LO SCUDO DELLA FEDE (250)

LO SCUDO DELLA FEDE (250)

LA SANTA MADRE CHIESA NELLA SANTA MESSA (19)

SPIEGAZIONE STORICA, CRITICA, MORALE DELLA SANTA MESSA

Mons., BELASIO ANTONIO MARIA

Ed. QUINTA

TORINO, LIBRERIA SALESIANA EDITRICE, 1908

CAPO III

IL SACRIFICIO DIVINO

SECONDA PARTE DEL CANONE.

CAPO III

LA PARTECIPAZIONE

ossia la Comunione Divina.

L’eterno è riconciliato coi peccatori. Il Padre celeste ha in seno il Figlio, che tornato dalla terra, gli porta in braccio colla sua divina l’umana natura, con quelle Piaghe che fan compassione, ricordandogli le piaghe della povera umanità, di cui fa parte l’umanità sua stessa, che in Sé ha assunta Gesù. E qui crediamo che Egli dica al Padre, che quei poveri suoi fratelli hanno troppo bisogno di Dio. Dall’altare, intanto, se li chiama intorno, e mediatore tra noi e Dio prega per noi, e a noi mette sul labbro la sua parola divina a dir tutto quello che non sa dire la parola umana, quasi ci dicesse in segreto: « andate là, fate coraggio, domandate tutto: ché vi sarà dato. Con voi pregherò Io stesso. » – Oh sì! ci voleva proprio solo Gesù per esprimere tutti gli affetti divini e gli immensi bisogni dell’anima nostra. Così per mezzo delle auguste cerimonie, che accompagnano il santo Sacrificio, la Chiesa ci ha fatto passare dall’apparecchio all’istruzione, dall’istruzione all’offerta e dall’offerta alla consacrazione, in cui si avvicinò al Redentore nostro. Qui è da ricordare, come Gesù le tante volte raccomandava di pregare. Un bel dì gli Apostoli a Lui: « Maestro, dissero, Voi ci raccomandate tanto di pregare; ma non sappiamo pure che dire; insegnateci Voi… » « Bene, disse Gesù, venite qui con me. » E, ci par di contemplarlo nel tirarseli tutti d’intorno sul monte, e inginocchiarsi in mezzo di loro, e levati gli occhi e le mani al cielo, dir loro con quella sua grazia: « dite su, con me: o Padre!… ; » e gli Apostoli a rispondere « o Padre ! » E Gesù: « Padre nostro, che siete nei cieli; » e gli Apostoli avranno taciuto… E Gesù: « dite su, Padre nostro… ; » e gli Apostoli, pare a noi, almen Pietro con quell’anima ardente avrà detto per tutti: « o Gesù Cristo: mai no, noi chiamar Dio nostro Padre?… Noi con una lingua di fango, con un cuor di terra… noi! dire Padre nostro! Ditelo Voi: Padre mio: e noi, Padre del nostro Maestro, del Vostro Figlio Gesù!… » Ma Gesù, che volle mettersi tutto con noi, e il suo Sangue versarci in cuore, pare di sentirlo a dire: « Figliuoli del Sangue mio, come io son nel Padre, io sono in Voi; fate coraggio, chiamate Dio col nome di Padre. » Ed insegnava il Pater noster. – Orazione al tutto divina! No, nessun filosofo, niuna scuola, niuna religione ha sognato mai di dire agli uomini: chiamate Dio col nome di Padre! Vogliamo bene osservare qui, che tutte le volte che nella divina officiatura si prega col Pater noster, si recita sempre questa orazione in segreto: mentre nella Messa per contrario, prima di cominciarla, si rompe il silenzio, per avvisare il popolo di accompagnar questa preghiera; e poi si recita ad alta voce: « Pater noster. » L’economia della Chiesa può darci di quest’uso la spiegazione. Ella soleva nei primi secoli tenere nascosti i più alti misteri agli infedeli, ed anche ai catecumeni, fino all’ora che dovevano esser promossi al Battesimo. Quest’uso di un prudente segreto era detto Disciplina arcani: la disciplina del secreto (Ben XIV.). Utile, anzi necessaria disciplina a quei tempi, in cui essendo i Cristiani dispersi in mezzo ai popoli pagani, uomini di grossa mente e d’idee troppo materiali nel fatto della religione; il manifestare i più sublimi misteri sarebbe stato un esporli alle derisioni, ed al sacrilegio, e dare occasione alle più bizzarre interpretazioni ed a mostruose contraffazioni, di cui restano i saggi nelle eresie degli Gnostici e d’altri antichi erranti. Quindi, l’orazione domenicale non si faceva conoscere se non ai provati: perché in essa chiamandosi Padre Iddio, si temeva, non forse volessero quelli che non erano ancora bene illuminati, fare del Dio del cielo un dio di sozze generazioni, di cui il paganesimo aveva più che troppi esempi sconcissimi. Era perciò l’ultima che s’insegnava ai catecumeni immediatamente avanti all’amministrazione del Battesimo. Si voleva che fossero ben fermi, prima che lor si confidasse quella preghiera, ed illuminati così da potere comprendere com’essa fosse il compendio di tutte le cattoliche verità, o il breviario, siccome la chiama Tertulliano, di tutta l’evangelica dottrina: perché si recitasse colle debite disposizioni. Ora abbiamo osservato, come alle officiature intervenivano coi catecumeni anche gl’infedeli: perciò quando si aveva da esprimere questa veramente confidenza, che ci ha fatta Iddio di sua bocca divina, se ne dava il segno, si sospendeva il salmeggiare, e si recitava in secreto. Nella Messa invece a quest’ora erano presenti i soli fedeli, le porte erano chiuse, tenuti lontani i profani. Qui adunque si potevano esporre i più teneri misteri, ed era lecito trattar con Dio colla libertà di figliuoli, incorporati in Gesù Cristo: e quindi l’alzar, ora che era tempo, della voce del Sacerdote, era un fare invito ai fedeli di aprir tutto il cuore col loro Padre Divino. Ecco di fatto come gl’incoraggia a pregare così nelle seguenti parole:

