DOMENICA FRA L’ASCENSIONE (2023)

DOMENICA FRA L’ASCENSIONE (2023)

Semidoppio. • Paramenti bianchi.

Noi celebreremo l’Ascensione del Signore rettamente, fedelmente, devotamente, santamente, piamente, se, come dice S. Agostino, ascenderemo con Lui e terremo in alto i nostri cuori. I nostri pensieri siano lassù dove Egli è, e quaggiù avremo il riposo. Ascendiamo ora con Cristo col cuore e, quando il giorno promesso sarà venuto lo seguiremo anche col corpo. Rammentiamoci però che né l’orgoglio, né l’avarizia, né la lussuria salgono con Cristo; nessun nostro vizio ascenderà con il nostro Medico, e perciò se vogliamo andare dietro il Medico delle anime nostre, dobbiamo deporre il fardello dei nostri vizi e dei nostri peccati » (Mattutino). Questa Domenica ci prepara alla Pentecoste. Prima di salire al cielo Gesù, nell’ultima Cena ci ha promesso di non lasciarci orfani, ma di mandarci il Suo Spirito Consolatore (Vang., All.) affinché in ogni cosa glorifichiamo Dio per Gesù Cristo (Ep.). — Come gli Apostoli riuniti nel Cenacolo, anche noi dobbiamo prepararci, con la preghiera e la carità (Ep.) al santo giorno della Pentecoste, nel quale Gesù, che è il nostro avvocato presso il Padre, ci otterrà da Lui lo Spirito Santo.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Ps XXVI: 7, 8, 9 Exáudi, Dómine, vocem meam, qua clamávi ad te, allelúja: tibi dixit cor meum, quæsívi vultum tuum, vultum tuum, Dómine, requíram: ne avértas fáciem tuam a me, allelúja, allelúja.

[Ascolta, o Signore, la mia voce, con la quale Ti invoco, allelúia: a te parlò il mio cuore: ho cercato la Tua presenza, o Signore, e la cercherò ancora: non nascondermi il Tuo volto, allelúia, allelúia.]

Ps XXVI: 1 Dóminus illuminátio mea et salus mea: quem timébo?

[Il Signore è mia luce e la mia salvezza: di chi avrò timore?].

V. Glória Patri, et Fílio, et Spirítui Sancto.
R. Sicut erat in princípio, et nunc, et semper, et in sǽcula sæculórum. Amen.

Exáudi, Dómine, vocem meam, qua clamávi ad te, allelúja: tibi dixit cor meum, quæsívi vultum tuum, vultum tuum, Dómine, requíram: ne avértas fáciem tuam a me, allelúja, allelúja.

[Ascolta, o Signore, la mia voce, con la quale Ti invoco, allelúia: a te parlò il mio cuore: ho cercato la Tua presenza, o Signore,e la cercherò ancora: non nascondermi il Tuo volto, allelúia, allelúia.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio.

Orémus. – Omnípotens sempitérne Deus: fac nos tibi semper et devótam gérere voluntátem; et majestáti tuæ sincéro corde servíre.

[Dio onnipotente ed eterno: fa che la nostra volontà sia sempre devota: e che serviamo la tua Maestà con cuore sincero].

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Petri Apóstoli. 1 Pet IV: 7-11

“Caríssimi: Estóte prudéntes et vigiláte in oratiónibus. Ante ómnia autem mútuam in vobismetípsis caritátem contínuam habéntes: quia cáritas óperit multitúdinem peccatórum. Hospitáles ínvicem sine murmuratióne: unusquísque, sicut accépit grátiam, in altérutrum illam administrántes, sicut boni dispensatóres multifórmis grátiæ Dei. Si quis lóquitur, quasi sermónes Dei: si quis minístrat, tamquam ex virtúte, quam adminístrat Deus: ut in ómnibus honorificétur Deus per Jesum Christum, Dóminum nostrum.”

[“Carissimi: Siate prudenti e perseverate nelle preghiere. Innanzi tutto, poi, abbiate fra di voi una mutua e continua carità: poiché la carità copre una moltitudine di peccati. Praticate l’ospitalità gli uni verso gli altri senza mormorare: ognuno metta a servizio altrui il dono che ha ricevuto, come si conviene a buoni dispensatori della multiforme grazia di Dio. Chi parla, lo faccia come fossero parole di Dio: chi esercita un ministero, lo faccia come per virtù comunicata da Dio: affinché in tutto sia onorato Dio per Gesù Cristo nostro Signore.”]

La carità, dice letteralmente la odierna Epistola, copre una moltitudine di peccati: sentenza che ha una notissima parafrasi popolare nella esclamazione posta dal Manzoni in bocca a Lucia di fronte all’Innominato: Dio perdona tante cose per un’opera di misericordia! Sentenza, che, a voler sottilizzare, presenta, ossia presenterebbe una certa difficoltà. Che cosa significa propriamente? Che cosa vuol dire l’Apostolo? La carità di cui parla che cancella o copre (le due metafore, appunto perché metafore, si possono equivalere) che carità è? La carità verso Dio? E allora la sentenza è una tautologia. Sfido: quando un’anima ha la carità, i peccati sono belli e svaniti; come quando uno ha caldo, il freddo se n’è bello e ito. La carità verso il prossimo nei limiti soprattutto pratici, in cui essa è possibile anche senza amor di Dio? Certo bisogna intenderla così, così l’intende il buon senso cristiano. Giacché di fatto ci può essere, c’è un certo amor del prossimo anche là dove e quando ancora non arda completo l’amore verso Dio. C’è della gente che ha cuore e non ha fede. Che ha cuore, ma non osserva ancora tutt’intiera la legge. C’è della gente che ha molto, ha parecchio da farsi perdonare da Dio. – Ebbene l’Apostolo riprende l’insegnamento del Maestro: per essere perdonati (da Dio) bisogna perdonare (agli uomini); perché Dio sia buono con noi, dobbiamo noi essere buoni coi nostri fratelli. I casi son due; e ve li espongo, perché uno dei due può essere benissimo il caso vostro. Il miglior caso è questo: un uomo ha da poco o da molto disertato i sentieri della bontà, della verità forse; ma adesso comincia a rientrare in se stesso, ad accorgersi della cattiva strada, per cui si è messo a sentirne dolorosamente il disagio… Non parliamo ancora di conversione, ma di un lontano principio di essa. Non parliamo di fuoco, ma la scintilla c’è: un oscuro desiderio della casa paterna improvvidamente abbandonata, del Padre che vi attende il prodigo figlio. Che fare? E che cosa consigliare a quest’anima? Non, s’intende, come mèta integrale e finale, ma come primo avviamento operoso e pratico e profondo? Fa del bene al tuo prossimo, tutto il bene che puoi, il maggior bene che tu possa.. Fa’ del bene, fa’ della carità, anche se, per avventura, tu avessi smarrito la fede o l’avessi smozzicata ed informe. Fa’ del bene. Perché, lo ha detto così bene San Vincenzo: è mistero la SS. Trinità, mistero la Incarnazione del Verbo, e davanti al mistero può ribellarsi orgogliosa la tua ragione, ma non è mistero che un tuo fratello soffra la fame e che tu potresti sfamarlo con le briciole del pane che ti sopravanza. E allora: da bravo, coraggio! Comincia di lì. Dà del pane a chi ha fame. Fa quest’opera buona; esercita questa carità. È carità che farà del bene anche a te, bene materiale, ma anche un po’ spirituale a colui che lo riceve; bene spirituale a te che lo dai. Ti farà del bene, ti renderà più buono, meno cattivo, sarebbe più esatto dire: diminuirà, sia pur di poco, ma diminuirà la tua lontananza da Dio benedetto. Anzi, questo lo farà anche se tu non lo pensi e non ne abbia l’intenzione; come la medicina fa del bene anche al malato che la prende senza sapere che è medicina, senza desiderare di guarire. La carità avvicina l’uomo all’uomo e avvicina l’uomo a Dio. Lo rende meno dissimile da Lui, meno difforme da Lui. E Dio ce lo ha detto, ce lo ha detto Gesù Cristo: Vuoi essere perdonato? Perdona. Dio tratta noi nella stessa misura e forma che noi trattiamo i nostri fratelli. Spietati noi coi fratelli? Spietato Dio con noi; tutto giustizia e niente misericordia. Misericordiosi noi coi fratelli nostri? Misericordioso Dio con noi; pieno di misericordia e di perdono. – Non si potevano saldare più nettamente, profondamente le due cause: l’umana e la divina, la filantropia e la carità! E questa saldatura mi permette di dire una parola anche a quelli che fossero o si fingessero buoni Cristiani: siate caritatevoli, fate carità, abbiate misericordia anche voi, perché innanzi tutto non c’è un Cristiano senza torti con Dio; ma se ci fosse, non dovrebbe fare a Dio il torto di essere senza cuore pei figli di Lui, suoi fratelli, di vantarsi o credersi perfetto, senza carità, senza misericordia.

