DOMENICA XXIII DOPO PENTECOSTE (2022)

DOMENICA XXIII DOPO PENTECOSTE (2022)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semidoppio. – Paramenti verdi.

Questa Domenica negli anni in cui la Pasqua cade il 24, o il 25 Aprile si anticipa al Sabato (rispettiv. 19, 20 Nov.) con tutti i privilegi della Domenica occorrente, cioè Gioria, Credo, Prefazii della Trinità e Ite Missa est per lasciar luogo rispettivamente nei giorni 20, 21 Novembre alla Domenica ultima dopo Pentecoste. Il tempo dopo Pentecoste è simbolo del lungo pellegrinaggio della Chiesa verso il cielo; le ultime Domeniche ne descrivono profeticamente le ultime tappe. In quest’epoca si leggono nel Breviario gli scritti dei grandi e dei piccoli profeti, che annunziano quello che accadrà alla fine del mondo. Quando i Caldei ebbero condotti gli Israeliti in cattività a Babilonia, Geremia percorse le rovine di Gerusalemme, ripetendo le sue Lamentazioni « Guarda, Signore, poiché è caduta nella desolazione la città che una volta era piena di ricchezza, la padrona delle nazioni è assisa nella tristezza. Essa amaramente piange durante la notte e le sue lagrime scorrono sulle sue gote » (3° Responsorio, 1a Dom. Nov.; Antit. del Magnificat, 2a Dom.). E profetizzò il doppio avvento del Messia che restaurerà tutte le cose. « Il Signore ha riscattato il suo popolo e lo ha liberato; e verranno ed esulteranno sul monte Sion e si rallegreranno dei beni del Signore » (1° Responsorio, lunedì 2a settimana). Fra i prigionieri condotti a Babilonia si trovava un sacerdote detto Ezechiele. Egli aveva annunziato la cattività che stava per ricadere su Israele: « Ora la fine è su di te e manderò contro di te il mio furore; e ti giudicherò secondo la tua vita e non avrò pietà » (1a Lezione, Mercoledì, 1a settimana). E nell’esilio egli profetizzò: « Le nostre iniquità e i nostri peccati sono sopra di noi; come dunque possiamo vivere? Ma il Signore ha detto: Non voglio la morte dell’empio, ma che egli si tolga dalla cattiva strada e viva. – Distoglietevi dalle vostre male vie e non morrete » (3a lezione, Lunedì 2a settimana). Dio mostrò al profeta in una visione il futuro su di un’alta montagna e gli indicò il culto perfetto che Egli attendeva dal suo popolo quando lo condurrebbe verso i colli eterni di Sionne (7a lezione Venerdì 2a settimana). Daniele, che era pure tra i prigionieri di Babilonia, spiegò il sogno di Nabucodonosor, dicendo che la piccola pietra che, dopo aver fatto cadere la statua d’oro, d’argento, di ferro e di argilla, diventò una grande montagna, è figura di Cristo, il regno del quale, consumerà tutti gli altri regni e sussisterà eternamente (Lunedì 3° settimana). – Le guarigioni e le risurrezioni corporali, compiute dal Signore, sono la figura della nostra liberazione e della nostra risurrezione futura: Da tutte le parti ricondurrò i prigionieri » dice Geremia nell’Introito « Tu hai fatto cessare la cattività di Giacobbe » aggiunge il Versetto dell’Introito « Signore, tu ci hai liberato da coloro che ci odiavano » continua il Graduale. « Dal fondo dell’esilio le nazioni hanno infatti gridato verso il Signore, supplicandolo di ascoltare la loro preghiera » spiegano l’Alleluia e l’Offertorio e, come in Dio vi è un’abbondante redenzione, Egli riscatterà il suo popolo da tutte le sue iniquità » (stesso Salmo, vers. 7 e 8). Preghiamo dunque con fiducia, poiché se Gesù risuscitò la figlia di Giairo e guarì l’emorroissa, ciò fu fatto secondo la parola del Signore: « Tutto quello che domanderete, lo riceverete ». Quale terrore quando il Giudice verrà ad esaminare rigorosamente ognuno!… dice la Sequenza dei Defunti. La tromba squillerà fra le tombe e convocherà tutti gli uomini davanti al Cristo. La morte e la natura resteranno interdette quando la creatura risorgerà per rispondere al giudizio divino. Allorché l’eterno Giudice siederà sul suo seggio, tutto quello che è nascosto sarà palesato e nulla resterà impunito. Giusto Giudice, nella tua clemenza accordami grazia e perdono prima del giorno del rendiconto ». Nelle ultime parole dell’Epistola odierna, l’Apostolo allude al libro di vita ove sono scritti i nomi dei Cristiani che la loro condotta esemplare rende degni della vita eterna. Gesù resuscita la figlia di Giairo con la stessa facilità con la quale noi svegliamo una persona che dorme. Così la sua divin virtù resusciterà i nostri corpi l’ultimo giorno.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Jer XXIX: 11; 12; 14
Dicit Dóminus: Ego cógito cogitatiónes pacis, et non afflictiónis: invocábitis me, et ego exáudiam vos: et redúcam captivitátem vestram de cunctis locis.

[Dice il Signore: Io ho pensieri di pace e non di afflizione: mi invocherete e io vi esaudirò: vi ricondurrò da tutti i luoghi in cui siete stati condotti.]


Ps LXXXIV: 2
Benedixísti, Dómine, terram tuam: avertísti captivitátem Jacob.

[Hai benedetta la tua terra, o Signore: hai distrutta la schiavitú di Giacobbe.]

Dicit Dóminus: Ego cógito cogitatiónes pacis, et non afflictiónis: invocábitis me, et ego exáudiam vos: et redúcam captivitátem vestram de cunctis locis.

[Dice il Signore: Io ho pensieri di pace e non di afflizione: mi invocherete e io vi esaudirò: vi ricondurrò da tutti i luoghi in cui siete stati condotti.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.
Absólve, quǽsumus, Dómine, tuórum delícta populórum: ut a peccatórum néxibus, quæ pro nostra fraglitáte contráximus, tua benignitáte liberémur.

[Perdona, o Signore, Te ne preghiamo, i delitti del tuo popolo: affinché dai vincoli del peccato, contratti per lo nostra fragilità, siamo liberati per la tua misericordia.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Philippénses.
Phil III: 17-21; IV: 1-3

Fratres: Imitatóres mei estóte, et observáte eos, qui ita ámbulant, sicut habétis formam nostram. Multi enim ámbulant, quos sæpe dicébam vobis – nunc autem et flens dico – inimícos Crucis Christi: quorum finis intéritus: quorum Deus venter est: et glória in confusióne ipsórum, qui terréna sápiunt. Nostra autem conversátio in cœlis est: unde etiam Salvatórem exspectámus, Dóminum nostrum Jesum Christum, qui reformábit corpus humilitátis nostræ, configurátum córpori claritátis suæ, secúndum operatiónem, qua étiam possit subjícere sibi ómnia. Itaque, fratres mei caríssimi et desideratíssimi, gáudium meum et coróna mea: sic state in Dómino, caríssimi. Evódiam rogo et Sýntychen déprecor idípsum sápere in Dómino. Etiam rogo et te, germáne compar, ádjuva illas, quæ mecum laboravérunt in Evangélio cum Cleménte et céteris adjutóribus meis, quorum nómina sunt in libro vitæ.

(“Fratelli: Siate miei imitatori, e ponete mente a coloro che si diportano secondo il modello che avete in noi. Poiché ci sono molti dei quali spesse volte vi ho parlato; e adesso vene parlo con lacrime, i quali si diportano da nemici della croce di Cristo: la loro fine è la perdizione; il loro Dio è il ventre: si vantano in ciò che forma la loro confusione, e non han gusto che per le cose terrene. Noi, invece, siamo cittadini del cielo, da dove pure aspettiamo, come Salvatore, il nostro Signor Gesù Cristo, il quale trasformerà il nostro miserabile corpo, rendendolo conforme al suo corpo glorioso; per quella potenza che ha di poter anche assoggettare a sé ogni cosa. Pertanto, miei fratelli carissimi e desideratissimi, mio gaudio e mia corona, continuate a star così fermi nel Signore, o amatissimi. Prego Evodia ed esorto Sintiche ad avere gli stessi sentimenti nel Signore. E prego anche te, fedel compagno, di venir loro in aiuto: esse hanno combattuto con me per il Vangelo, insieme con Clemente e con gli altri miei collaboratori, i cui nomi sono nel libro della vita”.).

