LA VITA INTERIORE DEL CATTOLICO (12)
Mons. ALBAN GOODIER S.J. (Arcivescovo di Hierapolis)
Morcelliana Ed. Brescia 1935
Traduzione di Bice Masperi
CAPITOLO IV
LA VITA DELL’UOMO IN SE STESSO
2. – Suoi caratteri.
Se tale è l’ideale dell’uomo perfetto, come Cristo nostro Signore ce lo ha rivelato e come, in ispirito almeno, il Cristianesimo lo ha sempre accettato, sarà utile per noi cercar di vedere in che modo esso si rifletta sulla vita pratica e in che modo la determini, studiare insomma più da vicino i suoi lineamenti essenziali. San Tommaso d’Aquino ce li riassume in una sola frase: “La perfezione della vita cristiana consiste intrinsecamente ed essenzialmente nell’amore; in primo luogo amore verso Dio, in secondo luogo amore per il prossimo.” In questa frase e in altre simili che spesso ricorrono nell’opera dell’Angelico Dottore, egli dichiara, come fatto evidente così da non richiedere delucidazioni, che la perfezione cristiana è interamente fondata sulla carità, che, all’infuori di essa, nulla può formare l’uomo perfetto, non tutti i doni della natura, non l’educazione delle scuole, né le virtù, né i successi del mondo, mentre avendo la carità in un grado di perfezione ogni altra cosa viene di conseguenza, E per carità, come spiega qui e altrove, S. Tomaso intende innanzitutto l’amor di Dio. Dio è per lui la grande realtà, l’Essere che in sé contiene tutto ciò che è degno di amore, che l’amor suo ci ha dimostrato in mille modi meravigliosi e che merita quindi d’esser riamato con tutta l’anima. Ricambiare dunque Iddio con amore, non foss’altro per gratitudine, apprezzare sempre più tutto ciò ch’Egli ha fatto e ch’Egli è, amarlo di conseguenza ogni giorno più, ed essere finalmente consumati da quell’amore in modo che nessun’altra cosa possa intromettersi fra l’uomo e Dio, è questo, secondo S. Tomaso e secondo tutti i Santi che hanno reso gloriosa la storia del mondo, il fondamento primo della perfezione umana. Ma in secondo luogo e senza prescindere dall’amor di Dio, egli mette l’amore dell’uomo per i suoi simili; non può separare i due affetti: l’uno è il completamento dell’altro. All’amor di Dio deve seguire l’amore pel prossimo non solo come un frutto dell’albero, ma come sua diretta, anzi più diretta manifestazione. San Giovanni esprime efficacemente lo stesso pensiero: “Noi dunque amiamo Dio poiché Egli per il primo ci ha amati. Ma se uno dirà: “Io amo Dio” e odierà il suo fratello, è mentitore. Infatti chi non ama il suo fratello che vede, come può amare Dio che non vede? E questo comandamento abbiamo da Dio: che chi ama Dio ami anche il proprio fratello.” (I Giov. IV, 19, 21). – E San Paolo così riassume il suo insegnamento: “Fatevi dunque imitatori di Dio come figli bene amati, e vivete amandovi, come anche Cristo amò voi e diede se stesso per noi, oblazione e sacrificio a Dio, profumo di soave odore.” (Efes. V, 1.2). – Quando parliamo di amore riguardo a Dio e, come dice il comandamento, “con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente, con tutte le tue forze”, e quando parliamo dell’amore pel prossimo “come te stesso”, la parola amore è evidentemente usata in un senso che trascende quello del linguaggio ordinario. Ciò spiega perché S. Paolo preferisse a quella la parola “carità”; ai suoi tempi, come ai nostri, il termine corrente era stato così diminuito, avvilito e profanato che non esprimeva più la gemma pura e splendida di cui egli intendeva parlare. Eppure la sua. “carità” non voleva in nessun modo distruggere l’amore naturale, ché anzi la carità di Cristo perfeziona l’amore dell’uomo, lo innalza ad una sfera superiore, lo stimola con motivi ancor più nobili, gli insegna migliori metodi di espressione e gli offre più vasti campi d’azione. Difende l’amore umano, essenzialmente buono e vero in sé, da tutti quei pericoli che sempre minacciano ciò che è semplicemente naturale, mette in moto tesori d’amore che per semplici motivi naturali non si sarebbero mai neppur rivelati. Poiché il Dio che amiamo non è una divinità astratta, separata e lontana da noi; non è solamente il Dio che la ragione può scoprire, supremo, indipendente, padrone di tutto. È il Dio della SS. Trinità che la Rivelazione ci fa conoscere; e la SS. Trinità è l’espressione dell’amore essenziale di Dio, della sua essenziale vita d’amore. È il Dio che si chiama Padre in tutto il significato del termine, poiché Egli è davvero per noi quale vuole che noi lo pensiamo. È il Dio che chiamiamo Gesù Cristo, Verbo Incarnato, la testimonianza dell’amore del Padre, la testimonianza dell’amore umano divinizzato. È il Dio che chiamiamo Spirito Santo, l’amore personificato. Noi quindi