(p. G. Semeria: Epistole della Domenica – Milano – 1939)

Graduale

Allelúja, allelúja.
Ps XLVI: 9
V. Regnávit Dóminus super omnes gentes: Deus sedet super sedem sanctam suam. Allelúja.

[Il Signore regna sopra tutte le nazioni: Iddio siede sul suo trono santo.
Allelúia.]

Joannes XIV: 18
V. Non vos relínquam órphanos: vado, et vénio ad vos, et gaudébit cor vestrum. Allelúja.

[Non vi lascerò orfani: vado, e ritorno a voi, e il vostro cuore si rellegrerà. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Joánnem.

Joannes XV: 26-27; XVI: 1-4

“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Cum vénerit Paráclitus, quem ego mittam vobis a Patre, Spíritum veritátis, qui a Patre procédit, ille testimónium perhibébit de me: et vos testimónium perhibébitis, quia ab inítio mecum estis. Hæc locútus sum vobis, ut non scandalizémini. Absque synagógis fácient vos: sed venit hora, ut omnis, qui intérficit vos, arbitrétur obséquium se præstáre Deo. Et hæc fácient vobis, quia non novérunt Patrem neque me. Sed hæc locútus sum vobis: ut, cum vénerit hora eórum, reminiscámini, quia ego dixi vobis”.

[In quel tempo: Disse Gesù ai suoi discepoli: Quando verrà il Consolatore che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza; e anche voi mi renderete testimonianza, perché siete stati con me fin dal principio. Vi ho detto queste cose perché non abbiate a scandalizzarvi. Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, verrà l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio. E faranno ciò, perché non hanno conosciuto né il Padre né me. Ma io vi ho detto queste cose perché, quando giungerà la loro ora, ricordiate che ve l’ho detto.

OMELIA

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956.)

