DOMENICA PRIMA DI AVVENTO (2022)

DOMENICA I DI AVVENTO (2022)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B.; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Stazione a S. Maria Maggiore.

Semid. Dom. privil. di I cl. – Paramenti violacei.

A Natale Gesù nascerà nelle nostre anime, perché allora si celebrerà l’anniversario della sua nascita e alla domanda della Chiesa sua Sposa, alla quale non rifiuta nulla, accorderà alle nostre anime le stesse grazie che ai pastori e ai re magi. Cristo tornerà cosi alla fine del mondo per « condannare i colpevoli alle fiamme e per invitare con voce amica i buoni in cielo » (Inno Matt..). Tutta la Messa di questo giorno ci prepara a questo doppio Avvento (Adventus) di misericordia e di giustizia. Alcune parti si riferiscono indifferentemente all’uno e all’altro (Intr. Oraz. Grad. All.), altre fanno allusione alla umile nascita del nostro Divin Redentore, (Comm. Postcomm.). Altre, infine, parlano della sua venuta come Re in tutto lo splendore della sua potenza e della sua maestà (Ep., Vang.). L’accoglienza che noi facciamo a Gesù quando viene a redimerci, sarà quella ch’Egli ci farà quando verrà a giudicarci. Prepariamoci dunque, con sante aspirazioni e col mutamento della nostra vita alle feste di Natale, per essere pronti all’ultimo tribunale, dal quale dipenderà la sorte della nostra anima per l’eternità. Abbiamo fiducia, perché « quelli che aspettano Gesù non saranno confusi » (Intr. Grad. Off.). – Nella basilica di S. Maria Maggiore tutto il popolo di Roma un tempo si intratteneva in questa I. Domenica di Avvento, per assistere alla Messa solenne che celebrava il Papa, assistito dal suo clero. Si sceglieva questa chiesa, perché è Maria che ci ha dato Gesù e poiché in questa chiesa si conservano le reliquie della mangiatoia nella quale la Madre benedetta adagiò il suo Figlio divino.

Incipit

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum ✠ in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, ✠ absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Ps XXIV: 1-3.
Ad te levávi ánimam meam: Deus meus, in te confíde, non erubéscam: neque irrídeant me inimíci mei: étenim univérsi, qui te exspéctant, non confundéntur.

[A Te ho innalzato l’ànima mia: Dio mio, in Te confido, che io non abbia ad arrossire, né abbiano a deridermi i miei nemici: poiché quelli che confidano in Te non saranno confusi.]
Ps XXIV:4
Vias tuas, Dómine, demónstra mihi: et sémitas tuas édoce me.

[Mostrami le tue vie, o Signore, e insegnami i tuoi sentieri.]

Ad te levávi ánimam meam: Deus meus, in te confíde, non erubéscam: neque irrídeant me inimíci mei: étenim univérsi, qui te exspéctant, non confundéntur.

[A Te ho innalzato l’ànima mia: Dio mio, in Te confido, che io non abbia ad arrossire, né abbiano a deridermi i miei nemici: poiché quelli che confidano in Te non saranno confusi.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.
Excita, quǽsumus, Dómine, poténtiam tuam, et veni: ut ab imminéntibus peccatórum nostrórum perículis, te mereámur protegénte éripi, te liberánte salvári:

[Súscita, o Signore, Te ne preghiamo, la tua potenza, e vieni: affinché dai pericoli che ci incombono per i nostri peccati, possiamo essere sottratti dalla tua protezione e salvati dalla tua mano liberatrice.]

Lectio

Lectio Epístolæ beati Pauli Apostoli ad Romános Rom XIII: 11-14.

“Fratres: Scientes, quia hora est jam nos de somno súrgere. Nunc enim própior est nostra salus, quam cum credídimus. Nox præcéssit, dies autem appropinquávit. Abjiciámus ergo ópera tenebrárum, et induámur arma lucis. Sicut in die honéste ambulémus: non in comessatiónibus et ebrietátibus, non in cubílibus et impudicítiis, non in contentióne et æmulatióne: sed induímini Dóminum Jesum Christum” .

 “È già ora che ci svegliamo dal sonno, perché al presente la salute è più vicina che quando credemmo. La notte è avanzata e il giorno è vicino: gettiam via le opere delle tenebre e vestiamo le armi della luce. Camminiamo con decoro, come chi cammina alla luce del giorno; non in crapule e in ubriachezze, non sotto coltri ed in lascivie, non nelle contese e nell’invidia; ma rivestite il Signore Gesù Cristo e non accarezzate la carne per concupiscenza „ (Ai Rom. XIII, 11-14).

S. Paolo, dopo avere spiegato in questa ammirabile lettera i principali doveri del Cristianesimo, eccita i Romani a praticar la virtù, rammentando loro la breve durata di una vita che tanti uomini passano in un tristo assopimento. Li esorta ad uscirne, perché il tempo stringe, ed il momento definitivo della nostra salute non è molto lontano. – Che cosa si intende qui per l’assopimento, per la notte ed il giorno, e per le opere delle tenebre? Per assopimento s’intende quella funesta tepidezza che fa trascurare a tanti Cristiani ogni mezzo di salute. Ah! di quanti noi possiamo dire che la morte sarà il loro risvegliarsi! Per la notte s’intende il peccato, che immerge l’anima nelle tenebre allontanando lei da Dio, che è il vero lume; per il giorno, s’intende la fede, la grazia, la riconciliazione con Dio, la scienza della salute. Le opere delle tenebre sono i peccati in generale, ed in particolare quelli che si commettono nell’oscurità della notte da chi l’aspetta per abbandonarsi al male. – Quali sono le armi della luce, delle quali dobbiamo rivestirci? Sono la fede, la speranza e la carità, e in generale tutte le buone opere. Noi combatteremo per esse il demonio, il mondo e la carne.

Che significa camminare nella decenza come durante il giorno?

Significa il non fare e non dire alla presenza di Dio, che vede e sente tutto, nulla di ciò che non si osa fare o dire in presenza delle persone che più si rispettano.

Che vuol dire rivestirsi di Gesù Cristo? Vuol dire pensare, parlare ed operare come Gesù Cristo.

(L. Goffiné, Manuale per la santificazione delle Domeniche e delle Feste; trad. A. Ettori P. S. P.  e rev. confr. M. Ricci, P. S. P., Firenze, 1869).

Graduale

Ps XXIV: 3; 4
Univérsi, qui te exspéctant, non confundéntur, Dómine.

[Tutti quelli che Ti aspettano, o Signore, non saranno confusi.]

V. Vias tuas, Dómine, notas fac mihi: et sémitas tuas édoce me.

[Mostrami le tue vie, o Signore, e insegnami i tuoi sentieri.]

Alleluja

Allelúja, allelúja.

Ps LXXXIV: 8. V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam: et salutáre tuum da nobis. Allelúja.

[Mostraci, o Signore, la tua misericordia: e dacci la tua salvezza. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secundum S. Lucam.

Luc XXI:25-33.

In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Erunt signa in sole et luna et stellis, et in terris pressúra géntium præ confusióne sónitus maris et flúctuum: arescéntibus homínibus præ timóre et exspectatióne, quæ supervénient univérso orbi: nam virtútes coelórum movebúntur. Et tunc vidébunt Fílium hóminis veniéntem in nube cum potestáte magna et majestáte. His autem fíeri incipiéntibus, respícite et leváte cápita vestra: quóniam appropínquat redémptio vestra. Et dixit illis similitúdinem: Vidéte ficúlneam et omnes árbores: cum prodúcunt jam ex se fructum, scitis, quóniam prope est æstas. Ita et vos, cum vidéritis hæc fíeri, scitóte, quóniam prope est regnum Dei. Amen, dico vobis, quia non præteríbit generátio hæc, donec ómnia fiant. Coelum et terra transíbunt: verba autem mea non transíbunt.

[In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: Vi saranno dei prodigi nel sole, nella luna e nelle stelle, e pel mondo le nazioni in costernazione per lo sbigottimento (causato) dal fiotto del mare e dell’onde: consumandosi gli uomini per la paura e per l’aspettazione di quanto sarà per accadere a tutto l’universo: imperocché le virtù de’ cieli saranno commosse. E allora vedranno il Figliuolo dell’uomo venire sopra una nuvola con potestà grande e maestà. Quando poi queste cose principieranno ad effettuarsi, mirate in su, e alzate le vostre teste; perché la redenzione vostra è vicina. E disse loro una similitudine: Osservate il fico e tutte le piante: quando queste hanno già buttato, sapete che la state è vicina. Così pure voi, quando vedrete queste cose succedere, sappiate che il regno di Dio è vicino. In verità vi dico, che non passerà questa generazione, fino a tanto che tutto si adempia. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno”].

