XXIV ED ULTIMA DOMENICA DOPO PENTECOSTE (2022)

Last Judgement fresco by Vasari and Zuccari, Florence duomo, Tuscany, Italy

XXIV ED ULTIMA DOMENICA DOPO PENTECOSTE. (2022)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semidoppio. – Paramenti verdi.

Quest’ultima settimana chiude l’anno ecclesiastico, e con essa si chiude la storia del mondo, iniziatasi coll’Avvento. Perciò in questa domenica la Chiesa fa leggere nel Breviario il libro del Profeta Michea (contemporaneo di Osea e di Isaia) con il commento di S. Basilio, che tratta del giudizio universale, e nel Messale il Vangelo dell’Avvento del Giudice divino. « Ecco, dice Michea, che il Signore uscirà dalla sua dimora; e camminerà su le alture della terra; le montagne si scioglieranno sotto i suoi passi e le valli fonderanno come la cera dinanzi al fuoco, e spariranno come l’acqua su un pendìo. E tutto questo per causa dei peccati d’Israele ». Dopo questa minaccia il Profeta continua con promesse di salvezza « Ti radunerò totalmente, Giacobbe, riunirò quello che resta d’Israele; lo radunerò come un gregge nell’ovile ». Gli Assiri hanno distrutto Samaria, i Caldei hanno devastato Gerusalemme, il Messia riparerà tutte queste rovine. Michea annunzia che Gesù Cristo nascerà a Gerusalemme e che il suo regno, che è quello della Gerusalemme celeste, non avrà fine. I profeti Nahum, Habacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria e Malachia, i libri dei quali si leggono nell’ufficiatura della settimana, confermano quanto ha detto Michea. Gesù nel Vangelo comincia con l’evocare la profezia di Daniele, che annunzia la rovina totale e definitiva del tempio di Gerusalemme e della nazione giudea per opera dell’esercito romano. Questa abominazione della desolazione è il castigo in cui il popolo di Israele ha incorso per la sua infedeltà, che è giunta al colmo, quando ha rigettato Cristo. Questa profezia si realizzò infatti qualche anno dopo la morte del Salvatore, allorché la tribolazione arrivò a tal punto, che se avesse durato ancora più a lungo nessun Giudeo sarebbe sfuggito alla morte. Ma per salvare coloro che si convertirono in seguito ad una si’ rude lezione, Dio abbreviò l’assedio di Gerusalemme. Così farà alla fine del mondo, di cui è figura la distruzione di questa città. Al momento del secondo Avvento di Cristo vi saranno senza dubbio tribolazioni ancor più terribili. « Molti impostori, fra i quali l’Anticristo, faranno prodigi ancora più satanici per farsi credere il Cristo; allora, l’abominazione della desolazione regnerà in altro modo nel tempio, poiché, spiega S. Girolamo « sorgerà, secondo quanto dice S. Paolo, l’uomo dell’iniquità e dell’opposizione contro tutto quello che è chiamato Dio ed è adorato e spingerà l’audacia fino a sedersi nel tempio stesso di Dio ed a farsi passare egli stesso per Dio » « Verrà accompagnato dalla potenza di satana per far perire e gettare nell’abbandono di Dio quelli che l’avranno accolto » (3° Notturno). Ma qui ancora, continua S. Girolamo, Dio abbrevierà questo tempo, affinché gli eletti non siano indotti in errore (id.). Del resto, non vi lasciate ingannare, dice il Salvatore, poiché il Figlio dell’uomo non apparirà, come la prima volta, nel velo del mistero e in un angolo remoto del mondo, ma in tutto il suo splendore e dappertutto contemporaneamente e con la rapidità della folgore. Allora tutti gli eletti andranno incontro a Lui, come gli avvoltoi verso la preda. Compariranno, allora, nel cielo, il segno sfolgorante della croce e il Figlio dell’Uomo che verrà con grande potenza, e con grande maestà (Vangelo). – « Quando vi prende la tentazione di commettere qualche peccato, dice S. Basilio, vorrei che pensaste a questo terribile tribunale di Cristo, dove Egli siederà come giudice sopra un altissimo trono; davanti a questo comparirà ogni creatura tremante alla sua gloriosa presenza; là renderemo uno per uno conto delle azioni di tutta la nostra vita. Subito dopo, coloro che avranno commesso molto male durante la loro vita, si vedranno circondati da terribili e orribili demoni, che li precipiteranno in un profondo abisso. Temete queste cose, e, penetrati da questo timore, usatene come un freno per impedire all’anima vostra di esser trascinata dalla concupiscenza a commettere il peccato» (3″ Notturno). La Chiesa ci esorta perciò nell’Epistola, per bocca dell’Apostolo, a condurci in modo degno del Signore e a portar frutto in ogni sorta di buone opere, affinché, fortificati dalla sua gloriosa potenza, sopportiamo tutto con pazienza e con gioia, ringraziando Dio Padre che ci ha fatti capaci di aver parte all’eredità dei Santi, ora in ispirito, e all’ultimo giorno in corpo e in anima, per il Sangue redentore del suo Figlio diletto. Dio, che ci ha detto per bocca di Geremia di nutrire pensieri di pace e non di collera (Introito), e che ha premesso di esaudire le preghiere fatte con fede (Com.), ci esaudirà e ci affrancherà dalle concupiscenze terrene (Secr.) facendo cessare la nostra cattività (Intr. e Vers.) e aprendoci per sempre il cielo ove il trionfo del Messia troverà la sua gloriosa consumazione. – Vincitore assoluto sui suoi nemici, che risusciteranno per il loro castigo, e Re senza contestazione di tutti gli eletti, che hanno creduto nel suo avvento e che risusciteranno per essere gloriosi nel corpo e nell’anima per tutta l’eternità. Gesù Cristo rimetterà al Padre questo regno, che ha conquistato a prezzo del sul Sangue, come omaggio perfetto del capo e dei suoi membri. E sarà allora la vera Pasqua, il pieno passaggio nella vera terra promessa e la presa di possesso, per sempre, da parte di Gesù ed il suo popolo del regno della Gerusalemme celeste, dove, nel Tempio, che non è stato fatto da mano di uomo, regna sovrano Dio in cui metteremo tutta la nostra gloria ed il cui Nome celebreremo eternamente (Grad.). E per mezzo del nostro Sommo Sacerdote Gesù noi renderemo un eterno omaggio alla SS. Trinità dicendo: « Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo, come era in principio ed ora e sempre e nei secoli, così sia. » Rendiamo infinite grazie a Dio Padre per averci riscattato per mezzo di Gesù Cristo dalla schiavitù del demonio e delle sue opere tenebrose ed averci resi degni di partecipare con Lui alla gloria del suo regno celeste, che è l’eredità dei Santi nella luce. – Gesù è venuto nell’umiliazione, e tornerà nella gloria. Il suo Primo Avvento ebbe per scopo di prepararci al secondo. Coloro che l’avranno accolto nel tempo, saranno da Lui accolti quando entreranno nell’eternità; quei che l’avranno misconosciuto saranno rigettati. Perciò i Profeti non hanno separato i due avventi del Messia, poiché sono i due atti di un medesimo dramma divino. Così pure Nostro Signore non separa la rovina di Gerusalemme dalla fine del mondo, poiché il castigo che colpi i Giudei deicidi è la figura del castigo eterno, che toccherà a tutti quelli che avranno rigettato il Salvatore. Questo primo avvento ha già avuto luogo, il secondo si effettuerà: prepariamoci; la lettura del Vangelo di oggi, tende appunto a questo.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum ✠ in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, ✠ absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Ier XXIX: 11; 12; 14
Dicit Dóminus: Ego cógito cogitatiónes pacis, et non afflictiónis: invocábitis me, et ego exáudiam vos: et redúcam captivitátem vestram de cunctis locis.

[Dice il Signore: Io ho pensieri di pace e non di afflizione: mi invocherete e io vi esaudirò: vi ricondurrò da tutti i luoghi in cui siete stati condotti.]


Ps LXXXIV: 2
Benedixísti, Dómine, terram tuam: avertísti captivitátem Iacob.

[Hai benedetta la tua terra, o Signore: hai distrutta la schiavitú di Giacobbe.]