CREDO LA SANTA CHIESA CATTOLICA

Terribili furono i giorni in cui Dio abbandonò la terra alla vendetta delle acque. Tutto l’ordine dell’universo fu sconvolto: si condensarono le nubi accavallandosi le une alle altre con tuoni rombanti, e il mondo fu scosso come da un gran singulto. Gli argini del grande abisso dei mari s’infransero, le cateratte del cielo si sfondarono, e tutto fu travolto dalle fiumane impetuose. Illesa, sopra l’universale rovina l’arca di Noè placidamente galleggiava. La gente che in essa s’era raccolta cantava le lodi del Signore, con tranquillità e beatitudine, mentre intorno ogni carne che aveva vita, dall’uomo all’ultimo animale della terra, affogava. Questa è la più bella immagine della Chiesa di Cristo che, in mezzo al diluviare degli errori e all’infuriare delle persecuzioni, illesa galleggia sopra i secoli, portando all’eterna salute quelli che in essa si sono rifugiati. Ma che cosa è la santa Chiesa Cattolica? È l’insieme di tutti gli uomini che hanno e professano la medesima fede, che ricevono i medesimi Sacramenti, che ubbidiscono all’autorità del Papa, successore di S. Pietro. Chi, per propria colpa, è fuori di questa società, non speri giammai di essere salvo, come fuori dell’arca nessuno si è salvato: perché questa è l’unica vera arca di salvezza e Gesù Cristo si è fatto uomo apposta per istituirla. E appunto perché vera, essa è perseguitata: ma si ricordino i persecutori che, nonostante i loro sforzi satanici, la Chiesa di Cristo galleggerà sempre più in alto, mentre essi saranno sommersi nella rovina. Unica che salva! Perciò perseguitata! Ecco i due pensieri che Gesù Cristo volle dire ai suoi discepoli prima di salire in Paradiso, e che S. Giovanni ci ha conservati nel suo Vangelo. « Io vado, però non temete. Vi manderò lo Spirito Santo, che procede dal Padre. Esso è Spirito. di verità ». Spiritum veritatis. Notate dunque che non alle sette, non ai partiti, ma solo alla Chiesa Cattolica ha dato lo Spirito della verità eterna. Poi Gesù prosegue, velando di mestizia la voce: « Non scandalizzatevi, ma è necessario che lo sappiate fin dal principio; sarete maltrattati, calunniati, odiati, uccisi. Ed ognuno che agirà contro di voi, crederà di farsi un merito, perché non conosce né il Padre, né me!». – 1. UNICA CHE SALVA. Uno dei più grandi poeti della Grecia e del mondo, Sofocle, fu accusato di essere pazzo dagli stessi suoi figliuoli, che prima del tempo avidamente pretendevano alla eredità paterna. Il processo era interessante, ed una immensa folla si accalcò davanti ai giudici: da una parte calmo e mesto stava il vecchio poeta, dall’altra i suoi figli ribelli e snaturati che s’affannavano a dimostrare la pazzia del loro genitore.  Quando tacquero, fu un silenzio altissimo e l’animo di ciascuno era teso nella aspettativa. Allora Sofocle si trasse da sotto la toga l’ultima sua tragedia e la declamò in faccia agli accusatori, ai giudici, al popolo. Com’ebbe finito, tutti applaudirono con folle entusiasmo; e vollero che il glorioso vegliardo fosse coronato d’alloro, mentre i figli indegni corsero a nascondersi nella loro umiliazione. Così, per difendersi contro le accuse e le calunnie dei figli ribelli, la Chiesa non ha che a presentare il suo Vangelo e le sue opere. Leggete il Vangelo, studiate il Vangelo! Troverete che Gesù Cristo ha fondato una Chiesa unica, simile ad un immenso ovile che raccoglie le pecore da tutte le parti, simile all’albero che con la sua chioma ombreggia tutta la terra, simile alla rete gettata in mare a raccogliere pesci d’ogni qualità. Questa Chiesa, unica ed universale, Egli l’ha data in mano a S. Pietro e a tutti i suoi successori. « Pietro, mi ami tu? Ebbene, pasci i miei agnelli. Pasci le mie pecorelle ». Così gli ha detto il Signore sul lago di Tiberiade. Ed una volta ch’erano vicini a Cesarea di Filippo gli disse quest’altre parole: « Tu sei Pietro, e su questa pietra fonderò la mia Chiesa ed avrai in mano la chiave del regno dei cieli ». Chi dunque non è con Pietro, ossia col Papa, è fuori della Chiesa, e fuori della Chiesa non c’è salvezza. Quando vi capiteranno tra le mani giornali o stampe che parlano male del Papa o dei Vescovi o dei preti che ubbidiscono al Papa, quando udrete taluno che in pubblico o in privato oserà dir cose diverse da quelle che ha detto il Papa o i Vescovi e i preti ubbidienti al Papa, ricordatevi che chi s’allontana dal Papa va fuori della Chiesa. La Chiesa è là dove c’è il Papa, e fuor della Chiesa non c’è salvezza. Il Curato d’Ars ricevette un giorno la visita d’un ricco protestante, il quale aveva mantenuto l’incognito. Nel congedarlo, lo regalò d’una medaglietta del Papa « Già, voi non sapete ch’io sono protestante – rispose il visitatore; — Ma io son sicuro di trovarmi un giorno nel cielo accanto a voi ». « Per essere unito in cielo, bisogna esserlo prima sulla terra: l’albero, dove cade, sta ». « La fede, io l’ho, — rispose il protestante. — E Cristo ha detto che chi ha fede avrà la vita eterna ». « Benissimo. Ma non dimenticate che Cristo ha detto anche che ci sarà un gregge solo, sotto un pastore solo. Ha detto anche che se qualcuno non ascolta la Chiesa, sia come un idolatra e un peccatore. Non ci sono due maniere di servir Dio; non ce n’è che una buona, amico mio: quella stabilita da Lui: credere tutto e solo ciò che la santa Chiesa insegna, ubbidire a tutte le sue leggi. Il protestante, chinata la testa, meditò queste parole. Meditiamole anche noi, e ci faranno bene. – 2. PER CIÒ È PERSEGUITATA. Può forse l’orgoglioso appoggiare una dottrina d’umiltà? E l’uomo disonesto può forse approvare una dottrina d’austera castità? E l’irascibile una dottrina di mansuetudine e l’invidioso una dottrina d’amore e l’ingiusto una dottrina di giustizia? Quando il divin Maestro cominciò a predicare contro l’avarizia e la superbia dei Farisei, questi l’insultarono coi termini più volgari, e poiché Gesù non taceva lo fecero fuggire a sassi. Ebbene, i discepoli non sono più del Maestro. E la Chiesa non è da più del suo divin Fondatore. Per i primi tre secoli, gl’imperatori più potenti fecero una guerra sanguinosa ai Cristiani: e quali gettati in mare, e quali dannati ai lavori forzati delle miniere e quali in pasto alle belve, o crucciati con mille tormenti. Eppure, in ogni città i Cristiani si moltiplicavano. Sotto il suolo di Roma, nelle catacombe, la Chiesa viveva come il grano sotto il lenzuolo di neve, all’inverno. E quando il feroce imperatore eresse un monumento con la fastosa iscrizione: « al divo Diocleziano per aver distrutta la cristiana superstizione in tutto il mondo », ecco che si scoprono dei Cristiani perfino nella famiglia imperiale. Finiti i tre secoli delle persecuzioni dei corpi, cominciarono tre secoli di persecuzioni di anime: gli eretici più dotti e più accaniti spargevano gli errori contro la fede, ingannando moltissimi. Per altri secoli la Chiesa fu minacciata dalla ferocia dei barbari, e poi dalla forza brutale dei Maomettani che invadevano quasi tutto il mondo allora conosciuto, diffondendo la sensualità e la crudeltà. Infine, la Chiesa fu lacerata da Lutero che strappò molte nazioni di Europa dalla vera fede, per sospingerle nell’eresia del protestantesimo. Fu travagliata dalla grande rivoluzionefrancese, quando si gridava di non voler più né Dio né altare, si mettevano alla ghigliottina i Vescovi e preti. Ed ai nostri tempi quanta lotta non ha mosso alla Chiesa la massoneria! Quante volte il Papa, ai nostri giorni, ha levato il suo gemito contro il dilagare della disonestà., dell’indifferenza religiosa, della cattiva educazione dei fanciulli! E non sono finite le persecuzioni: dureranno ancora, finché durerà il mondo. La  Chiesa lo sa e non teme, perché essa non può che trionfare. Quando i santi Cosma e Damiano furono messi in croce, poiché anche dal patibolo predicavano la vera Religione e ne convertivano molti, il preside, ripieno di furore, comandò che fossero saettati da quattro cavalieri. Fu ubbidito. Ma le saette tornavano tutte indietro e ferirono i quattro cavalieri e quelli vicino a loro, ma ai Santi non fecero male veruno. Così fu e così sarà sempre di coloro che lanciano la saetta della persecuzione contro la Chiesa. Dov’è ora Nerone, Giuliano l’Apostata? sono morti, loro e la loro rabbia. Dove sono gli eretici? son morti, loro e la loro eresia. La Chiesa vive e trionfa. I Vescovi sono oggi, più che mai, uniti all’augusto loro Capo. I popoli da tutte le parti del mondo stendono verso di essa le loro mani supplichevoli. I re non sono sicuri senza il suo appoggio. Le stesse nazioni che sono separate e sembrano fuggirla, per vie nascoste, cercano e sospirano l’istante di riposarsi nel suo seno. – Sopra un’isola del lago Maggiore, un giovane e ardente diacono cadeva martire dell’unità della Chiesa: Arialdo. I sicari, sul luogo stesso del martirio, nascosero la salma santa, credendo che tutto fosse finito. Ed ecco che, di notte, una luce vivissima irradiava dal tumulo, e tutti i pescatori ch’erano sul lago, vedendola, accorrevano. Oliva, la donna perversa che l’aveva fatto uccidere, indispettita di quanto si narrava, fece trasportare la salma in un’altra isola. Quivi pure si rinnova il prodigio, e con più luce. Allora fu buttata in una cantina del castello di Travaglio. Ma fasci di luce trapassavano ogni schermo, sorgevano da ogni profondità, per svelare alla gente ove fosse il corpo del santo. Fu deciso perciò di gettarlo nel lago con appese grosse pietre che lo trascinassero e lo tenessero sul fondo: ma dieci mesi dopo — abbiamo tutto ciò da memorie contemporanee sulle quali non c’è ragione alcuna di dubitare — il corpo riapparve a fior d’acqua e fu deposto sulla sponda di Valtravaglia, intatto. Oliva ne fremette, tentò di soffocare la notizia del caso meraviglioso, e fece trasportare il corpo nella rocca di Arona, dopo aver ingiunto ai servi che lo sformassero col ferro e col fuoco. Intanto tutto il popolo della città di Milano, che aveva saputo, mosse col gonfalone, e con le armi, e con le insegne, alla conquista del corpo santo. Fu un mattino ampio e luminoso quando la salma del martire Arialdo, riconquistata dalla fede dei Milanesi, scendeva su apposita nave lungo il Ticino. Oh meraviglioso trionfo di fede! Sulle due sponde, da ogni parte accorreva gente con croci e con ceri; sonavano a distesa tutte le campane di tutti i campanili; ogni fanciullo squillava un campanello; ogni punto elevato, ogni albero era occupato da fedeli ansiosi di vederla; i malati guarivano; i peccatori piangevano i loro peccati: ognuno si sentiva trasmutare in novità di vita. Come lo splendore dei suoi Santi, così è la forza e il fulgore della verità che emana dalla Chiesa. Invano si cerca di soffocare la fede, di combattere il Papa: la Chiesa attraverso ad ogni battaglia trionferà sempre fin quando, finito il mondo, tutto il popolo della Città celeste del paradiso muoverà incontro al popolo stanco della Città terrena, e delle tre Chiese, militante, purgante, trionfante, se ne formerà una sola, in una unica gioia, con un unico grido trionfale: « Lode a Cristo: ieri, oggi, sempre: in tutti i secoli. Amen ». – – MI RENDERETE TESTIMONIANZA. È l’ultimo discorso di Gesù ai suoi discepoli. Egli non li inganna, non li pasce di rosee illusioni, ma svela a loro la vita difficile e spinosa che li attende. Il demonio non può star tranquillo ed ha sempre suscitato contro Cristo e contro i veri Cristiani penose persecuzioni. Attraverso a queste lotte, i Cristiani rendono testimonianza a Gesù. Et vos testimonium perhiberitis. Verrà un giorno in cui le parti saranno cambiate: Gesù non sarà più perseguitato, ma trionfatore; e dal suo trono di gloria e tra gli Angeli suoi chiamerà tutte le genti al suo tribunale. Chiamerà anche noi, e ci dirà: « Mi hai reso testimonianza? ». Che cosa gli risponderemo? Forse d’aver avuto vergogna? « Tu hai avuto vergogna di me davanti agli uomini; anch’Io, guarda, ho vergogna di te davanti al Padre mio e a tutti i Santi del Paradiso. Vattene nel fuoco eterno! ». Nessuno di noi, certamente, desidera sentirsi piombare addosso questa terribile condanna. Allora consideriamo quale testimonianza noi, ora, sappiamo dare a Gesù testimonianza di parole, di azioni, di patimenti. – 1. TESTIMONIANZA DI PAROLE. Quando Pietro e Giovanni guarirono lo zoppo della Porta Speciosa, in tutto il popolo s’accese un grande entusiasmo; onde i magistrati del tempio e gli anziani rodendosi dalla rabbia li fecero gettare in prigione. « In nome di chi avete guarito lo zoppo? » domandarono i magistrati per intimorirli. Pietro sapeva bene che se avesse fatto il nome di Gesù l’avrebbero condannato. Eppure non ebbe paura di dare a Cristo la sua testimonianza: « Anziani e capi del popolo! se presso di voi è delitto beneficare gli sventurati sappiate che io l’ho fatto nel Nome di N. S. Gesù Cristo, quello che voi avete ucciso, quello che Dio risuscitò da morte ». I magistrati allora li minacciarono perché tacessero. Pietro e Giovanni fremettero di sdegno e risposero: « Noi non possiamo tacere ». Non enim possumus non loqui (Atti, IV, 20). Quando sì tratta della gloria di Dio e dell’onore di Gesù Cristo, gli Apostoli non potevano tacere. Ma quante volte, ai nostri giorni, si deride in presenza nostra la religione, si parla dei Sacerdoti, si mettono alla berlina le persone devote, e noi tacciamo. Abbiamo vergogna di render testimonianza a Gesù con le nostre parole. « Io non ho coraggio »  si scusano alcuni. Sentite come a costoro S. Gerolamo risponde: « Se si trattasse di difendere il tuo onore, salteresti su come una vipera, ma perché si tratta di difendere l’onore del tuo Dio, ci passi sopra e taci; se pur non partecipi, e non approvi con gesti e con sorrisi  ».  In Dei iniuria benigni sumus; in nostris contumeliis odia exercemus. Siamo nell’officina; c’è vicino a noi chi fa discorsi osceni, chi ingiuria il Papa, la verginità della Madonna, chi nega l’Inferno e il Paradiso… e noi, per vergogna, tacciamo. Si va in treno: un uscio sbatacchia e un signore bestemmia. (Si bestemmia anche per meno). Noi udiamo l’insulto atroce contro Gesù, e non diciamo niente. Dite: se contro di voi si scrivesse una lettera infamante, lascereste che tutti la leggano? e perché allora non rimproverate i vostri fratelli, i vostri parenti, i vostri amici quando li vedete leggere certi libri e certi giornali che sono un’infamia sola contro Gesù Cristo? Perché non li rimproverate quando vanno a certi ritrovi, a certi teatri, ai balli, ove si offende Iddio? Voi non rendete testimonianza a Gesù Cristo con le vostre parole: voi siete cani muti che non sanno latrare. – 2. TESTIMONIANZA DI OPERE. S. Agostino, parlando agli infedeli, dice: « Se volete convincervi che la nostra Religione sia vera, guardate come vivono i Cristiani. Tra noi non v’ha né ingiustizia, né frode: ma tutto è amore, purezza, pietà ». Il Vescovo d’Ippona potrebbe, ancora oggi, ripetere il suo argomento? Potrebbe ripeterlo per noi? Le nostre opere sono dunque una testimonianza a Gesù Cristo? O non è da temersi che avvenga della Chiesa di Cristo quel che avvenne di Gerusalemme, quando i suoi nemici la videro distrutta e desolata e la ingiuriarono atrocemente? Hæccine est urbs perfecti decoris? È questa quella Religione che Dio portò sulla terra? Son questi i Cristiani? Questa gente che vive soltanto per divertirsi, per bere e mangiare, per far danaro, più o meno con giustizia? Hanno il nome di Cristiani, ma le opere sono pagane. Il Signore potrebbe ripetere anche a noi il suo lamento: « Mi chiamate Padre, ma dov’è l’onore che mi rendete? » Si pater ego sum ubi est honor meus? Dov’è l’onore che mi rendi, quando hai vergogna di levarti il cappello davanti ad una Chiesa, ad un’immagine santa? Se ti capita in casa un forestiero, o se ti trovi in compagnia, tu hai vergogna a rispettare la legge del magro; tu hai vergogna a lasciare gli amici quando suona la campana della dottrina cristiana; tu hai vergogna ad iscriverti tra le file dell’Azione Cattolica, come vuole il Papa. Dov’è dunque la tua testimonianza di opere? – 3. TESTIMONIANZA DI PATIMENTI. Sventolando una bandiera — rossa per il sangue d’innumerevoli vittime sacrificate a un dispotismo senza nome — correvano in tumultuosa manifestazione per le vie di Guadalajara le turbe del dittatore della repubblica messicana. Incontrarono nel loro cammino un bimbo innocente di dieci anni: sotto il braccio teneva un fascio di fogli stampati in cui si esortavano i Cattolici a resistere nella persecuzione e a pregare. « Chi te li diede? ». Li ho chiesti io alla Commissione di propaganda cattolica ». « Chi forma questa Commissione? ». « Non lo so ». – « Tu lo sai: dillo » . « Non lo dirò mai ». Fu subito arrestato e condotto in una buia e fetente prigione. La notizia dell’arresto fece accorrere la madre: e davanti alla mamma con terribili minacce gli intimarono di svelare il nome di quelli da cui aveva ricevuti quei fogli. « Non ve lo dirò mai » rispose con fortezza sovrumana il fanciullo. E subito sibilarono nell’aria le fruste. Sull’esile corpo caddero i colpi e il sangue sgorgò. La mamma piangeva, ma tra i singhiozzi esortava il piccolo figlio suo: « Non svelare, figlio! Mia creatura, non svelare! ». I carnefici delusi dalla fortezza di quel bambino, imbestialiti, gli stroncarono le braccia. Così il piccolo martire rendeva testimonianza a Gesù Cristo e alla sua Chiesa perseguitata, con i suoi patimenti. A noi, per ora, Gesù non domanda la testimonianza del sangue, purtroppo però, non siamo capaci di dargli neppure quella dei piccoli patimenti. Quante volte, a sera, non abbiamo saputo vincere il sonno e la stanchezza per recitare le nostre preghiere! Quante volte non abbiamo saputo mortificare la nostra gola, nel bere o nel mangiare; i nostri occhi nel guardare, la nostra lingua nel parlare! Quante volte non abbiamo saputo dimenticare una piccola offesa, ed abbiamo riscaldato in cuore la vendetta attendendo il momento opportuno per scagliarla. I veri Cristiani non agiscono così: essi fanno come gli Apostoli che erano contenti quando potevano patire qualche cosa per amor di Gesù Cristo. – Molti degli Israeliti avevano dimenticato i comandamenti del Signore e tentennavano verso il culto di un idolo chiamato Baal. Elia, allora, fece adunare tutto il popolo sul monte Carmelo e disse: «Fino a quando tentennerete così? Come mai osate congiungere insieme Dio e Baal? Se il Signore è il vostro Dio, perché non gli rendete testimonianza? E se non lo è, perché non lo rinnegate decisamente? ». Si Dominus est Deus, sequimini eum; si autem Baal sequimini illum (III Re XVIII, 21). Tale è la disgiuntiva che dal suo Vangelo, oggi, il Signore propone a noi tutti: « O Dio o Baal; o Cristo o il mondo ». Scegliete. Ma se la vostra scelta è per Gesù Cristo, allora rendetegli testimonianza: testimonianza con le parole, con le azioni, coi patimenti.

