LA VITA INTERIORE DEL CATTOLICO (8)
Mons. ALBAN GOODIER S.J. (Arcivescovo di Hierapolis)
Morcelliana Ed. Brescia 1935
Traduzione di Bice Masperi
CAPITOLO III
La vita nella Chiesa
1. Il Sacrificio della Messa
Non sarebbe possibile farsi un’idea della vera vita cattolica senza capire, in qualche misura almeno, che cosa è per il Cattolico quella ch’egli chiama la Santa Messa. È assai più che una cerimonia religiosa o una pratica di pietà, è il rito per eccellenza cui egli assiste quasi fosse il centro di tutta la Religione. Se va alla S. Messa egli considera compiuto l’essenziale del suo dovere religioso; nessun’altra funzione basterebbe a surrogarla né un numero qualsiasi di funzioni. Quanto abbiamo detto sin qui ci ha condotto a trattare questo argomento, anzi è stato difficile escluderlo da buona parte delle considerazioni già fatte. – Se studiamo la vita dei veri Cattolici, basterà osservare le loro abitudini quotidiane per convincerci che la S. Messa è il fulcro della loro fede. Non la domenica soltanto, ma ogni giorno dell’anno, in tutte le chiese aperte al pubblico, si trovano gruppi di fedeli di ogni condizione riuniti attorno all’Altare per assistere alla Messa prima di iniziare il lavoro della giornata: in qualunque paese veramente cattolico all’ora della Messa si direbbe che ogni mattina fosse domenica. E riandando al passato, troviamo che pei figli della Chiesa ciò fu caratteristico e abituale in ogni tempo, pei re nei loro palazzi, (molti dei re inglesi davan principio alla loro giornata con l’ascoltare la Messa); pei soldati nelle loro tende, ché non incominciavano a combattere senza aver assistito al Santo Sacrificio; pei ricchi nei grandi santuari; pei poveri nella chiesetta del loro villaggio; per le classi operaie nelle sedi delle loro corporazioni; anche per le università e i centri di studio. Prima della riforma la Messa era il vincolo comune della cristianità, e dopo la riforma è rimasto il vincolo di unità al disopra di ogni altro per tutto il mondo cattolico. Nelle isole Britanniche in ispecie, i Cattolici hanno ben ragione di tenere la Messa nel massimo conto perché essa rappresenta in modo particolare il loro Sacrificio. Per essa morirono a centinaia i loro antenati; quando arrivò il giorno della distruzione, i nemici sapevano che quanto più importava era precisamente la Messa, e fecero tutto il possibile per liberarsene. Il celebrare la Messa meritava la morte, quanto la semplice dichiarazione di averne il potere; innumerevoli borghesi furono multati e ridotti alla miseria per averla ascoltata, e spesso i nostri poveri furono condannati a morte per questo, e per questo solo. Ciò non va dimenticato: se per la Messa i nostri antenati sacrificarono tanto, noi pure siamo disposti a fare continui e gravi sacrifici perché essa venga perennemente celebrata e debitamente onorata. Si costruiscono chiese su chiese, pur fra tante difficoltà economiche, e non si risparmiano fatiche per abbellirle; non si considereranno mai sprecati i valori che si prodigano nei santuari dove si celebra la Messa. E perché? Non è questo il luogo adatto per una discussione teologica né per una compiuta analisi della Messa, pur essendo entrambe necessarie, per una esatta comprensione del suo valore, anche al fedele che non ha pretese di cultura. Noi ci limiteremo qui ad esporre in breve ciò che della Messa il Cattolico pensa e crede. Innanzi tutto, per render subito chiaro ciò ch’è essenziale, il Cattolico crede con l’autore dell’Epistola agli Ebrei che Nostro Signore Gesù Cristo, il Sommo Sacerdote della nuova alleanza, ha riconciliato a Dio l’uomo peccatore per mezzo del solenne Sacrificio di Sé al Padre che è nei cieli. Questo Sacrificio si compì sull’altare della croce al Calvario e fu sufficiente, più che