Oremus: Præceptis salutaribus ecc. ossia l’invito a recitare l’Orazione domenicale.

« Preghiamo: avvisati dai salutari precetti, e formati alla scuola divina del Vangelo, osiamo dire: Padre nostro ecc. ecc. »

Esposizione dell’invito: Præceptis ecc.

Abbiamo detto, che i fedeli a questo punto del Sacrificio si trovano tra le braccia di Dio: ed il Sacerdote loro fa qui invito a confidargli il cuore con tutti i suoi bisogni: e questo vuol dire pregare. Gli Apostoli appresero da Gesù Cristo, l’ora del Sacrificio essere propizia per effonder l’anima innanzi a Dio col Pater noster (Hieron. lib, 3, ad Pel.).

Oremus: Preghiamo adunque tutti in comune, e le dimande nostre siano in nome di tutti, affinché il Signore ascolti: ché quando ciascun privato prega per sé, prega nello stesso tempo per tutti i suoi fratelli (Io. Chrys. Hom. De Lazaro.). Vedendoci trattati da Dio con miracoli di tale bontà, noi non dobbiamo sapere far altro che gettarci ai suoi piedi, e in parole piene di pietà sfogare il dolore di averlo offeso. Se non che il Sacerdote si rammenta a conforto, che l’altissimo Iddio ci ha fatto dire dal suo Figlio: che per Mediatore abbiamo Lui presso del Padre in cielo: poiché è proprio Gesù col suo labbro benedetto, che ci fece il bel racconto, che sarà sempre il più gran conforto dei peccatori anche più disgraziati. Giova il ripeterlo qui a pascolo di tenerezza (Luc. 15.). Era una volta, dice Gesù, uno sciagurato di figlio, che fattosi tutto il suo bene dare dal padre, ed al più buono dei padri voltate le spalle, gettossi coi mondani a sollazzo, e tutto che possedeva mandò a male nella voragine dei vizi. Perduto ogni bene di Dio: ridotto sul lastrico, in tanta miseria che disputava le ghiande agli immondi ciacchi, li per morire di fame; si ricordò allora di avere ancora un padre, che trattava tanto bene sino gli ultimi servitorelli. Sorge e si avvia alla sua casa. Il buon padre allora innanzi alla casa passeggiava sotto l’ombra del suo viale, e doveva sospirare appunto il ritorno del figliuolo, che piangeva perduto: quando da lungi vede venire su un poverino, tutto lacero, e coperto di cenci cadenti, insozzato di fango, cogli irti capelli, consunto dall’inedia, colle gote riarse. Egli guarda…. Oh! gli par di conoscere…. quel peregrino da niente… che viene innanzi peritoso, impaurito… Ah possibile!… Oh Dio!… il cuor gli vuol saltare fuori dal petto… Eh! Proprio il suo povero figlio! Il padre non va, no, si getta con un salto incontro…. lo abbraccia al collo, lo stringe al petto, l’innonda di baci in quella foga d’affetti!… « Oh! padre, esclama il povero figlio, ho fatto tanto male! » Ma il padre gli chiude la bocca a furia di baci… « Oh padre! vi ricordate quel di… in cui vi ho abbandonato?…» Ma il padre gli risponde a calde lagrime: « mi ricorderò sempre del dì in cui sei ritornato! » « Ah padre! vi debbo far schifo, così sozzo che sono! » Ma il padre: « presto la mia veste più bella!… » Gliela getta addosso, e lo copre tutto di quel ricco paludamento! Il figliuolo colla testa china a pianger forte: e il padre sotto a ricevere le lacrime sul suo volto: e gli ribaciava la bocca!… Padre, sarò l’ultimo servitore in casa vostra!… Ma il padre, stringendolo al seno, lo mena in casa… e grida: « Presto il gran convito; è questo per la mia casa il più bel dì, il mio povero figliuolo era scappato, adesso è ritornato!… era perduto, adesso non lo perdo più! » Deh! non andiamo più in là: è meglio che noi diciamo: « O Gesù, v’abbiamo inteso per bene! » Questa non è istoria, ma un racconto, che vi suggerisce il vostro cuore, e con tenerissimo ingegno lo avete inventato Voi, per metterci sotto gli occhi ciò che vuol fare a noi il Padre divino, a cui Voi ci ritornate. Anche noi sciagurati, lasciato Dio, che è benedetto in eterno, cercammo beni ingannevoli, lontano dal Padre di tutti i beni, affamati di peccati, divenimmo abbietti in vita di colpe…. brancolammo in mezzo a quelle schifezze… Ah! che orror di miseria! Eh via, eh via, siamo ricondotti da Voi in seno al Padre… Per Voi ci è concesso, oh siate benedetto, Redentore pietosissimo! sì ci è concesso lo spirito di