IL CREDO

Offertorium

Orémus

Ps XLVI:6. Ascéndit Deus in jubilatióne, et Dóminus in voce tubæ, allelúja.

 Secreta

Sacrifícia nos, Dómine, immaculáta puríficent: et méntibus nostris supérnæ grátiæ dent vigórem. [Queste offerte immacolate, o Signore, ci purífichino, e conferiscano alle nostre ànime il vigore della grazia celeste.].

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de Ascensione Domini

[Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: per Christum, Dóminum nostrum. Qui post resurrectiónem suam ómnibus discípulis suis maniféstus appáruit et, ipsis cernéntibus, est elevátus in cælum, ut nos divinitátis suæ tribúeret esse partícipes. Et ídeo cum Angelis et Archángelis, cum Thronis et Dominatiónibus cumque omni milítia cœléstis exércitus hymnum glóriæ tuæ cánimus, sine fine dicéntes:
[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: per Cristo nostro Signore. Il quale dopo la sua resurrezione apparve manifestamente a tutti i suoi discepoli, alla cui vista salí al cielo, per farci partecipi della sua divinità. E perciò con gli Angeli e gli Arcangeli, con i Troni e le Dominazioni, e con tutta la milizia dell’esercito celeste, cantiamo l’inno della tua gloria, dicendo senza fine:]
Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:
Pater noster

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Joannes. XVII:12-13; 15 Pater, cum essem cum eis, ego servábam eos, quos dedísti mihi, allelúja: nunc autem ad te vénio: non rogo, ut tollas eos de mundo, sed ut serves eos a malo, allelúja, allelúja.

[Padre, quand’ero con loro ho custodito quelli che mi hai affidati, allelúia: ma ora vengo a Te: non Ti chiedo di toglierli dal mondo, ma di preservarli dal male, allelúia, allelúia.]

Postcommunio.

Orémus.

Repléti, Dómine, munéribus sacris: da, quæsumus; ut in gratiárum semper actióne maneámus.

[Nutriti dei tuoi sacri doni, concedici, o Signore, Te ne preghiamo: di ringraziartene sempre.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

LO SCUDO DELLA FEDE (252)

LO SCUDO DELLA FEDE (252)

LA SANTA MADRE CHIESA NELLA SANTA MESSA (21)

SPIEGAZIONE STORICA, CRITICA, MORALE DELLA SANTA MESSA

Mons., BELASIO ANTONIO MARIA

Ed. QUINTA

TORINO, LIBRERIA SALESIANA EDITRICE, 1908

CAPO III

IL SACRIFICIO DIVINO

SECONDA PARTE DEL CANONE.

CAPO IV

•••••••••••••••••

LA PARTECIPAZIONE

ossia la Comunione Divina.

ART.  II.

L’orazione: Hæc commixtio.