LA NUOVA IDOLATRIA.

Ecco: voi siete convinti, credo tutti, che l’idolatria abbia fatto il suo tempo; il Cristianesimo l’ha seppellita. E se io vi dicessi che v’è ancora, che vive, forse vi scandalizzereste e, scandalizzati, mi dareste su la voce. E invece ecco qua San Paolo che ci parla di una idolatria diversa da quella che adorava Giove, Saturno… ma non meno verace idolatria di quella. E ce la presenta come l’abisso nel quale precipitano i nemici della Croce di Gesù Cristo. Questi nemici sono due; singolarmente due passioni, due stati d’animo: due gruppi di persone in questi stati d’animo: il piacere e l’orgoglio. L’orgoglio odia la Croce di Gesù Cristo, perché essa è simbolo e personificazione di umiltà. « Umiliò se stesso alla obbedienza della Croce » dice San Paolo, parlando di N. S. Gesù Cristo. Ma per ciò gli orgogliosi non lo tollerano, par loro un’ignominia, un avvilimento. Parlano con sdegno della servitù o schiavitù della Croce… Abbiamo ancora nell’orecchio le frasi blasfeme del poeta pagano. Gesù, egli il pagano poeta, lo vede nell’atto di gettare una Croce sulle spalle di Roma, dicendole, intimandole: portala e servi. E coll’orgoglio fa comunella contro la Croce il piacere, contro la Croce che canta l’inno austero del dolore, che gronda lagrime, lagrime amare. C’è un mondo che vuol divertirsi, che intuisce la vita come voluttà, come piacere. La Croce a questo mondo di uomini sensuali fa paura. Non la vogliono, le si ribellano, la respingono. Ma le passioni che li allontanano dalla Croce diventano il loro castigo, la divina nemesi della loro apostasia. La sensualità vince gli uomini del piacere, che, del piacere, diventano schiavi. E allora il loro dio, il loro padrone, colui al quale tutto sacrificano e che non sacrificherebbero mai, in nulla e per nulla, il loro dio è il ventre. Si riducono a vivere per mangiare, invece di mangiare per vivere e vivere per Dio. O se il loro Dio, il loro tiranno, il loro ideale non è il cibo con la bevanda relativa, è l’abito, la vanità nel vestire, o la casa comoda, sfarzosa, sempre la materia. Alla quale servono proni, supinamente proni, invece di servirsene. Il loro Dio è il ventre, dice San Paolo, che ha poche nebbie al suo pensiero e pochi peli sulla lingua quando il suo pensiero nitido si tratta di esprimerlo: « quorum Deus venter est ». Bella divinità! Valeva la pena di ribellarsi a Gesù Cristo, alla sua Croce, per cadere così in basso? Per gli orgogliosi c’è un altro destino, un altro castigo. L’orgoglioso diventa lo schiavo di se stesso, rimane solo in balìa di sé, delle sue esaltazioni tumide. Il suo Dio è il suo io, l’ipertrofia del suo io. L’umanità è bella, buona, ma a posto suo, come, del resto, ogni cosa di questo mondo. Fuor di posto, messa al posto di Dio, fa pessima figura e si guasta. La domestica sta bene al posto suo proprio, la serva-padrona è ridicola e funesta a sé e agli altri. È la sorte della umanità divinizzata, e la divinizzazione dell’umanità è la logica della superbia, dell’orgoglio nemico della umile Croce di Gesù Cristo. Il confusionismo è poi la risultante di questo orgoglio, confusionismo di idee e confusionismo di opere. – E quando si contemplano i due abissi a cui mettono capo l’orgoglio e la sensualità dei nemici del Cristianesimo, viene voglia non solo di prostrarsi con rinnovato fervore di adorazione davanti alla Croce, ma di abbracciarla e baciarla ripetendo: «O Crux, ave spes unica! »

P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

 Graduale

Ps XLIII: 8-9
Liberásti nos, Dómine, ex affligéntibus nos: et eos, qui nos odérunt, confudísti.

[Ci liberasti da coloro che ci affliggevano, o Signore, e confondesti quelli che ci odiavano.]


In Deo laudábimur tota die, et in nómine tuo confitébimur in saecula. Allelúja, allelúja.

[In Dio ci glorieremo tutto il giorno e celebreremo il suo nome in eterno..]

Alleluja

Allelúia, allelúia

Ps CXXIX: 1-2
De profúndis clamávi ad te, Dómine: Dómine, exáudi oratiónem meam. Allelúja.

[Dal profondo Ti invoco, o Signore: o Signore, esaudisci la mia preghiera. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Matthǽum.
Matt IX: XVIII, 18-26
In illo témpore: Loquénte Jesu ad turbas, ecce, princeps unus accéssit et adorábat eum, dicens: Dómine, fília mea modo defúncta est: sed veni, impóne manum tuam super eam, et vivet. Et surgens Jesus sequebátur eum et discípuli ejus. Et ecce múlier, quæ sánguinis fluxum patiebátur duódecim annis, accéssit retro et tétigit fímbriam vestiménti ejus. Dicébat enim intra se: Si tetígero tantum vestiméntum ejus, salva ero. At Jesus convérsus et videns eam, dixit: Confíde, fília, fides tua te salvam fecit. Et salva facta est múlier ex illa hora. Et cum venísset Jesus in domum príncipis, et vidísset tibícines et turbam tumultuántem, dicebat: Recédite: non est enim mórtua puélla, sed dormit. Et deridébant eum. Et cum ejécta esset turba, intrávit et ténuit manum ejus. Et surréxit puélla. Et éxiit fama hæc in univérsam terram illam.

[“In quel tempo, mentre Gesù parlava alle turbe, ecco che uno de’ principali se gli accostò, e lo adorava, dicendo: Signore, or ora la mia figliuola è morta; ma vieni, imponi la tua mano sopra di essa, e vivrà. E Gesù alzatosi, gli andò dietro co’ suoi discepoli. Quand’ecco una donna, la quale da dodici anni pativa una perdita di sangue, se gli accostò per di dietro, e toccò il lembo della sua veste. Imperocché diceva dentro di sé: Soltanto che io tocchi la sua veste, sarò guarita. Ma Gesù rivoltosi e miratala, le disse: Sta di buon animo, o figlia; la tua fede ti ha salvata. E da quel punto la donna fu liberata. Ed essendo Gesù arrivato alla casa di quel principale, e avendo veduto i trombetti e una turba di gente, che faceva molto strepito, diceva: Ritiratevi; perché la fanciulla non è morta, ma dorme. Ed essi si burlavano di lui. Quando poi fu messa fuori la gente, egli entrò, e la prese per una mano. E la fanciulla si alzò. E se ne divulgo’ la fama per tutto quel paese”].

OMELIA

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI  ediz. Soc. Ed. Vita e pensiero – Milano).

