favore di Roma e sùbito sostenuto fervidamente da molti giovani sacerdoti), un gruppo notevole di conservatori e di integristi di Francia e d’ Italia, che di fatto ripudiavano della democrazia e il nome e la sostanza, volle accusare di modernismo sociale tutte le iniziative dei più arditi e schietti sociologi cristiani, in testa ai quali erano, in Francia, Leone Harmel e, in Italia, Giuseppe Toniolo, prendendo a pretesto qualche inesatta espressione sfuggita ai più ardenti propagandisti. La verità è che, né i fautori della Democrazia cristiana, né gli abati Lemire, Naudet, Gayrand, Garnier e Marc Sagnier in Francia, né i sacerdoti don Albertario, don Vercesi, don Torregrossa, p. Ghignoni, p. Semeria, don Sturzo ecc. in Italia, con largo seguito di gioventù, possono chiamarsi modernisti sociali. Essi rimasero, anche nella polemica, generalmente ortodossi. Del resto, Leone XIII, con la sua Encicl. Graves de communi (19o1), aveva messo opportunamente in guardia tutti gli aspiranti al regno sociale di Gesù Cristo, preservando da ogni possibile deviazione, e Pio X, nella sua la sua Encicl. Il fermo proposito dell’11 giugno 1903, aveva dato norme pratiche all’Azione Cattolica Sociale. – Intemperanze varie nel senso modernistico avvennero nondimeno, in quel tempo, in Belgio, con l’atteggiamento dell’abate Daens e la sua Lega democratica; in Francia, con l’organizzazione dei Sillon riprovato da Pio X (1910), in Italia con la Rivista di cultura, Battaglie d’oggi e l’Organizzazione della Lega democratica nazionale di don Romolo Murri, propugnatore di un autonomismo che non poteva essere consentito. Nel momento presente, tanto in Francia che in Italia, e anche nelle altre nazioni, la sociologia cristiana è inquadrata in organismi di Azione Cattolica di piena garanzia. In particolare le « Settimane sociali »si mantengono nella più assoluta ortodossia, pur dando luogo a discussioni libere nelle quali possono esprimersi le tesi più ardite.

GNOSI, TEOLOGIA DI sATANA (68): IL MODERNISMO (2)

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

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