LA GRAZIA E LA GLORIA (47)

LA GRAZIA E LA GLORIA (47)

Del R. P. J-B TERRIEN S.J.

II.

Nihil obstat, M-G. LABROSSE, S. J. Biturici, 17 feb. 1901

Imprimatur: Parisiis, die 20 feb. 1901 Ed. Thomas, v. g.

LIBRO IX

LA PERFEZIONE FINALE DEI FIGLI DI DIO. QUESTA PERFEZIONE CONSIDERATA DAL LATO DELL’ANIMA

CAPITOLO V

Sulla natura della visione beatifica. L’atto in sé e le sue proprietà.

1. – Questo studio sulla visione beatifica rimarrebbe incompleto se non parlassimo dell’atto stesso, dopo averne considerato il principio e l’oggetto immediato.  La prima domanda che sorge è la seguente: questa operazione sarà unica e sempre la stessa, oppure dobbiamo credere che sarà uguale ai nostri pensieri attuali, cioè che ci sarà una molteplicità ed una successione di atti? – Innanzitutto, diciamo che è con un solo colpo d’occhio, con lo stesso atto, che gli eletti contemplano sia Dio che tutto ciò che vedono in Dio. – Questa risposta deriva chiaramente dalle nozioni che abbiamo stabilito: Infatti, la forma ideale che determina la loro intelligenza, cioè l’oggetto soprannaturalmente intelligibile che la penetra con la sua luce e la feconda, è infinitamente una. Pertanto, poiché l’operazione risponde alla forma ideale, non potrebbe essere multipla, senza che vi sia, per questo stesso fatto, un totale rovesciamento delle leggi intellettuali. Se ci è difficile concepire questa immensità con un solo sguardo, è perché, allo stato imperfetto della nostra conoscenza naturale, con un’intelligenza in cui ogni oggetto è dipinto nella sua particolare e limitata somiglianza, noi non possiamo comprendere la potenza e l’efficacia di questa forma unica, in cui si riassumono ogni luce ed ogni verità. – Uno per ogni momento della durata, l’atto dell’intuizione divina sarà sempre lo stesso, identico in se stesso, senza fine, senza intermittenza o successione, eterno di conseguenza? Sì, tutte queste proprietà sono le sue. – Nessun termine: perché noi saremo sempre con Dio (I Tess. IV, 16). E sarebbe con Dio colui che smettesse di contemplarlo faccia a faccia? Perché la visione beatifica dovrebbe avere una benché minima interruzione? È forse perché l’essere su cui si appoggia sarebbe destinato a perire, o a svanire per un istante? Ma Dio, che è l’oggetto di questa visione, è l’eternità stessa; ma l’anima, che è il suo solo soggetto e principio intimo, è immortale. È forse perché la forma ideale che illumina l’intelligenza si ritirerebbe da essa o subirebbe una qualche eclissi? Ma i doni di Dio sono senza pentimento; e se Egli si allontana, se si allontana da un’anima, è perché essa stessa ha posto la causa di questo abbandono. È perché i figli di Dio si staccherebbero dal loro Padre? Ma, come spiegheremo presto, l’anima che Lo contempla diventa impeccabile, immobilizzata com’è nella perfezione dell’amore. – È perché, infine, le influenze esterne, agendo su questi spiriti beati, potrebbero turbarli nella loro estasi e distrarli dalla vista del loro Dio? Certamente comprendo questi ostacoli e distrazioni nella nostra condizione attuale. Non si può rimanere a lungo fissi nella stessa contemplazione, anche se la volontà non risparmia sforzi per eliminare tutto ciò che potrebbe distogliere la mente da essa. Questo perché l’esercizio delle nostre facoltà più elevate, pur non avendo come principio un organo materiale, è in una dipendenza necessaria e continua dai sensi, dall’immaginazione e da mille altre cause diverse che lo disturbano o, almeno, ne cambiano la direzione. Ma niente del genere può raggiungere l’anima del vedente, perché la contemplazione che egli ha del suo Dio non è vincolata da alcun attaccamento alle funzioni delle facoltà inferiori. – Scendiamo ancora di più, se è possibile, nella profondità delle cose. Perché nella mente creata si passa così spesso da un pensiero all’altro? È perché in ogni nostra potenza di conoscere essa non è entrata in azione solo che in modo molto incompleto; in altre parole, è perché la forma ideale che agisce su di essa non ha conquistato così pienamente la forza vitale dell’intelligenza che una seconda forma non può afferrarla nello stesso momento a scapito della prima. Ma quando l’essenza infinita di Dio si è, per così dire, infusa nelle profondità dell’intelletto per applicarlo interamente alla contemplazione delle sue bellezze, quale altra immagine potrebbe essere mai tanto potente da sostituirla? Che cos’è? Ci potrebbero essere per lo studioso, l’artista o il Santo di quelle visioni così impressionanti che nessun rumore esterno, nessuna eccitazione sensibile sia talvolta sufficiente a distrarli dalla loro estasi. E Dio, l’eterna Verità, che si rivela con tutto il suo splendore, permetterebbe a non so quali cause create di interrompere l’estasi in cui la sua vista pone le anime?  