TOCCARE GESÙ

Nella sala del banchetto si fece un silenzio improvviso. Un uomo, stanco ed ansimante come uno che arrivi di corsa, entrò: aveva il viso pallido e sconvolto, aveva gli occhi umidi di lagrime, aveva nella voce un singhiozzo che tremava. Era il capo della Sinagoga, Giairo, che veniva a cercare Gesù perché gli era appena morta l’unica figlia. Appena lo vide, lo guardò, si gettò a terra, l’adorò e gli disse; « Signore! te ne supplico, vieni a casa mia. La mia bambina è appena morta, ma se tu la tocchi colla tua mano potente, essa vivrà ancora! ». La fede di quell’uomo che domandava la risurrezione di sua figlia, come fosse la cosa più semplice del mondo, commosse Gesù che lasciò la mensa e gli andò dietro insieme ai suoi Apostoli. Ed ecco che sulla strada c’era insieme alla turba una povera donna ammalata. Erano dodici anni che pativa perdite di sangue e non aveva trovato né medici né medicine capaci di ridonarle la salute perduta. Aveva fede soltanto in Gesù. Se Egli sapeva risuscitare i morti, forse non avrebbe saputo guarirla dal suo male? Si gettò in mezzo all’onda fluttuante del popolo e riuscì a giungere vicino al Signore. « Oh! se riuscissi — pensava — a toccare anche l’estremo lembo del suo mantello, sarei guarita! » Tremando si accostò, di dietro, e protese la mano fino a sfiorare il suo vestimento. In quell’istante una commozione profonda la sconvolse fibra a fibra e comprese di essere guarita. Gesù si rivolse e la vide: « Figlia, — le disse — confida che la tua fede, oggi, ti ha guarita ». Guardate con quanto desiderio Giairo sospira che il corpo morto dell’unica figliola venga in contatto delle mani di Gesù; osservate con quale ansia la povera emorroissa vorrebbe toccare anche solo un lembo delle vesti del Maestro. Toccare Gesù ed essere da Lui toccati: ecco la brama di tutti i sofferenti che vivevano al tempo del Signore. Ma se non siamo ammalati nel corpo, quante malattie tormentano le anime nostre! Tocchiamo allora Gesù, lasciamoci da Lui toccare ed a noi come alla donna, come alla giovane del Vangelo, Egli donerà la salute. Adesso però Gesù non lo vediamo più coi nostri occhi: Egli è salito col suo corpo visibile alla gloria del cielo e là soltanto i nostri occhi lo potranno vedere così come è: ma anche quaggiù in qualche modo ci è dato ancora toccarlo, Lo tocchiamo per mezzo della fede e della preghiera, lo tocchiamo ancora nella S. Eucaristia dove è realmente presente. Ed io, in questa Domenica, vorrei proprio, coll’aiuto di Dio, accendere in voi l’ardore che avevano quelli che poterono vedere e toccare Gesù. – 1. CON LA FEDE. Il 15 dicembre 1502 Cristoforo Colombo, nel suo quarto viaggio pel nuovo mondo, era quasi agonizzante per le grandi tribolazioni subite, quando da una delle caravelle partiva un grido disperato che annunziava estremi pericoli. Tutto l’equipaggio fu preso da spavento alla vista di un cono immenso, di una tromba marina che riuniva il mare al cielo, innalzando le acque come immense montagne. Un vento impetuoso spingeva questo terribile fenomeno contro la piccola flotta che certo sarebbe affondata in un batter d’occhio. Cristoforo Colombo, quando sentì il muggito dei venti ed il grido disperato dei suoi, pensò alla scena evangelica in cui Gesù dormiva mentre il mare in burrasca riempiva di panico gli Apostoli. La figura soave del Maestro che con un gesto solenne calmava le onde si affacciò alla sua mente ripiena di fede e raccogliendo le sue forze si buttò in ginocchio per dire a Gesù che egli credeva alla sua potenza e lo supplicava a salvarli dall’imminente pericolo. Fu esaudito perché quando il capitano, per ispirazione divina, tracciò contro il turbine un gran segno di croce, questi mutò direzione ed andò a disperdersi nell’immensità dell’Atlantico. E Cristoforo Colombo poté portare la croce a popoli ignoti. Attraverso il gran mare della vita anche noi, o fratelli carissimi, siamo indirizzati ad una meta che deve essere ad ogni costo raggiunta: il paradiso. Anche noi, ciascuno in quel posto in cui l’ha messo il Signore, dobbiamo far conoscere e far amare un poco Iddio. Ma quante volte l’orizzonte si oscura ed appaiono dei turbini strani che s’avvicinano per farci perire. Chiamatele così le tentazioni che non ci lasciano mai in pace un momento e rendono difficile il servizio di Dio. Chiamatele così le contrarietà e i dispiaceri della vita che ci vengono senza andarli a cercare o che ci procurano i nostri fratelli che non ci vogliono bene. Cristiani, pensiamo a Gesù! Rendiamo così viva la fede che ci faccia quasi vedere  Gesù coi nostri occhi e come il grande ammiraglio cristiano supplichiamolo che voglia salvarci. Ogni volta che noi crediamo in Gesù, è come se toccassimo le sue vesti, se gli stringessimo con amore le ginocchia, se baciassimo la mano miracolosa. Ed ogni volta che facciamo questi tre atti di fede, un fluido di vita, uno sprazzo di vivida luce penetra nelle nostre anime e le rende sempre più invincibili. È questo spirito di fede e di preghiera che scioglie ogni difficoltà e ci rende salvi non solo, ma apostoli di bene tra i nostri fratelli. Ben più fortunati di Cristoforo Colombo, noi scopriremo una terra dove la felicità sarà eterna. – 2. CON LA SANTA COMUNIONE. « Tu vuoi fare la prima Comunione, ma… quanti anni hai? Mostrami i tuoi dentini ». E la piccina, di appena cinque anni, che voleva dal Padre Missionario la SS. Eucaristia, mostrò una fila di denti da latte. « Ma tu hai ancora i dentini da latte, sei ancora troppo piccina! ». La bambina tace un momento, ma poi soggiunge: « E quando non avrò più questi denti, mi prometti che mi darai Gesù? » « Sì, te lo prometto ». La bambina se ne va e ritorna dopo dieci minuti, ma in quale stato, mio Dio! Tremante, col viso bagnato di lacrime e la bocca macchiata di sangue… Armata di un sasso, ella aveva fatto saltare i suoi denti. Il giorno dopo, con la testina fasciata, ella si presentava felice alla santa Mensa, e attraverso a quella bocca ferita per amore, Gesù entrava nel cuore di quella piccina. C’è nell’episodio una barbara ingenuità, ma guardate che c’è anche un grande eroismo. Certe cose le capiscono soltanto quelli che hanno le predilezioni del cuore di Gesù. Ma io in questo episodio vorrei farvi notare con quale prontezza una bambina di cinque anni ha voluto togliere subito, sia pur con dolore quello che… le impediva, secondo il suo modo infantile di ragionare, di ricevere Gesù. Pensate invece quanti potrebbero tanto spesso ricevere la Santa Comunione e non hanno il coraggio di rendersi degni. C’è il peccato mortale nell’anima? Una buona confessione lo distrugge. Ci sono dei piccoli attacchi alle cose del mondo, alle creature di questa terra, ai propri comodi, alle proprie idee? Con un po’ di coraggio ogni cosa si vince. E poi dove meglio che nella Santa Comunione noi possiamo accrescere la nostra fortezza? Cristiani, è ora di scuoterci dal nostro torpore, è ora di deporre il nostro freddo. Gesù non si accontenta del tabernacolo di marmo: Egli vuole dei tabernacoli vivi, palpitanti di amore che sono i nostri cuori. Se li toccherà Gesù, saranno sanati. – Al tempo della peste di Milano, avveniva tra le tante una scena davvero commovente. I magistrati avevano dato ordine che i cadaveri fossero trasportati dietro i lazzaretti per venire tutti assieme in ogni sera seppelliti in una ampia fossa. Ma perché lungo la notte sopraggiungevano altri morti, al nuovo giorno il cumulo dei cadaveri era già pronto. Giacevano quei corpi gettati là alla rinfusa, accavallati gli uni agli altri, chiazzati di livide macchie, coperti di mosche, contaminati da schifezze. Quand’ecco che una mattina, mentre passava di lì frettoloso il piccolo corteo che portava il S. Viatico, da quell’orribile monte si levò una voce fioca: « Padre, padre, anche a me, per amor di Dio, anche a me la S. Comunione. Almeno, morirò contento ». Era un povero vecchio che colpito dalla peste e creduto morto era stato gettato là con gli altri per essere sotterrato. Levatosi a stento di mezzo ai cadaveri si pone in ginocchio e ricevuto che ebbe l’assoluzione e la Sacra Particola, chiude gli occhi e col sorriso sul volto ricade morto fra i morti per non levarsi più. Le tentazioni e i patimenti che ci opprimono da ogni parte, ci fanno spesso sembrare di essere in mezzo ad un’atmosfera di morte, tetra e spaventosa. Cristiani, quando fosse così, invochiamo Gesù col fervore della fede e la fiducia della preghiera; riceviamolo nella santa Eucaristia e sul nostro volto tornerà il sorriso, e nella nostra anima rifluirà la grazia che è seme di vita intensa e di gloria perenne anche quando il corpo si dovesse sfasciare nella corruzione della morte.