« Questa mescolanza del Corpo e del Sangue di di Gesù Cristo torni per noi, che la riceveremo, a vita eterna. » Il che vuol significare appunto, che Gesù Redentore, per rendere perfetta la redenzione, secondo il disegno dell’amore divino, si ha da frammischiare con noi, ha da compenetrarci colla consacrazione del suo Corpo, si ha da unire indivisibilmente così, che portandoci seco identificati  (Io. Chrys. Hom. 24, in I ad Cor.) in seno al Padre, possa dire con gaudio eterno: « Padre, quelli che mi avete raccomandati, Io non li ho perduti, ma ve li porto col sacrificio mio in seno a Voi; acciocché siamo una sola cosa; Io in essi, e Voi, o Padre, in me, affinché siam consumati in unità » (Ioan. 17). – Il Sacerdote nel recitare quest’orazione tiene fra le mani il calice col SS. Corpo e col Sangue, nelle specie riuniti insieme. Pare anzi che il Sacerdote col Redentore, che adora risorto dinanzi, voglia col cuore esclamare: « eccovi, o fratelli, eccovi il pegno di vita eterna. Come risorge il Capo, risorgeremo anche noi che ne siamo le membra, per vivere eternamente con Lui in Paradiso » (Coloss. c. 3, I Cor. 15. 48.). Così ci è qui dato comprendere ciò che aveva Gesù predetto; che Egli verrebbe sulla croce esaltato (Ioan. 3. 11) per trarci seco a salute. Eccolo di fatto, che glorioso come è in cielo, lo vediamo colla fede abbassarsi a noi sino ai piè della croce sull’altare, per unirci nel Sacramento, affine di compiere la sua promessa. Adunque pigliamo lena a correre alla beata immortalità; e sia pur alto il cielo, e noi troppo in basso; ma diamoci pace, ché ne abbiamo ragione, e anche così lontani in esilio, confidiamo; perché tra il cielo e la terra si frappone Gesù Uomo-Dio: e per Esso a noi si fa vicino il paradiso.

La Vita eterna.

Verrà adunque così compiuto per Gesù Cristo il numero degli eletti, e nella consumazione del tempo, tutta la Chiesa, assunta nell’immortalità, sarà coronata di gloria in paradiso! Dio buono, quanti misteri! Mentre col monte di Sion e con tutto l’universo piangono ancora i fedeli con tanta pietà sulla morte del Redentore, all’improvviso escon dal lutto: e come giubilavano gli Ebrei lieti al banchetto degli azimi intorno all’ agnello sacrificato, succinti alle reni, col bordone in mano, in atto d’uom sopra viaggio, avviati alla terra promessa; così i fedeli col paradiso aperto sul capo fanno festa negli azimi di una pura coscienza intorno all’Agnello divino, e vanno già celebrando colle più allegre speranze il passaggio all’immortalità coi beati del paradiso. Benché così poveri di cuore, ed umili di spirito: tuttavia, dall’altare al cielo breve essendo il tragitto, perché di qui la croce è la via di mezzo che ci conduce all’eterna vita (S. Io. Chrys. Min. 79, in Matth.); confortati leviamo gli occhi della fede a quell’altezza; sulle ali della speranza varchiamo le nubi, le sfere, i secoli, i mondi del tempo; facciamoci presso al soglio della gloria del Dio immortale. Pioveteci di cielo, o Signore, una stilla di quel gaudio, un piccol raggio di quell’eterno splendore che deve sorprendere un’anima nell’entrar in paradiso. Verrà per ciascuno di noi l’ora di nostra Pasqua finale. Allora quando in questo frale, logorato, cadavere ancor respirante, cogli occhi annebbiati, con rumor confuso all’orecchio, con l’immaginazione sconvolta, sentirà l’anima nostra rompersi intorno i vincoli dei sensi, sopra l’abisso dell’eternità…. allora in tetro silenzio, solitudine negra, confusione e tenebrore, dirà seco l’anima buona: « O mio Dio! che sia questa la morte? No, no pel Cristiano, che risorge con Gesù Cristo, non è morte; è il passaggio alla vita del paradiso!… Oh, paradiso!… Oh, paradiso!… Città eterna, dove la verità è la luce, la carità è la vita, l’eternità, il termine della beatitudine! . Là che folgori di intelligenze! che tratti di delizie! che trascendimenti d’interminabil gaudio! Colà, sciolto il legame dei sensi, contempleremo Gesù, Sostanzial Verbo, sole della eterna giustizia con quello sguardo con cui si possiede l’oggetto amato; i nostri omaggi in affetti infuocati passeranno immediati dai cuori nostri, senza più velo in mezzo, nel suo Cuore santissimo, siccome i raggi corrono al centro: Gesù ricevendoli ognora spandendo in noi del suo amore divino, vivremo alimentati di beatitudine. Oh eternità beata !… Fermiamoci un istante a questa elevati col pensiero: di là cerchiamo che cosa è mai la terra, questa aiuola, in che strisciamo così alteri… che questo granello anzi di arena, che noi appelliamo con enfatica vanità i mari ed i continenti dell’universo!… Di là misuriamo i monti e le valli delle frivole disuguaglianze delle miserie di questo mondo d’un’ora! E queste son le cose che turbano la nostra pace!… Oh, misero chi pascola quest’anima in vanità, quando ella è creata per bearsi di Dio in paradiso! Oh paradiso!… Oh paradiso! Ma e che oseremo noi dire, anzi pensare, che degno sia del paradiso? Anche s. Paolo, al terzo cielo elevato, tornato in terra si trovava confuso perché le parole umane non bastavangli ad espimere (1) ciò che occhio non vide, né orecchio ascoltò, né cuor di uomo poteva sentire, quanto prepara nel regno suo Iddio. Non andremo più in là, perché lo splendor di quella gloria ci sfolgora lo smarrito pensiero. Per noi basta contemplare sull’altare aperto il paradiso… E già compartecipi col cuore di quella beatitudine eterna, come udimmo i beati in paradiso glorificare l’Agnello divino Redentore santissimo, l’Uomo-Dio, che beatifica gli eletti nella immortale città; anche noi aggrega quella Chiesa celeste, concittadini di loro diremo sant’Agostino (August. Pe. En. P… in 149, I), anche noi vogliamo innalzare cantico nuovo. Ché sì veramente a noi s’addice un cantico nuovo, poiché sappiamo che dopo il Sacrificio dell’Agnello divino anche in cielo si canta un nuovo cantico (Apoc. 4, 9). Se al vecchio Testamento (Cor. 12, 3.) cantico vecchio si canta; al Testamento nuovo, saldato nel Sangue di Dio, un cantico al tutto nuovo. E quale sarà questo cantico intorno a Gesù, se nonmil cantico dell’eterna pace! Ecco appunto in tanta piena d’affetti divini, in tanta povertà di concetti umani, s’alza dal coro, a far eco al cielo, un canto.

Agnus Dei,

Orazione ed esposizione.

« Agnello di Dio, che togli i peecati del mondo, abbi misericordia di noi. »

« Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo, abbi di noi misericordia. »

« Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo, dona a noi la pace. »

Questo cantico è intuonato dal Sacerdote cogli occhi e col cuore tutto in Gesù, con una mano attaccata all’altare, coll’altra picchiandosi il petto per umiltà. – Egli ricorda Giovanni Battista, che quando vide Gesù comparire nel deserto, « io non son degno, diceva, di sciogliere a Lui i calzari; » e da lungi adorandolo: « Ecco, esclamava, l’Agnello di Dio: ecco colui che toglie i peccati del mondo » (Ioan. I, 29). Così mentre Gesù si mostra tra il cielo e la terra, e dai beati in cielo e dai fedeli in terra s’adora il Redentore sacrificato, acclamandolo Agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo; anche noi picchiandoci il petto gridiamogli: « abbi di noi pietà! » E con S. Cipriano (De duplici martyrio) vogliamo esclamare: « niuno mai poté col sangue degli agnelli farsi innanzi al trono dell’altissimo Dio: Ora Voi, Gesù, presentate Voi stesso in cielo come un agnello in offerta, cadete innanzi al trono di Dio, versate il vostro Sangue, e trovate in cielo la redenzione! » Ah! Signore, fatene parte a noi per la vostra misericordia « miserere nobis. » Acclamiamo ancora con S. Cìpriano: « Ecco l’Agnello del Signore, che toglie i peccati del mondo; non i peccati dell’uno o dell’altro uomo, né i peccati di questo o di quell’altro popolo, ma i peccati del mondo universo. » Ah! dunque per pietà distruggete, o Signore, i nostri peccati: « miserere nobis. » « Agnello di Dio, acclamiamo lo vuole il cuore ancora, dateci la vostra pace! » Pace! pace! pace! E gli Angeli, intervenuti dal cielo a cantare sulla terra, quando comparve nato tra le virginali braccia di Maria Immacolata il Bambino Gesù; ora che il cielo s’abbassa alla terra ancora così, e le cose divine alle umane si mischiano e si confondono: gli Angeli della pace che fremevano per tremendo dolore al veder sul calvario Gesù trafitto sul petto a Maria or che manda vivo sangue dall’altare per la sua Chiesa; volando dalla terra al cielo cantano: « pace, pace, pace. » La Chiesa poi, dopo di avere salutato e festeggiato lo Sposo divino, che l’amò fino a versare per lei il Sangue, affin di pacificarla come agnello in sacrificio; chiesta a Lui misericordia e pace di suo diritto, perché se la guadagna tuttora col Sangue, che egli le ha dato in mano da versare; fa che il sacerdote si prostri colle mani giunte innanzi a Lui, e gli ricordi le sue promesse coll’orazione seguente.