Del resto su questo grave soggetto abbiamo le affermazioni ben espresse da Benedetto XIII nella Costituzione già menzionata; in essa vi si legge, infatti, che la visione intuitiva e il godimento beatifico che ne deriva devono persistere « eternamente, senza interruzione né rilassamento » (cfr. L. IX, c. 2). –  San Tommaso ha detto tutto in due parole: « Questa operazione è unica ed eterna » (Hæc operatio in eis est unica et sempiterna) 1. 2, q. 3, a 2 ad 4. « Creaturæ spirituales quantum ad affectiones et intelligentias in quibus est successio, mensurat tempore… Quantum vero ad eorum esse naturale, mensuratur ævo; sed quantum ad visionem gloriæ participant æternitatem ». Id. 1 p., q. 10. a. 5, ad 1). Unico: quindi senza molteplicità; eterno: quindi senza successione o fine. Che cosa ammirevole è questa contemplazione del nostro grande Dio! Lo abbiamo ben compreso: tutta la verità, tutta la bellezza, tutto lo splendore, visti e posseduti in un solo sguardo in quel presente unico e immobile che si chiama Eternità!  Un sant’Ignazio, dopo un’estasi di otto giorni interi, torna, per così dire, in mezzo ai mortali e si meraviglia di sapere che la sua estasi sia durata più di un momento. Chiedete agli eletti ai quali la morte del Redentore ha aperto le porte del cielo e chiedete loro da quanto tempo godono del volto del Signore; e se il buon Dio lo permette, risponderanno: “Per noi c’è solo un momento, ma un momento che non passa e non tramonta, perché non appartiene al tempo ma all’eternità” (S. Thom., c. Gent. L. III, c. 62). – Sì, ora capisco il significato profondo contenuto nelle parole del mio divino Maestro: « La vita eterna, o Padre, è che conoscano te, l’unico vero Dio, e Gesù Cristo che Tu hai mandato » (Gv. XVII, 3) e di queste altre che l’Evangelista ha posto dopo la sentenza finale: « E i giusti andranno alla vita eterna » (Mt. XXV, 46). La vista di Dio è la vita nel suo atto più perfetto, perché è un’operazione dell’intelligenza, la più sublime che si possa immaginare per quanto riguardi l’oggetto e il modo di raggiungerlo, poiché l’Uno è l’Essere per eccellenza, e l’altro, un’intuizione. È la vita eterna, perché da qualsiasi lato si guardi questo atto di vita, sia che lo si consideri in sé, sia che se ne esamini il principio e l’oggetto, non troviamo nulla che dia l’idea di successione, nulla che richiami la possibilità di un cambiamento. Allora, come dice in modo eccellente il grande Agostino: « I nostri pensieri non fluttueranno più da un oggetto all’altro, per poi tornare a quello che hanno lasciato: un colpo d’occhio  abbraccerà tutta la nostra scienza. » (S. August., De Trinit. L. XV, c. 16. Nulla è così bello come i passi delle Confessioni in cui il grande Dottore parla della felicità immutabile degli Angeli, di quella felicità che speriamo sarà la nostra. « Volete negare che esista qualche creatura così elevata e così unita da un amore casto al vero Dio, al Dio veramente eterno, che pur non essendo co-eterna con Lui, non si separa mai e non si ritira da Lui per cadere nei cambiamenti del tempo, ma riposa sempre nella contemplazione beata e perfetta di Dio? Perché, amandovi, Signore, quanto lo comandate vi mostrate ad essa, e gli bastate così tanto che non si allontana mai da Voi, nemmeno per rivolgersi a se stessa. Questa è la casa del Signore, non una casa terrena o celeste, avente la natura dei corpi, ma una casa tutta spirituale e partecipe della tua eternità, perché è senza macchia e lo sarà sempre… Essa procede da Voi, o mio Dio, eppure è completamente diversa da Voi e non è Voi stesso. È vero che non troviamo il tempo prima di essa o in essa, perché essa contempla sempre il vostro volto e non distoglie mai lo sguardo da esso, il che la rende immune da ogni cambiamento; tuttavia, in virtù della sua nativa mutevolezza, potrebbe diventare oscura e fredda, se la grandezza dell’amore che la unisce a Voi non ne facesse un pieno giorno tutto risplendente ed ardente con i vostri fuochi. » Confessioni, L. XII, c. 5. E altrove: « Che queste gerarchie di Angeli, innalzate sopra i cieli, cantino incessantemente le vostre  grandezze; spiriti benedetti che non sono obbligati a considerare questo firmamento delle vostre sante Scritture per leggere e conoscere la vostra parola. Essi vedono sempre il vostro volto e, senza l’aiuto delle sillabe del tempo, vi leggono i consigli della vostra volontà eterna. Essi li leggono, li abbracciano, li amano, li leggono sempre, e ciò che leggono non passa… Il loro libro non si chiude affatto e non si chiuderà mai, perché Voi stesso siete quel libro, e lo sarete in eterno. »- Id, ibidem, L. XIII c. 5).