Dicit Dóminus: Ego cógito cogitatiónes pacis, et non afflictiónis: invocábitis me, et ego exáudiam vos: et redúcam captivitátem vestram de cunctis locis.

[Dice il Signore: Io ho pensieri di pace e non di afflizione: mi invocherete e io vi esaudirò: vi ricondurrò da tutti i luoghi in cui siete stati condotti.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.
Excita, quǽsumus, Dómine, tuórum fidélium voluntátes: ut, divíni óperis fructum propénsius exsequéntes; pietátis tuæ remédia maióra percípiant.

[Eccita, o Signore, Te ne preghiamo, la volontà dei tuoi fedeli: affinché dedicandosi con maggiore ardore a far fruttare l’opera divina, partécipino maggiormente dei rimedi della tua misericordia.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Colossénses.
Col 1: 9-14
“Fratres: Non cessámus pro vobis orántes et postulántes, ut impleámini agnitióne voluntátis Dei, in omni sapiéntia et intelléctu spiritáli: ut ambulétis digne Deo per ómnia placéntes: in omni ópere bono fructificántes, et crescéntes in scientia Dei: in omni virtúte confortáti secúndum poténtiam claritátis eius in omni patiéntia, et longanimitáte cum gáudio, grátias agentes Deo Patri, qui dignos nos fecit in partem sortis sanctórum in lúmine: qui erípuit nos de potestáte tenebrárum, et tránstulit in regnum Fílii dilectiónis suæ, in quo habémus redemptiónem per sánguinem eius, remissiónem peccatórum”.

(“Fratelli: Non cessiamo di pregare per voi, e di chiedere che abbiate la piena cognizione della volontà di Dio, con ogni sapienza e intelligenza spirituale, affinché camminiate in maniera degna di Dio; sì da piacergli in tutto; producendo frutti in ogni sorta di opere buone, e progredendo nella cognizione di Dio; corroborati dalla gloriosa potenza di lui in ogni specie di fortezza ad essere in tutto pazienti e longanimi con letizia, ringraziando Dio Padre che i ha fatti degni di partecipare alla sorte dei santi nella luce, sottraendoci al potere delle tenebre; e trasportandoci nel regno del suo diletto Figliuolo, nel quale, mediante il suo sangue, abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati”).

SAPERE.

San Paolo tocca mirabilmente tre verbi, che riassumono il fior fiore dell’attività veramente cristiana, con insistenza sul primo: sapere. Non è il caso di esagerare o piuttosto alterare l’azione che il Divin Maestro ha esercitato ed esercita sull’intelletto umano, e quella che l’intelletto umano deve esplicare docilmente, secondando gl’impulsi del Maestro. Ma non per nulla N. S. Gesù Cristo ha preso e conserva questo bel nome: Maestro. Rabbi. Non per nulla il Maestro è il Verbo di Dio, è la Sapienza incarnata di Lui. Verbo che illumina ogni uomo, quando specialmente, in carne mortale, viene a risiedere in mezzo a noi. – Il suo Vangelo è, inizialmente, radicalmente luce nuova. Ci ha strappato, dice San Paolo, parlando, si capisce, di preferenza ai convertiti, dal Gentilesimo, ci ha strappati dall’impero delle tenebre, trasportandoci nel regno della luce. Ed anche per questo il Cristianesimo è umano, cioè proporzionato, profondamente, perfettamente agli umani bisogni. L’uomo comincia di lì, dal sapere, dalla luce, dalla testa, la sua vita veramente umana. È un uomo perché pensa, uomo perché opera a ragione veduta. Il Cristianesimo ci prende di lì, comincia a prenderci di lì, dalla testa, colla sua rivelazione. Alla quale risponde la nostra fede, che è un sapere sovrannaturale, ma sapere. Sapere con una certezza nuova cose che erano oggetto di discussioni antiche; sapere cose nuove intravedute per « speculum in enigmate, » attendendo che venga di là, di lassù, la luce piena. E questo saper nuovo, scende sì, in noi, da Dio, ma dobbiamo noi pure accrescerlo col divino aiuto e la nostra operosità. Non tutti i Cristiani sono egualmente sapienti o veggenti. Paolo esorta i suoi lettori e discepoli a diventarlo sempre più. Augura loro e raccomanda che « siano riempiti della profonda conoscenza della volontà di Dio, in ogni sorta di spirituale sapienza e intelligenza spirituale ». Il che si consegue quando si studia e si medita il Vangelo, la rivelazione divina, il mondo della realtà cristiana. Si studia come fanno anche i più semplici Cristiani, leggendo il Catechismo, ascoltando la spiegazione evangelica dei Sacerdoti, e poi si medita come hanno fatto e fanno i grandi Cristiani, non solo sacerdoti e teologi, dirò così, di professione, S. Tommaso, S. Bonaventura, S. Bellarmino, ma anche i grandi laici, come Manzoni, Nicolò Tommaseo, Contardo Ferrini. Bisogna istruirsi per sapere; e bisogna sapere se si vuol essere degni del nome di uomini e di Cristiani. Ma, soprattutto, bisogna sapere cristianamente, per cristianamente lavorare e soffrire. Il sapere cristiano non è fine a se stesso; non è appagamento vano di vana curiosità. In ciò la sua profonda differenza dal sapere profano. S. Paolo segna subito quella finalità essenziale e doverosa del sapere cristiano, che è pratica. Augura a tutti i suoi lettori, a noi, che lo siamo dopo tanti secoli, di crescere in ogni maniera di sapienza spirituale perché — gli cedo la parola — « camminiate in modo degno di Dio in guisa da essergli in ogni cosa graditi, producendo frutti d’ogni opera buona ». – Del resto, è naturale, è logico. Alla luce si cammina meglio; più veloci, più alacri, nell’ordine fisico. Nell’ordine morale e religioso, è lo stesso. Quello che pareva problema di luce, si risolve in un problema di azione. Conoscendo meglio Dio, dobbiamo, — è quasi direi, una necessità, necessità logica, — amarlo di più. Conoscendo meglio noi stessi, dobbiamo lavorare di più alla nostra purificazione ed elevazione. Conoscendo meglio il prossimo, dobbiamo compatirlo di più e perdonargli più facilmente. C’è così, una vera termo-dinamica del mondo Spirituale. Siamo davvero immersi nella luce di Dio: questa ci circonda da ogni parte. Tutto è lucido attorno a noi. La via è nettamente tracciata. Si vedono molti ostacoli: avanti! « Ambulemus: » camminiamo. Lavoriamo: sapere per fare… Del qual fare è parte anche il soffrire, il sopportare. Il sacrificio è un Cristianesimo in forma di azione. Il soldato lavora e soffre, versa sudore e sangue. Noi dobbiamo essere i soldati di Gesù Cristo. – Sono cose buone, sempre a ricordarsi a noi, più utili ed opportune mentre si chiude un ciclo di vita ecclesiastica e se ne apre un altro. Un anno più dell’altro, il nostro programma deve essere: luce, lavoro, sacrificio.

P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

 Graduale

Ps XLIII:8-9
Liberásti nos, Dómine, ex affligéntibus nos: et eos, qui nos odérunt, confudísti.

[Ci liberasti da coloro che ci affliggevano, o Signore, e confondesti quelli che ci odiavano.]


V. In Deo laudábimur tota die, et in nómine tuo confitébimur in sæcula.

[In Dio ci glorieremo tutto il giorno e celebreremo il suo nome in eterno.]

Alleluja

Allelúia, allelúia.
Ps CXXIX:1-2
De profúndis clamávi ad te, Dómine: Dómine, exáudi oratiónem meam. Allelúia.

[Dal profondo Ti invoco, o Signore: o Signore, esaudisci la mia preghiera. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia  sancti Evangélii secúndum S.  Matthǽum.