Omelia

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano, 1957)

IL. GIUDIZIO UNIVERSALE

Al di là dei secoli, Dio pose un segno a cui tutti i nodi dovranno arrivare. Questo segno è la sua Croce che apparirà alla fine del mondo nel cielo vuoto, e sfolgorerà terribilmente sul capo di tutti gli uomini rassembrati d’ogni parte e prostesi sulla terra nuda. Sarà quello il giorno più tremendo, Dies iræ dies illa! – Il mattino del 14 Settembre del 258, nel campo Sextio, molle ancora di rugiada, veniva decapitato il vescovo di Cartagine. I nemici di Cristo l’avevano preso e tradotto al tribunale del proconsole Galerio. – Galerio: « Sei tu Tascio Cipriano? ». Cipriano: « Son proprio io ». Galerio: « Che Tascio Cipriano sia giustiziato di spada ». Cipriano: « Deo gratias ». Ma quando i soldati s’accinsero ad eseguir la sentenza, quando i fedeli stesero pannolini da torno a raccogliere il suo sangue che sarebbe sgorgato, il santo ebbe un tremito, e coprendosi con le mani gli occhi disse: « Væ mihi cum ad iudicium venero! » Fu un istante: poi protese la testa. Se il pensiero del giudizio di Dio faceva tremare i martiri, che sarà di noi? Che faremo noi e che diremo davanti al Giudice divino? Pensiamo che quello sarà: giorno della grande manifestazione, giorno della grande accusa. 1. Manifestazione senza veli. Rappresentiamoci la nostra anima davanti a quel tribunale supremo, circondata dagli Angeli e dagli uomini: i giusti e i peccatori, i parenti e i conoscenti, i superiori e gli inferiori, gli amici e i nemici. Gli occhi di tutti son sopra di noi. Sono sopra di noi gli occhi di Dio. – Intanto si rifarà la storia della nostra vita, dai giorni lontani e dimenticati della fanciullezza sino a quello della nostra morte. Apparirà allora tutto il male che copertamente facemmo e tutto il bene che infingardamente non volemmo. Quaggiù abbiam creduto di ingannare gli occhi dello sposo, la vigilanza dei genitori, la buona fede forse di un prete a cui strappammo l’assoluzione. Fatica al vento: là tutti sapranno tutto. – Passavamo per amico fedele, sincero, generoso: invece vedranno che eravamo sleali, interessati, senza coscienza. Passavamo come una persona giusta che s’accontenta del suo: invece si conosceranno le frodi dei nostri commerci, e tutti potranno contare il danaro e la roba arraffata agli altri. Passavamo come un uomo integro ed onesto: invece appariranno le infamie commesse nell’ombra e nel segreto. E non solo il male che facemmo fuori di noi, ma anche il male che rimase dentro di noi, nell’occulto dell’anima, verrà manifestato. Tanti desideri vergognosi che abbiamo secondato con la mente nelle ore di ozio; tanti istinti di gelosia e di rancore che abbiamo dissimulato, ma che però erano il profondo motivo delle nostre maligne vendettuzze; tanti progetti di peccati che non facemmo solo perché ci mancò l’occasione: noi vedremo queste iniquità balzate dal nostro cuore, a nostra insaputa quasi come un’imboscata. Alla storia secreta del nostro cuore sentiremo ribrezzo di noi. All’esame del male che facemmo seguirà quello del bene che, potendo, non volemmo fare. – Quaggiù è facile nascondere dietro un comodo pretesto la nostra infingardaggine nel trascurare il bene e ci illudiamo di giustificarci dicendo: « Non tocca a me » oppure « Non ci riesco, non ho i mezzi ». Ma lassù ci verranno ricordate e rinfacciate tutte le colpevoli omissioni di cui è intessuta la nostra vita. Tutte le occasioni di dare una gloria a Dio che non demmo; tutte le anime che avremmo potuto salvare con la preghiera, con il consiglio, con l’elemosina e che non salvammo; tutte le Sante Comunioni, le Messe, le prediche che abbiam trascurato per pigrizia; tutti i giorni perduti, sacrificati ai pettegolezzi e ai piaceri del mondo senza un pensiero che li consacrasse a Dio e li rendesse buoni per l’eternità. Manifestazione totale, dunque: del male fatto fuori e dentro di noi e del bene non fatto. c) E sarà una manifestazione senza veli. Sulla terra, quando si è stati capaci di un delitto che ci ha precipitati nell’infamia e nel disprezzo, si fugge dal proprio paese, si abbandona la patria e si cerca un luogo, in America o in Africa, dove nessuno ci conosca, dove nessuno sappia né venga a sapere, dove ci è possibile ancora respirare e redimerci. Ma nel giorno del grande giudizio in quali ignote contrade potremo rifugiarci se tutte furono distrutte, in quali popoli stranieri se ogni uomo potrà leggerci sulla fronte la piaga e il destino? Sulla terra l’uomo disonorato può nascondersi, può intrufolarsi nella folla degli indifferenti, e sperare che col tempo si plachi il rumore delle sue scelleratezze. Ma non questo sarà possibile nell’ora dell’universale giudizio: non più confusione, ma separazione. Cristo dall’alto, come un gran pastore, separerà col suo vincastro ardente gli agnelli dai capri: i buoni dai cattivi. E sarà una separazione crudele: l’amico dall’amico, il fratello dal fratello, il padre dal figlio, l’uno assunto e l’altro abbandonato. E sarà una separazione ignominiosa, perché tutti ci vedranno e disprezzeranno. – Un nobile romano di nome Pisone fu costretto a comparire in senato, rivestito colla tunica infame del reo. Ma quando, obbrobrioso così si trovò davanti ai senatori che dai loro seggi in lui riguardavano, prima ancora che i giudici comparissero in tribunale, prima ancora che gli accusatori ascendessero i rostri, egli non poté più reggere dalla vergogna. Ristette un poco, impallidì come uno che venga meno: ma poi subitamente si trasse uno stile, che per ventura portava sotto i panni, e s’uccise: (DIONE CASSIO). Oh se i reprobi nell’ora del giudizio di Dio possedessero uno stile! Oh se almeno potessero morire un’altra volta, che morrebbero tutti di vergogna! 2. Giorno della grande accusa. a) L’accusa del demonio. S. Agostino ci assicura che il primo a levarsi contro noi sarà il demonio. Proprio lui! che ora con ogni lusinga ed inganno ci sospinge nel fango. Dirà: Durante la vita quest’anima ha osservato i comandamenti, Signore, non della tua ma della mia legge. Dammela dunque, che m’appartiene. Noi oseremo balbettare: « Signore, a seguire il demonio si faceva meno fatica; troppo dura è la tua legge ». « Non è vero, non è vero! — c’insulterà il demonio — Io ti facevo lavorare anche la domenica, mentre la soave legge di Dio ti avrebbe concesso riposo. E tu lavoravi per me, senza lamentarti. Io ti facevo bere anche quando non avevi più sete: e tu per me bevevi ancora, fino a sentirti male, a imbestialirti nell’ubriachezza. Io ti comandavo di ballare: e tu, stanco di sei giorni di lavoro, ballavi alla domenica per farmi ridere. Io ti suggerivo un appuntamento equivoco: e tu, per ascoltarmi, lasciavi la tua famiglia, e magari faceva freddo, pioveva, e sostenesti d’attendere sotto l’acqua o la neve per ore e ore quella persona. Io ti imponevo di sprecare nei vizi il sudore della tua settimana: e tu, che avevi paura di donare un soldo in elemosina, consumavi nei ritrovi e nei piaceri il sostentamento della tua famiglia. Altro che leggero il mio giogo: ma tu l’hai preferito! b) L’accusa dell’Angelo. Poi sorgerà il nostro Angelo. Sì l’Angelo custode, a cui ci aveva affidati la Pietà superna, anch’esso diverrà accusatore. « Mio Signore, — dirà — il mio dovere d’illuminarlo, custodirlo, reggerlo, governarlo l’ho compiuto: ma invano. Invano, o Signore, ho illuminato la sua mente coi buoni pensieri, la sua anima con le buone parole di sacerdoti e di amici, la sua via col buon esempio di compagni. Invano lo custodivo, ché egli si recava di sua cocciuta volontà con le persone cattive e nei luoghi pericolosi. Alle tempeste di rimorsi che suscitavo nel suo cuore, non volle arrendersi ». – c) L’accusa degli uomini. Terminata l’accusa dell’angelo maligno e dell’Angelo buono, sorgeranno gli uomini ad accusarci. Sarà la voce degli innocenti scandalizzati dalle nostre parole, dal nostro esempio, dai nostri incitamenti: « Giustizia di Dio, — grideranno, — vendica le anime nostre ». Sarà la voce dei complici dei nostri peccati: « Giustizia di Dio, — grideranno, — con lui il male, con lui l’inferno ». – Sarà la voce, o genitori, dei vostri figlioli che non custodiste, che non educaste, che forse scandalizzaste. « Signore, diranno, ho imparato in casa a non pregare, a bestemmiare, ad offenderti! ». Sarà forse, o genitori, la voce fioca dei figli che non avete voluto, o che abbandonaste prima di nascere. « Signore, gemeranno: noi pure avevamo diritto alla vita, e non l’avemmo! ». d) Accusa senza scusa. Quale scusa troveremo da opporre a tanta accusa? Forse la nostra ignoranza? Colpa nostra se non ci siamo istruiti: ogni domenica c’era predica e dottrina. Forse la nostra debolezza? Ma tutti i santi balzeranno a dire: « Anche noi eravamo di carne e sangue come voi, e ci salvammo ». Allora sorgerà il Giudice e giudicherà. – Quando Mosè ebbe spiegato al popolo la legge di Dio, conchiuse così: « Figli d’Israele! ecco che oggi io vi metto davanti una benedizione e una maledizione: una benedizione se ubbidirete ai comandamenti di Dio, una maledizione se lascerete la strada buona per la cattiva. Scegliete » (Deut., XI, 16-28). Le medesime parole io ripeto a voi, o Cristiani, dopo d’avervi proposto il novissimo del giudizio. « Ecco che oggi io vi metto davanti una benedizione eterna e una eterna maledizione. Volete essere benedetti nel regno del cielo per sempre, o volete essere maledetti nel fuoco dell’inferno per sempre? Scegliete. — IL GIUDIZIO PER GLI ELETTI SARÀ UNA CONSOLAZIONE.  