adozione (3 Ioan. III, I.), e tanta carità da poter chiamarci, ed essere veramente noi i figliuoli, e chiamarlo con Voi Padre nostro! (Avvertiamo, che l’esposizione del Pater noster fu da noi tratta da s. Cipriano, Tertulliano, s. Giovanni Grisostomo ecc., come anche da s. Teresa. – Può sembrare a taluno che qui interrompiamo troppo la spiegazione della Messa: ma, più noi crediamo di far cosa grata ai pii e colti nostri lettori coll’esporre, come in un quadro circondato dai commenti inspirati ai santi autori, che citiamo dalla loro pietà illuminata, il Pater noster, compendio delle verità cattoliche. Questa divina preghiera, le cui parole sono come tanti palpiti del Cuor di Gesù, basti a mostrare che è divina la Religione Cristiana a chi ha mente d’ intendere.). Invero i precetti evangelici dice s. Cipriano, sono i fondamenti che sostengono l’edifizio della nostra speranza, sono gli appoggi della nostra fede, e gli alimenti del nostro cuore. Ben volle Dio, che molte cose ci fossero dette dai profeti suoi servi; ma maggiori ce ne ha fatto insegnare dal Figlio suo, mettendoci in bocca Egli stesso la sua orazione. – Noi parliamo con essa al Padre divino colle parole del Figlio, e gli mettiamo innanzi i nostri bisogni colla supplica scritta col Sangue del suo Gesù: o meglio è il Consustanziale suo Figlio, che batte al Cuore del Padre divino, perché apra ed introduca seco noi altri figliuoli, che tien per mano di fuori. Il Padre ci vuol ricevere in seno, e vuole che ci assidiamo al convito. La preghiera della nostra fede sorga adunque diritta a Dio sotto la forma di figliale affezione. Ecco che mentre non a Mosè, non al popolo tutto d’Israele mai rivelò il Nome suo ineffabile: possiamo noi il Creatore dell’universo invocare col più tenero dei nomi, e gli gridiamo: « O Padre. » – « Perciò (S. Teresa.) quando vedremo il cielo, ripeteremo. è quella la vostra casa, o Padre: quando prenderemo in mano le vesti, i cibi, e tutto che Voi ci date, ripeteremo con allegrezza: quanto siete buono, o Padre! Quando alcuna cosa ci darà pena o travaglio, noi diremo rassegnati; eh! vuol essere per noi la buona cosa, perché ce la manda il Padre. Mio buon Dio, ci siete proprio Padre! mi guardo d’intorno, sono in casa di mio Padre; stendo lebraccia, e mi sento in seno all’amabile provvidenza di mio Padre; ché tale si è fatto conoscere Dio, quando col darci il Figliuol suo per nostro fratello, ci adottò tutti per figli. » Perciò quando noi tutti fratelli ci presentiamo qui dinanzi col Primogenito a capo di noi, allora col Padre (così Tertulliano) invocando il Figliuolo Gesù, invocando la Madre che è la Chiesa, formando con essi una sola famiglia in terra, ripeteremo piangendo di consolazione: « O Padre nostro. » –  Col dire nostro noi riconosceremo per nostri fratelli (così s. Gio. Grisostomo) i tanti figliuoli dello stesso Dio: dunque chi avrà cuore di oltraggiare i suoi fratelli? Anzi, uniti tutti insieme colla concordia e colla carità, mentre Gesù ci ordinava la preghiera in comune, perché noi siamo un corpo solo; terremo per mano la Chiesa, che dicemmo Madre in terra; ma il Padre nostro siete Voi, « Che siete nei cieli. » Siamo adunque adottati da Dio per figli? Questa è angusta e sublime adozione, che ci dà il diritto di pretendere tutti i beni del Padre Celeste! (così s. Gio. Grisostomo) Paragona, o mio fratello, quello che siamo per natura con quello che la bontà del nostro Dio ci ha fatto. Noi usciti dal nulla, fatti di terra, noi preda del tempo, ieri non esistevamo, e ora abbiamo Iddio per Padre in cielo. Ma noi chiamandolo Padre, siamo in obbligo di diportarci come figliuoli di Lui, sicché anche esso si compiacerà di esserci Padre, come noi ci onoriamo di essergli figli. Viviamo come se fossimo templi in cui abita Dio, ed essendo celesti e spirituali, non ci occupiamo, se non di cose celesti e spirituali. Deh! pigliamo l’ali della fede per volare da questa terra d’esilio in seno al Padre in cielo (ancora s. Gio. Grisostomo) perché questa è voce di libertà e piena di fiducia di quanti credettero in Dio, a cui diede la potestà di divenire suoi figli (Sacram. di Gel. Pap.).