Matt XXIV: 15-35

“In illo témpore: Dixit Iesus discípulis suis: Cum vidéritis abominatiónem desolatiónis, quæ dicta est a Daniéle Prophéta, stantem in loco sancto: qui legit, intélligat: tunc qui in Iudǽa sunt, fúgiant ad montes: et qui in tecto, non descéndat tóllere áliquid de domo sua: et qui in agro, non revertátur tóllere túnicam suam. Væ autem prægnántibus et nutriéntibus in illis diébus. Oráte autem, ut non fiat fuga vestra in híeme vel sábbato. Erit enim tunc tribulátio magna, qualis non fuit ab inítio mundi usque modo, neque fiet. Et nisi breviáti fuíssent dies illi, non fíeret salva omnis caro: sed propter eléctos breviabúntur dies illi. Tunc si quis vobis díxerit: Ecce, hic est Christus, aut illic: nolíte crédere. Surgent enim pseudochrísti et pseudoprophétæ, et dabunt signa magna et prodígia, ita ut in errórem inducántur – si fíeri potest – étiam elécti. Ecce, prædíxi vobis. Si ergo díxerint vobis: Ecce, in desérto est, nolíte exíre: ecce, in penetrálibus, nolíte crédere. Sicut enim fulgur exit ab Oriénte et paret usque in Occidéntem: ita erit et advéntus Fílii hóminis. Ubicúmque fúerit corpus, illic congregabúntur et áquilæ. Statim autem post tribulatiónem diérum illórum sol obscurábitur, et luna non dabit lumen suum, et stellæ cadent de cælo, et virtútes cœlórum commovebúntur: et tunc parébit signum Fílii hóminis in cœlo: et tunc plangent omnes tribus terræ: et vidébunt Fílium hóminis veniéntem in núbibus cæli cum virtúte multa et maiestáte. Et mittet Angelos suos cum tuba et voce magna: et congregábunt eléctos eius a quátuor ventis, a summis cœlórum usque ad términos eórum. Ab árbore autem fici díscite parábolam: Cum iam ramus eius tener fúerit et fólia nata, scitis, quia prope est æstas: ita et vos cum vidéritis hæc ómnia, scitóte, quia prope est in iánuis. Amen, dico vobis, quia non præteríbit generátio hæc, donec ómnia hæc fiant. Cœlum et terra transíbunt, verba autem mea non præteríbunt.”

(“In quel tempo disse Gesù a’ suoi discepoli: Quando adunque vedrete l’abbominazione della desolazione, predetta dal profeta Daniele, posta nel luogo santo (chi legge comprenda): allora coloro che si troveranno nella Giudea fuggano ai monti; e chi si troverà sopra il solaio, non scenda per prendere qualche cosa di casa sua; e chi sarà al campo, non ritorni a pigliar la sua veste. Ma guai alle donne gravide, o che avranno bambini al petto in que’ giorni. Pregate perciò, che non abbiate a fuggire di verno, o in giorno di sabato. Imperocché grande sarà allora la tribolazione, quale non fu dal principio del mondo sino a quest’oggi, né mai sarà. E se non fossero accorciati quei giorni non sarebbe uomo restato salvo; ma saranno accorciati quei giorni in grazia degli eletti. Allora se alcuno vi dirà: Ecco qui, o ecco là il Cristo; non date retta. Imperocché usciranno fuori dei falsi cristi e dei falsi profeti, e faranno miracoli grandi, e prodigi, da fare che siano ingannati (se è possibile) gli stessi eletti. Ecco che io ve l’ho predetto. Se adunque vi diranno: Ecco che egli è nel deserto; non vogliate muovervi: eccolo in fondo della casa; non date retta. Imperocché siccome il lampo si parte dall’oriente, e si fa vedere fino all’occidente; così la venuta del Figliuolo dell’uomo. Dovunque sarà il corpo, quivi si raduneranno le aquile. Immediatamente poi dopo la tribolazione di quei giorni si oscurerà il sole, e la luna non darà più la sua luce, e cadranno dal cielo le stelle, e le potestà dei cieli saranno sommosse. Allora il segno del Figliuolo dell’uomo comparirà nel cielo; e allora si batteranno il petto tutte le tribù della terra, e vedranno il Figliuol dell’uomo scendere sulle nubi del cielo con potestà e maestà grande. E manderà i suoi Angeli, i quali con tromba e voce sonora raduneranno i suoi eletti dai quattro venti, da un’estremità de’ cieli all’altra. Dalla pianta del fico imparate questa similitudine. Quando il ramo di essa intenerisce, e spuntano le foglie, voi sapete che l’estate è vicina: così ancora quando voi vedrete tutte queste cose, sappiate che egli è vicino alla porta. In verità vi dico, non passerà questa generazione, che adempite non siano tutte queste cose. Il cielo e la terra passeranno; ma le mie parole non passeranno”).

OMELIA 

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI  ediz. Soc. Ed. Vita e pensiero – Milano).