Austera è la verità del giudizio universale. Ancora al nostro orecchio risuonano le parole paurose che leggemmo, domenica scorsa, nel Vangelo; ancora nella nostra mente ripassano le fosche immagini di un mondo in fiamme e di un cielo sfasciato. Oggi, il Vangelo ritorna al medesimo argomento, ma non più per opprimerci di spavento, bensì per elevarci a grande speranza. Il sole, la luna, le stelle daranno tristi segnali e la costernazione passerà sui popoli; il mare mugghierà, e gli uomini morranno di paura nell’aspettazione di ciò che sarà. E sarà per venire, in potenza e in gloria, il Figlio dell’uomo a giudicare dalle nubi. Quando avverranno queste cose, voi — che siete buoni — levate la fronte, che la redenzione vostra è vicina. Levate capita vestra: quoniam appropinquat redemptio vestra. Gesù ci rivolge queste buone parole, proprio nella I Domenica d’Avvento. Noi ci prepariamo al Santo Natale che è il ricordo della prima venuta di Gesù nel mondo; prepariamoci bene e ci troveremo contenti nella seconda venuta di Gesù nel mondo, al giudizio universale.Il mondo si sfascerà in una fumosa rovina: ma noi non saremo del mondo e lo guarderemo scrosciare, sicuri, come se scrosciasse la casa di un altro, anzi come se scrosciasse la prigione dove abbiamo patito e lacrimato tanto. Alzeremo allora, con gioia, la nostra testa verso i cieli squarciati, attendendo la redenzione; Gesù verrà a portarcela. Ci redimerà dal mondo. Ci redimerà dalla morte. Ci redimerà dal dolore. – 1. CI REDIMERÀ DAL MONDO. La Sacra Scrittura dice più volte che Dio ha fatto tutte le cose per i buoni. Eppure, se noi consideriamo soltanto la vita presente, i buoni si trovano a disagio nel mondo, come gli emigrati in una terra straniera dove son malvisti dagli abitanti, mal tollerati dalle leggi, perseguitati. Difatti il mondo ai giusti non offre altro che seduzioni, persecuzioni, disprezzo. a) Il giudizio finale libera gli eletti dalle seduzioni del mondo. Molte sono le seduzioni che il mondo mette in opera per rovinare i buoni: stampe, mode, i discorsi osceni nelle vie, nelle piazze, nelle officine; i mali esempi degli scandalosi. E la nostra natura, già corrotta dal peccato, in queste occasioni quotidiane, si sente debole, e trema. « O me infelice! — esclamava per ciò San Paolo — chi mi libererà da questo corpo di morte? » Gesù Cristo, nel giorno del giudizio, quando apparirà la croce come un vessillo di vittoria. Beati, allora, quelli che avranno vinto gli inganni del mondo. b) Il giudizio finale libera gli eletti dalle persecuzioni del mondo. Inoltre, in questa vita, i giusti sono condannati a vivere come gli iniqui, sono confusi con loro; sono chiamati ipocriti più di loro; sono perseguitati in mille modi. Nel giorno del giudizio i buoni saranno vendicati: ci sarà la separazione e si vedranno i raggiri e le ingiustizie dei cattivi. Quando Dio comandò a Giosuè di togliere di mezzo al popolo Achan, uomo scandaloso, e di farlo morire, disse: « Sorgi e santifica il popolo ». Surge et sanctifica populum (Ios., VII, 13). Quando Giuda uscì dal cenacolo, per eseguire il suo detestabile disegno, Gesù si sentì sollevato da un’ambascia mortale, ed esclamò: « Finalmente il Figliuol dell’uomo è glorificato ». Nunc clarificatus est Filius hominis (Giov., XIII, 31). Questa santificazione e questa glorificazione sarà data ai buoni nel giorno finale, quando gli Angeli separeranno i giusti dagli ingiusti. c) Il giudizio finale libera gli eletti dallo scherno del mondo. Infine, in questa vita le persone umili sono schernite; quelle che sopportano le offese sono dette vili; quelle che non si danno ai piaceri sono dette sciocche; quelle poi che si consacrano a Dio attraverso alla vita religiosa sono chiamate pazze. Ma sarà un momento di brusca meraviglia, quando i mondani vedranno queste persone in un trono di gloria. « Eccoli là — esclameranno con rabbia, — quelli che ritenemmo come il rifiuto del mondo, quelli che deridemmo; ora sono nella luce e nella gioia dei figli di Dio. Li abbiamo creduti stupidi, e gli stupidi eravamo noi ». Nos insensati! Vitam illorum aestimabamus insaniam (Sap., V., 4). – 2. CI REDIMERÀ DALLA MORTE. Sovrana unica del mondo è la morte. Ci assale fin dal primo giorno di vita, e, lentamente, come una lima o d’un colpo come una lama, ci uccide. È vero: l’anima nostra non scende sotto i sassi freddi e la terra grassa del cimitero; essa sale al cielo, se è in grazia; ma l’anima è una parte di noi, non è tutto noi, perciò anche in Paradiso resterà sempre incompleta fin tanto che non sarà ricongiunta al suo corpo. Ebbene, al giudizio finale saremo redenti dalla morte. Squilleranno le trombe a risurrezione, e dovunque il nostro corpo sarà o in terra o in mare o sparso nel vento come leggera polvere, risorgerà. Cristo, che è morto per vincere la morte, ci redimerà dalla morte, restituendo ai buoni la propria carne, rifatta luminosa, impassibile, bella per la gloria del Paradiso. – È giusto. Quel corpo che ha patito tanto per resistere al demonio, è giusto che sia premiato. Quegli occhi che si sono chiusi con violenza davanti alle vanità mondane, ai libri, a figure pericolose, è giusto che s’abbiano a riaprire a veder tutta la gloria di Dio. Quelle orecchie che sono diventate sorde a certe mormorazioni, a certe parole, empie contro la fede, o luride contro la virtù, è giusto che ascoltino l’armonia degli Angeli e i cori universali dei santi. Quella gola e quella lingua che si era proibito l’abuso nel cibo, nel bere, nel parlare, è giusto che intoni un cantico eterno e beatissimo. E quelle povere ginocchia che hanno saputo com’è duro il pavimento delle chiese, o il legno delle panche, o le mattonelle della propria stanza vicino al letto, perché non avranno la loro parte di gloria? Vedete allora come i buoni non devono temere il giorno del giudizio, ma aspettarlo come il contadino aspetta la primavera. E non è forse tutto primaverile il presagio datoci dal Signore per riconoscere il tempo del giudizio finale? « Guardate la pianta del fico, anzi tutte le piante: quando voi vedete le gemme umettarsi di gomma, inturgidirsi, rompere la buccia per mettere al sole un occhio di tenerissimo verde, voi dite: è vicina la primavera. Ebbene, quando cominceranno i segni nel sole e nelle stelle, rallegratevi! ché il regno di Dio è alle porte ». Come un albero che si risveglia dall’inverno, noi ci risveglieremo dalla morte. Con questi sentimenti moriva, arso vivo, il martire S. Pionio. Mentre le fiamme, crepitando sotto, ascendevano a lambirgli le membra contratte nello spasimo atroce, mentre il rogo l’avvolgeva in una bandiera tormentosa di fuoco, egli gridava: « Muoio volentieri così; perché tutto il Popolo sappia che dopo la morte c’è la resurrezione della carne ». Poi il fumo e il fuoco gli raggiunsero la bocca, e non parlò più. – 3. CI REDIMERÀ DAL DOLORE. La terra è valle di lacrime: la miseria, il lavoro, gli inganni, le disgrazie, le malattie, la morte… Tutti soffrono, ma i buoni più di tutti, perché hanno rifiutato le illecite consolazioni del mondo. Ma non sarà sempre così. Quando incominceranno i segni della fine del mondo, o buoni, levate la fronte perché è vicina la redenzione dal dolore: e non soffrirete più. Levate capita vestra: quoniam appropinquat redemptio vestra. Non ci sarà da piangere, allora; o, se piangeremo, sarà di gioia. Ogni tristezza sarà convertita in gaudio, ogni lacrima sarà asciugata sul volto. – Il Paradiso! avete, qualche volta, pensato bene al Paradiso? Immaginate quell’immensa regione d’ogni bellezza, i canti e le armonie, la luce, il sorriso, la gioia: e noi saremo là. Là, col nostro corpo, proprio noi e tutti ci vorranno bene; ma più di tutti è Dio che vorrà bene. « O Signore! com’è bello star qui…» (Mt., XVII, 4) gridava S. Pietro nel colmo della gioia; eppure non vedeva il Paradiso, sul Tabor non c’era che una smunta rivelazione della infinita bellezza del Signore. Chissà, allora, noi, in Paradiso, quando vedremo tutto il Signore, chissà che cosa diremo?