2. – Eppure, questa visione, per quanto sì unica e perfetta, non esclude le confidenze particolari in cui Dio rivela ai suoi eletti sia i liberi consigli della sua volontà, sia dei fatti contingenti che non ha mostrato nella sua essenza. Essa non esclude gli atti di conoscenza più o meno moltiplicati che rispondono ad immagini create, acquisite naturalmente o infuse divinamente. – Ecco come gli spiriti angelici, sebbene fossero investiti dalla luce divina come da un sole, non abbiano appreso che solo più tardi dei tempi fissati per l’Incarnazione del Verbo e di molte circostanze del mistero; come i Dottori, e in particolare il grande Areopagita, ci parlino di illuminazioni che discenderebbero dal cuore di Dio fino agli ultimi ordini degli Angeli, passando per gli Ordini più elevati. Ecco soprattutto, perché i teologi siano concordi nel riconoscere nel Dio fatto uomo, oltre alla scienza dei comprendenti, cioè la visione beatifica, una scienza infusa ed anche una scienza acquisita. Dio, che è magnifico nei suoi doni, vuole che l’intelligenza dei suoi eletti riceva tutti i tipi di perfezione di cui è capace. Ma le Sue elargizioni non vanno contro l’ordine essenziale delle cose; e per quanto brillanti possano essere questi astri secondari illuminati nel cielo degli spiriti beati, tutti impallidiscono di fronte all’unica e sempre presente intuizione, come le stelle davanti al sole. Essa sola in effetti, riproduce in pieno il modo di conoscenza naturalmente proprio di Dio; quello, di conseguenza, che è la sostanza stessa della beatitudine eterna.