LA GIUSTIZIA FINALE DEL CRISTO

Tre momenti possiamo considerare nella giustizia finale del Cristo, come la predice il Vangelo. Dapprima, la crisi suprema del mondo. Le forze che reggono la compagine dell’universo si sbanderanno: i cieli si arrotoleranno come tende, il sole e la luna si oscureranno, le stelle cadranno come foglie di autunno. Poi l’improvvisa apparizione del Giudice. Nel cielo vuoto Gesù e la sua croce sfolgorante. Ai riverberi di quella luce oltremondana, ogni anima diverrà trasparente più che cristallo percosso dal sole, sicché tutte le macchie della coscienza, anche le più piccole, saranno visibilissime. Il terzo momento è la confusione dell’anima colpevole. Muta perché senza scuse, sola perché senza nessun protettore, ella piangerà; ed al suo pianto farà bordone il vasto singhiozzare delle tribù dei peccatori. La delusione d’un mondo che scompare. Il giudizio esattissimo del Giudice divino. La confusione dell’anima senza scuse e senza protezione. Son tre pensieri che gioverà meditare molto seriamente. – 1. LA DELUSIONE D’UN MONDO CHE SCOMPARE. « Il cielo e la terra passeranno… »; disgraziati tutti quelli che vi han collocato il loro cuore e il loro tesoro. Mi servirò di alcune similitudini di S. Agostino, adattandole un poco. a) Un architetto bravissimo passò un giorno davanti a una sontuosa villa costruita sul margine d’un ruscello e disse al proprietario: « Guarda che sta per crollare, rose dall’acqua, le fondamenta ormai cedono ». L’inquilino gli scrollò le spalle » alla sera radunò ancora gli amici al consueto festino, e dopo si pose a letto per dormire tranquillamente. Era nel primo e profondo sonno e la casa crollò, schiacciandolo sotto. Peggio per lui, direte, perché era stato avvisato. Orbene, anche noi siamo stati avvisati. Il costruttore del mondo ci dice che questo mondo ha da rovinare e che il fiume del tempo, trascorrendo con lena insonne, gli rode le fondamenta. Non siamo immensamente stolti se invece di sgombrare, di cominciare a porre altrove le nostre speranze, i nostri desideri, i nostri beni, li collochiamo e fissiamo in questo mondo come se avesse a durare sempre, come ci dovessimo fare una dimora perpetua? Poi viene la morte e tutto crolla. Poi viene la fine del mondo e tutto frana. Che delusione amarissima! b) Un contadino poneva il frumento sulla nuda terra, in un luogo umido e senz’aria. Viene un amico, il quale conosce bene la natura del frumento e della terra e gli fa vedere la sua ignoranza, dicendogli: « Che hai fatto? porre il frumento sulla nuda terra, in un posto umido? D’inverno, quando le lunghe piogge ammollano tutto, questo grano marcirà e la tua fatica andrà in fumo ». il contadino chiese: « Che debbo fare? » L’amico gli rispose: « Prima che le piogge incomincino, trasportalo di sopra ». L’altro ci pensò un poco, e poi parendogli troppo grossa fatica, non lo fece. Vennero le piogge: andò per vedere il frumento, e vide invece un mucchio di materia in fermentazione. Ah, noi — direte — non avremmo agito così. Dite bene, perché siete persone di senno; ma siatelo in tutto, anche nelle cose più importanti. Siete pronti ad ascoltare il consiglio d’un amico nell’affare del frumento, perché trascurerete il consiglio di Gesù, l’amico divino, intorno all’affare dell’anima vostra? Egli conosce la natura del vostro cuore, che è fatto per il cielo; conosce la natura della terra che è fatta per essere corrotta e distrutta, e vi avvisa: « Trasporta in alto il cuore, perché tutto ciò che è sulla terra marcirà e scomparirà ». Avete timore di porre sulla nuda terra un poco di frumento, e poi sulla nuda terra lascerete marcire e distruggere il vostro cuore? Collocate in alto, nei beni invisibili ed eterni, il cuore per non essere delusi da questo mondo che scompare. c) In una barca che faceva acqua da tutte le parti, un uomo gridava aiuto. Passò un vascello e dall’alto gli lasciarono calare un corda di salvataggio. Il naufrago si stringeva cupidamente la cassetta dei suoi tesori, faceva per afferrare la corda ma non vi riusciva perché aveva le mani impedite. Dal vascello qualcuno gli gridava: « Lascia andare ciò che tieni, prendi ciò che ti dò. Se non abbandoni, non puoi ricevere ». Stringere insieme cassetta e corda non poteva; abbandonare la cassetta non voleva; ad un tratto, la barca fu colma d’acqua, e l’uomo con la cassetta sprofondò. Noi che viviamo in questo mondo, siamo sopra una barca che fa acqua da tutte le parti, e cola fatalmente a picco. Nostro Signore è accorso a salvarci e lascia cadere fino a noi la corda della sua redenzione: ma per afferrarla, bisogna distaccare le nostre mani ed il nostro cuore dalle cose e dai piaceri sensuali e mondani. La mano, se stringe un oggetto, non ne può stringere un altro. Chi ama il mondo, non può amare Dio: ha la mano impegnata. E quanti stringendosi cupidamente sul cuore la loro avarizia, o il loro orgoglio, o la loro passione impura, sprofonderanno con questo mondo a picco. – 2. IL GIUDIZIO ESATTISSIMO DEL GIUDICE. Scomparso il mondo e le sue iridate illusioni, non resterà più che il bene e il male sparso in tutti i giorni della nostra vita, dal primo albeggiare della ragione e della responsabilità fino al momento estremo della morte. Di questo saremo giudicati. a) Saremo giudicati del male; — il male che abbiamo fatto noi, con le opere, con le parole, con le azioni; — il male che abbiamo fatto fare agli altri, e qui, ci pensino quelli che senza necessità fanno lavorare in festa, fanno mangiare di grasso nei giorni proibiti, impediscono in qualunque modo ai loro dipendenti di adempiere i doveri religiosi; ci pensino anche quelli che fanno bestemmiare, che fanno per la loro condotta sparlare della Religione, che con la loro moda di vestire e di comportarsi inducono a chi li vede pensieri e desideri immondi; ci pensino tutti quelli che hanno dato scandalo; — il male che abbiamo lasciato fare agli altri, mentre lo potevamo impedire: il male quindi che molti genitori con maggior vigilanza avrebbero potuto impedire nei loro figli; che i fratelli con maggior carità avrebbero potuto impedire nei loro fratelli; che tanti Cristiani con un po’ d’azione cattolica avrebbero potuto impedire nel loro prossimo; che io povero prete e pastore d’anime avrei potuto impedire nella mia parrocchia se avessi avuto più zelo. Signor nostro e Giudice nostro Gesù abbi misericordia! b) Saremo giudicati anche del bene: — il bene che non abbiamo fatto, e che potevamo fare: ad esempio, del rosari che tutti possono dire ogni sera nella loro famiglia e non si dice; delle Messe che si potevano ascoltare, delle elemosine che si potevano fare, degli aiuti alle opere buone al prossimo bisognoso che si potevano dare! — il bene che abbiamo fatto male: tutte le volte che fummo in Chiesa durante i sacri riti con gli sguardi svagati sulle persone, con la mente annuvolata di pensieri inutili e forse peccaminosi; tutte le volte che facemmo l’elemosina o lavorammo per essere veduti, stimati, ricompensati dagli uomini; — il bene finalmente che abbiamo fatto bene: questo è l’oro puro col qual soltanto si può comprare la vita eterna. – 3. LA CONFUSIONE DELL’ANIMA COLPEVOLE. a) « Quid sum miser tunc dicturus? ». Che potrà dire, quali scuse potrà avanzare l’anima colpevole? Forse dirà: « La tua legge, o Signore, era troppo difficile, non la si poteva osservare », No, non lo potrà dire, altrimenti intorno a Cristo sorgerebbe a protestare un turba infinita di uomini, di donne, di giovani e di fanciulle. Essi hanno saputo praticarla, e praticandola sentirono che il giogo del Signore è dolce e soave. Forse dirà: « La tua legge, o Signore, richiedeva troppo tempo, ed io avevo affari, commerci, negozi dall’alba a notte tarda ». No, non lo potrà dire, altrimenti intorno a Cristo sorgerebbe un’altra turba di anime che lavorarono ancor di più di lei, senza trascurare la salute eterna; e poi ragione voleva che si abbandonasse anche qualche affare materiale, per non perdere l’unico affare necessario, che è quello dell’anima. Forse dirà: « Avevo poca salute, preoccupazioni finanziarie molte, la casa piccola, non avevo posto per un altro lettino…» No, non lo dirà. Sentirà dentro dì sé che tutte erano scuse per nascondere la paura dei sacrifici, l’amore dei propri comodi, il desiderio d’avere libertà per godere la vita; sentirà dentro di sé, che se avesse amato il Signore avrebbe trovato il coraggio e la forza necessaria per superare ogni difficoltà. b) « Quem patronum rogaturus? ». Chi chiamerà in soccorso? Forse l’Angelo custode? No; l’anima non ha voluto mai ascoltare nei giorni della vita terrena il suo pianto silenzioso; ed egli ora non può, né vuole esaudire la sua angoscia disperata. Forse qualche Santo protettore? I Santi, chi non li invoca da vivo, ne ignora il nome da morto. Chi non li imita nella mortificazione, non sarà mai loro compagno nella gioia. Forse accorrerà la Madonna? No, essa è Madre dei peccatori, ma non la madre dei condannati. Dopo la condanna pronunciata dal suo divin Figlio, Ella si uniforma alla giusta sentenza. E se la Madonna non viene, Ella che è madre di misericordia e di speranza, segno è che ogni misericordia e ogni speranza è morta. – Nell’orto degli ulivi, quando Gesù andò incontro alla masnada che veniva per legarlo, disse semplicemente : « Ecco, sono Io! ». Quelli arretrarono e caddero come tramortiti dallo spavento. Eppure erano i giorni della sua mansuetudine, i giorni dell’agnello che tace mentre lo tosano, che non bela mentre lo conducono al macello. Che sarà allora nel giorno della sua giustizia, nel giorno del leone che ruggisce ed azzanna? « Ecco, sono Io! ». Quel Gesù che hai bestemmiato, che hai baciato da traditore, che hai oltraggiato con gli sputi e le percosse, che hai