sufficiente, ad espiare tutti i peccati di tutto il mondo. Non vi è più bisogno di altri sacrifici, il debito dell’uomo verso Dio è stato completamente cancellato. È stato pagato tutto il prezzo che poteva riconquistare all’uomo la vita di unione col suo Creatore; quel sacrificio ha reso a Dio tutto l’ossequio che la creatura gli deve. L’amore è stato interamente ricambiato; si è ristabilita l’interrotta corrente d’amore fra Dio e l’uomo. Ma il Cattolico sa pure che questo Sacrificio unico, sebbene consumato sul Calvario, si rinnova e si rinnoverà ogni giorno sull’altare, sino alla fine dei secoli. Egli crede che alla vigilia della sua passione, Cristo istituì il mezzo di commemorarlo non solo, ma di ripeterlo in modo mistico eppur reale dovunque venga predicato il suo Vangelo e diffuso il suo regno. Questa rinnovazione quotidiana del sacrificio del Calvario è il sacrificio della Messa. Come Gesù Cristo si offrì, vittima cruenta al Padre sulla croce, così Egli scende ogni giorno sui nostri altari e rinnova quella stessa offerta di Sé al Padre per le mani del sacerdote. In altre parole, la Messa è il sacrificio stesso del Calvario misticamente ma realmente rinnovato ogni giorno, nel tempo. Chi offre il Sacrificio è lo stesso Signor nostro Gesù Cristo; la vittima offerta è la medesima: come allora, così ora Egli offre se stesso, e si offre allo stesso Iddio del cielo e della terra e per lo stesso scopo. Nella Messa si adempie la profezia: “Da dove sorge il sole fin dove tramonta, il mio Nome è grande fra le genti; e in ogni luogo si sacrifica e si offre al mio nome oblazione pura; perché grande è il mio Nome in tutte le genti, dice il Signore degli eserciti. – È ovvio che bisognerebbe dire assai di più per precisare la posizione e l’importanza della Messa nella fede e nella pratica cattolica; ma i motivi della nostra fede non ci interessano qui, occupandoci noi ora soltanto del lato pratico di essa. Il Concilio di Trento mette in evidenza tre cose che spiegano abbastanza chiaramente l’influenza della Messa sul pensiero e sull’anima cattolica. La Messa, così ammaestra il Concilio riassumendo tutto l’insegnamento che l’ha preceduto, fu istituita da Nostro Signore Gesù Cristo e fu lasciata in dono quaggiù alla sua diletta sposa la Chiesa, come Sacrificio visibile che rimanesse per sempre nelle sue mani per tre scopi:
Primo, quale memoria viva e perenne di Sé.
Secondo, affinché restasse fra i suoi una rappresentazione vivente, e non solo una commemorazione, della prova massima del suo amore, il Sacrificio del Calvario.
Terzo, affinché con questo mezzo fosse assicurata, fra Lui e l’anima umana, la comunione più intima che potesse Egli stesso immaginare. – Consideriamo questi tre aspetti separatamente. In quanto al primo; all’ultima cena, quando Nostro Signore ebbe convertito con la sua parola il pane nel suo Corpo e il vino nel suo Sangue, “Fate questo in memoria di me”. E con ciò diede agli Apostoli il potere di fare quanto Egli aveva fatto, di convertire cioè il pane e il vino nel suo Corpo e nel suo Sangue. In quale senso particolare e a quale scopo particolare dobbiamo intendere quelle parole, San Paolo stesso ce lo spiega quando, ripetuto il racconto dell’istituzione della Messa, conclude: “Quante volte voi mangiate questo pane e bevete questo calice voi rammenterete l’annuncio della morte del Signore fino a che Egli venga” (I Cor. XI, 26). – Perciò la Messa doveva anzitutto essere per i suoi fedeli seguaci una commemorazione perpetua della sua passione e morte, con la presenza del vero Corpo e della vera Persona di Cristo stesso. Quando assistono alla Messa, i fedeli assistono in ispirito a quella scena del Calvario, hanno dinanzi agli occhi sopra ogni altra cosa il loro Signore crocifisso, Gesù in agonia, Gesù che