… Non diremo nulla: ameremo. Il più è arrivarci. – Gionata, contro il divieto del re, in tempo di battaglia, aveva assaggiato un poco di miele. Ora veniva condannato a morte. Il poverino si straziava nella disperazione: « Sciagurato che fui! ho gustato una stilla di miele ed ecco che devo morire… ». Più sciagurati noi, se per gustare la velenosa dolcezza del peccato, dovessimo perdere per sempre la dolcezza eterna del Paradiso. – Levate capita vestra: quoniam appropinquat redemptio vestra. Santa Caterina da Siena, ascoltando parlare del giudizio universale mentre tutti tremavano, sorrideva beata. « Perché? » le fu chiesto. « Perché penso che Colui che verrà a giudicarmi è quel Gesù che tanto amo, per cui ho sacrificato la mia giovinezza, e tutta la mia vita ». Amiamo in questa vita Gesù Cristo, e il suo giudizio non ci farà spavento. — PREVENIAMO IL GIUDIZIO DI DIO. Nel cielo il sole, la luna e le stelle impallidiranno; sulla terra gli uomini tremeranno nella aspettazione. Ed ecco il Figlio dell’uomo verrà sulle nuvole con potenza e gloria, a giudicare i vivi ed i morti. – Con queste parole piene di mistero e di spavento, Gesù ci annuncia il giudizio universale. Alcuni, forse molti, penseranno: « Chissà quanti millenni dovranno passare prima che venga la fine del mondo ». Posto pure che sia lontano l’ultimo giorno di tutto il genere umano, ne segue forse che sia lontano anche per ciascuno di noi? In verità, per ciascuno di noi il mondo finisce il giorno della nostra morte: allora il sole per lui si spegnerà e la luna avrà finito di inargentare i tetti, gli orti e le campagne, e le stelle spariranno tutte insieme nella immensa tenebra che peserà sulle sue pupille spente; allora verrà il Giudice divino a giudicare. Di noi nessuno conosce il giorno e l’ora del suo giudizio, eppure è insfuggibile, e non è lontano. La vera saggezza consiste nel prevenirlo praticando tre consigli ripetuti spesse volte dal Signore. State in guardia, perché non sapete quando verrà. Non giudicate, che non sarete giudicati. Fate misericordia, che troverete misericordia. – STATE IN GUARDIA. Nel Vangelo è un susseguirsi incessante di moniti alla vigilanza, alla preparazione, nell’attesa fedele di Cristo che ritorna. Sarà come un ladro che sopraggiunge di notte, quando nessuno lo sospetta. Sarà come un laccio che v’afferra per la strada quando meno ci pensate. Sarà come un grido fulmineo che romba all’orecchio ed infrange i sogni lusinghieri di lunga vita, di guadagni, di piaceri: « Stolto, stanotte morrai ». Sarà come un re che d’improvviso compare in mezzo al salone dei convitati, scruta con la pupilla severa e scopre colui ch’è senza veste nuziale. « Prendetelo e buttatelo fuori nelle tenebre! » Sarà come lo sposo che arriva nel colmo della notte mentre tutti dormono, prende con sé nella gioia e nella luce chi ha la lampada fornita d’olio ed agli altri che picchiano per entrare, risponde: « Non vi conosco e non vi apro ». Sarà come il proprietario che torna quando vuole, e chiama i sudditi suoi a rendere conto dei talenti che partendo aveva loro affidati. Guai al servo iniquo che non avrà trafficato! – Sarà infine come un padre di famiglia partito per un viaggio misterioso, lasciando la sua casa e il suo podere in mano dei servi, fissando a ciascuno la sua opera e raccomandando al portiere di vigilare. « Ci dica quando ritornerà ». « Non lo posso dire. Forse un mattino al canto del gallo, o forse un mezzogiorno mentre si mangia. E forse una notte, svegliandovi udrete il mio passo sulla strada. Quel che dico a voi, lo dico a tutti: vigilate! » (Mc., XIII, 33-37). – Il padrone se n’è andato lontano. Qualche servo prudente e fedele cominciò subito ad eseguire gli ordini ricevuti, preparando senza sperpero e distribuendo con puntualità al momento opportuno il cibo ai familiari. Beato quel servo che il padrone al suo arrivo troverà a fare così! In verità vi dico lo metterà a capo di tutto quel che possiede. Invece qualche altro servo indolente e cattivo, passato qualche tempo, disse fra sè: « Il mio padrone tarda… chissà quando verrà… forse non verrà più ». Cominciò a trascurare il suo lavoro, a litigare e venire alle mani coi compagni di servizio, a mangiare e bere con gli ubriachi, Disgraziato quel servo che il padrone troverà a fare così! Il padrone sopravvenendo in un giorno che non sarà atteso, in un’ora che il servo non sa, lo farà uccidere, lo caccerà tra gli ipocriti maligni: là dove sarà pianto e stridor di denti (Mt., XXIV, 45-51). Dunque, Cristiani, tutta la nostra vita quaggiù è un’aspettativa, è un tempo d’avvento. Ma specialmente, deve essere una aspettativa fervorosa in questa parte dell’anno liturgico che si chiama proprio « Avvento ». Nessuno s’inganni, dicendo fra sé: « Il mio padrone tarda… chissà quando verrà… ho tempo ». Nessuno osi restare in peccato mortale: mettetevi tutti in grazia di Dio; vivete sempre in grazia di Dio. « I vostri fianchi siano cinti e le vostre lampade accese: siate simili a quelli che aspettano il loro padrone… » (Lc., XII, 35-36). – 2. NON GIUDICATE. Un altro consiglio per prevenire in bene il nostro Giudice divino è quello di non giudicare mai il prossimo. « Non giudicate, e non sarete giudicati ». Ecco alcuni motivi che ci persuaderanno meglio a praticarlo. a) Non dobbiamo giudicare perché nessuno ci ha costituiti nella carica di giudice verso il nostro prossimo. Tutti siamo sullo stesso piano, tutti fratelli; uno solo sta sopra di noi, superiore e giudice di tutti: a suo tempo verrà. Intanto nessuno usurpi quell’ufficio che solo è suo. b) Non dobbiamo giudicare perché ogni nostro prossimo è suddito e servo di Dio. Che egli cada o stia in piedi, ciò riguarda il suo padrone e non noi. (Rom., XIV, 4-10).  c) Non dobbiamo giudicare perché siamo incapaci d’essere imparziali: nell’occhio del prossimo ci dà fastidio perfin la pagliuzza, e nel nostro sopportiamo anche una trave. « Quanti uomini — scrive il santo Crisostomo — cadono in questo difetto! Se vedono un prete che ha due vesti, lo riprendono opponendogli la parola del Signore; ed essi passano la loro giornata lavorando per avarizia e frodano. Se vedono qualcuno che mangia bene lo accusano; ed essi continuano a godersela ed a ubriacarsi. Non pensando che così accumulano i peccati e si preparano un giudizio inescusabile e durissimo » (Om., 23, 2). – Cristiani, in questo tempo di Avvento, ciascuno di noi deve essere così occupato a correggersi dai propri difetti, che sono gravi e numerosi, da non accorgersi dei difetti altrui. Non dobbiamo trovare né gusto né tempo per nessuna parola di critica o di mormorazione. – 3. FATE MISERICORDIA. Già fin d’ora noi sappiamo esattamente come si svolgerà il giudizio e quali parole saranno pronunciate dal Giudice. Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, allora siederà sul trono, e dirà a quelli che saranno alla sua destra: « Venite, benedetti dal Padre mio, prendete possesso del regno, che v’è stato preparato dalla creazione del mondo. Perché io ebbi fame, e m’avete dato da mangiare; ebbi sete e m’avete dato da bere; fui straniero e m’avete accolto; nudo e m’avete vestito; malato e mi avete assistito: in prigione e siete venuti a trovarmi ». – E i giusti meravigliati risponderanno: « Signore, quando ti incontrammo affamato, e t’abbiam dato da mangiare? assetato e t’abbiam dato da bere?… prigioniero e t’abbiam visitato? ». E il re risponderà loro: « In verità vi dico: tutte le volte che avete fatto questo a uno qualsiasi dei vostri fratelli, voi l’avete fatto a me ». Alla meraviglia dei cattivi, il re darà ancora la stessa risposta, ma invertita: « In verità vi dico: tutte le volte che non avete fatto questo a uno qualsiasi dei vostri fratelli, l’avete rifiutato a me ». E costoro andranno al castigo eterno… (Mt., XXV, 31-46). – Molti che ora si credono Cristiani perfetti perché osservano esteriormente le pratiche religiose, perché presenziano alle cerimonie ufficiali, si vedranno allora respinti; e molti invece che ora umilmente fanno il bene e si credono peccatori, udranno allora le parole che spalancheranno loro le porte della gioia: « Ero io, quegli orfanelli; ero io, quei sordo-muti, quei deficienti: ero io, quei vecchi del ricovero; ero io, quegli operai a cui davi onesto lavoro e sufficiente ricompensa, io piangevo in quel letto di ospedale in fondo alla corsìa; ero quel prigioniero nella sua cella, quando tu lo consolavi ». – Dovunque c’è una miseria, una sofferenza, un’umiliazione, un bisogno, Cristiani, là c’è nascosto e mascherato il nostro Giudice. Usiamogli misericordia, che ci farà misericordia.- Per conchiudere, sentite come è saggio quest’altro consiglio che è nel Vangelo di S. Matteo: « Mentre sei ancora per strada, mettiti d’accordo col tuo avversario. Altrimenti all’istante in cui arrivi, ti consegna alle guardie e vieni gettato in carcere ». Mentre siamo ancora pellegrini in questo mondo, mettiamoci dunque in pace col Signore che abbiamo offeso. Non aspettiamo quando saremo arrivati alla morte. Corri tu prima a presentarti avanti a Lui col pentimento, con la confessione. Corri a presentarti a Lui, prima che Egli ti faccia comparire davanti a sé. Previeni, per non essere prevenuto.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps XXIV: 1-3. Ad te levávi ánimam meam: Deus meus, in te confído, non erubéscam: neque irrídeant me inimíci mei: étenim univérsi, qui te exspéctant, non confundéntur.