messo in croce con i chiodi dei tuoi peccati. — IL GIUDIZIO. A Felice, preside di Cesarea, doveva sembrare strano quell’uomo che un suo collega di Gerusalemme, Claudio Lisia, gli mandava da giudicare con un biglietto di raccomandazione. Era giudeo e i Giudei lo volevano massacrare; frequentava le sinagoghe ed insegnava una religione nuova: non aveva ancor visto Roma ed era cittadino romano fin dalla nascita; aveva gli occhi malati e lo sguardo fulmineo: Paolo di Tarso. Il prigioniero era così interessante che il preside Felice e sua moglie Drusilla lo chiamavano spesso nelle loro sale per udirlo parlare della fede in Gesù Cristo. E Paolo parlava, senza paure: parlava di giustizia a quell’uomo che ogni giorno la calpestava; parlava di castità a quell’uomo che viveva in adulterio; e infine parlò del giudizio futuro… di quel giudizio in cui ogni peccato piccolo e grande, pubblico e occulto, contro Dio o contro il prossimo, sarà manifestato a tutto il mondo radunato e tremante ai piedi di Cristo giudice. Drusilla e Felice l’ascoltavano immobili; con la mente fissa in quel giorno finale. E Paolo con foga irreprimibile lo descriveva come «il giorno di ira, giorno di tribolazione, giorno di oppressione, giorno di sciagura, giorno di miseria, giorno di tenebre, giorno di caligine, giorno di nebbia, giorno d’uragano, giorno di squilli e di urli » (Sof., I, 15). Felice cominciò a impallidire, poi a restringersi, poi a tremare, poi scattò in piedi gridando: « Basta! per ora vattene ». Tremefactus Felix respondit: quod nunc attinet, vade (Atti, XXIV, 25). Davvero che ci vorrebbe qui S. Paolo a parlarvi del giudizio e sentiremmo tutti ghiacciare il sangue di spavento! io invece non so che ripetervi le oscure parole del Vangelo. In quei giorni si oscurerà il sole come sotto una densissima caligine e la luna rossastra non darà più luce e tutte le stelle si precipiteranno dal cielo, e tutto il cielo sarà sconvolto come da un vento furiosissimo. Simile ad un uomo che muore e scoppia in gemiti e rompe in singhiozzi tormentosi, così questo vecchio mondo balzerà da’ suoi cardini e si commuoverà fin dal profondo delle sue viscere. Allora, tra le nubi, immensa, solenne, luminosa, brillerà la croce: e sotto piangeranno tutte le tribù della terra… et plangent omnes tribus terræ (Mt., XXIV, 30). Piangerà la tribù dei ricchi, perché tutto il loro danaro in quel momento non varrà a nulla; piangerà la tribù dei prepotenti perché in quel momento saranno schiacciati; piangerà la tribù dei disonesti perché tutti sapranno le loro vergognose azioni; piangerà la tribù dei bestemmiatori perché starà per giungere Colui che han bestemmiato. E verrà. Verrà, grande nella potestà e nella gloria, camminando come un gigante sulle nubi. Intanto gli Angeli squilleranno, sul vento, ai quattro angoli della terra l’ultima adunata. E comincerà il giudizio. In alto starà Lui, Cristo, e ai suoi piedi le genti, e sorgeranno gli accusatori. Sorgeranno gli Angeli, alla cui presenza peccammo. Sorgeranno, ghignando, i demoni a cui abbiam dato ascolto. Sorgeranno tutte le creature: il fuoco, l’aria, l’acqua, la terra. Il fuoco dirà: « Io lo rischiaravo con luce e lo riscaldava con calore: egli invece ti offendeva nella mia luce e nel mio calore. Signore! dammelo che lo bruci ». L’aria dirà: « Io, ad ogni attimo, nutrivo i suoi polmoni: egli, ad ogni attimo, peccava. Signore! dammelo ch’io lo sbatta con vento furioso ». L’acqua dirà: « Io dissetavo la sua bocca e purificavo le sue cose: egli, con i peccati, insozzava l’anima. Signore! dammelo ch’io, dentro di me, lo anneghi ». La terra dirà: « Io lo sostenevo e lo nutrivo ogni giorno con erbe e con animali: egli viveva per offenderti. Signore! dammelo ch’io, vivo, lo seppellisca ». E noi saremo là, colpevoli e tremanti, in faccia all’universo… Questo è orribile ma è il meno. Noi allora, soprattutto, avremo paura di due persone: di Cristo e di noi. Se vi sembra strano, ascoltate. – 1. I PECCATORI AVRANNO PAURA DI CRISTO. La vigilia della sua morte, Gesù passò il Cedron, risalì la riva opposta tra i filari delle viti, entrò con i suoi nel giardino di Gethsemani pieno d’ombre misteriose. Era triste e solo; e Giuda veniva, veniva la coorte con fiaccole con funi con armi; già si sentiva l’urlio dei soldati e il frascheggiare del loro passo per i boschetti. Gesù, che sapeva tutto, mosse incontro a loro. « Chi cercate? ». — Gesù Nazareno. « Son Io ». Tutti stramazzarono al suolo: Abierunt retrorsum et ceciderunt in terram (Giov., XVIII, 6). Pensate: bastava una semplice parola per farli morire di spavento. Che sarà allora nel giorno finale all’udire da quelle medesime labbra l’estrema condanna di maledizione? Nel Gethsemani c’era oscuro, e i soldati non avevano potuto vedere la maestà terribile che raggiava dal volto divino, ma nel giudizio finale gli occhi sfolgoranti di Cristo Giudice s’infiggeranno, come dardi, in noi. Nel Gethsemani Gesù era triste e solo: ma nel giudizio sarà in trono, in mezzo alle legioni degli Angeli, in faccia a tutta la generazione. Nel Gethsemani Gesù era ancora l’Agnello d’amore e di perdono, ma nel giudizio sarà solo l’Agnello di giustizia e di vendetta. Se tanto, adunque è stato terribile il Signore nel giorno dei suoi nemici, nell’ora delle tenebre, che cosa sarà nel suo giorno, « nel giorno di Cristo che è giorno di fuoco? » (TERTULLIANO). Sarà l’Agnello furibondo descritto da S. Giovanni nell’Apocalisse così: « Quando il sole sarà diventato nero come un sacco oscuro, quando la luna, spenta ogni stella, girerà nelle volte deserte come una macchia di sangue, quando il cielo si sarà ritirato come un manto che si straccia in due, allora passerà l’Agnello furibondo. I ricchi della terra, i principi, i tribuni, i potenti, tutti quanti, ricchi e poveri, si nasconderanno nelle spelonche, sotto le pietre, e diranno ai monti: nascondeteci dalla faccia e dall’ira dell’Agnello perché è venuto il giorno grande della sua vendetta, e chi vi potrà resistere? Quis poterit stare? (Apoc., VI, 17). Forse io, forse voi, Cristiani, potrete resistere? Vi dico che tutti noi che siam peccatori dovremmo morir dallo spavento, se Dio lo permettesse. « Quem quæritis? ». « Iesum Nazarenum ». « Ego sum ». Son Io, risponderà Gesù, son Io, guardami! sono Io che tu hai bestemmiato, che tu hai dimenticato, che tu hai deriso. Son Io, guardami! vedi la corona di spine che punge le mie tempia: e tu, te ne ridevi di essa quando nella tua mente assecondavi ai turpi pensieri. Vedi le mie mani e le piante dei miei piedi piagate: e tu, te ne ridevi di queste stigmate dolorose quando le tue mani s’attaccavano alla roba d’altri, quando i tuoi piedi ti portavano là, dove non avresti dovuto andare mai. Vedi il mio cuore, squarciato per te: e tu, te ne ridevi del mio amore quando correvi dietro le creature, e ti pascevi d’affetti impuri, e ti divertivi nei piaceri… Ora basta: son Io, guarda, che me ne rido di te! Ego quoque in interitu vestro ridebo et subsannabo (Prov., I, 26). – 2. I PECCATORI AVRANNO PAURA DI LORO MEDESIMI. Ho ancora davanti agli occhi la visione dolorosa d’una persona cara morente; e forse mi starà, così viva, fin ch’io campi. Era tanto giovane e mite e moriva d’un male misterioso e straziante di cui, neppure i medici, sapevano dir qualcosa. Soffriva senza intermittenze da un anno e mezzo ed era alla fine. La febbre quotidiana e alta gli aveva consumato ogni fibra e seccato ogni umore, rendendolo così scarno da sembrare uno scheletro ricoperto di pelle: solo che sotto la pelle traspariva la trama violenta delle vene. Respirava penosamente: sporgendo le labbra come se volesse raggiungere un fiato che gli sfuggiva. Le orecchie bianche, la bocca rossa e sanguinante, gli occhi dilatati paurosamente quasi a raccogliere l’ultima impressione delle cose che, per lui, svanivano. Negli ultimi mesi l’avevano assalito delle convulsioni nervose che gli schiantavano il petto, che gli rompevano le ossa: una volta furono così violente che il braccio gli rimase immobile e la mano stravolta. Pure, alla fine era rassegnato. La mattina del giorno in cui doveva morire, chiese uno specchio. Si voleva negarglielo: ma come non esaudire fin l’ultimo capriccio di una persona che sta per andar via, per sempre? Gli si porge lo specchio, trovò la forza per sollevarlo e vi pose sopra i suoi occhi ingordi… ma subito mandò un grido lacerante, e lasciò cadere lo specchio, singultendo. Aveva avuto paura di sé. La bruttezza che un male fisico può produrre nel corpo, è nulla in confronto di quella che il peccato, in un istante, produce nell’anima. Quanto dev’essere orribile un’anima dopo due, tre, dieci, cento… peccati, noi non lo sappiamo neppure immaginare, ma nel giudizio lo vedremo. Vedremo sotto la luce di Cristo, venire a galla ogni colpa più occulta e coprire di schifosissime croste l’anima nostra. E quante miserie di cui quasi non sospettavamo, verranno scoperte. Tu dicevi, sì d’avere un po’ d’amore per la tua persona: ma non dicevi che questo amore della tua persona ha suscitato in te la voglia di piacere agli altri; non dicevi che per piacere agli altri hai seguito il lusso e la moda scandalosa, suscitando in altri le passioni. Tu dicevi; sì, d’attaccare discorsi cattivi; ma non dicevi che questi discorsi hanno poi raffreddato il tuo amore per la famiglia, hanno sconvolto la tua vita coniugale. Tu dicevi, sì, di mormorare del prossimo; ma non dicevi che le tue parole toglievano l’onore, lo rovinavano negli affari. Tutto questo, allora, lo vedrai in te stesso, orribilmente; Dio porrà te contro te: Arguam te et statuam contra faciem tuam (Salmi, XLIX, 21). Ti vedrai come in uno specchio e tu stesso avrai paura di te. Ecco perché i reprobi grideranno ai monti: « Cadeteci addosso e