compie per loro il Sacrificio supremo. – In secondo luogo, e questo è ancor più importante, la Messa è, oltre che commemorazione, rappresentazione viva del Sacrificio della croce. Così si esprime il Concilio di Trento: “In questo divino sacrificio che si svolge nella Messa, si contiene e si immola in maniera incruenta lo stesso Sacrificio che fu offerto nel sangue una volta per sempre sulla croce. È la medesima ed unica vittima, il medesimo ed unico Sommo Sacerdote, che si offre oggi per il ministero dei suoi sacerdoti dopo essersi offerto ieri sulla croce; solo la maniera dell’oblazione è diversa”. (Sessione XXII, c. 2). È lo stesso Sommo Sacerdote. Come già abbiamo veduto, il supremo Sommo Sacerdote della nuova legge, 1’unico Sacerdote nel senso più stretto, è Nostro Signore Gesù Cristo. È vero che nella Messa Egli si offre per il ministero dei Sacerdoti che sono semplici uomini, ma non poteva farsi altrimenti. E va notato, d’altronde, che da sé il Sacerdote non può far nulla; non offre sacrificio di per sé, agisce solo per libera volontà e investitura di Gesù Cristo. Il Sacerdote non è che un rappresentante, egli non fornisce che le mani e la voce per mezzo delle quali agisce Gesù Cristo suo Signore. Nella sua infinita condiscendenza, Cristo ha voluto far dipendere la sua presenza sull’altare dalla volontà e dalla parola di semplici uomini. Ma il prete non è tale che in quanto dipende da Gesù Cristo; egli non può crearsi prete da sé, né può un uomo qualsiasi conferirgli tale dignità. Nessuna autorità umana sulla terra può consacrarlo: il suo potere viene da Gesù Cristo solo, ed egli quindi non agisce che come rappresentante di Lui. D’altra parte, una volta debitamente ordinato, appena pronunciate le parole della consacrazione e compiuto l’atto della transustanziazione, sull’altare vi è Gesù Cristo che si offre al Padre, e l’oblazione fatta dal prete, e con lui dalla Chiesa universale, sebbene unita all’offerta di Gesù, è per se stessa una cosa ben distinta. Nella Messa è Gesù Cristo stesso che fa l’oblazione pel primo, il prete non la fa che “per Lui e con Lui e in Lui”, “ per ipsum, et cum ipso, et in ipso”. Come sul Calvario, così sull’altare nel Sacrificio della Messa il Sommo Sacerdote è Nostro Signore Gesù Cristo. Egli rimane pure la medesima vittima. Per effetto delle parole della consacrazione pronunciate dal Sacerdote, Nostro Signore diviene presente sull’altare, nascosto sotto il velo delle sacre specie, le apparenze del pane e del vino; è lo stesso Cristo con gli stessi affetti, le stesse aspirazioni e disposizioni che aveva sul Calvario. Si prostra in adorazione davanti al Padre, confessando la sua assoluta dipendenza da Lui in quanto uomo, implorando perdono per i peccati di tutta l’umanità, pronto a farsi ancora, se occorre “obbediente fino alla morte, e morte di croce”. – Da quell’istante abbiamo sull’altare la stessa vittima del Calvario con le identiche disposizioni: abbiamo quindi il medesimo Sacrificio. Poiché non tanto vale il modo con cui l’atto si compie quanto l’atto stesso. Se l’immolazione cruenta del Calvario ha potere di commuoverci più della Messa, tuttavia, agli occhi di Dio, non è l’effusione del sangue quella che maggiormente conta; è piuttosto l’amore filiale con cui fu consumato il Sacrificio, è il profondo sentimento di religione che condusse il Figlio di Dio fatto uomo a compiere quel sacrificio perché la gloria del Padre fosse perfetta. Era senza dubbio necessaria una oblazione visibile, e oblazione di terribile olocausto, perché la volontà di Cristo fosse soddisfatta e il suo amore effuso in tutta la sua pienezza. Egli non si sarebbe appagato che di una immolazione sensibile proporzionata agli abissi della sua abnegazione. E naturalmente nulla meglio della completa ed