« Sia santificato il vostro nome. » Padre, siam peccatori, è vero, ma rapiti in seno alla vostra Divinità, attoniti innanzi alla vostra grandezza, inabissati nella vostra bontà; Padre, ora per noi che vi conosciamo così bene, il maggior bisogno del nostro cuore è la gloria di Voi, che tanto la meritate. Siate adunque conosciuto, amato, servito e benedetto da tutte le creature: e la vostra santità (s. Gio. Gris.) sia di tutto glorificata nelle opere nostre, che siano degne di un tale Padre. Così risplenda la vostra luce in noi, affinché gli uomini vedano le opere nostre in terra, e diano gloria a voi in cielo (s. Gio. e s. Cipriano). Là in cielo quella corona di Angeli non resta mai dall’esclamare: « santo, santo, santo. » Deh! anche noi candidati degli Angeli, qui coi nostri voti dalla terra rispondendo, ci associamo al coro dei beati in cielo; le voci e le opere nostre accordando a quest’inno sublime di tutte le creature, a Voi, o Padre e Signore dell’universo, sia gloria da questa universale armonia (Tertulliano). Noi, dunque, dice ancora s. Giovanni Grisostomo, acclamiamo santo il Nome di Dio; non già perché noi possiamo aggiungergli santità; ma come acclamiamo ai principi, chiamandoli imperatori e re, per manifestare l’approvazione nostra, che essi siano al possesso di tale dignità: così noi manifestiamo meglio a Dio il desiderio nostro, ben pregandolo subito dopo, che Egli estenda per tutto l’universo il suo regno, colle parole: « Venga il regno vostro. » Dice qui s. Cipriano: non appartiene ad altri che ad un’anima pura questa dimanda. Voi avete udita la sentenza di Paolo: non regni il peccato nel corpo vostro mortale (Rom. VI). Posciaché avremo purificate le nostre azioni, i nostri pensieri, le nostre parole, diciamo a Dio: « Venga il vostro regno. » Perché gemendo sotto le catene dei sensi e delle passioni, preghiamo Dio, che ci liberi dal peccato, sicché diventiamo servi della giustizia. Così in queste parole diciamo di non volere legare il nostro cuore ai beni passeggieri e caduchi di questa vita; e di non tener per beni, se non quelli che sono immortali (Gio. Grisostomo). Ben regna Dio in eterno; ma noi supplichiamo, che Egli regni nell’anima nostra, che ha conquistata col Sangue suo; e sia Esso la nostra risurrezione, al dir dell’Apostolo: perché risuscitando con Esso, noi formeremo il regno suo celeste. Desideriamo finalmente (Tertull.), che Egli anticipi il regnare, e non ci prolunghi il servire. Semplici parole, ma fondamenti di una Religione, che guida gli uomini a regnare eternamente in Dio. Con esse chiediamo il compimento degli eletti nella consumazione dei secoli. « Venga adunque più presto che sia possibile il regno vostro, desiderio di noi Cristiani, confusione dei vostri nemici, allegrezza degli Angeli. Ché per questo regno noi combattiamo. » Ancora, vogliamo aggiungere con s. Teresa, queste sono di quelle celesti cortesie, di che le anime ricambiano Dio,  dicessero: Signore, voi fate tanto per regnare nei nostri cuori; anche noi, anche noi sospiriamo solo il vostro regno. Accennando dunque il paradiso (s. Teresa): « là, diciamo, è il regno del nostro Padre. Voi intanto, o Signore, stendete anche qui sulla terra il regno conquistato dal Sangue di Gesù Cristo. Fate che la vostra Chiesa raccolga nel suo seno tutti gli uomini, nostri fratelli. Oh! quanti di loro sono nella schiavitù del peccato: redimeteci tutti nella libertà del regno della vostra giustizia, e portateci a regnare con Voi in paradiso. » (S. Gio. Grisostomo). –  Quando l’anima è disposta così, (s. Teresa) lascia tutta a Dio la cura di sé, e delle cose sue. E a Lui dice come s. Caterina da Siena: abbiate Voi pensiero di me, ché io avrò pensiero di Voi. Facciamo ben dunque il maggior nostro interesse, quando ci rimettiamo a Dio, che vuol pigliarsi cura di noi, anzi si obbliga a farlo, più tosto che non affannarci da noi che non possiamo allungare di un centimetro un capello della nostra testa. L’anima non ha da fare altro che ripetere:

« Sia fatta la vostra volontà come in cielo, così in terra. » Come se dicessimo, così s. Cirillo (Mystag. 6,): « O Signore, possa io eseguire i vostri voleri sulla terra, come gli Angioli li eseguiscono in cielo. Oh via: facciamo veramente da figliuoli di Dio, lasciandoci dal suo Spirito condurre. » « Signore concedeteci (s. Gio. Grisostomo) che conformiamo totalmente la nostra vita a quella dei Santi, che sono già in cielo: così non facciamo mai, se non quello, che Voi volete. Date sostegno alle virtuose risoluzioni delle anime nostre, che pur vorrebbero essere vostre, ma trovano debolezza nei corpi. Si sforzano esse di correre, per unirsi a Voi nelle regioni celesti, ma il peso di questa carne arresta il loro volo, e le fa ricadere in terra. Siate Voi il nostro sostegno, e ciò che sembra eccedere le forze di nostra natura, ci diverrà facile. » Non domandiamo adunque che Dio faccia ciò che vuole (s. Cip.): e chi mai può impedire che Dio faccia ciò che gli talenta. Ma noi preghiamo, perché Egli adempia il volere suo in tutti, anche negli infedeli. Anche la povera volontà umana gli raccomandiamo; che le faccia volere ciò che è buono: sicché, come Gesù nell’Orto, anche nei più duri cimenti, quando sentiamo il peso delle debolezze della nostra carne, sotto di esso mandiamo tal grido al Padre: « non la nostra mala, sì la vostra buona volontà sia fatta! » Pronti con Gesù anche ad immolarci interamente ai voleri del divin Padre. Attacchiamoci adunque alla croce con Gesù Cristo, e colla pazienza corriamo alla corona. Questo è l’essere coeredi con Gesù Cristo. Fermi nella certezza (Tertull.) che la somma volontà di Dio è la salute di quelli, che Egli ha adottati, noi staremo fra le braccia del suo amore, affinché ci porti al cielo; tranquilli come i bambini in grembo alla madre. E di fatto. a chi possiamo affidarci meglio che al braccio di così amabile provvidenza, che di ogni più minuto essere si prende così sollecita cura? É sapientissimo il Signor nostro, e conosce tutto ciò che è bene; è onnipotente e può operarlo: è buono fino a salvarci col sacrificarsi per noi. Ah! gridiamo in braccio a Lui. « Fate Voi, fate Voi tutto che volete per recare a salute i figli vostri. » Bello è il pensiero di santa Teresa: Pongasi l’anima ai piedi del Padre, Signore e Sposo, come l’amabile Ester e quivi dica: « Signore, sono la serva che desidera nient’altro, che fare la vostra volontà. » Ed il Signore nella sua celeste clemenza (Tertull.) si degnerà sollevarci .come figliuole e spose.