Orazione: Domine Iesu Criste etc. detta per la pace.

« Signor, Gesù Cristo, che avete detto agli Apostoli: lascio a voi la mia pace: la mia pace a voi dò: non riguardate i miei peccati; ma sì la fede della vostra Chiesa: e secondo la vostra volontà degnatevi di pacificarla e di adunarla in unità. Voi che vivete e regnate Dio per tutti i secoli dei secoli. così sia. »

Spiegazione dell’Orazione:

Domine Jesu Christe.

« Signore, Gesù Cristo, voi l’avete già detto agli Apostoli: io lascio a voi la pace mia: dono la pace mia a voi ecc. ecc. » Questa pace adunque vi domandiamo, che è vostra, e l’avete fatta tutta di nostra ragione col guadagnarla per noi, che siamo popolo col vostro Sangue santificato. « Non guardate a’ miei peccati: ma bensì deh guardate alla fede della vostra Chiesa ecc. » Di questa Chiesa, che essendo la vostra sposa, abbracciandovi sull’altare può dirvi: « questo è il mio Corpo. » Ora voi che formate con essa un solo corpo, e si può dire anzi, che essa è il vostro più caro corpo (S. Bern. Serm. 12 in Cant.), togliete dal seno ogni divisione, ogni radice di scisma, che può sturbare l’unità con Voi, suo Capo. – « Degnatevi di pacificarla ed adunarla ecc. ecc., » come una sola famiglia di figliuoli col loro santo Padre, il sommo Pontefice. Fate di tutti un solo ovile che tutti ascoltiamo la voce del Pastore, Vostro Vicario. Così si formi il regno vostro in terra, come è disegno della volontà di Dio, di adunare per essa gli eletti in paradiso. » Il Sacerdote bacia l’altare nelle Messe solenni, e dà con un abbraccio la pace al diacono, che l’aspetta in ginocchio. Poi il Diacono porta la pace ai sacri ministri. Nella Messa poi dei defunti, stando noi col pensiero in quel mare di dolore, che è il purgatorio, dimenticandoci quasi di noi stessi in quell’istante, tutti pieni di compassione e desiderio di affrettare a quelle anime il riposo eterno; in esse non essendo più colpe da piangere, ma solo pene da alleviare; andiam ripetendo con lamentevole tenerezza: « o Agnello di Dio, dona a loro riposo, riposo sempiterno!. »

Il bacio di pace.

La Chiesa nell’istante, diremo così, di cominciare qui sulla terra quell’unione con Dio, che deve essere la nostra vita eterna, vuol che ci stringiamo, come membra in un sol corpo, nell’unione della carità che ci ha da coadunare in Dio. Diamoci adunque il bacio di pace in Esso, stringendo la mano a vicenda, e porgendoci l’un l’altro il braccio, facciamo di aiutarci, per giungere a goderla inalterabile in seno a Dio. S. Pietro scrivendo ai fedeli raccomandava loro di salutarsi a vicenda nel bacio di pace (I, 5. 1); saluto usato dagli Apostoli (Ad Rom. 1; ad Tessal. V, I Cor. 16.); e d’allora nel santo rito il bacio di pace fu segno di carità. Per conoscere quanto fosse santa questa pratica in quella semplicità di costumi, e in quel fervore dei primi Cristiani, è bello riconoscere qual era l’ordine in cui erano disposte le persone nel luogo santo.

(Ecco un monumento dell’ordine mantenuto nel luogo santo. Un concilio del secolo III dice: gli ostiari si fermino all’ingresso degli uomini, e le diaconesse a quello delle donne, per invigilarli come i capitani di nave che tengono conto dei passeggieri. Tal era la regola e la forma, che si conservava nel Tabernacolo del Testimonio e nel tempio di Dio. Se alcuno si troverà seduto in luogo non a lui conveniente, il diacono, come proreta (pilota), lo ripigli e lo conduca al luogo proprio. Perocché la Chiesa è somigliante non solo a nave, ma a greggia, e come i pastori collocano le capre e le pecore secondo la ragione del sesso e dell’età, in modo che ogni simile si raduni col suo simile, così nella Chiesa i giovani siedano separati; se non v’ha luogo, stiano in piedi; gli adulti siedano anch’essi in giusto ordine; padri e madri abbiano vicini i loro fanciulli, in piedi stanti. Le giovani abbiano, possibilmente, luogo separato; se no, dopo le donne mature. Le maritate e le matrone stiano pure distinte: le vergini, le vedove, le vecchie tengano il primo luogo, in piedi o assise. Il diacono presiederà alla distribuzione dei posti, sicché ognuno abbia il suo e non sieda indecentemente. Farà pure attenzione che non si ciarli, né si faccia rumore, o si dormicchi, o rida, o gestisca: dovendo ognuno in chiesa contenersi con saviezza, moderazione, vigilanza, e tender le orecchie alla parola di Dio. Tutti poi ad un tempo si levino da sedere, e usciti che sieno i catecumeni ed i penitenti, colla faccia verso Oriente preghino a Dio, che salì sopra il cielo dei cieli, e vi salì verso Oriente. – Sac. Conc. nov. et amplis. collect. or. io. Mansi T. I. coll. 362). – Così allora essendo separate in vari ordini le persone, era tolta ogni occasione di scandalo, non che di divagamento. Ora la Chiesa sostituì a questa pratica l’uso dell’istrumento della pace. Il Sacerdote bacia l’altare nel mezzo, e anticamente baciava proprio il Corpo SS. (Ben. XIV) affine di attingere la pace alla sorgente, nel Cuor di Gesù Cristo, che porta pace a chi santamente lo riceve. Poi con un amplesso bacia il diacono, o l’istrumento che gli presenta. Il diacono porta con questo segno la pace a quelli che servono all’altare, al clero, ai principi, od anche ai rappresentanti delle città, ai benefattori delle chiese, ed in qualche chiesa ancora a quelli che si vogliono comunicare. Nell’atto della cerimonia si dice « la pace sia con voi; » e si risponde da chi riceve la pace con un bacio e colle parole; « sia pur con lo spirito vostro. » Nell’istrumento, che si presenta a baciare, è scolpita ordinariamente l’immagine del Redentore morto, tra le braccia di Maria SS. Addolorata. Quanta pietà inspira questo devotissimo rito! Il Redentore morto che pacificato il cielo, chiede che vogliamo fare pace anche noi, sopportandoci e perdonandoci; Maria che lo presenta, allargandoci le braccia come a suoi figliuoli! Affrettiamoci, baciamo lagrimando per tenerezza nel petto Gesù, trafitto per noi, baciamolo tra le braccia di nostra Madre, come tutti fratelli, che veniamo a versare in seno a Gesù e Maria il nostro cuore, tanto pieno di compassione e di carità, esclamando: Gesù e Maria, accoglieteci tutti in cuore! Gesù morendo avrebbe voluto fino tutti i carnefici, che lo bistrattavano in agonia, portare in paradiso, e chiedeva con un gemito per loro perdono! Conchiudiamo con l’osservazione di S. Agostino, il quale parla di questo costume come di una tradizione apostolica. « Dopo l’orazione domenicale, così questo padre, noi diciamo: la pace sia con voi! Allora i Cristiani si danno a vicenda un bacio: egli è un segno di pace, che presentano sulle labbra. Il cuore vada con esso: e mentre la •bocca si appressa al vostro fratello, guardatevi bene, che non se ne ritiri il cuore. » Adunque dopo d’aver pregato Gesù che perdoni a noi, come noi perdoniamo ai fratelli; noi ci affrettiamo a darci la pace a vicenda. Con ragione facciamo così, anzi con tutto il nostro vantaggio: perché vogliamo per Esso avere una caparra del perdono di Dio in quel momento in cui tanto ne abbiamo bisogno, dovendo in noi ricevere il Signore nostro.

ART. III.

LA COMUNIONE.