– LA COMUNIONE FREQUENTE. Com’è bella questa pagina di Vangelo, piena di sprazzi di fede come un cielo di marzo è pieno di raggi di sole. Non è sulla persona dell’emoroissa che ci fermeremo a pensare: a noi poco interessa sapere se fosse Marta sorella di Lazzaro come vuole S. Ambrogio, o se fosse la Veronica, quella che asciugherà il volto del Signore, quella che insorgerà nel pretorio di Pilato a difendere Gesù, come appare nei vangeli apocrifi. Non questo c’interessa: ma è il desiderio bruciante che spingeva verso il Maestro le anime di Giairo e della donna che ci deve far riflettere e forse piangere sopra la nostra freddezza. Noi siamo indifferenti verso Gesù forse perché a casa nostra non c’è nessuno che muore; ma dite, non muore l’anima nostra quando commettiamo peccato? Forse perché noi non siamo malati; ma, dite, non sono malattie quelle cattive abitudini in cui ci trasciniamo da anni e anni? E le nostre passioni non sono quei cattivi medici che hanno scialato tutto il nostro patrimonio spirituale di preghiere, di purità, di elemosine? Allora, perché non andiamo frequentemente da Gesù? Gesù si trova nella Comunione. Ci si lamenta che la fede non è più viva come una volta, come al tempo dei martiri e degli eremiti; sapete perché? Perché ai nostri tempi ci si comunica troppo poco. Ci sono due classi di persone che tendono ad allontanarsi dall’Eucaristia per diversi motivi: i buoni per falso rispetto, i cattivi per ingrato dispetto. Ed io, con l’aiuto della Madonna, vorrei convincere tutti che lontani dalla Comunione si muore: quì elongant se a te peribunt (Salmi, LXXII, 27).1. I BUONI PER FALSO RISPETTO. Un mattino sereno, due barche si cullavano sulla riva del mar di Genezaret, mentre gli uomini di pesca erano discesi e lavavano le reti nell’acqua. Gesù ne sale una, e prega Simone di remare al largo: e là, in mezzo al lago gli dice di gettar le reti. Fu dapprima un sorriso triste che sfiorò il volto di Simone, come uno che sospetti d’essere scherzato, ma poi si rincorò, e per ubbidienza fece. Ma quando ritirando la rete la sentì schiantarsi per troppo peso, quando s’accorse che i pesci erano così abbondanti da riempir due barche, mandò un grido: « Signore, va via da me che son peccatore » (Lc., V, 8). Un altro giorno, il Maestro, senza volerlo, si trovò circondato da una folla che lo acclamava. S’era a Cafarnao. Gesù non era contento e disse: « Voi mi cercate perché ho moltiplicato, per voi, nel deserto cinque pani e pochi pesci. Non il cibo del corpo, ma il cibo dell’anima io voglio darvi ». E disse loro che cibo dell’anima era Lui, pane vivo disceso dal cielo, e non era lontano il giorno che avrebbe dato a tutti da mangiare la sua carne, e da bere il suo sangue. Molti, anche de’ suoi discepoli, si alzarono a protestare: « Com’è possibile ciò? Le tue parole sono dure, e nessuno le può digerire ». E se ne andarono. Gesù guardò i dodici, e mormorò tristissimamente: «Anche voi volete andarvene? ». Allora Simone, quel Simone che aveva scongiurato il Signore a stargli lontano, saltò su a dire: « Da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna. Noi ti conosciamo » (Giov., VI, 69). Anime buone, che il pensiero. delle vostre miserie passate, della vostra debolezza presente, della vostra indegnità passata presente e futura, vorrebbe tener lontani dal Santo Altare, nei due gridi di Pietro non avete trovato la risoluzione dei vostri timori dubbiosi? Se dovessimo guardare i nostri peccati soltanto, giammai dovremmo comunicarci: neppure una volta. « Exi a me, quia homo peccator sum, Domine! ». Ma che sarebbe poi dell’anima nostra senza il suo Pane vivo? « Ad quem ibimus? verba vitæ æternæ habes ». « Ma come posso io comunicarmi spesso, dicono certe anime dubbiose, — se vivo in una casa dove non si rispetta la religione, se passo la giornata fra operai che ne dicono d’ogni colore? », Appunto per questo è necessaria la Comunione frequente: tu vivi in una fornace ardente e se non vuoi bruciare, è necessario che un Angelo ti difenda da quelle fiamme. L’Angelo bianco è l’Eucaristia. — Ma io ho tante tentazioni: vi resisto, è vero; ma ritornano sempre. E sono pensieri, e sono immaginazioni… — Appunto per questo è necessaria la Comunione frequente: la vita dell’uomo è una battaglia e tu hai bisogno di armi e di coraggio per vincere. La tua arma e il tuo coraggio è l’Eucaristia. — Ma il mondo mi chiamerà ipocrita, mi accuserà di mangiar Cristo a tradimento, mi rinfaccerà i miei difetti. Lascia dir la gente, come Gesù lasciò dire quando mormoravano perché mangiava in casa dei peccatori. E se trovano difetti in te, nonostante la Comunione frequente, ne troverebbero dei maggiori senza di essa. — Ma io non sono mai tranquillo… ho paura. — Giusta e santa è questa paura. Consigliati col tuo confessore e poi serenamente a lui ubbidisci. E, per finire, a queste anime titubanti, ripeterò le parole del Vescovo di Ginevra: « Temete di avvicinarvi a questa adorabile mensa; ma soprattutto temete d’allontanarvene ».2. I CATTIVI PER INGRATO DISPETTO. Dopo la burrasca, Gesù toccò terra nel suolo di Gerasa. Nell’uscire dalla tremante barchetta, vide correre in mezzo alle tombe, scavate nei fianchi del colle, un uomo ignudo che urlava selvaggiamente. Un brivido di pietà e di spavento prese gli Apostoli. Quell’infelice era posseduto dallo spirito impuro. Invano erasi tentato di legarlo: rompeva d’un tratto le funi, e ripigliava le sue corse vagabonde fra le tombe, e si percuoteva con le pietre dei colli. Assaliva perfino i passanti sul loro cammino, e non pochi avevano sofferto per lui.Come da lontano scorse venire Gesù, cominciò a gridare: « Che vi è di comune tra me e te, o Gesù figlio dell’Altissimo? Vattene, te ne congiuro; non tormentarmi » (Mc. V, 7). Questo indemoniato mi pare una paurosa figura dell’uomo cattivo che non vuol ricevere Gesù. Era un ossesso, homo in spiritu immundo, e l’uomo che ha peccato, in certo senso, è pure posseduto dal demonio, che in lui abita come in casa sua. Era un ossesso da uno spirito immondo, homo in spiritu immundo, ecco il principale motivo che tiene lontano gli uomini dalla Comunione: chi si ciba di ghiande di porci, non ha più gusto per il pane degli Angeli. V’è di più: l’infelice abitava in mezzo alle tombe tra la corruzione dei cadaveri: qui domicilium habebat in monumentis. Certe sale di divertimento, certi ritrovi sono tombe ove si corrompe non solo il corpo, ma anche l’anima. Chi frequenta questi luoghi non ha più il tempo di ritornare alla Chiesa per la Comunione. L’indemoniato di Gerasa rompeva ogni catena, dirupisset catenas; sono le catene delle leggi di Dio, delle leggi di natura, dei doveri di famiglia che l’uomo impuro spezza, per sprofondarsi nel fango. E non si accontenta della propria rovina ma con gli scandali, trascina nel suo baratro molti incauti. Proprio come l’ossesso: sævus nimis, ita ut nemo posset transire per viam illam (Mt.; VIII, 28). Quand’è così, non fa più meraviglia, se queste persone rifiutano di comunicarsi? È una conseguenza logica della loro vita quel grido: “Che c’è di comune tra me, che grufolo nel pantano, e te, o Gesù purissimo? Vattene; non tormentarmi. Ne me torqueas“. Non tormentarmi con i tuoi soavi inviti alla Comunione: io amo il piacere della disonestà e non ho voglia di riceverti. C’è pure un altro peccato che allontana dalla Eucaristia: l’avarizia. Proseguiamo il racconto dell’indemoniato e capiremo. Gesù comandò ai demoni che uscissero da quell’uomo sventurato. C’era in quei dintorni montuosi un branco di porci, e i demoni prima di lasciare quell’uomo dissero a Gesù: « Mandaci là che vogliamo entrare almeno quel gregge immondo ». Il Maestro permise. Gli animali atterriti e percossi come da un uragano improvviso, si slanciarono in gruppo verso la sommità della montagna, donde precipitarono, a picco, in mare. Accorsero i padroni e molta gente dalla città; e come conobbero il disastro pregarono Gesù di andarsene in fretta, perché la sua presenza non li rovinasse maggiormente. Et rogare cœperunt eum ut discenderet de finibus eorum (Mc., V, 19). Che umiliazione per Gesù! quella gente preferiva, a Lui, un branco di porci. L’uomo avaro preferisce una manata di soldi, un po’ di roba, al supremo bene che è la Comunione. E lo sentirete dire che non ha tempo per comunicarsi: ha tempo solo per gli affari di questo mondo. Eppure Gesù tutti chiama e sforza a sé, come l’uomo che aveva fatto una grande cena. Compelle intrare (Lc., XIV, 23). Resisteremo ancora a questo pressante invito, dispettosamente? Passeranno ancora mesi e mesi senza comunicarci? Con questo non voglio dire che si debba ricevere la Comunione anche senza le dovute disposizioni, perché se sta scritto che chi non mangia la carne del Figlio dell’uomo dovrà morire (Giov., VI, 54), sta scritto pure che chi la mangia indegnamente, ingoia la sua condanna. Ma come ho incoraggiato con la parola di S. Francesco di Sales, a comunicarsi quelli che si astenevano per un vano rispetto, così a costoro che per dispetto non ricevono Gesù, ripeterò l’austera parola del Crisostomo: « O fratelli! se alcuno tra voi capisce d’essersi reso indegno della santa Comunione, io lo scongiuro che si renda degno ». – Torniamo all’emorroissa. Eusebio nella Storia Ecclesiastica racconta che la donna, guarita dal flusso di sangue, era oriunda da Cesarea di Filippo. In riconoscenza volle che in mezzo alla sua città si elevasse una statua a Cristo, proprio con quella veste i cui lembi aveva baciati. Si diceva che sotto a quel monumento crescesse l’erba di nessuna virtù; ma tosto che, cresciuta, toccava i lembi della veste di Gesù, acquistava il potere di sanare ogni male. Cristiani! non in mezzo alla città, ma in mezzo al nostro cuore eleviamo un trono a Gesù e su di esso poniamoci non una statua, ma la sua Persona viva e vera com’è nella santa Comunione. Ogni nostro pensiero, ogni nostro affetto, ogni nostra gioia ed ogni dolore sarà santificato, come quell’erba, dalla sua presenza ed acquisterà valore per la vita eterna. Dice ancora S. Gerolamo che Giuliano l’Apostata aveva tentato una volta di rimuovere quella statua, per sostituirla con una propria immagine. Ma un fulmine dal cielo sminuzzò la sordida figura dell’imperatore sacrilego. Se noi ricevessimo frequentemente Gesù, vi assicuro che appena il demonio tentasse di porre la sua immagine in noi (e l’immagine del demonio è il peccato) Gesù saprebbe frantumarla e ci salverebbe da ogni male. — Allora, ogni quanto tempo ci dovremo comunicare? Il più frequente possibile: ciascuno però si consigli col suo confessore. — Comprendo — direte voi — tutto questo va bene per le donne; ma per gli uomini? Ho parlato anche, e specialmente per gli uomini. Nel Vangelo di oggi non è appena una donna che ha mostrato desiderio di Gesù; fu un uomo, Giairo, che lo scongiurò a venirgli in casa.