assoluta immolazione del Calvario poteva esprimere questo desiderio di tutto donare a Dio Padre e all’uomo, questo amore sconfinato per entrambi, questa decisione di pagare qualunque prezzo perché essi si riconciliassero e fossero unificati. – Ma, ripetiamo, il valore massimo del Sacrificio, più che nell’effusione del sangue e nell’atrocità del tormento subito, sta nell’amore che indusse al pagamento di quel prezzo e nella religione verso il Padre, sentimenti che portarono l’oblazione al limite estremo. Ed è a questo stesso amore, a questo stesso sentimento del dovere che noi dobbiamo il mezzo mirabile con cui si perpetua il Sacrificio di Cristo, unico e identico sul Calvario e sull’altare. Lo stesso cuore con lo stesso amore per Iddio e per l’uomo, la stessa coscienza del debito di giustizia contratto verso il Padre offeso, lo stesso desiderio di darsi tutto all’uomo, rinnovano il sacrificio nell’identico spirito con cui si compì la prima volta sulla terra, come nel cielo, ove Cristo è “sempre vivo a fare intercessione per noi”, e la Messa è precisamente il miracolo della continuazione del Sacrificio di Cristo. – E da ultimo, come insegna il Concilio di Trento, la Messa è mezzo di comunione fra Gesù e l’anima umana, fra Dio e l’uomo. Forse non è questo terzo aspetto il più importante per se stesso, ma lo è per lo scopo delle nostre considerazioni. Sappiamo come negli antichi sacrifici consumare una parte della vittima simbolizzasse una comunione con questa e con Dio al quale essa era stata immolata. In questo senso, la santa Comunione è parte integrale e veramente essenziale della Messa, almeno per il Sacerdote che la celebra. E il Concilio di Trento insiste che dovrebbe esserlo anche per i fedeli che vi assistono, affinché essi pure partecipino più intimamente e più sensibilmente allo spirito e alla vita del loro Signore Gesù Cristo. Scopo infatti della SS. Eucarestia è, come già abbiamo osservato, la nostra più intima incorporazione a Lui, affinché “per Lui, in Lui e con Lui” possiamo meglio dar gloria a Dio e rimanere maggiormente uniti alle tre Persone della Santissima Trinità. – Innanzi tutto, dunque, la santa Comunione unisce e incorpora l’anima a Gesù Cristo. Per questa ragione, ci è lecito crederlo, fu istituita sotto la forma del pane e del vino. Sotto questa forma, Cristo ci nutre del suo Corpo, del suo Sangue, della sua Anima, della sua Divinità, di tutto se stesso, e la sua vita così fluisce in noi: ecco l’incorporazione. Egli ci dà il diritto di far nostro il suo cuore, dimodoché non vi è più tra noi che un cuor solo e un’anima sola, come amano ripetere San Paolo e tanti altri santi. È in verità un’unione così intima che non è facile immaginarne altra più stretta, pur continuando a rimanere noi stessi, ed è unione duratura. – “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me ed io in lui”. (Giov. VI. 56). È, inoltre, unione santificante che sempre più trasforma, chi si comunica, in un altro Cristo. A poco a poco, e qualche volta anche all’improvviso, si alterano i suoi pensieri e i suoi apprezzamenti, si rovescia la sua prospettiva, si sviluppa in lui una coscienza del vero e del bello che conduce a una comprensione nuova di tutte le cose. Non considera più la vita e gli avvenimenti dal punto di vista primitivo, umano e terreno, si slancia in una sfera più alta e riguarda questo mondo come se già lo avesse lasciato, e quasi inconsciamente impara a giudicare la vita dal punto di vista di Dio. Esercitandosi a osservare con gli occhi stessi di Cristo e a sentire coi sentimenti di Lui, la sua volontà sempre più si conforma a quella del Maestro. Vede e sente ch’Egli solo è la verità e la sapienza eterna, e vuole unicamente le cose ch’Egli vuole e come Egli le vuole. Facilmente, anzi spontaneamente, impara