amiamo Dio non solo per ciò che la ragione c’insegna, che pur sarebbe motivo sufficiente di affetto, di gratitudine e di generosità, lo amiamo infinitamente di più perché sappiamo per fede essere Egli infinitamente amabile e amoroso, esigente e condiscendente insieme, fino ad abbassarsi sino a noi senz’altro chiederci che un contraccambio d’amore. E lo amiamo con qualche cosa di più del nostro povero, piccolo amore umano, lo amiamo con un amore perfezionato, divinizzato, fatto degno di Lui perché unito all’amore stesso di Cristo. È un amore che passa attraverso il suo Cuore ed è corroborato dalla grazia ch’Egli stesso ci dà perché possiamo amare sempre più e sempre meglio. Questo amore per Iddio non è un fatto sentimentale, non è un semplice esercizio di sensibilità e di emozioni, non è una sottile compiacenza di sé. Basta considerare la vita di coloro che ne sono stati maggiormente infiammati, che si sono letteralmente innamorati di Dio, per capire la forza, l’ardore divorante di quella passione. Vero è che, finché vive quaggiù, l’uomo rimane sempre uomo, con un corpo oltre che con un’anima. Di conseguenza anche i suoi affetti più nobili e più generosi di rado andranno esenti da qualche emozione; perfino il Santo che ha dato tutto se stesso senza nulla chiedere in cambio, sospirerà qualche volta di poter sentire che il suo diletto gradisce e ricambia tanto amore. Tuttavia, l’emozione o amore sensibile, se così possiamo chiamarlo, in nessun campo è garanzia sicura di vero amore, e tanto meno sarà condizione, sintomo o prova dell’amore dell’uomo per Iddio. L’emozione non è affatto richiesta dall’essenza dell’amore. Piuttosto, l’amore, in ogni suo grado, è dedizione, e ne sarà quindi miglior garanzia la volontà di dare, la gioia del dare, nell’unica considerazione di Colui al quale si dà. E così è dell’amore per Iddio; a Lui l’amore dà tutto con entusiasmo e, se occorre, anche tutto se stesso, per Lui e per la sua maggior gloria, preferendo il suo beneplacito al proprio e a quello di ogni altra creatura. È questo, nella sua origine, nel suo oggetto, nella sua manifestazione, l’amore del Cattolico per il Dio che gli si è così meravigliosamente manifestato; e lo stesso sarebbe da dirsi, nelle debite proporzioni, del suo amore per il prossimo. Per noi, come già abbiamo avuto frequenti occasioni di osservare, il prossimo è assai più di un nostro simile. Chiunque esso sia, è immagine di Dio, fatto a sua somiglianza, un riflesso delle sue perfezioni divine, e capace di rifletterle sempre meglio. È la dimora di Dio, o, se non altro, un’anima in cui Dio desidera dimorare; in Dio e con Dio in sé, è anch’egli capace di ogni perfezionamento di bellezza e di amore. Amare e servire questo prossimo è amare Cristo stesso, è rendere servizio a Colui che merita ogni servigio. Per questa ragione sopra ogni altra, per amore di Dio più che per amore dell’uomo in sé, o piuttosto perché l’amor di Dio ha assorbito, trasformato e soprannaturalizzato l’amore pel prossimo, i Cattolici si amano come fratelli. E vedendo in ciascun fratello un essere prezioso riscattato da Dio col sangue del proprio Unigenito Cristo Gesù, essi hanno per Lui quella tenerezza viva che desidera all’amato tutto il più ed il meglio, non solo la prosperità e la felicità sulla terra, ma anche il bene soprannaturale, la perfezione della vita, la beatitudine eterna. Così l’amore per l’uomo è un vero riflesso dell’amore per Iddio. Non sono due amori distinti, due virtù di carità, una per Iddio e una pel prossimo; non vi è che una sola carità che entrambi li abbraccia, Dio per amor suo, e il prossimo, anzi tutto il creato nella debita scala, per se stesso in quanto è visto con gli occhi di Dio. Ma se la perfezione dell’uomo si basa essenzialmente sull’amore di Dio e del prossimo, ne deriva di necessità che la via della perfezione deve seguire la direttiva di questo amore. L’anima che vuole esser perfetta deve molto amare, intensamente e generosamente, deve lasciarsi guidare dall’amore, ma da un amore puro, sincero, disinteressato, altruista. Un amore che ricerchi se stesso non è più amore; il vero amore si misura dal suo contrario. Né l’amore vero potrà esaurirsi o appagarsi con un semplice atto di carità, sia pur compiuto, in parola o in azione, col massimo fervore. « E se anche distribuissi tutto il mio ai poveri e dessi il mio corpo per essere arso, è non avessi la carità, a nulla mi gioverebbe » (I Cor. XIII, 3). – L’amore va oltre gli atti; questi non sono che germogli dell’amore, segni della sua esistenza, e null’altro. Poiché l’amore è veramente vita e mezzo di vita, permea tutto ciò che siamo e tutto ciò che facciamo; è