[A Te ho innalzato l’ànima mia: Dio mio, in Te confido, che io non abbia ad arrossire, né abbiano a deridermi i miei nemici: poiché quelli che confidano in Te non saranno confusi.]

Secreta

Hæc sacra nos, Dómine, poténti virtúte mundátos ad suum fáciant purióres veníre princípium.

[Questi misteri, o Signore, purificandoci con la loro potente virtú, ci facciano pervenire piú mondi a Te che ne sei l’autore.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de sanctissima Trinitate


Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui cum unigénito Fílio tuo et Spíritu Sancto unus es Deus, unus es Dóminus: non in uníus singularitáte persónæ, sed in uníus Trinitáte substántiæ. Quod enim de tua glória, revelánte te, crédimus, hoc de Fílio tuo, hoc de Spíritu Sancto sine differéntia discretiónis sentímus. Ut in confessióne veræ sempiternǽque Deitátis, et in persónis propríetas, et in esséntia únitas, et in majestáte adorétur æquálitas. Quam laudant Angeli atque Archángeli, Chérubim quoque ac Séraphim: qui non cessant clamáre quotídie, una voce dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: che col Figlio tuo unigénito e con lo Spirito Santo, sei un Dio solo ed un solo Signore, non nella singolarità di una sola persona, ma nella Trinità di una sola sostanza. Cosí che quanto per tua rivelazione crediamo della tua gloria, il medesimo sentiamo, senza distinzione, e di tuo Figlio e dello Spirito Santo. Affinché nella professione della vera e sempiterna Divinità, si adori: e la proprietà nelle persone e l’unità nell’essenza e l’uguaglianza nella maestà. La quale lodano gli Angeli e gli Arcangeli, i Cherubini e i Serafini, che non cessano ogni giorno di acclamare, dicendo ad una voce:]

Sanctus

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis
Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps LXXXIV: 13.
Dóminus dabit benignitátem: et terra nostra dabit fructum suum. [Il Signore ci sarà benigno e la nostra terra darà il suo frutto.]

Postcommunio

Orémus.
Suscipiámus, Dómine, misericórdiam tuam in médio templi tui: ut reparatiónis nostræ ventúra sollémnia cóngruis honóribus præcedámus.

[Fa, o Signore, che (per mezzo di questo divino mistero) in mezzo al tuo tempio sperimentiamo la tua misericordia, al fine di prepararci convenientemente alle prossime solennità della nostra redenzione.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

LO SCUDO DELLA FEDE (229)

LO SCUDO DELLA FEDE (229)

LA SANTA MADRE CHIESA NELLA SANTA MESSA (3)

SPIEGAZIONE STORICA, CRITICA, MORALE DELLA SANTA MESSA

Mons., BELASIO ANTONIO MARIA

Ed. QUINTA

TORINO, LIBRERIA SALESIANA EDITRICE, 1908

LA MESSA

Il nome Messa pare un’inflessione della parola latina missio, che significa congedo, commiato, cioè l’atto di licenziare, mandare, mettere in libertà le persone presenti. Si disse Missa per Missio, come si disse oblata per oblatio (oblazione), ascensa per ascensio (ascensione) (Alcuni credono che il nome Messa derivi dall’ebraico missach, col quale nome chiamavano gli Ebrei una volontaria oblazione, che facevano nel tempio in ringraziamento pei frutti della terra, e che poi mangiavano a ricordanza della sofferta schiavitù e della libertà, che Dio loro diede. Questa offerta veniva fatta colla cerimonia di sollevarla in alto, e pare quindi convenga ad esprimere la volontaria offerta del divin Redentore, il quale, dice Isaia (LIII, 7) oblatus est quia ipse voluit.). I Latini diedero questo nome al Sacrifizio, perché, venuta 1’ora dell’offerta si mandavano fuori i catecumeni, i penitenti, gli ossessi, e poi si licenziava tutto il popolo alla fine della funzione. Prima adunque che si facesse l’offerta, il diacono diceva ad alta voce: partano i catecumeni. Questi tosto andavano dal Vescovo a ricevere la benedizione per mezzo dell’imposizione delle mani, e si ritiravano poi con grande umiltà in silenzio. Così facevano anche i penitenti, dicendo il Diacono: partano i penitenti. Si allontanavano pure, quando ne ricevevano l’avviso gli ossessi, perché sembrava non convenisse alla santità dei sacri ministeri la presenza dei posseduti dal demonio, e si temeva forse turbassero il silenzio, ed offendessero con qualche atto sconvenevole il decoro della santa funzione. –  L’esclusione di queste tre sorta di persone fatta  a quel punto con tanta solennità. ben doveva ispirare nel popolo alta idea del tremendo mistero, facendogli intendere, come convenisse portar purità di coscienza per aver parte nel Sacrifizio al dono di Dio, se tanta cura si aveva di allontanare quelli che non si credevano puri abbastanza pet potervi assistere solamente. Anche il congedo che si dà a tutti in fine della celebrazione coll’Ite, Missu est, deve eccitare santi pensieri in cuore dei fedeli. Perché, quando si dice: « andate; la messa è compiuta » ite, Missa est, più che un saluto, ci si fa una raccomandazione di partirci pieni di gratitudine, e di portar con noi la memoria della gran degnazione che Dio ci ha usato, e la mente degli alti misteri tutta occupata. – Questi congedi adunque ripetuti per ben quattro volte dovevano fare grande impressione sull’animo del popolo, e, da ciò, che faceva loro impressione, ci diedero i fedeli il nome al Sacrifizio. Ed essendo questi avvisi di uscire replicati più d’una volta, come abbiam detto, ne venne che il Sacrifizio non solo si chiamava dagli antichi Missa (la Messa), ma Missæ in numero plurale (le Messe)  Quindi Missas facere, (celebrare le Messe); Missarum solemnia, (le solennità delle Messe (Bossuet. Explic. de quelq. difficult. sur les prières de la Messe). – Basti questo del nome; diremo ora che cosa sia il Sacrifizio; e come sia propriamente Sacrifizio la santa Messa. Il Sacrifizio è quell’atto principale di religione, in cui si fa offerta di una cosa esteriore e sensi bile a Dio da un legittimo Sacerdote in modo, che in istato è della sua maniera di esistere, cioè s’immola o si distrugge, o si consuma: e ciò per significare che la creatura ragionevole si getta tutta in mano dli Dio, e gli cade a’ piedi come cosa morta, riconoscendolo della propria vita, come di ogni altra cosa, padrone assoluto e supremo (1(1) Bened. XIV. De Sac. Mis. lib. 2, cap. 16, n. 22). Il quale onore per eccellenza reso a Dio come Principio, sommo Autore e Creatore di tutto, si chiama culto di Latria. Anche coll’umiliarci dinanzi alla sua divina Maestà nell’offerirle il Sacrifizio ci confessiamo peccatori, e perciò indegni della vita, del cui dono abusiamo, e meritevoli della morte, quando Dio mandare la voglia. E, perché non vuole il Signore, che ci diamo da noi stessi la morte, noi, per fare quel che è in nostro potere, gli mettiamo innanzi la vittima, e nel consumarla, per riconoscerlo Creatore, gli confessiamo, che vorremmo pur placare la sua giustizia. Ma che possiamo noi fare, che degno sia di Lui, e atto a soddisfare? Ecco Gesù, che nell’ultima cena, consacrando e dando ai Sacerdoti la facoltà di consacrare il pane, facendolo diventare suo Corpo divino, ed il vino, che si trasmuta nel suo Sangue, e ci preparò, e ci mise in mano tale vittima, che neppure la Divinità non poteva desiderare maggiore. Il Figliuolo di Dio ha provveduto da Dio all’onor del Padre. Benchè realmente nel Corpo sia il Sangue, e nel Sangue sia il Corpo santissimo, perché vive sull’altare impassibile ed immortale come in Cielo; nondimeno sotto la forma del Sacramento, consacrandosi prima il Corpo, poi il Sangue santissimo, si fa un Sacrifizio, commemorativo, che significa, e commemora in mistica immolazione la reale separazione del Corpo e del Sangue fatta sulla croce: e Gesù Cristo sta sotto due simboli, del pane e del vino, che rappresentano detta separazione come in istato di vittima (Catechismo intorno alla Chiesa Catt. del P. Gio. Perrone della Comp. di Gesù.) svenata nel Sacrificio, così appunto come era là sul Calvario, dove il Corpo Santissimo pendeva dissanguato, ed il Sangue era sparso per terra! Racchiudendo poi anche tutto il suo Corpo e tutto il suo Sangue sotto le specie delle più minute particelle, impicciolisce, annichila in certo modo tutto se stesso, nasconde non solo la sua Divinità, ma l’umanità pur anco: e si mette come in istato di insensibilità e come di morte. Vi è dunque in questo Sacrifizio come una morte mistica ineffabile della gran Vittima; e sotto ai nostri sensi Gesù Cristo pare che non esista più, come è veramente sacrificato. In quest’atto solenne, annientandosi dinanzi al Padre, l’adora, lo placa, lo ringrazia, dimanda tutti i favori per gli uomini, offrendogli per essi tutti i suoi meriti. Così Gesù Cristo, eterno Sacerdote nella s. Messa, fa di sé un sacrificio di adorazione, sacrificio di ringraziamento, sacrificio di soddisfazione e sacrificio di propiziazione. Del quale sacrificio il fine è di adorare Dio, rendergli gloria e ringraziarlo; l’espiazione del peccato e la santificazione delle anime ne è il frutto. Ma ci riserbiamo di trattarne nell’atto del sacrificio con maggiore chiarezza. – Vediamo ora come la Chiesa si prepara a compiere questo augusto mistero.