a ripetere: “Padre, sia fatta la tua volontà così in cielo come in terra” e nell’adempimento di essa trova quella “pace in terra” promessa “agli uomini di buon volere”. Per una rinnovata unione e intimità con Lui, il suo cuore è sempre più staccato da tutto e da tutti; al confronto di Lui, più nulla e nessuno vale. – E sempre meglio impara ad amare Colui che solo è degno di ogni amore; sempre più è indotto a considerare ogni cosa con gli occhi di Lui e ad amare perciò il mondo, con tutto quanto contiene, non meno ma più di prima poiché ora lo amerà con l’amore stesso di Lui, e per i motivi medesimi, e con la stessa totale abnegazione. – Così la santa Comunione completa il Sacrificio; attira l’anima del comunicando nell’anima e nel cuore della Vittima divina, e la sua vita nella vita di quella; trasforma in veri e propri olocausti anche il corpo e l’anima di chi di essa si nutre, unendoli alla Vittima per eccellenza nel suo ufficio di dar gloria a Dio, di espiare per l’umanità, di impetrare agli uomini le grazie che li innalzeranno al disopra di loro stessi. Nessuna meraviglia che San Paolo esca in una di quelle esclamazioni che solo nella dottrina dell’Eucarestia sembrano trovare la loro completa spiegazione: “Vi esorto dunque, o fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come ostia vivente, santa, gradevole a Dio, ciò che è il vostro culto ragionevole. E non conformatevi al secolo presente, ma trasformatevi col rinnovamento del vostro spirito, affinché possiate ravvisare qual è la volontà di Dio, ciò che è bene e gradevole e perfetto ”. (Rom. XII, 1, 2). – Ma nell’unire così l’uomo al suo Signore Gesù Cristo, la santa Comunione lo unisce anche alla Divinità tutta, ossia alle tre Persone della Santissima Trinità. Poiché in Gesù Cristo, 1’Unigenito di Dio e Verbo Incarnato, si trovano pure le altre due Persone: il Padre e lo Spirito Santo. Esse sono inseparabili, sono un unico Dio, vivono l’una nelle altre. Perciò quando il Figlio di Dio viene in noi, non è solo, viene col Padre, da cui è generato da tutta l’eternità e per tutta l’eternità: “Io e il Padre siamo uno”. Viene con lo Spirito Santo, che pure dall’eternità e per l’eternità procede per amore dal Padre e dal Figlio, – Incorporati a Cristo per il Battesimo, diventiamo per quell’atto figli adottivi di Dio, entriamo a far parte della sua famiglia, e nutriti del Corpo e del Sangue di Cristo, quella parentela diventa sempre più stretta e reale e quei vincoli sempre più saldi, perché non siamo più noi che viviamo, ma Egli vive in noi. Così si attua ogni giorno più, ad ogni Messa celebrata, ad ogni Comunione ricevuta, il fine della creazione, lo scopo che Dio ebbe nel fare l’uomo: una unione sempre più intima fra Dio e la creatura umana. – Ciò basta a spiegare perché il Sacrificio della Messa, con la Comunione come sua parte integrale, costituisca pel Cattolico l’atto culminante di tutto il culto, il centro della sua pietà, il fulcro di ciò ch’egli intende per religione sia nella dottrina che nella pratica, la sorgente più feconda e la riserva più ricca di vita soprannaturale. Ciò spiega perché il Cattolico consideri una vera sfortuna la perdita della Messa e perché, per difenderla, tanti siano morti sia del clero che del laicato. È un memoriale della Passione, e come tale ci porta ai piedi del Calvario a contemplarvi attraverso il tempo e lo spazio, nel dolore, nell’amore, nella vera simpatia di compagni e partecipanti, quel Signore crocifisso che ci ha amati fino a soffrire, ad agonizzare, a morire per le mani di coloro che ama e per amor loro. È una rappresentazione viva e reale del dramma del Calvario, e come tale mette fra le nostre mani tutta la virtù, tutta la grazia, tutti i meriti e i frutti del sacrificio consumato un giorno sul