« Dateci oggi il nostro pane quotidiano. »

Oggi non mettiamoci in pena per la dimane pronti ogni giorno alla partenza; atteggiati sempre come viaggiatori, i quali non più si fermano che un istante, per concedere alla natura il necessario. Ché non abbiamo qui la città permanente, ma siamo in via per giungere alla futura. Signore, dateci adunque la provvisione del dì. Dateci (s. Cipr.) il pane che supera ogni sostanza, che mantiene la vita spirituale dell’anima nostra ogni giorno. In tutti gl’istanti abbiamo bisogno di Dio; come bimbi giriamo intorno alla mensa, ed aspettiamo dalle mani del Padre il sostentamento, che solo può dare Egli; il quale apre la mano, e tutti gli esseri animati ricevono l’alimento. – Abbiamo adunque un Padre che pensa a noi: e noi riposiamo sulla sua provvidenza (s. Cipr.). Noi abbiam domandato il regno suo e la sua giustizia: tocca a Lui di compiere la sua promessa, di aggiungerci tutto che per noi sia bene. Se noi non gli balziamo fuori delle braccia, ci potrà Egli lasciar perire nel suo seno? Ma qui noi domandiamo il Pane vivo, disceso dal cielo, Gesù che adoriamo nel Sacramento, perché il pane della vita è Cristo Gesù (s. Cipr.) « Dateci oggi » potevano ben dire con maggior verità quei fervorosi antichi Cristiani, e lo possono ancora parecchi devoti, i quali nel desiderio eccessivo della Comunione, e per viva tenerezza di cuore non possono tener le lagrime: anzi colla bocca aperta del cuore insieme e del corpo, fino delle midolle anelano al loro Dio, fonte vivo: non sapendo altrimenti gustare, né empierne la propria fame, se non hanno con tutta dolcezza e spirituale avidità preso quel Corpo divino (Im. di Crist. Lib. 4); essendo per loro il più acerbo castigo l’esser per pochi dì della Comunione privati. La Comunione adunque, la s. Comunione è quotidiana. Deh adunque non stiam digiuni in punizione di qualche nostra colpa! (S. Cipr.). Diciamo bensì: dateci il pane quotidiano, perché sempre ci conviene domandare l’immunità dal peccato, per modo che siamo degni delle celesti vivande (Sacram. di Gelas. P.). – Pigliamo la beata usanza, tutte le volte che diciamo: Panem nostrum quotidianum, di gettarci in braccio a Gesù con una Comunione spirituale, e dire col cuore: « dateci il pan della vita il Vostro Corpo. » Ben s’intende che è il pane della vita eterna, che gli domandiamo: perché, se domandassimo il pane da mantenerci solo per la vita presente, non sarebbe che l’alimento, che ci munisce per andare al supplizio (Tertull.). Il perché (dice s. Teresa) io non mi posso persuadere, che si domandi il pane materiale, tanto più che ad un tanto Padre non istà bene il domandar tali cose basse, che Egli dà alle creature inferiori, senza che le domandino. Anzi Egli ci ha avvisati di chieder prima le cose del regno suo; ché del restante la divina Maestà si prenderebbe pensiero. Domandasi adunque il pane della dottrina evangelica colle virtù; ed il SS. Sacramento, in cui il cuor nostro si pasce di Dio stesso. Perciò quando gli domandiamo che ci dia il pane quotidiano e sopra sostanziale, è lo stesso che dirgli; « Vogliamo Voi, o Signore, perché niente ci può bastare senza di Voi. » Quindi è da prendere la beata usanza, tutte le volte che recitiamo il Pater noster, di slanciarci, dicendo queste parole, in cuore a Gesù nel santo ciborio, e dirgli contriti ed innamorati: « dateci il nostro pane! » Cioè si dovrebbe fare ognora con questa vivissima giaculatoria la Comunione spirituale. Perché veramente è questo il pane nostro, il Pan del padre: e tutta la vita cristiana dev’essere un sospirare a Lui per vivere solo di Dio (S. Cirillo Mist. 5).