3. – Vorrei soffermarmi per qualche istante ad esaminare alcune idee sulla visione beatifica che io trovo espresse in opere recenti. Se si dovesse credere agli autori, Dio non si fermerà nella manifestazione che Egli stesso fa ai suoi eletti. Contemplando il Suo volto adorabile, non smetteranno di scoprirvi nuove perfezioni; e, man mano che il loro amore aumenta in proporzione alla loro conoscenza ci sarà un progresso continuo, un progresso indefinito nella beatitudine, senza altri limiti che quelli dell’eternità. – Due considerazioni, una tratta dalla natura di Dio, l’altra da quella della creatura intelligente, sembrano decisive a favore di questa opinione. Dio non sarebbe il Bene sovrano se non tendesse a diffondersi: questa è il suo bisogno e la sua legge; e ce lo mostra chiaramente, poiché, secondo la bella formula di Sant’Agostino, ogni suo beneficio è il pegno di una generosità più abbondante: « beneficia Dei, beneficia et pignora ». Possiamo essere convinti che queste effusioni della generosità divina si esauriranno in cielo e che Dio pronuncerà lì quella parola che non ha mai pronunciato quaggiù: satis, basta così? D’altra parte, la natura creata non può accontentarsi di una felicità che sarebbe sempre la stessa. Una vita senza progresso e come immobilizzata, non può essere la vita perfetta, perché la vita è movimento. E poi, non c’è il rischio che uno spettacolo, per quanto delizioso, generi una sorta di noia, se nuove sorprese e più meravigliose estasi non ne dissipano la monotonia? – Se tutto questo non avesse altro scopo che quello di ammettere, al di fuori della visione beatifica, certe manifestazioni divine e certe conoscenze che si susseguono nelle intelligenze glorificate, ci sarebbe motivo di sottolineare l’esagerazione dei termini e ancor più l’inanità delle prove; tuttavia, la conclusione non presenterebbe nulla di inammissibile in sé. Ma sono in gioco l’atto essenziale e la visione beatifica. Ora, da questo punto di vista, che è il suo, la nuova dottrina, lungi dal poter contare, come pretende, sulla natura della beatitudine o sulla perfezione divina, vi trova la sua confutazione. – Voi pretendete che la bontà infinita di Dio non possa essere spiegata senza una generosità sempre più abbondante. Dimenticate che se non ha detto « basta » durante la durata della prova, è perché i suoi figli erano allora in fase di crescita, e che l’uso santo dei benefici ricevuti li stava preparando ad altri benefici. Ma in cielo, c’è lo stato dell’uomo perfetto. Il vaso è pieno, e piena è la misura. Fin dal primo momento, il veggente ha messo nel suo sguardo tutta l’energia, tutta l’ampiezza di cui il giudizio di Dio lo renda capace. Estendere il campo visivo richiederebbe un aumento della grazia santificante, un perfezionamento nella luce della gloria: infatti l’atto è adeguato al suo principio. La freccia è entrata nell’oceano di luce fin dove la spinta dell’amore poteva portarla, e l’amore stesso non aumenta, poiché gli eletti sono arrivati alla fine. – Inoltre, le prodigalità di Dio, lungi dall’arrestarsi, continuano a scorrere a fiotti più che mai, perché questo splendore di gloria Egli lo conserva, questa suprema perfezione di conoscenza, è costantemente sua. Ammirate la bontà divina quando solleva il sole sopra l’orizzonte delle anime, e la giudicate meno benefica quando le annega costantemente nella luminosità di un eterno mezzogiorno? – Ancora si obietta invano che una vita senza movimento non sia una vita. Lo ammetto, non c’è vita senza movimento; ma ammettete, a vostra volta, che il movimento che rende la vita perfetta non portI con sé né cambiamento, né successione, né progresso, poiché tutto ciò non è altro che il passaggio dalla potenza all’atto, e presuppone l’imperfezione della vita stessa. Se esiste una vita sovranamente piena e sovranamente perfetta, questa è la vita divina, essendo Dio stesso la sua vita. È un movimento infinitamente perfetto, perché è un atto infinitamente puro; è un movimento infinitamente immobile, perché è eterno ed immutabile per eccellenza. L’immobilità del cadavere è la totale privazione della vita; l’immobilità nella contemplazione della bellezza suprema ne è il suo possesso più completo. Quindi, per concludere, la vita degli eletti sarà tanto più perfetta quanto meno mobile, meno mutevole e meno progressiva. –  Non temete che questa visione di Dio, sempre uniforme, sempre uguale, alla fine diventi monotona e stancante. « Niente – dice il Dottore Angelico a questo proposito – niente è noioso in ciò che contempliamo con costante ammirazione, perché dove rimane l’ammirazione, rimane anche il desiderio. È impossibile che la sostanza divina non susciti eternamente l’ammirazione dello spirito creato che la contempla: perché se può vederlo, non potrà mai comprenderlo » (S. Thom, c. Gent, L. III, c. 62. Cfr. L. IX, c. 4). Un’osservazione profonda che, ben meditata avrebbe messo a tacere ogni scrupolo. – « Capisco la noia di fronte al traguardo di qualsiasi bellezza diversa da quella infinita, essa può nascere dall’oggetto stesso; ad esempio, quando scopro delle imperfezioni che all’inizio non mi avevano sconvolto. Essa può avere la sua origine dal lavorio o dalle preoccupazioni che accompagnano il godimento: è un bel concerto, ma io soffro, … ma gli affari urgenti mi chiamano; se si prolunga, la mia attenzione è divisa e presto il disgusto segue il piacere. E poi, non è possibile che una facoltà sia soddisfatta, senza che le altre abbiano il piacere che richiede? Infine, per il fatto stesso che ciò che vedo o ascolto è di una bellezza finita, né la mia intelligenza né il mio cuore si saziano pienamente; da qui l’inquietudine, l’ansia, quando, dopo l’eccitazione iniziale, si avverte il vuoto. – Ma, o bellezza sempre antica e sempre nuova, non c’è nulla di simile da temere per i figli che ammettete a vedere il vostro volto: né i difetti sconvolgono, poiché siete tutta la perfezione; né la stanchezza che irrita, poiché il corpo e gli organi, fossero ancor passabili, non hanno parte nell’operazione più spirituale che si possa concepire; né l’inquietudine nelle facoltà inferiori dell’anima, poiché la visione di Dio non prescinde dalla loro completa perfezione; né il sentimento di vuoto, poiché riempite pienamente tutta la capacità dello spirito che vi contempla. » (S. Thom, IV, D, 49, q. 3, a. 2, ad 3.).  Se, nonostante queste risposte, continuate a sostenere che la semplice continuità della stessa intuizione non può soddisfare perennemente la nostra sete di conoscenza, vi chiederò come fa Dio a non stancarsi della comprensione che ha di se stesso, Egli il cui sguardo è l’immutabile eternità?