– IL PECCATO VENIALE. Ecco due donne ed entrambe ammalate: l’una d’un male che tormenta per anni e anni, l’altra d’un male che in poco tempo uccide. Queste donne sono simbolo dell’anima nostra, e le loro malattie sono simbolo delle malattie dell’anima nostra. Non è il peccato mortale quel terribile morbo che in un attimo toglie la vita dell’anima, la rende nemica di Dio, maledetta in vita e nell’eternità? Ma c’è un’altra malattia, che se non l’uccide la indebolisce di volta in volta; che se non la fa nemica di Dio, la rende però a Lui nauseante; che se non la fa maledire, non la fa neppure benedire: il peccato veniale. Tutti facilmente comprendono la nefandità del peccato mortale, ma troppo spesso anche i Cristiani non sentono il dovuto orrore per il peccato veniale. « Che male c’è — dicono — ad accontentare un po’ le nostre passioni? è peccato veniale, è cosa leggera, è roba da poco ». Sì, è vero: il peccato veniale in confronto al peccato mortale, è leggero. Anche la terra intera confrontata con l’immensità del cielo è un pulviscolo, ma per questo nessuno oserà dire che i cinque continenti insieme e l’oceano che li separa siano una quantità trascurabile. Considerate con l’occhio della fede il peccato veniale, consideratelo in se stesso, nelle sue conseguenze, poi anche voi come santa Caterina da Genova esclamerete inorriditi: « Meglio qualsiasi sciagura, ma non il più piccolo peccato veniale ». – 1. IL PECCATO VENIALE È UN MALE GRAVE IN SÉ. Atalarico re dei Goti aveva comandato la strage dei Cristiani. Faceva passare per le contrade un carro con sopra la statua d’un idolo: tutti quelli che non uscivano ad adorarlo, tutti quelli che non mangiavano la carne sacrificata all’idolo, venivano uccisi. Nella regione dove dimorava S. Saba, vi erano dei pagani così affezionati per le sue virtù e per la sua carità a questo servo di Dio, che volevano ad ogni modo conservarlo in vita. Ma poiché sapevano bene che egli non si sarebbe lasciato persuadere in nessun modo ad apostatare, pensarono di recarsi dagli ufficiali imperiali per testificare che nel loro circondario non v’era neppure un Cristiano, e che risparmiassero quindi di venire con il carro e con l’idolo. Appena il Santo conobbe questo pensiero, cominciò a gridare: Sventurati, che cosa state macchinando? Volete dire una bugia per salvarmi? Volete offendere Dio per conservarmi la vita? Che cos’è la mia vita e tutto il mondo perché la si debba anteporre alla gloria del Signore? E quando giunse il carro dell’idolo, egli subito uscì fuori gridando: « Non io adorerò il demonio! Non io mangerò le carni a lui sacrificate! Sono Cristiano vero: uccidetemi » (VOGEL, Vite dei Santi). Aveva ragione di chiamarsi cristiano Vero, perché non si può essere Cristiani se non quando alla propria vita, al proprio comodo, al proprio capriccio si preferisce la gloria di Dio. Cristiano vero fu S. Giovanni Crisostomo che piuttosto che un peccato veniale avrebbe voluto restar invasato dal demonio per tutta la vita. Cristiano vero fu S. Agostino e S. Anselmo che volentieri si sarebbero precipitati in una fornace. ardente, pur di risparmiare la più piccola offesa al Signore. E in verità consideriamo il peccato veniale e riguardo all’anima che lo commette e riguardo a Dio. Riguardo all’anima il peccato veniale significa una diminuzione di bellezza e di splendore. Che direste voi di un principessa reale che indifferentemente comparisse in pubblico con la faccia lorda di fango, con le vesti smunte e sbrandellate? L’anima nostra è appunto questa principessa reale, essa che è figlia di Dio. Ed il peccato veniale è quello che macchia il suo volto e lacera il suo manto e spegne il suo splendore. Riguardo a Dio, poi, significa offesa; ma ogni offesa fatta all’Essere perfettissimo, benché minima, è sempre un male sommo. E subito ce ne convincono i castighi con cui Dio talvolta punisce il peccato veniale. Una donna, contro il divieto del Signore, si volta indietro a guardare una città in fiamme. Fu un attimo: e la moglie di Lot rimase pietrificata. Mosè ed Aronne titubarono un istante della parola di Dio, e dovettero morire senza por piede nella terra promessa, essi che per quarant’anni, sotto il sole e la pioggia, con fame e con sete, avevano guidato il popolo. Un profeta accetta un invito a colazione, e Dio glielo aveva proibito: quando riprende il cammino sbuca un leone che lo rovescia in terra e lo sgozza. Anania e Zaffira, marito e moglie, portando una grossa elemosina a San Pietro dicono una bugia. E subito, in faccia a molti Cristiani raccolti in preghiera, stramazzano ai piedi dell’Apostolo, esanimi. La loro bugia, commentano S. Gerolamo e S. Agostino, era soltanto un peccato veniale e Dio li ha puniti di morte a nostro insegnamento. E noi crediamo che gli unici mali sono le malattie, la morte, la miseria, le liti… Queste cose sono nulla in confronto del peccato: anche del più piccolo peccato veniale. – 2. IL PECCATO VENIALE È GRAVE NELLE CONSEGUENZE. Una madre, da tanto tempo lontana, ritornava alla sua famigliola ove l’aspettavano i suoi bambini e il focolare spento. Lungo la via trova un palazzo: vi entra, beata di riposarsi un poco, ella che aveva dovuto camminare tanto, camminare sempre. Abbagliata dallo splendore di quelle sale, sedotta. dai profumi e dalle vivande che la circondavano, dimenticò i suoi figliuoli che lontano la chiamavano piangendo. Rimase un giorno o un’ora? neppur ella lo seppe. Ma quando fece per andarsene sulla porta di entrata trovò distesa nel sole una ragnatela: fine, leggera, quasi invisibile. Sorrise la madre davanti a questo delicatissimo ostacolo, e con una mano la strappò. Ed ecco, dietro alla prima, una seconda ragnatela; e la seconda ne nascondeva una terza, e la terza una quarta. Strano! ce n’erano cinque, sei… venti. Ella le strappa tutte, ma ce n’è ancora; sempre. Ella continua a strapparle, e le ragnatele continuano a riapparire ancora… ancora. La povera donna è affannata, gronda di sudore, soccombe alla fatica, e si butta per terra disperatamente. Davanti a lei, in alto, luccicava e dondolava nel sole quell’ostacolo da nulla: leggero, e pure vincitore. Da lontano il vento portava il grido dei piccoli figli, che attendevano invano: « Mamma, mamma! ». È cosa da nulla il peccato veniale, è un filo di seta, è una ragnatela: ma dopo il primo ne viene un altro, poi un terzo, poi una catena lunga, non mai spezzata appunto perché si credeva fatta di cose da poco. E intanto si formano le cattive abitudini che ci tengono prigionieri, come quella povera madre, lontano dal nostro dovere. E intanto dalle cose da poco si scivola nelle cose da tanto, senz’accorgersene. Guai, dice S. Paolo, se si comincia a lasciare un posticino al diavolo! « Nolite dare locum diabolo! » (Ef. IV, 27). Da un posticino ne vuole due, tre, quattro… vuole tutto noi e ci porta via. Da lontano piangono i nostri Angeli custodi abbandonati e ci chiamano invano come quei figli piangenti chiamavano invano la loro mamma. Che male c’è stare alla finestra oziando, qualche ora alla sera? Che male c’è fissare, sorridere, parlare scioccamente con persone di sesso diverso? Domandatelo a Davide. Che male c’è, se i fanciulli rubano qualche golosità; se nel far spesa s’imbroglia di qualche lira il ricco negoziante; se il contadino si crede lecito d’allungare la mano nel campo del vicino; se l’operaio si porta via da bottega un asse, un ferro, un pezzo di cuoio? Che male c’è? Domandatelo a Giuda. Che male a chiacchierare in chiesa, conservare poco raccoglimento davanti a Dio presente? Che male c’è dimenticare le orazioni mattino e sera? Che male c’è sciupare il tempo davanti allo specchio, seguire l’ambizione della moda? Oh! Vorrei che venisse a rispondervi un’anima del purgatorio; una di quelle che da anni e anni è consumata in quei tormenti indicibili forse per un solo peccato veniale! E penserete ancora che il peccato veniale sia una cosa da nulla? Cosa da nulla è un sassolino: ma se si distacca dalla montagna e precipita a valle e colpisce la statua colossale nel suo calcagno di creta, in un attimo la rovescia in pezzi. Cosa da nulla è un pugno di neve: ma se si arrotola su altra neve s’ingrossa e diventa una valanga che travolge i paesi nello sfacelo. In un serraglio stava legato con grossa fune un terribile leone. Durante il silenzio della notte uscì un minuscolo topolino e per lunghe ore rosicchiò la fune. All’alba quando il domatore entrò nella gabbia del leone legato, la belva, destandosi, s’allungò verso l’uomo. La corda rosicchiata, a quell’urto, si ruppe; dopo un istante il domatore era disteso con il petto orribilmente squarciato. Il leone son le nostre passioni: il topolino è il peccato veniale. All’erta, perché  egli rosicchia la corda, ed al momento opportuno, ci troveremo sopraffatti dalle tentazioni e, abbandonati da Dio, soccomberemo. – Roma cresceva. Dalla sponda africana Cartagine intuiva che solo di là poteva giungere la sua rovina. Perciò in un giorno di festa, davanti alla folla radunata nel tempio, Asdrubale condusse il suo figlioletto Annibale e lo sollevò perché potesse arrivare all’ara fumante degli dei. Il piccolo Annibale, con negli occhi il fosco bagliore del fuoco e del fumo, distese la mano sulla fiamma e gridò nel silenzio: « Odio eterno al nemico! ». Noi pure sappiamo che la nostra rovina ci può venire solamente dal peccato. E bene: oggi, davanti all’altare del Signore vero, gridiamo anche noi con irremovibile volontà: « Odio eterno al peccato: non solo mortale, ma anche veniale ».