Quanto è mai vero, che il Crocifisso è il gran libro, in cui leggiamo i più profondi misteri, tenerissimi e divini! (Bossuet Ser. Su. Io. Chrys.). L’atteggiamento, che la croce fece prendere al Figliuolo di Dio è sublime! Quale contrasto con quelle braccia al cielo elevate, e la incurvazione del Corpo, e di quel Capo verso di noi inclinato! Gesù Cristo ci si mette sott’occhi in quell’atto, ad esprimerci che ha compiuto il sacrificio, che l’offerta fu accettata, e che Egli è Dio-Uomo in seno al Padre con noi pacificato in paradiso. Ma che pure una qualche cosa pare che gli manchi in paradiso: e quello che gli manca siamo noi, finché restiamo in questa povera terra. Perciò dalla croce s’abbassa a raccoglierci: anzi da quella a noi si getta in braccio. Accorriamo, accorriamo a riceverlo, ad attaccarci a questo Corpo Santo: e questo vuol dire fare la Comunione divina. – Ricordiamo quanto abbiamo già detto, cioè che gli uomini avessero un qualche sentore di essere destinati da Dio a questa stupenda, ineffabile comunicazione. Quando essi si affollano intorno a quegli altari, per mangiare carni divenute sacre per loro coll’essere offerte in sacrificio, dando segno di sentire addentro la fame di un bene più che mondano, cercano di succhiare in esse qualche cosa di divino, e come d’assorbire gl’influssi della Divinità. Eh! bisogna ben che ci persuadiamo con grande nostra consolazione, che la Religione cattolica, quando all’uomo prostrato in umiltà, percuotendosi il petto a’ piè del santo altare, fa coraggio e dice: » Prendi: questo è il Corpo Divino, che ti custodisce a vita eterna; » essa provvede al più gran bisogno del cuore umano, irrequieto sempre finché non giunga a Dio. È un crudele inganno questo travagliare senza fine, per saziare di beni di terra quest’anima nostra! Se venisse pure a possederli tutti, in un quarticello d’ora di possesso rifinirebbe e consumerebbe tutto il mondo, che non è Dio. L’ anima umana è un oceano vuoto di acqua; e quando vi viene il suo elemento, che è Dio, allora si comincia a godere veramente. La nostra grandezza forma l’immenso vuoto dell’anima, e ci dà la fame di Dio: così la nostra grandezza forma in terra la nostra infelicità. Tutto ciò che vi entra di altro, ad altro non giova che a farle sentire il vano più grande: e non mai satolla di tutto che ha divorato, si precipita in seno a Dio! Ma dove Dio così vicino vicino, e tutto per noi e alla nostra portata se non nella Comunione divina? Viva Dio! è la sola Religione cattolica adunque, che può dire: » Co’ miei dogmi e coi miei misteri io sola posso dare agli uomini ciò che desideran per istinto dell’umanità, il sommo Bene, Iddio anche qui in terra. » Sublime spettacolo per i fedeli! Nell’angusta cerimonia, allo splendor di cento doppieri, tra una musica che imparadisa i sensi, appiè di un altare tutto lucente d’oro, col cuor troppo pieno, che non sa più come esprimersi, dover ricevere Dio! L’immaginazione cede: l’anima resta invasa, commossa, appena può respirare, si scioglie da ogni oggetto terreno, si slancia in seno a Dio (Chateaubriand). Tacciamo. Il fedele ha il suo Dio nel petto, e l’anima sua si è ricoverata nel Cuor dell’amabilissimo Redentore, l’uomo fra le sue braccia respira il profumo d’una vita divina: Ci vien pur bene qui il sospiro di un’anima bella in seno al suo diletto Gesù: Amo, e sovra il mio cuor palpitò il cuore del mio diletto: ed era – ah si il proclamo all’universo in faccia – era il Signore. Io lo vidi, il conobbi. E m’ama; io l’amo. È Silvio Pellico: con questo sospiro d’amore faceva l’ultima sua comunione nel fine del 1853, e volava abbandonatosi al suo Signore in paradiso. In tutta la Messa, come abbiam potuto osservare, la Chiesa mira a preparare i fedeli all’unione con Dio: ma in questo istante, in mezzo a questo cumulo di misteri, ella lasciò per molto tempo la libertà ai Sacerdoti di sfogare il cuore, si come suggeriva loro la pietà. Poi si è fatta interprete degli affetti più fervorosi: e li tradusse nelle due seguenti orazioni, che contengono i migliori e più santi atti di preparazione alla santa Comunione.

Le orazioni avanti la SS. Comunione,

ossia gli atti della medesima.

Orazione la: Domine Jesu Christe.

» Signore Gesù Cristo, Figliuol di Dio vivo, che per la volontà del Padre, cooperando lo Spirito Santo, per mezzo della vostra morte avete il mondo vivificato, liberatemi per questo sacrosanto Corpo e Sangue vostro da tutte le iniquità mie, e da tutti i mali universali, e fate che io sempre stia attaccato ai vostri comandamenti, e non permettete che mai mi separi da Voi: il quale col medesimo Dio Padre, e con lo Spirito Santo vivete e regnate Dio nei secoli dei secoli. Così sia. »

Spiegazione dell’orazione la.

» Signor Gesù Cristo, Figliuol di Dio vivo ecc. » Questo è un

ATTO DI FEDE.

Il fedele, nel beato istante di unirsi al sommo Bene, sente un bisogno di espandersi tutto in Lui: e fa questo atto di fede, in cui per godersi meglio della sua beata sorte, se ne vuole rendere più pienamente consapevole. Si ferma, direm quasi, in questo atto a contemplare il suo diletto, e contemplandolo gli va dicendo: » Signore mio Gesù, così meschino come sono, ho da ricevere proprio Voi, Figliuolo di Dio vivo, il quale sapeste morire per amore?… Il mio buon Signore, cosi grand’ Iddio, che ci amò fino a darsi alla morte per guadagnarci la vita eterna, vuol discendere adunque in questo carcere del corpo mio ?… » Qui, come amante infervorato, passa l’anima a sfogarsi in tenerezza, con fargli le sue confidenze con un

ATTO D’AMORE.

» Voi il quale per volontà del Padre, cooperando lo Spirito Santo, avete il mondo vivificato ecc. ecc. » In quest’atto vuol dirgli, che sa di quanto amore lo abbia sempre amato il suo Amor Crocifisso e Dio suo! Anzi prima di riceverlo ancora in questo momento, gli vuol mettere innanzi le sue misericordie, vuole con santa cortesia tenerissima raccontargli come è a parte dei misteri della Divinità; come già sappia bene quanto in Lui l’ami il suo gran Padre divino, che determinò il tempo, il luogo, le circostanze del nascimento, la vita ed il sacrificio di Lui suo Unigenito, e come a questo mistero ha cooperato il suo amore Sostanziale, che è lo Spirito Santo. Così viene a dire col cuore a Dio Padre: « Questo così amabile Salvatore è vostro dono, o Padre celeste: è opera del vostro amore, o Paraclito divino. » Ed in Gesù Cristo adora in tale modo l’augustissima Trinità: a cui ha offerto il sacrificio che il Padre esigeva, che il Figlio eseguiva, e che santificava lo Spirito Santo. Con tutta l’anima in tali meraviglie divine, vedendosi innanzi un Dio che si sacrifica, l’Eterno che ha voluto morire; il mondo per lui vivificato; e Gesù che ha tali prodigi operato, e che sta per portargli in seno i tesori della sua bontà e della vita eterna (Io. V, 21):  se lo guarda e gli si getta dinanzi di tutto cuore a supplicarlo con un

ATTO DI DOMANDA

« Liberatemi per questo vostro ecc. » È questa una preghiera piena di confidenza; m piena eziandio della più sincera umiltà. Qui il sacerdote cogli altri sta per stringersi al seno il Corpo SS. Con questo suo pegno d’amor di Dio dinanzi, come cosa già tutta sua, si sente allargare il cuore ad ogni speranza. Nella bontà e misericordia sua affidato, vuol gettarsi in braccio, meschinello!… al suo gran Salvatore; affamato e sitibondo!… alla fonte della vita; bisognoso al Re del cielo: servo!… al Signore: creatura!… al Creatore; abbandonato, che nessun bene ha da sé, al divino consolatore (De imit Chr. lib. 4). Ed alzando gli occhi sulle sue Piaghe, che sono la nostra salute; a quelle Piaghe si mette di riscontro le piaghe e le debolezze proprie, e gli grida; « Signore che mi avete cavato di bocca all’inferno, e che, morto al peccato, in Voi m’avete convivificato (Ephes. 2, ): deh! liberatemi da tutte le mie iniquità. Voi le conoscete tutte, le povere opere mie; deh) pel vostro Corpo e Sangue santissimo, in cui adoro i sigilli della pagata soddisfazione, ristorate 1’opera delle vostre mani: colle vostre Piaghe guarite le piaghe mie, e tenetemi poi stretto in seno a Voi, sicché io adempia il voler vostro, che è la mia salute. Cresce la confidenza nel pensare che questo Redentore benedetto, già tutto suo, regna col Padre e collo Spirito Santo per tutta l’eternità: e per Esso concepisce speranza vivissima di partecipare a quella vita divina, inviscerandosi con Lui come membra in un sol corpo identificate (Io. Chrys. Hom. 24, ‘in 1 Cor.). Ma si ha proprio da ricevere Iddio? Oh confusione! Non si può a meno dì tremare. Provi l’uomo se stesso, si sente dire, e così mangi di quel Corpo, e beva di quel Calice (1. Cor. 28.). Deh! si sia pure provato: per l’uomo miserabile orrenda cosa deve essere cadere nelle mani del Dio vivente (Heb. 10, 31) non resta altro adunque che far proteste con atto di umiltà.