Golgotha. Nella Messa e per la Messa siamo uniti a Nostro Signore, l’Agnello di Dio, la vittima senza macchia, uniti a Lui anche noi, malgrado la nostra miseria e le nostre colpe, fatti capaci di glorificar Dio come merita, di ottenere il perdono dei nostri peccati, per quanto gravi, con impetrazione e riparazione nostra, capaci di implorare, con la certezza di venire ascoltati, le grazie e gli aiuti necessari alla nostra salvezza e santificazione. Poiché Gesù Cristo supplica insieme a noi con gemiti inenarrabili, e la sua preghiera non può venir respinta: lo Spirito Santo esprime i sentimenti del cuor nostro, e la sua voce è verità. – La S. Messa è una comunione intima fra noi e Gesù Cristo e, per Lui, fra noi e Dio stesso, una comunione che ci trasforma in altrettanti Cristi, che ci fa sempre più simili al divino Maestro e sempre più ci avvicina a quella perfezione del Padre che ci fu proposta a modello. Per questi motivi, e altri ancora ve ne sono, la Messa rimane la più grande fra tutte le devozioni del Cattolico, se pure è lecito darle questo nome. È il culmine della sua fede religiosa, la più efficace delle sue preghiere, quella a cui ricorre di continuo. E ha un proprio valore intrinseco, affatto indipendente da chi la celebra, come da chi l’ascolta, come dalla persona per la quale si offre, dipendente solo da Colui che è l’unico Sommo Sacerdote e l’unica vittima, lo stesso Nostro Signore Gesù Cristo. Il suo valore è oggettivo, ossia contiene realmente l’olocausto e la preghiera di Colui che si offrì una volta per tutte e di tutta la sua Chiesa universale, unita a Lui nell’offerta e nella preghiera. È un memoriale perpetuo di Lui, un perpetuo ricordo della sua presenza fra noi, con noi ancora “oggi e lo stesso per sempre”. È una perenne rinnovazione dell’unico sacrificio che fa testimonianza di quell’amore del quale neppur Lui avrebbe potuto mostrarcene uno più grande. È un patto di alleanza fra Lui e i suoi, mezzo di comunione con loro nell’amore, nel sacrificio, nella vita stessa, quale Dio solo poteva immaginare. – Così la Messa supera di gran lunga qualsiasi altra offerta, sacrificio, oblazione l’uomo possa fare da sé, qualsiasi altra forma di preghiera egli possa pronunciare. È, non ci stancheremo mai di ripeterlo, l’oblazione continuata del Calvario, non solo commemorazione e memoriale, ma, essendo identici il Sacerdote e la Vittima, è tutt’uno col Sacrificio primo del Calvario. Nella Messa il tempo e lo spazio si eliminano, gli occhi di Dio guardano attraverso il Sangue del suo Figliolo Gesù Cristo e in quel Sangue diventiamo tutti uno solo. Il cuore che fu squarciato sul Calvario è ancora aperto, è tuttora la sorgente dalla quale scendono incessantemente tutte le grazie meravigliose con cui Dio arricchisce la sua Chiesa e benedice tutto il genere umano. È il tesoro dei tesori, la perla di gran prezzo per aver la quale si dà tutto il resto e, se occorre, anche la vita. Nulla potrà ritenersi troppo bello per il luogo in cui si celebra la Messa e nulla troppo ricco per adornarlo. – La Messa ha ispirato le opere più nobili di ogni arte, ha sollevato l’umanità agli ideali più alti e le ha fatto raggiungere una unità che nessun trattato ha mai raggiunto né mai può sperare di raggiungere. Soprattutto e in primo luogo la Messa è il tesoro del Sacerdote cattolico. Si può dire che per essa egli esista e da essa riceva in cambio il suo sostentamento e insieme la sua ricompensa. Egli non vanta alcun diritto personale a quella sua alta dignità: è ciò che è, non per merito proprio, ma solo in virtù di Colui che ha detto: “Non voi mi avete scelto, ma io voi”, e che ha scelto chi ha voluto. Il Sacerdote ha ricevuto una unzione e un comando, e secondo questo comando, in virtù del potere che gli fu conferito, egli