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps CXXIX:1-2
De profúndis clamávi ad te, Dómine: Dómine, exáudi oratiónem meam: de profúndis clamávi ad te, Dómine.

[Dal profondo Ti invoco, o Signore: o Signore, esaudisci la mia preghiera: dal profondo Ti invoco, o Signore.]

Secreta

Pro nostræ servitútis augménto sacrifícium tibi, Dómine, laudis offérimus: ut, quod imméritis contulísti, propítius exsequáris.

[Ad incremento del nostro servizio, Ti offriamo, o Signore, questo sacrificio di lode: affinché, ciò che conferisti a noi immeritevoli, Ti degni, propizio, di condurlo a perfezione.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de sanctissima Trinitate

Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui cum unigénito Fílio tuo et Spíritu Sancto unus es Deus, unus es Dóminus: non in uníus singularitáte persónæ, sed in uníus Trinitáte substántiæ. Quod enim de tua glória, revelánte te, crédimus, hoc de Fílio tuo, hoc de Spíritu Sancto sine differéntia discretiónis sentímus. Ut in confessióne veræ sempiternǽque Deitátis, et in persónis propríetas, et in esséntia únitas, et in majestáte adorétur æquálitas. Quam laudant Angeli atque Archángeli, Chérubim quoque ac Séraphim: qui non cessant clamáre quotídie, una voce dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: che col Figlio tuo unigénito e con lo Spirito Santo, sei un Dio solo ed un solo Signore, non nella singolarità di una sola persona, ma nella Trinità di una sola sostanza. Cosí che quanto per tua rivelazione crediamo della tua gloria, il medesimo sentiamo, senza distinzione, e di tuo Figlio e dello Spirito Santo. Affinché nella professione della vera e sempiterna Divinità, si adori: e la proprietà nelle persone e l’unità nell’essenza e l’uguaglianza nella maestà. La quale lodano gli Angeli e gli Arcangeli, i Cherubini e i Serafini, che non cessano ogni giorno di acclamare, dicendo ad una voce:]

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster,

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Marc XI:24
Amen, dico vobis, quidquid orántes pétitis, crédite, quia accipiétis, et fiet vobis.

[In verità vi dico: tutto quello che domandate, credete di ottenerlo e vi sarà dato.]

Postcommunio

Orémus.
Quǽsumus, omnípotens Deus: ut, quos divína tríbuis participatióne gaudére, humánis non sinas subjacére perículis.

(Ti preghiamo, o Dio onnipotente: affinché a coloro ai quali concedi di godere di una divina partecipazione, non permetta di soggiacere agli umani pericoli.)

Preghiere leonine

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

LO SCUDE DELLA FEDE (227)

LO SCUDO DELLA FEDE (227)

LA SANTA MADRE CHIESA NELLA SANTA MESSA (1)