una maniera di pensare, di sentire, di volere. Quando amiamo, immediatamente l’oggetto amato assume per noi nuovi colori, diventa più reale, più bello, più amabile, più degno di esser servito con tutto ciò che abbiamo e che siamo. Quando amiamo, non viviamo più noi, ma in noi vive l’essere amato. Ogni nostro atto diventa un adempimento della sua volontà, non della nostra; viviamo per piacere a lui, non più a noi stessi, e ad ogni istante esprimiamo il nostro amore per colui che a tutto e a tutti preferiamo. E così avviene che ogni cosa che facciamo, la nostra vita con tutte le sue minime azioni, può esser trasformata in un continuo atto d’amor di Dio, contribuendo alla formazione dell’uomo perfetto; e il progresso sarà tanto più reale quanto più l’amore sarà intenso, dimentico di sé, generoso, energico e costante. Ciò che vale agli occhi di Colui che amiamo non è l’offerta dell’atto in se stesso. Che cosa potrebbe per sé valere qualunque atto di noi meschine creature dinanzi a Dio onnipotente? Ma quello che conta è la volontà con cui l’atto si compie e si offre, è lo sforzo d’amore ch’esso rivela, indipendentemente dalla propria consolazione o soddisfazione o speranza di premio. – E identico è il carattere del vero amore per il prossimo, poiché, essendo esso una cosa sola con l’amore di Dio, dimostrarlo in qualunque modo efficace a un fratello qualsiasi è dimostrarlo a Dio stesso. “Quante volte avete fatto qualche cosa a uno di questi minimi dei miei fratelli l’avete fatto a me”. In verità, come appare evidente dalla vita dei grandi Santi, spesso l’amore di Dio più e meglio si manifesta nell’amore per il prossimo; l’amor di Dio, quand’è genuino e generoso, facilmente e necessariamente si effonde sul prossimo. Chi ama Dio, riconoscendo nei fratelli un riflesso di Lui, anzi lo stesso Gesù Cristo, si prodiga nel servirli, si dà a loro con quello slancio e con quella instancabile generosità con cui servirebbe l’adorabile suo Signore. Poco importa alla Piccola Suora dei Poveri che il vecchio ch’essa cura e serve sia per lei un perfetto estraneo e forse ingrato e malato e ripugnante. Egli è amato da Cristo, porta in sé, anche se nascosta e velata, la sua divina rassomiglianza; servir lui è servir Cristo, e la Piccola Suora è completamente paga. Né importa al missionario che il suo messaggio sia respinto dai sapienti e dai prudenti, ch’egli debba annunciare la buona novella solo agli umili, ai diseredati, ai rifiuti dell’umanità. In essi, non meno che in altri, è l’immagine di Gesù Cristo; anch’essi son capaci di amor di Dio quanto gli uomini più raffinati; in essi il servo vede il suo Padrone e ciò gli basta. Tale amore costituisce l’uomo perfetto secondo la concezione cattolica e anche secondo i criteri umani di questa vita. – Ma la vita umana quaggiù non è uno stato perfetto in sé. Abbiamo già osservato che, anche redento, l’uomo conserva le proprie tendenze al male; c’è una legge nelle sue membra, come dice l’Apostolo, che continuamente lo spinge a compiere il male che non vorrebbe. In parole diverse, c’è nell’uomo un altro amore in contrasto con quello di cui abbiamo or ora parlato. In cielo saremo liberi e sciolti da qualunque impedimento, ameremo come siamo amati, senza pericoli e senza timori. Ma qui sulla terra, come è provato dalla nostra esperienza quotidiana, è tutt’altra cosa. Nel nostro stato attuale di natura decaduta, non è possibile amare di un amore sincero e fattivo senza sacrificio, senza cioè la soppressione di un amore inferiore che s’intromette e accampa i suoi diritti. E ciò è tanto più vero nei riguardi dell’amor di Dio. Essendo umani, e con aspirazioni e inclinazioni umane verso le cose di quaggiù, non possiamo amar Dio completamente senza lotta, senza qualche genere di rinuncia. La natura inferiore dev’essere soggiogata, l’amore illecito dev’essere bandito; dal primo albeggiare della ragione fino al nostro ultimo respiro, sempre ci troveremo nell’occasione di lottare. È vero che non sarà lotta continua, si daranno per tutti momenti di tregua, si verran formando delle abitudini che potranno render la lotta facile e quasi connaturale. Tuttavia, l’uomo che vuol esser perfetto non potrà mai deporre le armi, dovrà sempre stare all’erta. È questa la ragione di quell’ascetismo che fa parte dell’insegnamento cristiano. Non è crudeltà, non è fanatismo, non è un andar contro natura; è il generoso perseguimento di un ideale che vuole combattere tutto quanto gli ostacola la via. È un riconoscimento della gloria dell’uomo e della grandezza della vita umana, ma è allo stesso tempo il prezzo che si deve pagare per conseguire quella grandezza e quella gloria.