PARTE I

LA PREPARAZIONE

Gesù Cristo è il primo, è principale offerente il Sacerdote Immortale e Vittima Eterna; ma i sacerdoti servono di ministri a Lui, e di offerenti insieme con Lui a nome della Chiesa e di tutti i fedeli (Cone. Trid. sess. XXII, cap. I.); i quali pure offrono il sacrifizio (Inn. III, lib. 5, De Mist. Missæ), formando tutti insieme un popolo santo ed un regale sacerdozio, di cui è Capo Gesù Cristo, ed i sacerdoti sono ministri. La Chiesa perciò prepara con ogni più fina cura le persone che elegge a ministero così santo e tutte le cose che han da servire pel sacrificio; e prepara il popolo, che deve ad esso partecipare, coll’orazione e coll’istruzione (S. Thom. in suppl. q. 58, art. 2). – Quindi poi dividiamo questa parte della preparazione in quattro capi.

CAPO I

Art. I.

PREPARAZIONE AL SACERDOZIO.

Quando il Figliuol di Dio degnossi di assumere la carne dell’uomo, e farsi con essa una sola persona; formossi all’uopo tale una creatura la quale fosse al possibile degna di Dio. E la Vergine Maria, concepita nell’originale interezza, ricolma di tutte le grazie, destinata alla dignità al tutto divina di esser la Madre del Figliuol di Dio, fu come il punto più sublime dell’umana perfezione, in cui non disdegnò discendere Iddio, e in Lei sposare se stesso umana natura (S. Alfonso de’ Liguori. Le glorie di Maria, v. II, dis. I. e seg.). Quindi, appena era nata la Bambina Santissima, o meglio, appena spuntato in terra questo Fiore di paradiso, lo Spirito Santo, che la possedeva, si affrettò di porla al sicuro all’ombra del Santuario: e, prevenendo lei di grazia, e i benedetti suoi genitori Gioachino ed Anna guidando colle sue ispirazioni, fece che Ella si dedicasse bambina al servizio del tempio: onde un minuzzol solo non andasse perduto di quella vita tanto preziosa e tutta di Dio. Ora la santa Chiesa, che ha la missione di rinnovare col Mistero della consacrazione del Corpo e del Sangue di Gesù nella mistica incarnazione il prodigio della verginale maternità di Maria Santissima (Bossuet. Spiegazioni delle diffic. sulla s. Messa.), cerca pur essa con ogni più fina cura di preparare per questo mistero uomini perfetti, per quanto possano essere i figliuoli di Adamo. Perciò, quando le sì presenta un giovinetto di cuore ingenuo e di costumi innocenti, assennato e pio, che dà speranza di riuscita felice, affinché nei pericoli del mondo non trovi uno scoglio la sua innocenza, si affretta di riceverlo nei seminarii; e quivi con amorosa sollecitudine se lo raccoglie in seno, lo alimenta del proprio latte, lo purifica, lo santifica coll’abbondanza delle sue benedizioni, lo informa ad una vita di santità, e gli scolpisce nell’animo le più elette virtù, che lo rendono degno di comparire al cospetto di Dio. La Chiesa insomma di questa preziosa porzione di umanità, che Dio si elegge di santificare per solo suo servizio, fa come un orefice di una massa d’oro (S. Giov. Chrys.: De sacerd., c. 5)) di cui vuol formare un vaso da consacrarsi all’altare. Egli la purifica dall’immonda scoria, l’affina, l’aggrazia di forme le più elette, vi scolpisce intorno intorno col più gentil lavorio ammirabili bassi-rilievi, che ingemma di splendide gioie; e fa che tutto risplenda tersissimo della più vaga luce riflessa, poi lo presenta al pontefice, affinché egli lo consacri all’uso santo. Così la Chiesa prepara il giovine chierico adornandolo di tutte virtù, perché il Vescovo lo assuma allo Sposalizio divino.

Vestizione e Tonsura.

Il gran Sacerdote prima di tutto lo spoglia delle vesti usate dagli altri nomini comunemente, per fargli intendere, che deve svestir l’uomo vecchio come uomo rinato secondo Dio, e distinguersi fra il popolo colla santità (Conc. Trid. Sess. XIV, De Refor. cap. 6, Conc. Herbipol. cap. I, an. 1287, S. Dion. Eccl. Hier cap. 6.) di un più perfetto costume, e così presentarsi al popolo con la veste nuziale (Sist. V in Bulla: Cum sacrosa»nctam.): e quindi lo ricopre della veste talare, lungo paludamento, che spira gravità e compunzione, quasi per porlo al coperto delle lusinghe, e dagli allettamenti del secolo (Sin. Ebroi. anno 1576, Tit. de vita et hon. cler. —- S. Ber. De modo bene vivendi.), e per ricordargli che egli deve essere con Gesù Cristo crocifisso, e morto al mondo e ai suoi piaceri. In segno di volerlo purificare e segregare dalle vanità del tempo presente, gli tonde i capelli, lasciandogli solo una corona intorno alla fronte, che gli ricorda dover essere con Gesù Cristo, come una vittima coronata di spine pel gran sacrificio (Amalarius form. lib. De Eccl. Off. cap. 39, et Petrus Bles. In Job. cap. I.). Dopo di averlo disposto così, lo va preparando con mistiche benedizioni; e, a provargli il merito (Leo ep. 85.), gli affida incombenze via via sempre più importanti, cioè sperimenta nell’esercizio degli ordini per grado ((6) Inn. I, ep. 4. Conc. Trid. sess. XXIII, De Refor.), se possa commettergli la gran funzione più che angelica e al tutto divina. Per questo lo fa passare pei quattro Ordini Minori e pei tre Ordini Maggiori, affine d’innalzarlo all’eccelsa dignità del Sacerdozio.