parla e agisce, non in nome proprio, ma nel nome e come strumento e voce di Gesù Cristo dal quale ricevé l’investitura. Non adopera parole proprie, ma si serve di quelle stesse di Cristo: “Questo è il mio Corpo, questo è il mio Sangue”, e in virtù di esse, come se parlasse Cristo in persona, il pane si cambia nel Corpo di Cristo, il vino nel suo Sangue, e Cristo stesso diviene presente sull’altare per l’intervento del Sacerdote. È questa la funzione prima della sua vita, e ne è anche il premio e la spiegazione sufficiente, formando il completamento del suo essere. Ed è pure la sua forza: dalla Messa e per la Messa gli viene ogni mattina l’aiuto necessario al suo compito quotidiano. Nella Messa attinge i mezzi di santificazione per sé e per gli altri, per tutte le anime che a lui si affidano. Lo zelo sacerdotale lo porta inevitabilmente ad amare la sua Messa quotidiana, allo stesso modo che l’amore di essa è garanzia sicura del suo zelo ardente per le anime. E i Cattolici riconoscono al Sacerdote il diritto a un posto privilegiato fra loro. La reverenza che hanno per lui è ben diversa da quella che hanno per chi occupa le posizioni anche più elevate: è una venerazione che sentono di dovergli per una dignità conferita a lui dall’alto, e non gliela negheranno mai, perché egli è “sacerdote in eterno”. Dovunque egli si trovi, a qualunque nazione appartenga, anche nemica, e per quanto possa apparire manchevole, egli è per i Cattolici un essere a parte, che Dio stesso ha scelto per la sua opera. Le sue mani sono state particolarmente consacrate per compiere questa speciale funzione, tutta la sua persona è ormai e per sempre diversa dalle altre. Potrà cadere e mostrarsi indegno, la debolezza umana potrà rivelarsi in lui non meno che in altri, ma per quanto grande possa essere la sua colpa e la sua vergogna, i Cattolici non potranno mai dimenticare quel ch’egli è, irrevocabilmente Sacerdote, segnato col segno indelebile che lo distinguerà, nella buona come nella cattiva sorte, per tutta l’eternità, rappresentante di Gesù Cristo stesso nella funzione più solenne del mondo. – Ed è la Messa che più di ogni altra cosa attira l’attenzione del miscredente. Egli non può passarle accanto e continuare ad ignorarla; potrà non capire, ma il suo fascino misterioso agirà facendo di lui o un amico o un nemico implacabile. È ancora la Messa che attira il peccatore ai piedi di Cristo perché la sua anima sia purificata dal sangue prezioso che vi si effonde. È la Messa che dà la forza sovrumana di resistere in ogni prova, sia interna che esterna; per essa hanno vissuto i Confessori e sono morti i Martiri, essa ha popolato di Santi i conventi e i focolari. Con l’aiuto della Messa l’infimo degli ignoranti e dei miserabili raggiunge l’apice della sua dignità umana e cristiana, come ha modo di constatare ogni giorno nel suo ministero il Sacerdote dei poveri. E d’altro canto, il più eminente fra gli uomini nella Messa apprende il dovere della sua posizione: in nessun luogo più e meglio che dinanzi all’altare di Dio gli uomini sono veramente fratelli e liberi, uniti, indipendenti e consci dei loro diritti reciproci. Per essa si rivela a tutti, piccoli e grandi, ignoranti e dotti, sciocchi e saggi, una visione nuova della vita; per essa sono tutti animati da nuovo coraggio e spinti ad accettare la verità pura anziché 1’apparenza o la convenzione o una falsa sapienza, a vivere una vita fatta di realtà più alte di quelle del mondo, una vita apparentemente semplice, in sostanza eroica. La Messa, con l’orizzonte sconfinato che ci scopre dinanzi, solleva le anime generose alle vette dell’unione mistica; in una parola, è attraverso la Messa, più che per ogni altro canale, che scorrono e si riversano sul mondo le acque salutari della Redenzione.