SPIEGAZIONE STORICA, CRITICA, MORALE DELLA SANTA MESSA

Mons., BELASIO ANTONIO MARIA

Ed. QUINTA

TORINO, LIBRERIA SALESIANA EDITRICE, 1908

PREFAZIONE

L’uomo ha bisogno di Dio ; sempre qualche cosa gli manca, che non trovano i poveri nei loro tuguri, né i ricchi nei loro palazzi, né altri in mezzo ai traffici, neppure in mezzo al trionfi. Questa cosa che manca agli uomini è Dio, che solo può soddisfarli interamente; e Dio si usa cercarlo nei templi. Per questo in ogni angolo della terra, appena si trova un gruppo di uomini, si affrettano subito di formarsi un tempio, e nel tempio rizzare un altare quasi per farsi scala in cerca di Dio: quando poi l’uomo non ne può più della vita, a riposarsi de’ suoi sogni crudeli, corre a gettarsi ginocchioni nel tempio, fissa gli occhi all’altare, e su per esso, sull’ali della preghiera cerca di sollevarsi a Dio per respirare nel suo seno il profumo di una vita migliore. Ma allora che si innalza a Dio col suo pensiero, deve sentire il suo nulla l’uomo meschino dinanzi a Lui, e da Lui riconoscere tutto, e tutto da Lui aspettare. – Anche convien confessare che sollevandosi l’animo a Dio, sente il peso della propria miseria, e dinanzi a Lui un tristo pensiero l’accompagna, che s’attraversa all’unione con Dio. E la coscienza della propria colpa, che rompe l’armonia tra il Creatore e l’opera sua, e sturba la pace che l’uomo sperava di trovare in Dio. Pur troppo tutti gli uomini di tutti i tempi si sentono rei fin dal loro nascere, e, come per istinto, pare che dicano almen confusamente: « Ecco siam concepiti in iniquità, ed in peccato ci han generati le madri nostre. » Questo lor sentimento gli uomini confessarono di provare in tutti i tempi, in tutti i luoghi con tutte le forme dei riti, manifestando in ogni religione il bisogno non solo d’onorare, ma anche di placar Dio con sacrifici. (Vedasi Roselly de Lorques. — Della morte anteriore all’uomo ecc. cap. X, dott. dell’espiazione. De-Maistre — Del sacrificio e dei sacrifizi religiosi di tutte le nazioni. Trattato storico-Critico, opera del Card. Tadini Arciv. di Genova, — Nicolas: Studi filosofici, etc). – Così la Chiesa Cattolica, che fa conoscere il dovere ed il bisogno che hanno gli uomini di placare, di adorare, ringraziare e supplicare Dio con sacrificio, e lo dà loro in man preparato, trova un’eco nel cuore degli uomini alla sua dottrina, e pare che tutte le nazioni del mondo le debbano rispondere « Voi dite bene; ci avete voi interpretati i sentimenti che noi proviamo confusi, e così provvedeste ai nostri bisogni. » Perché difatti la storia di tutti i popoli mostra che essi furono persuasi in ogni tempo di questa spaventosa verità: che si vive sotto la mano di Dio irritato, e che Egli si deve solo placare coi sacrifizi (« La caduta dell’uomo degenerato è il fondamento della Teologia di tutte le nazioni antiche. » Voltaire, Filosofia della Storia. Questio i sull’Enciclop.). Vediamo di più, che tutti i popoli del mondo, pur tra loro d’indole, di favella, di leggi e fino di colore così diversi, non solamente vennero sempre ad offrire sacrifici, ma per sacrifici offrirono quasi sempre vittime d’animali. Essi cioè essendo persuasi d’esser colpevoli, col fare le loro offerte dell’animale in sacrificio, mostrarono di credere, che si potesse mettere innanzi una vittima per pagare la pena a conto dell’anima, che ha peccato; credettero adunque sempre gli uomini, che, ad unirsi e comunicare con Dio, come richiede la loro necessità, non bastasse la preghiera e l’oblazione; ma che fosse d’uopo prima placare la giustizia Divina, e a togliere di mezzo l’ostacolo della colpa si dovesse mettere innanzi la morte del colpevole, almeno nel sacrificio rappresentata. Ora, se per la soddisfazione dovuta sì credeva potesse valere un animale sacrificato, tanto più facilmente si pensava, che potesse un uomo per un altro uomo soddisfare. Quindi in tutte le religioni furono con gran rispetto osservati quegli uomini, che si sacrificarono per aiutare la povera umanità. Ben appare da questo, che gli uomini s’accorgevano d’esser tutti insieme come una sola famiglia, che viene da una sola radice, e forma come un corpo solo; di cui le membra sono solidarie fra loro; cioè l’un può per l’altro portarne i pesi, le pene, ed offrirsi in soddisfazione alla Divinità, a cui pensavano dover riuscire soprattutto accettevole il sacrificio della verginità e dell’innocenza. Ora per procedere colla maggior chiarezza, ritorniamo a dire in breve il già detto; ed è che gli uomini sentono di dover adorar Dio, e che dinanzi a Dio sentono d’essere colpevoli, e d’aver bisogno di offrirgli sacrifizi, che credono di poter sostituire una vittima per la soddisfazione dovuta dall’anima colpevole. Le vittime difatti anticamente si chiamavano anti-psyche, parola che vuol dire vice-anima, quasi pro anima, cioè anima sostituita per un’altr’anima (Lami, Appar. Ed. Bib. I, 7). E queste verità che troviam confessate nelle religioni di tutti i popoli, ben dovettero essere già fisse nella mente umana prima di ogni istituzione di riti, perché le pratiche religiose le suppongono già, e sono ordinate a tradurre in atto e ad eseguire quanto insegnano esse; potendosi affermare che presso i diversi popoli della terra « di tante varie religioni nessuna havvene, che non abbia per iscopo la espiazione (Voltaire, Filosofia della Storia — Quest. sull’Enciclop.) per mezzo dei sacrifizi: mentre i sacrifizi praticati in tutte le religioni non furono semplici offerte fatte in ossequio alla Divinità. Perché, quando gli uomini avessero voluto fare semplici offerte, vi avrebbero recata cogli altri doni, se si vuole, anche la carne; ma la carne se l’avrebbero, noi crediamo, provveduta altrove, e coperta di fiori, profumata d’incensi, o preparata altrimenti, per venire poi con solenni funzioni a farne l’offerta: e non sarebbero venuti a sgozzar l’animale, azione per altro in se stessa tutt’altro che festosa e bella. Ma no: nei sacrifici la solennità delle funzioni sta appunto nell’immolare la vittima, che si vuole sacrificare sull’altare col versarne il sangue dinanzi a Dio. E perché questo atto, che sa di sdegno? Perché questa vendetta, questa effusione di sangue? Perché è diffuso nella coscienza de’ popoli un sentimento indeterminato di quella verità, che fu poi così chiaramente rivelata dal Cristianesimo; che per la via della carne formata ed irrorata di sangue fu trasfuso il peccato nella umanità, per la quale tutti quanti nascono dal sangue e dalla volontà della carne, non nascono più figliuoli in grazia di Dio. Si vuole adunque nel sacrificio al cospetto di Dio colpire d’anatema il mezzo per cui si trasfonde nella generazione viziata un peccato, cagione di tutte le altre colpe. Siccome gli uomini nascono di sangue peccatori, offerendosi per loro espiazione la vittima, della vittima si sparge il Sangue: perché è questo veicolo, che si vuol versare a placare Iddio, quasi per distruggere il mezzo per cui nel mondo s’introdusse il mal germe dell’iniquità: per così, col versare il sangue, procurare l’espiazione. Così tutti i culti, anche quelli che paiono non avere alcun parentado col culto nostro Divino, se penetriamo sotto alle apparenze ed alle aggiunte delle superstizioni, troviamo che vanno a confondersi nella maestà di un culto universale: e questo culto universale depurato, santificato, a cui aspira l’umanità, splende degno di Dio nella Religione Cattolica. – Colla scienza di questa verità gli uomini inferociti per brutali passioni, furono traboccati nei più grandi eccessi da diaboliche superstizioni. Si vorrebbe poter negare: ma la storia l’attesta in troppi luoghi, che gli uomini furono spinti a sacrificar gli uomini, ed a mangiar le carni « Si vuol sangue, » pareva che lor gridasse un tremenda voce misteriosa; e correvano a scannare in sacrificio prima i colpevoli, che si guardavano come sacri allo sdegno della Divinità; (quindi il sacrificare i rei si diceva espiare, cioè dissacrare, il che vuol dire sciogliere il voto dell’offerta col dare a Dio ciò che gli era sacro; poi si sacrificavano i nemici, poi gli stranieri; perché, quando non vi è carità, si trovano mille titoli per tener come nemici i nostri simili. Noi conserviamo ancor una parola per significare la materia di che si prepara il sacrificio, che noi chiamiamo Ostia. Questa parola viene dalla parola latina hostis, e hostis significa nemico ed anche straniero. V’era adunque ben poca differenza tra i nemici, e gli stranieri, quando si trattava di scannarli in sacrificio. Ora noi Cattolici, quando prendiamo in mano quel po’ di pane candidissimo che chiamiamo Ostia, siamo in obbligo di confessare che la Religione Cattolica colle idee ha ben mutati i costumi! Noi adesso sentiamo ribrezzo e spavento a quegli orrori. Bene sta: ma per carità! non dimentichiamoci che noi siamo nati in seno alla Chiesa Cattolica, pietosa madre, che alla nostra culla ci parlò d’amore di Dio e ci fece sorridere coll’immagine di un Dio Bambino innamorato di patire per noi. Del resto, se domandassimo un poco ai poveri Missionari, che nell’Asia, nell’Oceania, nell’Africa affrontano i furori della superstizione, ci risponderebbero, che ancora ai di nostri nelle Polinesie. Nel Tonchino, ed altrove si squartano i Missionari, e da loro agonizzanti si strappa il cuor dal petto, e si mangian le viscere palpitanti innanzi agl’idoli (V. Annali Prop. Della Fede). Non dimentichiamoci che nel 1793 nella nazione più incivilita del mondo si abolì il sacrificio di Gesù Cristo, e si rovesciarono gli altari, ma subito fu inondata di sangue umano; non dimentichiamo quegli orrori!