ORDINI MINORI

L’Ostiario,

Così di fatto, quando il giovane, vestito dell’abito clericale, e tonsurato, si mostrava assiduo alle funzioni, al salmeggiare, alla preghiera, e, colla gravità del contegno, innocenza del costume e santità della vita, si meritava la buona testimonianza del popolo, in mezzo a cui viveva; provava ancora la Chiesa la sua fedeltà nel ministero esterno, affidandogli coll’Ordine dell’Ostiariato le chiavi del luogo santo. Chiamar il popolo all’adunanza, suonar l’organo e le campane a raccolta, vegliare, e far la guardia alle sante porte (Pontif. Rom.), perché nessun interdetto o scomunicato entrare vi possa, mantenere l’ordine e la divisione delle persone di diverso sesso (Bonomns, Stat. Ecc. Vercellensis.), allontanare chi disturbasse il raccoglimento, cacciare chi col mal contegno è colla vita indegna offendesse la santità dei Misteri nel terribile luogo, sono le funzioni dell’Ostiario (Pontif. Rom. Con. Med.), di questo uomo a cui è dato in sorte di stare ogni dì vegliando alle porte della casa del Signore (Prov. 8, 83.). – Nell’essere creati Ostiari i sacerdoti prendono un santo impegno di vegliare al decoro del luogo santo: e s. Girolamo fa un titolo di gloria al suo nipote Nepoziano sacerdote, che vi scopava il pavimento, regolava i banchi, ornava di festoni di verzura le sacre pareti. Ai Sacerdoti il dovere di difendere le chiese, di scacciare i profani che con ribaldo orgoglio in questi poveri tempi pretendono di portar il sacrilegio dinanzi ai tremendi Misteri fin sotto gli occhi di Gesù in Sacramento; e se mai loro si domandasse: e con qual diritto? i Sacerdoti posson rispondere: col diritto che ha un ministro di far rispettare la reggia del suo sovrano, che ha un ambasciatore di difendere l’onore del suo re, col diritto e dovere santo che ha il soldato di versare il sangue per la gloria del suo monarca: e di quale? del Monarca dell’universo.

Il Lettore.

Dopo che il chierico dato avesse a divedere, che gli stesse a cuore il decoro del luogo santo, veniva eletto a leggere al popolo il vecchio Testamento e le lettere dei santi Pontefici; perocché sempre tutte le Chiese si considerarono come una e sola famiglia, il cui capo è Gesù Cristo in cielo, e in terra il sommo Pontefice, che lo rappresenta. Quando il Vicario di Cristo, od altro Vescovo di specchiata dottrina e santità, scriveva qualche lettera ai fedeli delle altre Chiese, la si leggeva ad edificazione comune al popolo raccolto pel sacrifizio. Adunque è ufficio del Lettore confortare e consolare il popolo, colle sante lezioni e spiegare al popolo la dottrina cristiana, massime ai fanciulli (Bononius. Ep. Versellens. statu.): ed è pur consolante vedere ancora nelle Chiese il giovinetto chierico farsi allegro maestro delle più sublimi verità, semplicetto come i fanciulli del popolo, a cui spezza in bricioli il pane. Così il Lettore comincia farla da ministro, in certo qual modo, di Dio col popolo, amministrando ai fedeli le consolazioni che il Signor loro concesse, sia col dono delle sante Scritture, sia col mandare i sacri Pastori a nome suo e trattare i suoi interessi con loro (Amalarits torm.

L’Esorcista.

Data prova di diligenza, veniva il Lettore fatto Esorcista, e riceveva l’autorità di cacciare in nome di Gesù Cristo i demoni di corpo ai fedeli, quando mai ne fossero. posseduti; e così è ufficio dell’ Esorcista preparare gli oggetti per le benedizioni, e di invocare il nome di Gesù Cristo sopra i Catecumeni, preparare i fedeli ad assistere al santo Sacrificio (Pontif. Rom. Bononius etc.). Cacciare i demoni!….. Ma ancora queste anticaglie! diranno certi spregiudicati dei nostri dì: è già molto se noi ammettiamo gl’indemoniati dell’Evangelio…. ma tutte l’altre storie poi d’invasioni di spiriti, di negromanzia, le sono invenzioni di mariuoleria, o di superstiziosa ignoranza! Quasi l’universo di uomini onesti e dotti non ne abbia avuto mai, se non era quest’abbondanza dei tempi nostri beati! Ed intanto beffarsi degli esorcismi: e noi rispondiamo: Era qualche tempo che i demonii, almeno in Europa, evitavano di attirarsi l’attenzione degli uomini: lasciavano fare le loro parti alla filosofia materialistica, contenti, che facendo essa dimenticare gli spiriti, si dimenticasse pur Dio. Ma la Chiesa tenne sempre d’occhio il nemico, che fingeva il dormiglione: lasciava ridere gl’increduli, e continuava a creare gli Esorcisti all’uopo di combattere i diavoli, se ricomparissero. Ora ecco l’anno 1846. Le damigelle Fox di Rochester senton dei colpi nella camera: vi rispondono esse, e presto si mettono in comunicazione cogli spiriti battitori!… Accorrono curiosi; ripetono le prove, e si mettono abitualmente a conversare con esseri invisibili. La moda passa dall’America in Germania, in Francia, in Italia. Ovunque si vedono sotto le mani muoversi le tavole, risponder coi loro movimenti alle domande, alla volontà di chi si mette in comunicazione. La fisica si sforzava di spiegare come si movessero le tavole; quand’ecco, e tavole e mobili, quasi in sussulto, far ridda e spiegare nuove virtù: dare risposte precise a chi li interroga; scrivere colle matite lettere, e dire cose da diavoli, e far disegni; poi rivelare i più reconditi secreti; finalmente predicare dottrine filosofiche, affettare moderazione, anzi apparenza fino di pietà, poi smascherati, lasciarsi conoscere per istigatori a laide empietà!… Noi non possiamo tenere dietro alle fasi di questa diabolica invasione moderna: rimandiamo i lettori ai belli e dotti articoli della Civiltà Cattolica; ed a chi ridesse della nostra bonarietà, rispondiamo, che noi, credendo, che tutto quello che esiste non è solo materia, ben abbiamo la semplicità di credere che sieno gli spiriti, che invasano i mobili, che fan riddone, piuttosto che credere, che le tavole e gli altri mobili sieno capaci a scrivere e ragionare, e far di filosofi. Noi sappiamo che abbiamo la guerra coi mali spiriti e benediciamo la Chiesa, che ci fa potenti con due parole — Gesù e Maria! — con una gocciola di acqua santa, e con un far di croce colla mano da Lei benedetta nell’Ordine dell’Esorcismo (Vedi l’opera del Mervilie e i belli articoli della Civiltà Cattolica sullo spiritismo.).

L’Accolito.

Quest’uomo, che è già da tanto da comandare ai demonii (Pontif. Rom. ed una operetta popolare del P. Delaporte, il diavolo etc.), è poi fatto Accolito, la qual parola suona seguace, perché la fa da fante, e procede innanzi ai ministri del Signore coll’incensiere ardente, aprendo la folla dei fedeli adunati, o tien loro appresso in atto di servitù. Portano pure gli Accoliti in mano i lumi accesi pel Santo Sacrificio, quando specialmente si legge il Vangelo; preparano nelle chiese gli altari, illuminano il luogo santo, accendono le candele intorno alla croce. Ufficio dell’Accolito è pure assistere al Diacono e Suddiacono, che ministrano al Sacerdote, preparar gli orciuoli sulla credenza fare insomma da inserviente appresso ai santi ministri, stando al fianco loro sempre pronto ad ogni cenno (Pontif. Rom. S. Isid. lib. 10. Conc. Acquisgr., c. 5. Ivo Carnot.

De Excell. Sacr. Ord.). Diremo tutto col dire che i chierici hanno da fareda angioli intorno all’altare di Dio Santissimo… È pur felice la loro sorte di dovere continuamente aggirarsi nel Luogo Santo, dove abita Dio personalmente! Anche i popoli, quando vedono l’ecclesiastico tutto nel Santuario occupato, dicono « il benedetto! ei fa con Gesù anche le nostre parti; egli prega, piange, ama il Signore, se ne piglia cura anche per noi, che andiamo distratti in tante cure di mondo. »

ORDINI MAGGIORI.

Il Suddiacono.

Questo giovane, che trova le delizie intorno all’altar del Signore, che lo adorna ne’ giorni di Solennità come sposa nel di delle nozze, e che ama il decoro della casa di Dio, viene promosso all’ordine del Suddiacono. Al Suddiacono si affidano i vasi sacri da custodire e preparare per la tremenda azione. Le mani, che devono toccare quei vasi consacrati dal Corpo e dal Sangue di Gesù Cristo, devono essere pure e mondissime (Isai. LII, 11); perciò la Chiesa vuole, che, per salire a questo grado si faccia rinunzio alle nozze terrene (Siriacus Pont. Decr. 11 febb. 385, s. Isid. lib. 2, cap. 10, De Offic. Eccles. apud Conc. Acquisgr. cap. 6.), pensando che le cose sante, cioè tutte riserbate e consacrate al servizio di Dio, devono essere trattate da persone che siano sante. A questo giovine adunque, che ha rinunciato alle misere delizie della vita mondana, che non vuole aver altro amore che pel Signore, e nella casa del Dio vivente trova lo sposo Divino della vergine anima sua, la Chiesa crede di poter affidare tutto il suo gran tesoro, cioè quanto ha di più caro, a lei donato dall’amor di Dio, il Corpo stesso di Gesù Cristo nel SS. Sacramento, ed il libro del santo Evangelo, creandolo Diacono.

Il Diacono.