« Rimettete a noi i nostri debiti, siccome noi li rimettiamo ai nostri debitori. »

Dice s. Giovanni Grisostomo: parole son queste di un senso assai profondo e formidabile, ed è come se colui che prega, dicesse a Dio: « Signore, io per me ho rimesso ciò che mi si doveva, anche Voi rimettete a me quel che vi debbo: ho dato, ed anche Voi ora date a me: ho perdonato, ed anche Voi ora perdonate a me. Che se non ho dato nulla al mio prossimo, se non gli ho rimesso il suo debito, non mi rimettete il mio: se ho maltrattato il mio fratello, non risparmiate me meschino: se mi son dimostrato duro verso di lui o spietato, trattatemi pure senza pietà: in una parola usate verso di me quella misura, che ho usato verso il mio prossimo. E vi sarà chi non voglia perdonare ancora? Ben dunque si dovrebbe (per lo men male) consigliare gli infelici, che son fermi di non voler perdonare, che non ardissero di pregare a Dio coll’orazione, che Cristo ha loro insegnato, chiamandolo Padre, e tanto meno lasciarsi trovare presenti al divin Sacrificio. Guai a loro! eglino si tirerebbero in capo la più esecrata maledizione, che il diavolo potesse contro a lor mandar dall’inferno. Nel grande atto di sacrificare a Dio l’immacolato Agnello di pace che leva i peccati del mondo ed impetra agli uomini misericordia, il Sacerdote in nome e persona dei fedeli, che sono presenti, fa al Padre la grande orazione, con la quale prega, che Dio voglia, per i meriti del suo Figliuolo, perdonare a noi i nostri peccati, come noi ai nostri fratelli perdoniamo le offese. Dimitte nobis debita nostra sicut et nos dimittimus ,debitoribus nostris. Ah! questo sarebbe quasi un fulmine: perché ciò importa, che essendo noi duri ed inflessibili al voler perdonare, anche Dio faccia con noi il somigliante: ed è un invitare e provocare la divina giustizia a fulminarci la sentenza d’eterna riprovazione, suggellata dal Sangue di Gesù Cristo, che in quell’atto doveva suggellare il riscatto della pace e della grazia a noi meritata; ed è un dire: Dio giusto! perché siete giusto e verace, come noi non vogliamo perdonare, e così voi in eterno non ci perdonate; della qual cosa niente di più orribile si può immaginare. Adunque se alcuno di costoro si trova alla Messa, esca, fugga di presente dal luogo santo, si separi dalla comunione dei fedeli della vittima per loro offerta: costui staria men male coi diavoli nell’inferno. Ah! Dunque, vinciamo ogni difficoltà e perdoniamo. Preghiamo, preghiamo che Dio ci conceda la grazia di perdonare. – Quando invece perdonando ci abbracciamo all’altare, e mostrando Gesù al Padre, gli possiam dire: « tuttoché peccatori non vogliamo temere di nostra salute, questo nostro Signore Gesù ha obbligato la fede sua dicendoci: se voi avrete rimesso agli uomini i loro peccati, il Padre Celeste rimetterà i debiti vostri. » (Matt. n. 14). S. Giovanni l’Elemosiniere stava sull’altare, e nell’atto di presentar l’offerta si ricordò dell’avviso di Dio di lasciar sull’altare l’offerta e di correre prima a riconciliarsi e poi venire a compier l’azione: e non poté più restarvi tranquillo. Corse giù dall’altare, cercò di un diacono che si credeva da lui offeso: al tutto volle con lui riconciliarsi: allora tornò contento a far l’offerta nella speranza di ottenere misericordia, col poter dire con sincerità: « perdonate a me, come io agli altri ho perdonato. »