sotterrateci » Cadite super nos, operite nos (Lc., XXIII, 30). Non diranno: monti, nascondeteci la faccia del Giudice adirato, non fateci vedere, o colli, i demoni che ci tormenteranno; ma diranno: colpite noi, perché di noi abbiam paura. Il padre Bourdaloue diceva: « Signore! nel giorno del giudizio non vi pregherò di difendermi dalla vostra ira, ma tutta la grazia che vi domanderò è che mi difendiate da me medesimo ». – Nel secolo V, due fratelli ateniesi, rimasti orfani e padroni della sostanza paterna, ebbero la crudeltà di mettere alla porta e gittare sulla strada un’unica loro  sorella. Si chiamava Atenaide. Non valsero pianti e suppliche della derelitta, che dovette ramingare per la terra. Passati alcuni anni i due spietati fratelli si sentono chiamare dall’imperatore di Costantinopoli. Ci vanno e sono introdotti nella sala del trono e vedono colà seduta nello sfoggio della sua bellezza e della sua potenza… Atenaide, la reietta, la raminga, che per una sequela di casi provvidenziali era divenuta imperatrice e consorte dell’imperatore Teodosio. Ella si levò in piedi e rivolse a loro queste tremende parole: « Mi conoscete? Son  io la sorella vostra: Atenaide! » A tale vista, a tale parola, quegli sciagurati caddero come morti sul pavimento. Anche noi, coi peccati, non facciamo altro che cacciar via da casa nostra il fratello maggiore: Gesù Cristo. Ma tra pochi anni, quando ci sentiremo chiamare dalla morte, noi lo vedremo, sfolgorante in solio, e lo sentiremo dire: « Mi conoscete? sono Io il fratello vostro, che avete maltrattato: Gesù Cristo! ». –IL SANTO TIMOR DI DIO. Secondo la liturgia della Chiesa oggi termina l’anno: con Domenica ventura entreremo nell’Avvento che è preparazione al santo Natale e s’incomincerà quindi un nuovo giro di feste. Per questo il Vangelo di oggi è tutto un cader di stelle, uno squillar lungo di trombe, e un piangere di paura sotto la maestà del Figlio di Dio veniente. Cristiani, volgiamoci indietro e consideriamo se in quest’anno liturgico non abbiamo fatto nulla di cui potremmo pentirci al giudizio finale. « Quando tornerà il Figlio dell’uomo sulla nuvola del cielo a giudicare i vivi e i morti? » avevano chiesto trepidando gli Apostoli. « Nessuno, — rispose Gesù, — ve lo potrà mai dire. State però all’erta: Egli verrà come il lampo che guizza a un tratto da levante a ponente; come un padrone partito lontano per affari che torna improvviso a sorprendere i servi, come un ladro che vien di soppiatto nella notte. Guai a quelli che saranno colti nella crapula o col cuore aggravato dalle ansiose sollecitudini di questa vita bugiarda! saranno presi al laccio. Intanto il sole si oscurerà. La luna perderà la sua bianca luce. Le stelle precipiteranno. Tutte le forze del cielo saranno sconvolte. Dai quattro angoli del mondo, gruppi di Angeli lanceranno gli squilli dell’eternità, e la tromba paurosa sospingerà gli uomini a radunarsi. Ed ecco, in alto, il gran segno del Figlio dell’uomo, ed ecco sulle nubi esso Figliuol dell’uomo. Tutti esterrefatti attenderanno la sua parola. E parlerà finalmente. Lui che ha taciuto nel suo Tabernacolo per secoli e secoli, Lui che ha taciuto quando lo bestemmiavano, Lui che ha taciuto quando le anime s’ingolfavano nel peccato, Lui parlerà allora, per dire la sentenza. E dopo che Egli ha parlato, passerà e cielo e terra, ma la sua sentenza non passerà in eterno. Cœlum et terra transibunt, verba autem mea non præteribunt. Ma, purtroppo, gli uomini non rammentano Gesù e la sua promessa. Vivono come se il mondo dovesse sempre durare come è stato fin qui e non si crucciano che per i loro interessi terreni e carnali. E se ancora languidamente credono a Dio, lo relegano nel suo paradiso, e senza più curarsene di Lui, cercano di fabbricarsi nei piaceri un altro paradiso, fuori dalla sua legge. E come nei giorni prima del diluvio si mangiava, si beveva, si prendeva moglie e s’andava a marito e la gente non si avvide di nulla fino al giorno in cui Noè entrò nell’Arca e cominciarono le acque ad invadere il mondo, così sarà anche per la venuta finale di Gesù Cristo. E come avvenne ai giorni di Lot, che tutti impazzirono nei peccati, fin quando cadde dal cielo una pioggia di fuoco e di zolfo che li fece tutti perire, così accadrà alla fine del mondo. Guardate nel mondo che follia di corruzione; nessuno teme il Ladro divino che giungerà improvviso nella notte, nessuno aspetta il vero Padrone. Timete Dominum. (Apoc., XIV, 7). – 1. ECCELLENZA DEL TIMORE DI DIO. Ci preserva dal peccato. Il timore di Dio fu paragonato da S. Giovanni Crisostomo a quel forte armato che sta davanti all’atrio e non lascia passare nessuno senza ucciderlo: così, nell’atrio di un’anima il timore santo di Dio uccide ogni tentazione che vuol penetrare e mette in fuga tutti i peccati: « Figlio mio! — diceva il vecchio Tobia accarezzando il suo unigenito — Se temeremo il Signore, schiveremo ogni peccato e faremo molto bene » (Tob., IV, 23). Ci ottiene molte grazie. Come una ricamatrice si serve dell’ago pungente per introdurre nella stoffa i bei fili d’oro o d’argento o di seta variopinta, così Iddio si serve del pungolo del timore per ricamare con belle grazie l’anima nostra. E nel « Magnificat » la Madonna ha detto che per quelli che temono il Signore c’è gran misericordia di secolo, di generazione in generazione. Ci dona la tranquillità in morte. Di tutta la vita umana i momenti più terribili sono quelli dell’agonia: essere alle porte dell’eternità, sentirsi già sulla fronte alitare il soffio dell’altro mondo, udire già il passo di Dio giudice che viene. Ebbene quelli che vissero nel santo timore si troveranno bene in quegli estremi istanti, e nel giorno della morte saranno benedetti. È la vera bellezza dell’anima. Non per la forma del suo volto e del suo corpo, ché questo è vanità, ma per il timore di Dio la donna sarà lodata (Prov., XXXI, 30). È la vera ricchezza dell’anima. Tanta povera gente consuma la vita per mettere insieme un po’ di roba, un po’ di danaro, per acquistarsi un onore o un diploma. Tutte questo la morte farà svanire come il sole la nebbia. Il timor di Dio, questo è il vero tesoro! (78., XXXIII, 6). È la vera forza dell’anima. Era l’Epifania del 372. Nella cattedrale di Cesarea il vescovo S. Giovanni Crisostomo celebrava solennemente, ritto sull’altare come una colonna di bronzo nel tempio del Signore. Ed ecco entrare l’imperatore Valente che in quei giorni con odio ariano aveva perseguitato i Cattolici. Al momento opportuno, con gli altri fedeli, anche l’imperatore si presentò per ricevere la Comunione. Il Vescovo si trovava tra la potestà del Cielo e quella della terra: porgere all’indegno imperatore il Corpo di Cristo era disprezzare Iddio col sacrilegio, negarglielo era offrirsi alla persecuzione. S. Giovanni Crisostomo temette il Signore e recisamente gli rifiutò il pane degli Angeli. Al giorno dopo un bando imperiale proscriveva il Vescovo dalla città: lo videro allora lasciare l’episcopio e prendere la via dell’esilio. Era senza paura. – 2. NECESSITÀ DEL TIMORE DI DIO. Di troppe cose hanno timore gli uomini: della malattia, della miseria, della perdita di un’amicizia, della puntura di un vile insetto. E non hanno timore di Dio, l’unico di cui dovrebbero veramente temere. Osservate poi come anche il più piccolo disprezzo che gli altri fanno di noi e delle nostre cose ci offende e ci adira. Provi qualcuno a disprezzare i figliuoli davanti al loro padre e alla loro madre! provi a disprezzare i consigli di un avvocato o la ricetta di un medico, in loro presenza! provi a disprezzare la merce davanti al mercante, e l’opera davanti all’artefice! subito vedreste ire terribili, e liti, vendette, Solo Iddio, dunque si lascerà irridere? e da chi poi? Temiamo Iddio che è presente in ogni luogo e in ogni momento. Alcuni popoli barbari avevano scelto come loro Iddio il sole, perché di notte almeno — quando il sole è assente — inosservati e impunemente potessero fare tutto quello che volessero. Ingenui, ma logici! Pensiamo invece alla nostra sfrontatezza quando, peccando, offendiamo Dio in sua presenza. Ogni bestemmia, ogni furto, ogni disonestà, anche ogni pensiero e desiderio illecito Dio vede, e tace. Ma non tacerà sempre: verrà il suo giorno per parlare, e sarà al giudizio finale. Temiamo Iddio che verrà a giudicarci. Tre cose faranno cruccio ai reprobi in quel momento, in cui apparirà la maestà del Figlio di Dio: la prima perché avranno offeso un Fratello buono, e un Padre che anche allora conosceranno amorosissimo; la seconda perché s’accorgeranno d’aver perso quello splendore immenso e quella letizia senza fine in cui gli eletti saranno avvolti; la terza perché il baratro infernale è aperto sotto loro ad inghiottirli inesorabilmente. Chi invocheranno? Chi li potrà aiutare? Forse la Madonna ch’è tanto buona? Forse la Madonna che è mamma, ch’è rifugio dei peccatori? – No: la Madonna sarà la impugnatrice più valida, allora. Aman, il ministro superbo, il traditore degli israeliti, l’uomo della frode, fu chiamato nella sala del banchetto, ed egli presagendo come la sua condanna fosse imminente, s’inginocchiò tremando ai piedi della regina Ester implorando con singhiozzi pietà. Ma la regina lo riguardò con occhio duro e disse: « Ecco, o re, Aman, il nostro nemico peggiore ». In quel momento entrava un servo ad annunciare che il supplizio era pronto. « Fatelo morire! » comandò Assuero. E lo trascinarono via. Ricordate le parole di Ester: « Inimicus noster pessimus iste est Aman » (Ester, VII, 6); migliori di queste, dalle labbra della Vergine Madre, non se le aspetti al giorno del giudizio l’uomo che è senza timore di Dio. Poiché la Madonna non farà allora che ratificare la condanna pronunciata dal suo divin Figlio.