…. ed altri che avverrebbero… Credono adunque tutti, che senza effusione di sangue non si fa remissione. Ci vuol sangue! Ecco la persuasione universale. E qual sangue? Eh! non potevano gli uomini immaginarsi di qual sangue avessero bisogno. Veramente noi Cristiani, entrati la prima volta nell’America, abbiam trovato, che gli Americani si credevano obbligati a preparîfr fino ventimila teste da sacrificar sugli altari delle orribili loro divinità (Cong. De la Nueva Espana 3, 3), e serbavano a tal fine i nemici, e quando mancavano, facevano guerra apposta per far prigionieri da farne carne, e quando si mancava anche di questi, tagliavano la testa fino ai proprii figli (Lettere Americane de’ Carli). Ma quando, invece di vedere quei feroci sacrificanti con furore di demonio diguazzare nel sangue, gli Americani videro la prima volta il sacerdote cattolico mite, compunto  confidente in Dio, alzar fra le mani teneramente adorando la Santa Ostia, consacrata sopra i fedeli che prostesi a terra picchiavansi il petto con umiltà; allora quei poveri Americani avranno chiesto « che volesse dire quel rito, e che fosse ciò, che al ciel si alzava: » e i Cattolici avranno risposto: Questa è l’offerta del Figliuol di Dio, che paga per tutti i mostri peccati. » Oh si! quei Catecumeni, abbracciandosi fra loro per consolazione, e le madri baciando con largo sospiro i lor bambini, avranno esclamato « Sia Benedetto il Grande Spirito, che non si scanneranno più sugli altari i nostri figli. » Ah! ripariamo noi adunque la nostra povera umanità intorno all’Altare, e, tenendoci attaccati ad esso, mostriamo al cielo il tremendo Mistero in quell’Ostia pacifica, Corpo e Sangue di Gesù Cristo, che riconcilia gli uomini con Dio, pel cui mezzo il Sangue di Dio, mischiandosi col sangue degli uomini, oltre al salvarci le anime risparmia ben anche di molto sangue umano. Noi abbracciati con Gesù sulla Croce gridiamo pure: tutto è consumato, consummatum est! Sì, veramente a questo grido dalla croce, e dall’Altare il velo del tempio si squarcia, i secreti del Santuario ben addentro son conosciuti. Dio ha mostrato in una maniera degna di Sé ciò che il genere umano, senza ben intendere, confessava; cioè che gli uomini creati per adorare l’Eterno, radicalmente tutti peccatori, sarebbero tutti perduti; e che a salvarli ci voleva sangue, e sangue innocente, Sangue Divino. Così Dio ha pur manifestato i segreti della sua Divinità; ed ecco in qual modo ci proviamo di esporre qualche idea della sua ineffabile manifestazione. In principio Dio, Essere infinito, creava l’universo come per isfogo della sua bontà, e, contemplando poi le opere sue, vedendole buone, pure non poteva essere soddisfatto, finché lo sguardo suo, per dir così, non s’incontrasse fra le creature in due occhi che collo sguardo al cielo cercassero di Lui. Allora Dio lasciava scorrere un piccolo raggio della sua luce divina sopra l’argilla più perfettamente organizzata, ed accendeva il lume dell’intelletto umano, spirandovi sopra un soffio della sua bocca; e die’ principio a quel movimenti d’affetti nel cuor dell’uomo, che sono come tanti slanci, per cui l’anima nostra irrequieta sopra la terra non trova più pace fino che non salga a beatitudine in seno a Dio. Così era creato l’uomo ad immagine di Dio. Quando, avendo Adamo prevaricato, e reso sé e tutti i suoi posteri eternamente infelici, il Verbo di Dio contemplò la sua immagine, che è quest’anima umana, caduta in basso dopo il peccato; ne senti una vivissima compassione, e per la sua carità infinita, quasi un bisogno di aiutarla a risorgere, a ritornare a sé; affinché questa luce della ragione umana non andasse come luce fosforica errando terra a terra mischiata al fango, volle pertanto vivificarla della potenza del suo raggio divino, per farla riflettere divinamente: vivida verso il suo Principio. Quindi il Figliuol divino, per abbassarsi a sorreggere l’umanità, e a salvarla, discese Egli stesso Lume di lume, Dio di Dio. Per iscaldare dei raggi di sua Divinità l’umana natura, unì la sua Divinità alla natura umana: incarnandosi nell’umanità, l’umanità fu assunta in Dio così da essere una Persona in due nature, l’Uomo-Dio, il Verbo Divino Figliuolo di Dio e Figliuol di Maria, Gesù Cristo Salvatore nostro. – Ora quest’Uomo-Dio, comprendendo appieno Dio in tutto l’esser suo, colla sua mente divina ben conobbe quanto Iddio merita d’esser conosciuto, adorato, amato e ringraziato, perché fonte inesauribile di ogni bontà: ben conobbe quale immensa offerta gli è dovuta in ricognizione di Lui, a cui tutto si deve! Dall’altra parte vedeva essere Iddio orribilmente sconosciuto ed offeso dagli uomini, e, trovandosi anche Egli fratello degli uomini, porzione dell’umanità, membro solidario di questo gran corpo, che trovava reo dinanzi a Dio, dovette sentir bisogno di tutta adoperare la ricchezza della sua divina umanità, Per far di se stesso per tutti la grande offerta, che si voleva per adorare Dio, ringraziarlo, rendergli soddisfazione come si merita. Se qui ci fosse permesso tradurre in forma umana i pensieri dell’Uomo-Dio, vorremmo dire che Gesù Cristo avrà dovuto esclamare in tutta la sua vita: « Ah! dove è una vittima degna del mio Padre Iddio? Lungi dall’Altare di Dio vittime di fungo… Ecco vengo Io, o Padre… Io son ben fortunato che voi m’abbiate datò un corpo da offrirvi degno di Voi: Io vengo, io vengo ad offerirvelo. » Corpus autem aptasti mihi. une mihi: ecce venio (Ps, XXXIX e Hebr. X). Quindi come sulla Croce, qui sugli Altari, in tutte le Messe Gesù Cristo cade a nulla dinanzi a Dio per adorarlo, si getta ai piedi del Suo trono per ringraziarlo: e, mostrando il suo Corpo consacrato sotto la Specie di pane, ed il suo Sangue consacrato sotto la Specie di vino, e così sacramentalmente, il Sangue diviso dal Corpo, sta davanti a Dio sotto le forme di agnello svenato, e trova in cielo la Reden- zione. (S. Cip. ad Heb. IX, 12). Così adunque sarà soddisfatto e contento Gesù? No, no: il Divin Figliuolo è uno coll’Essenziale bontà, e la bontà tende a sfogarsi comunicando il bene a chi n’ha bisogno. –  Fatto mediatore tra Dio e gli uomini, Ei guarda gli uomini suoi fratelli, e li vedo affamati di bene, e bisognosi al tutto di Dio. Quindi sull’altare sacrificaridosi a Dio, la sua bontà non è contenta appieno, se agli uo- mini non si comunica in modo infinito; e per l’amor suo, vorremmo dire, che non ha pace, finché non li ravvicini, e non li riassorba in Dio. Ecco in vero, che, quando si andava a sacrificare sulla croce, parve che sentisse troppo forte i legami, che lo strin-gevano al suoi poveri fratelli; e in sull’andare al Calvario dona agli uomini nella San- tissima Eucaristia il suo Corpo, il suo Sangue da offrirsi a Dio per loro nella santa Messa, e da riceversi nella santa Comunione. Ah! quando il Padre Divino ci donò il suo Figlio, e il Figlio, sacrificandosi al Padre, ci donò Se stesso; e lo Spirito Santo cooperò al mistero dell’amor infinito, noi siamo veramente divenuti padroni dei tesori della Divinità, avendo acquistato diritto a tutti i doni divini — ommia nobis donavit — Replichiamo ancora: sì veramente qui tutto è consumato! Perché Dio ha palesato il Mistero della sua Divinità: poiché nel Sacrificio della S. Messa noi possiamo dire, che abbiam conosciuto la grandezza, la bontà, la giustizia di Dio, e sopra esse vediamo trionfare la sua misericordia; e grandezza, bontà, giustizia, misericordia infinita sono attributi essenziali di Dio: abbiam dunque veduto la gloria di Dio nell’Unigenito del Padre pieno di grazia e di verità. – Grazie, eterne grazie a Dio!