« Non c’inducete in tentazione. »

Assaliti continuamente (s. Cipr.) o dal demonio, o dai nostri simili, o dai nostri sensi, siamo ad ogni istante in pericolo di soccombere, se non abbiamo ricorso alla grazia dell’onnipotente Iddio. Ma coraggio! Gesù ci ha manifestato che il demonio nulla può conta di noi, se non in quanto lo permette Iddio. Preghiamo adunque (s. Cipr.), non già di non essere mai tentati: guai all’uomo che non fu mai tentato! Egli nulla sa (Eccl. 34), e non è sperimentato. Ma preghiamo che Dio porti in mano l’anima nostra: ché quando ci terrà saldi la mano di Dio, noi cammineremo sopra gli abissi, e monteremo sopra il capo alle tempeste, e in mezzo agli attacchi dei nostri sensi troveremo occasione a sempre nuove vittorie. Quindi conchiude qui Tertulliano: « fate orazione. » Alcuni andarono soggetti alla tentazione, perché abbandonarono il Signore e si diedero piuttosto a dormire che a pregare. Preghiamo adunque che ci liberi dalle tentazioni, o dandoci grazia di non essere tentati, o dandoci grazia di non essere vinti. Il popolo risponde: « Liberateci dal male. » Liberateci cioè dal demonio, dal peccato e dalla eterna dannazione, orribilissimo di tutti i mali. Anche Gesù, per confortarci nel sentimento di nostra debolezza, pregava il padre, lo liberasse dai mali che gli soprastavano. Preghiamo pure il Padre, che ci liberi dal male, d’ogni mal di colpa e di pena, da tutto ciò, che crede Egli essere per noi male. La preghiera dice s. Cipriano, termina con queste parole, che ne sono il compendio. Non rimane più niente che si possa chiedere a Dio, giacché, impetrata la protezion di Dio contro il male che ci avversa, siam sicuri da tutti gli assalti del demonio e del mondo. Il Sacerdote risponde: « così sia. » Padre, Signore, Iddio, deh! per vostra grazia ci concedete tutto, di che vi preghiam nell’orazion vostra. Poi seguita l’orazione: Libera nos, detta Embolismo, cioè interposizione od intercalazione, perché ripiglia (Card. Bona, Rer. litur. lib. 2, n. 2) in certo qual modo la parola Libera nos, e si diffonde a numerare i mali, da cui si chiede di essere liberati; essendo come uno sfogo, che si prende l’animo nel versare in cuore al Padre delle misericordie la confidenza delle proprie miserie.

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.