 Credo …

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps CXXIX: 1-2
De profúndis clamávi ad te, Dómine: Dómine, exáudi oratiónem meam: de profúndis clamávi ad te, Dómine.

[Dal profondo Ti invoco, o Signore: o Signore, esaudisci la mia preghiera: dal profondo Ti invoco, o Signore.]

Secreta

Propítius esto, Dómine, supplicatiónibus nostris: et, pópuli tui oblatiónibus precibúsque suscéptis, ómnium nostrum ad te corda convérte; ut, a terrenis cupiditátibus liberáti, ad cœléstia desidéria transeámus.

[Sii propizio, o Signore, alle nostre suppliche e, ricevute le offerte e le preghiere del tuo popolo, converti a Te i cuori di noi tutti, affinché, liberati dalle brame terrene, ci rivolgiamo ai desideri celesti.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de sanctissima Trinitate


Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui cum unigénito Fílio tuo et Spíritu Sancto unus es Deus, unus es Dóminus: non in uníus singularitáte persónæ, sed in uníus Trinitáte substántiæ. Quod enim de tua glória, revelánte te, crédimus, hoc de Fílio tuo, hoc de Spíritu Sancto sine differéntia discretiónis sentímus. Ut in confessióne veræ sempiternǽque Deitátis, et in persónis propríetas, et in esséntia únitas, et in majestáte adorétur æquálitas. Quam laudant Angeli atque Archángeli, Chérubim quoque ac Séraphim: qui non cessant clamáre quotídie, una voce dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: che col Figlio tuo unigénito e con lo Spirito Santo, sei un Dio solo ed un solo Signore, non nella singolarità di una sola persona, ma nella Trinità di una sola sostanza. Cosí che quanto per tua rivelazione crediamo della tua gloria, il medesimo sentiamo, senza distinzione, e di tuo Figlio e dello Spirito Santo. Affinché nella professione della vera e sempiterna Divinità, si adori: e la proprietà nelle persone e l’unità nell’essenza e l’uguaglianza nella maestà. La quale lodano gli Angeli e gli Arcangeli, i Cherubini e i Serafini, che non cessano ogni giorno di acclamare, dicendo ad una voce:]

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster,

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Marc XI: 24
Amen, dico vobis, quidquid orántes pétitis, crédite, quia accipiétis, et fiet vobis.

[In verità vi dico: tutto quello che domandate, credete di ottenerlo e vi sarà dato].

Postcommunio

Orémus.
Concéde nobis, quǽsumus, Dómine: ut per hæc sacraménta quæ súmpsimus, quidquid in nostra mente vitiósum est, ipsorum medicatiónis dono curétur.

[Concedici, Te ne preghiamo, o Signore: che quanto di vizioso è nell’ànima nostra sia curato dalla virtú medicinale di questi sacramenti che abbiamo assunto.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

LO SCUDO DELLA FEDE (228)

LO SCUDO DELLA FEDE (228)

LA SANTA MADRE CHIESA NELLA SANTA MESSA (2)