ATTO DI UMILTÀ.

Orazione 2′: Perceptio.

« La comunione del vostro Corpo e Sangue, o Signor Nostro Gesù Cristo, a me non torni in giudizio e condannazione: ma per la vostra pietà mi giovi a difesa dell’anima e del corpo, ed a ricevere il rimedio. O Signore, Voi che regnate con Dio Padre in unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. » • – « Il vostro Corpo, o Signor nostro Gesù Cristo, che io indegno presumo di ricevere, ecc. » Con questo atto di umiltà s’accusa di presunzione nel dover ricevere il suo Dio. E l’uomo che trema sato il peso delle sue miserie, e par che dica col pubblicano umilmente: « è vero che voi mel permettete, di spingere tanto in alto i miei desideri: ma conscio delle mie colpe, non posso a meno che tremare: e per poco mi manca il cuore di farmi tanto vicino a Voi, o mio Dio! E di fatto qual presunzione sarebbe, se non ci scusasse la vostra sola bontà, anzi il vostro comando? » Perciò deve ben l’ uomo provare se stesso e deporre con umiltà lo stato della sua coscienza, e nel giudizio della misericordia mettere la sua causa in mano al confessore: perché sarebbe troppo terribile disgrazia con una comunione indegna, portando il peccato sino in seno alla Divinità, e cadendo nelle mani del Dio vivente, provocar il suo sdegno con far orribile insulto alla sua santità! Noi abbiamo dette le più tenere cose da inspirar la maggior confidenza per ricevere Gesù; ma pensando che nell’ora stessa, in cui Gesù donava il suo Corpo, ha potuto seder al convito anche il traditor Giuda, nel sentir queste terribili parole: « Signore, il vostro Corpo non mi provenga in ‘giudizio a condannarmi: » mentre Gesù è sull’altare ed il popolo sta per parteciparvi, non possiamo fare a meno di esprimere il nostro orrore per una

COMUNIONE SACRILEGA.

Qui vorremmo scrivere a lagrime di sangue per esprimere l’enormità del delitto di un sacrilegio commesso sopra il Corpo di Gesù Cristo, dopo di aver assistito a tante meraviglie dell’infinita sua bontà. Fra questo spettacolo di misericordia, che consola sino gli Angioli in paradiso, avere ardimento di ricevere Gesù in peccato?! Questo propriamente è un voler mangiare la propria condannazione, e commettere, anzi che un sacrilegio, un orrendo delitto come di dar la morte al Signore (Io. Chrys. Hoin. 27, in 1. Cor.); è un vero tinger le mani nel Sangue di Gesù Cristo (Io. Chrys. opusc.). Perché col farsi reo del Corpo e del Sangue di Gesù, chi s’accosta indegnamente, è vero alla lettera che, in quanto a lui, crocifigge di nuovo il Salvatore; ma in circostanze le mille volte più tristi che non si fece là sul Calvario (Massillon. Com. sacra). E di fatto almeno i Giudei, quando gridavano: « alla croce, al Calvario, alla morte Gesù! » essi non credevano che Gesù fosse Figliuol di Dio, e loro pietosissimo Salvatore: perché per fermo, se l’avesser creduto Signore della gloria, non l’avrebbero mai crocifisso. Ma il Cristiano proterva che s’avvicina all’altare in peccato, ardisce rizzare il capo con audacia da demonio contro del Redentore suo, contro al Figliuol di Dio, in atto di scagliargli l’insulto, e abusando della Parola stessa di Gesù farlo scender dal trono della gloria, per ‘avvilirlo audacemente qui! Almeno i Giudei, quando ruppero addosso a Gesù, lo bistrattarono malvagiamente, lo caricarono di catene, l’urtarono ad una colonna; strappategli le vesti, gli piombarono sul petto, sul dorso, sul capo, su tutta la persona quella tempesta di battiture; poi lo incoronarono di spine con orribili scherni!… ma almeno quei brutali maltrattarono quella Carne, che era ancora soggetta alle umane infermità; mentre l’empio, che lo riceve in sacrilegio, cerca strapparlo, diremo così, dal seno della gloria del Padre, e buttare in mezzo a nuove contumelie quelle Carni santissime rivestite dell’immortalità: così osa far guerra al Figliuol divino fin nel più alto del cielo, nello splendor della gloria, in seno al Padre! Almeno i Giudei, quando stramazzarono per terra Gesù, lo tirarono sopra la croce e gli piantarono, ahi crudeltà! i chiodi nelle mani e nei piedi a colpi di martello, dandogli morte nel più orribil modo, uccidevano Gesù, che ancor non era morto per loro; ma l’orrendo uomo del sacrilegio, quando con atra bocca morde il Corpo di Gesù Cristo, maltratta quel Corpo, che ha combattuto fino alla morte per lui, e versa in peccato quel Sangue, che si è versato sino all’ultima goccia a sua eterna salute! Egli è vero, viva Iddio! (e questo è il solo conforto dei buoni) che Gesù è risorto immortale e non patisce più; ma egli è pur vero, che tale è l’attentato del sacrilego coll’ardire di farsi reo del Sangue divino! Ma v’ha di più ancora: poiché i Giudei, quando ebbero morto Gesù, lo lasciarono in pace. Allora poi vennero su quel monte quei buoni, che verso di Lui compirono i pietosi offici deponendone il Corpo in seno alla santissima Madre, ed involtolo tra purissimi lini, coi balsami i più preziosi, lo misero in un sepolcro nuovo colla maggior divozione e pietà: e l’anima di Gesù, mentre riposava il Corpo nel mondo sepolcro, scese al limbo, e in quel tenebrore portò col trionfo la luce; rovesciò il trono del diavolo, l’incatenò a suoi piedi; trasse in gloria una legione grande di trionfanti (Io. Chrys. Hom. 24, in 1 Cor.), che erano le anime dei Santi Padri, che lo sospiravano, e che Egli introdusse in paradiso. Ma ahi! ora scendendo nel cuor del sacrilego tra le sozzure di un’anima guasta, Gesù si vede d’intorno a schernirlo i demoni, padroni di quel cuore da Lui conquistato col proprio Sangue; da cui è forzato per la sua santità ad uscire come scacciato, e così adunque pare che il demonio, per mezzo del sacrilego, trionfi sopra Gesù. E par che gli dica: andate, morite un’altra volta per questi uomini che vi trattano in questo bel modo. – Dobbiamo dir tutto? Almeno i Giudei venivano giù da quel monte inorriditi dal deicidio, e si percuotevano il petto, e molti si salvarono ancora; ma Giuda, primo comunicante sacrilego, conobbe si l’enorme delitto di aver venduto a morte Gesù, pure non ebbe le lagrime da piangere il suo peccato. In orribile disperazione dà di mano ad un capestro, se lo lega al collo, s’appicca ad un albero, e scoppiando del ventre, sforza le porte d’inferno proprio nell’istante che Gesù apriva a tutti il paradiso. Tanto è vero, che chi mangia il Corpo di Gesù Cristo con sacrilegio, mangia la propria condannazione! Quasi a dirsi che non ha più bisogno che sia condannato: che la condannazione gl’imbeve l’anima, e l’ha con sé. Abbiamo adunque ragione di dire col Sacerdote, con l’anima raccapricciata: « Signore, per la vostra misericordia, mi giovi il Corpo SS. a difesa dell’anima e del corpo, ed a ricevere rimedio. » – Qui tuttavia è meglio sgombrar dalla mente ogni pauroso pensiero, ed accontentare l’amor di Gesù col gettarci in braccio alla sua bontà, e supplicarlo che il suo Corpo ci custodisca l’anima e il corpo; e ci sia di difesa contro le insidie del demonio, che da noi, stretti con Dio, fuggirà: sia difesa contro le lusinghe del mondo, che perderà le attrattive per noi, che possediamo il sommo Bene: ci sia rimedio contro la concupiscenza della carne, che rifiorirà per Gesù all’innocenza, e darà frutto di anime sante. Per allargare il cuore alle più grandi speranze, meditiamo…