Il Diacono quindi ha l’officio di amministrare davvicino al Sacerdote offerente, distribuire il SS. corpo di Gesù Cristo secondo il comando del Sacerdote, ed amministrare il Santo Battesimo, come pure di leggere al popolo il Santo Vangelo (41). Di più a questo ministro di Dio, a cui è affidato il Corpo reale di Gesù Cristo, la Chiesa affida la cura anche del Corpo mistico, che è il popolo fedele; ed in modo particolare a lui raccomanda le membra, di cui più vivamente piglia cura, le vedove cioè i pupilli, i poveri, i bisognosi tutti (Pontif. Rom. S, Isid. lib. 2, offic. cap. 8.). Santa ordinazione! Qui ben traspira la carità di Gesù Cristo che è l’anima, che vivifica la sua sposa; e ci fa intendere, che Gesù Cristo riceve come fatto il suo Santissimo Corpo, ciò che sì fa ai fedeli, sue membra, e specialmente quando esse sono con Lui crocefisse nei patimenti. Si! Chi si stringe sul cuore il Corpo di Gesù Cristo, e professa di crederlo capo dell’umana famiglia raccolta nella Chiesa, non può a meno di abbracciare nella sua carità tutte le sue mistiche membra di quel caro Corpo Divino, e di raccoglierle disperse in sulla terra, e portarle a Lui in seno in Paradiso. Bello spettacolo dovette offrire al mondo pagano il santo Diacono della Chiesa Romana, Lorenzo martire! Distribuito il tesoro della carità della Chiesa ai poverelli, era venuto in voce d’uomo, che possedesse di molte ricchezze. Citato dal prefetto, ed ordinatogli di consegnare i suoi tesori, « farò, diss’egli, se tu mi dai tempo fino a domani. » Venuta la dimane, conduce innanzi tutti i poveri dalla Chiesa soccorsi e « vedi, dice, è tesori sono questi sì veramente, e sono l’oggetto della più tenera cura dell’amiministrazione della carità alle mie mani affidata! » Qual desolante spettacolo invece il secolo nostro presenta! In una certa nazione, che vantasi di essere la più progredita in civiltà, distaccatasi dalla comune madre, la Chiesa Cattolica, umanizzato il Cristianesimo, perduta la fede del Corpo di Gesù Cristo, andò pure in dileguo la tenera carità, che ama nel prossimo la persona di Gesù Cristo. Così spento il sacro fuoco del Sacrifizio, restò spenta la carità evangelica. La legge umana impose la legale carità; ma la morta parola dell’uomo può mai infondere la vita? Ecco ora nella più florida e nella più grande città d’Europa, ricca dell’oro di mezzo il mondo, molte migliaia di esseri umani infelicissimi intristiscono nella crudele miseria d’ogni più necessario bene, sino a non aver tanto d’acqua da rinfrescarsi nell’ardor della sete. Così mentre in Roma la Chiesa appena nascente, cerca a morte nelle catacombe, dove si nascondeva, mostrava nei poverelli, che si sosteneva in braccio, il suo caro tesoro, e si preparava a trasmutare solo in Italia 49 milioni di schiavi in popoli novelli; Londra mostra spaventata milioni di poveri, che minacciano la distruzione della società, se non accorre la Chiesa a sanare colla carità di Gesù Cristo la paurosa piaga del pauperismo, che diventa ognor più minacciante. Ma buon per l’Inghilterra, che stende le braccia, affinché la Chiesa a lei porti Gesù Salvatore in Sacramento, e con Lui il fuoco della carità nel Sacrifizio.

Il Sacerdote.

Finalmente ecco il gran giorno dell’assunzione al Sacerdozio. La consacrazione d’un Sacerdote è tale un atto, che importa a tutta la Chiesa. Ieri quegli era un uomo privato, domani sarà principe nella Casa del Signore; ieri ascoltava in silenzio la parola divina, domani ha egli il diritto di ammaestrare il popolo in nome di Dio. Se quest’uomo compie la sua missione bene sta; è l’uomo delle benedizioni, è il ministro delle grazie più elette; se la tradisce, oh Dio! diventa uno dei più terribili flagelli, con cui Dio possa nel suo sdegno castigare un popolo, che lo ha provocato! Perciò la Chiesa ha già ordinati digiuni e preghiere, e proclamata la prossima elezione; il popolo fu già consultato: dica in coscienza innanzi a Dio, se ha niente da opporre a questo uomo già da tanto tempo approvato (Pontif. Rom. Cone. Trid. sess. XIV, cap. v, sess. XXIII, c.I ecc.), affinché salga alla suprema dignità, che lo costituisce una cosa sola coll’immortal Sacerdote, Gesù Cristo, e sia destinato a rappresentarlo in terra, fatto mediatore tra Dio e gli \uomini, ministro del perdono divino, coll autorità di sacrificare il Corpo del Figliuolo di Dio medesimo, divenuto in certo qual modo corpo suo, come lo sacrificò Gesù Cristo sul Calvario. Ora ecco in qual mode compie la Chiesa la grande consacrazione del Ministro del santo altare. Il Vescovo raccoglie il consesso dei suoi consiglieri: piglia, diremo così, pei capelli questo cadavere ribelle del corpo dell’uomo; lo getta per terra sul pavimento della santa basilica. Poi insieme coi Seniori impone sul capo di quell’umiliato le sacramentali mani, invocando sopra di lui la pienezza dello Spirito Santo, mentre tutto il popolo prega inginocchio per terra. Gli unge le mani, e lo segna di croci col sacro Crisma; lo copre di una veste pure crocesignata e benedetta, e gli dà in mano coi vasi santi il pane ed il vino già preparato, lo consacra Sacerdote di Gesù Cristo colla podestà sua divina di chiudere e di aprire il Cielo, poi lo rialza da terra, e lo conduce per mano sull’Altare del Dio vivente ad offrirgli seco il gran Sacrificio, che redime, e salva il mondo (Conc. Trid. sess. XXIII, cap. II, sess. XXII, cap. I, II.). – Da quella sublime altezza egli alzerà le palme santificate al Cielo, ed il Cielo manderà giù ad una parola il perdono di Dio (Conc. Trid. sess. IV, cap. 6, can 3, Joan. 30, Mat. 16.); stenderà la mano sui fedeli, ed i fedeli saranno ricolmi di benedizione. Parlerà a nome di Dio, e dalla sua bocca spirerà il Verbo divino colla virtù dello Spirito Santo. Offrirà il Sacrificio, e si riconcilierà il Cielo colla terra. Queste verità che rivela la Chiesa intorno ai suoi Sacerdoti, noi confessiamo, che sono verità nascoste, e preziose pei soli credenti; ma elle sono corredate da tanti argomenti esterni e confermate da tante prove di fatto, che mostrano ad evidenza la verità della grazia invisibile di Dio nel Sacerdozio Cattolico. Conchiuderemo qui: la sacra Ordinazione piglia su l’uomo gettato per terra, lo risuscita purificato, lo compenetra della gloria del Tabor, lo fa strumento della sua misericordia, una santa gloria di Dio. Si osa dire sovente: vorremmo vedere un miracolo! Ebbene; eccolo qui un miracolo di tutti i dì, che dura da milleottocento anni: il Sacramento dell’ordine con due gocce di Olio Santo crea Sacerdoti, uomini di tanta unzione e carità, che la filosofia, le accademie, il progresso civile non possono imitare a pezza. Si legga quello che diciamo sulla fine di questa Parte, (Art. Missione) dove lo proviamo coll’evidenza del fatti, che valgono tutte ragioni.

La preparazione immediata.

Ecco finalmente il Sacerdote, che si accinge al Sacrifizio. Allo spuntare del sole, quando la natura si risveglia a vita novella, e rende immagine di quel mattino del mondo, in cui l’uomo innocente viveva lieta la vita sulla terra non ancora contaminata dal male: con una mente vergine di pensieri mondani, tutto elevata a Dio, egli entra nel

Santuario, si prostra a piè dell’Altare. Quivi, come Mosè prima di avvicinarsi al roveto, in cui Dio era disceso, si trasse la calzatura, ed a piè nudi si avvicinò tremando, così il Sacerdote s’umilia, piange, conferisce colla propria coscienza, e con Dio, a Lui espone con umiltà le cagioni che ha di temere d’avvicinarsi all’Altare, e portargli sotto lo sguardo santissimo le piaghe di un uom peccatore; a queste oppone le ragioni di conforto che trae dalla misericordia, dai meriti di Lui, cui vorrebbe offrire; esita, e prega, finché risolve di darla vinta alla bontà di Dio, e per questo titolo calma i terrori

di una coscienza, che, non fosse pure conscia di peccato, si sente sempre indegna d’avvicinarsi a Dio. Supplica Maria SS. d’accompagnarlo; invoca gli Angeli di confortarlo nel suo terrore, e va a lavarsi le mani per dar segno del desiderio di purificare il corpo ed il cuore da ogni resto di umana miseria, per accingersi con tutta mondezza alla grande funzione (S. Thom.3, p. 4, q. 3, Ben. XIV. Rubrica Miss. præpar. Ad Missam).