SPIEGAZIONE STORICA, CRITICA, MORALE DELLA SANTA MESSA

Mons., BELASIO ANTONIO MARIA

Ed. QUINTA

TORINO, LIBRERIA SALESIANA EDITRICE, 1908

SPIEGAZIONE DELLA S. MESSA

Anello che ricongiunge il cielo colla terra, perno su cui s’appoggia tutta la religione, centro, a cui mirano tutti i sacramenti, e a cui tutti i riti sono ordinati, è il Sacrificio della santa Messa. E in vero il Sacrificio, è sempre come il compendio, e l’espressione più genuina delle religioni, in cui sì pratica; sicché dove materiale e grossolano è il sacrificio, è rozza la religione: dove crudele ed empio il sacrificio, barbara e diabolica è la superstizione; dove santo al contrario e, come nella Chiesa Cattolica, il Sacrificio è divino, la Religione è santissima e al tutto divina. Anche nell’entrare nel tempio santo è dato di scorgere che le membra del sacro edificio con tutti gli adornamenti convergono al Tabernacolo di propiziazione, e tutte le immagini, che ridono d’una celeste bellezza, pare che a quello i loro sguardi rivolgano, e stiano d’intorno all’altare quasi a guardia d’onore. Poiché sull’altare cattolico stanno come scolpiti in basso rilievo gli augusti Misteri della Fede Cristiana, ed in fronte ad esso come sopra un acroterio in sublime iscrizione sta espressa tutta l’economia celeste della redenzione nostra operata da Dio: ed il Sacrificio; che sull’altare si consuma, è un vero spettacolo della misericordia di Dio. Quindi la Chiesa doveva questo augusto mistero a Lei affidato compiere con dignità; ed in esso tradurre in atto le sue credenze. Essendo poi Ella madre, e la vera educatrice dei Popoli, coi suoi riti doveva inspirare le sue idee e dare i suoi ammaestramenti ai figliuoli. Lo compresero i santi padri, e non credettero meglio aiutare questa madre, che collo spiegare le auguste cerimonie da Lei praticate nell’esercizio del culto divino, e fare ad esse partecipare i fedeli. Fin dal secondo secolo s. Giustino filosofo e martire per difendere la Chiesa in faccia ai tiranni, e farla rispettare, anzi amare da tutto il mondo, non credeva poter far meglio che esporre i riti con cui si celebravano nelle Catacombe i santi Misteri. Quindi s. Cipriano, s. Basilio, s. Giovan-Grisostomo nelle loro Omelie, s. Cirillo nelle sue Catechesi, e tutti i santi Padri alla maestà dei riti sacri si ispiravano sovente, e, facendo partecipi delle loro sublimi ispirazioni i fedeli, lì mantenevano in comunicazione continua collo spirito della Chiesa, che li praticava. E se ciò allora era bene, quando il popolo assisteva così fervorosamente alle sacre funzioni, e queste in gran parte erano anche eseguite nel linguaggio che in quei tempi ancora si parlava comunemente; per cui i fedeli assistenti alla Messa erano in continuo colloquio colla Chiesa c col Sacerdote, pare necessario di dover «piegare le belle e devote significazioni di queste auguste pratiche ora che il popolo prende ogni dì sempre più poca parte a ciò che si fa nella Chiesa e le sacri funzioni tiene quasi in conto di cosa, vorremmo dire, di professione dei sacerdoti, in cui egli non s’abbia per poco che fare. Per rimediarvi alcuni hanno voluto che si dovesse, nell’esercizio del pubblico culto abolire il linguaggio latino. Eh! bisogna pur dire che costoro non fossero informati a quello spirito di universal carità, che è l’anima della Chiesa Cattolica, che abbraccia in una sola famiglia tutti gli uomini di tutti i tempi dispersi sopra la terra, di nazione, di lingua, di colore diversi. Madre di tutti, Ella ha bisogno di una lingua, che, studiata in ogni terra, non sia il privilegio di alcun popolo del mondo. Veramente quando per esempio un fedele d’Italia si trova ad ascoltare la s. Messa celebrata dal prete nero d’Etiopia, o di color di rame dell’Oceania, sentendo sull’altare il linguaggio che parla il Pontefice in Roma; allora, si trovasse pure agli antipodi in mezzo ai più estranei popoli, sente di essere in mezzo ai fratelli, tutti figli della medesima madre, che tutti conduce per mano a ricoverarli in Paradiso (Conc. Trid. sess. XXII, cap. 8.). Inoltre, la latina lingua antica e misteriosa, non più soggetta a variare coi tempi, mentre conviene assai bene al culto dell’Essere eterno, incomprensibile, immutabile, tiene al sicuro le verità eterne da quel vortice di variazioni, che strascina gli uomini e le cose, che da loro dipendono, in mutazioni continue; e meglio la serba nella loro interezza entro le esatte forme di un linguaggio fuori d’uso e custodito da tutti (Car. Bon. lib. De rerum liturg. dove tratta del variare continuo delle lingue viventi). Pare ancora che le orazioni in lingua latina raddoppino presso la moltitudine il sentimento religioso. Ché nel tumulto dei suoi pensieri e delle miserie, onde è assediata la vita, il buon fedele, pronunciando nella sua semplicità parole a lui poco famigliari od anche sconosciute del tutto, si persuade domandar cose che a lui mancano e che non saprebbe quali. L’indeterminazione della sua preghiera la rende più graziosa, e l’inquieta anima sua, che mal conosce ciò che ella desidera, e inclinata a fare voti misteriosi, come sono misteriosi i suoi bisogni (Chateaubr.). Del resto sapendo di ripetere le parole che gli mette in bocca come a bimbo la madre, a lei si affida, e da lei unito dell’intelletto per la fede, e del cuore per la carità, vivendo per Lei in un’atmosfera più sublime d’intelligenza e d’amore, come pensa coi suoi pensieri, così gli vien bene esprimerti nelle sue orazioni in grembo alla madre colla misteriosa parola ch’ella gl’insegna (Bened. XIV. De Sacrif. Miss. lib. II, cap. 2). Sia benedetta questa Madre santissima! È nella speranza di meritare anche noi la sua benedizione, noi (se ce lo concede Iddio), vorremmo farla da interprete tra lei ed i suoi figli; ed in certo qual modo, mentre si trovano in seno a lei allora che tratta con Dio di tutti i loro più cari interessi, noi vorremmo farci a ridestar l’attenzione dei figli, quasi dire con semplicità: « vedete, ascoltate, sentite ciò che vi dice e fa la Chiesa con quelle tali cerimonie, e con quelle sante parole, che le ispira Iddio. » Troppo ben fortunati, se avremo porta occasione ai RR. Parrochi e Sacerdoti di far sovente parola dei santi riti della Chiesa, e massime della santa Messa. Perché, a dir vero, di alcuni fedeli, (e noi l’abbiamo provato nel trattare con loro nei momenti delle più sincere loro espansioni, dedicati essendo alle Missioni sante), ci sembrarono troppo meschine e ristrette le idee che hanno infatti dei più sacri misteri. Onde è che di un tempo il più prezioso e veramente accettevole appresso a Dio si fa sovente per loro un tempo di noia mortale; pel che se ne vanno volentieri lontano. Par bene adunque che bisogni aiutarli a farsi famigliari coi pensieri della Chiesa nelle sacre funzioni, e che bisogni iniziarli alla grandezza, alla profondità delle cose di Dio. E ci pare carità il dar loro la mano per sollevarli dal tempio al cielo; e, quando entrano nel luogo santo, trasportarli quasi in un’atmosfera spirituale tra le braccia della madre Chiesa a conversare con Dio. Perché essendo la Messa piena d’utilissimi e grandi misteri (Cone. Trid. sess. XXII, cap. 8.), in essa troviamo come lo spirito di tutta la nostra religione, e, col compendio di tutti i misteri, anche un’idea di tutte le obbligazioni che il Vangelo c’impone, ed una caparra di tutte le promesse, che ci fa intravedere la fede, ed anche un saggio anticipato della felicità, che ci appresta la misericordia di Dio. Ah! quando conosceremo la forza e il valore di tutte le cerimonie alla grande oblazione consacrate, nel vedere Gesù, che mai non si spoglia della qualità di vittima, che si sacrifica, e resta in mezzo a noi, intenderemo, che la nostra con lui non deve essere una unione passeggiera, ma in ogni tempo, in ogni circostanza ci dovremo considerare come vittime da immolare con Lui nel sacrificio della vita cristiana, e vivere del cuore sempre uniti con Lui. Perciò, affinché non manchi questo sostanziale pascolo alle agnelle di Gesù Cristo, ed affinché i pargoli non chiedano pane, se non vi sia chi loro lo spezzi in mano, comanda la Chiesa, che spesso nella celebrazione della Messa ai fedeli raccolti si spieghi ciò che si legge e si pratica nel Sacrificio, e specialmente nei giorni di festa (Conc. Trid. sess. XXII, De Sac. Mis., cap. 8). – Come fecero, e fanno già molti, anche noi vorremmo aggiungere l’opera nostra. Desiderosi di farlo nel povero modo, che per noi si possa, abbiamo abbracciato anche tutte le occasioni, che ci si presentarono, per parlare di altri riti e di altre istituzioni, come chi gode di parlare coi fratelli di tutte le cose, che appartengono alla comune madre carissima; anche nella speranza di dare in mano ai fedeli, fossero pure neofiti, un Libro che basti a farli istruiti degli usi, per dir così, più comuni della nostra Chiesa, e metterli in comunicazione coi fratelli, che ci precedettero in paradiso; coi quali, benché siano in cielo, noi qui in terra facciamo una sola famiglia, quando siamo nella Chiesa Cattolica. – Abbiamo diviso tutta l’opera nostra in tre parti; cioè: La Preparazione, — Il Sacrificio. — Il ringraziamento della Messa. Ma prima è a dire che cosa sia il Sacrificio della santa Messa, ed il perché il Sacrificio si chiami Messa. Cominceremo pertanto da questo nome.