LA GRAZIA E LA GLORIA (44)

LA GRAZIA E LA GLORIA (44)

Del R. P. J-B TERRIEN S.J.

II.

Nihil obstat, M-G. LABROSSE, S. J. Biturici, 17 feb. 1901

Imprimatur: Parisiis, die 20 feb. 1901 Ed. Thomas, v. g.

LIBRO IX

LA PERFEZIONE FINALE DEI FIGLI DI DIO. QUESTA PERFEZIONE CONSIDERATA DAL LATO DELL’ANIMA

CAPITOLO II

La visione beatifica, considerata quanto alla sua esistenza.

1. Fatta per la verità, l’intelligenza umana, ridotta alle sue forze naturali, ha la vista ben corta. È vero che la fede, questa luce della vita presente per i figli adottivi di Dio, apre davanti ai loro occhi orizzonti magnifici, dove nessun occhio umano saprebbe giungere. È la fede che ci ha rivelato i misteri di Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, che sono nascosti nelle profondità dell’eternità; essa ci ha anche mostrato il Dio fatto uomo che conversava tra noi e ci ha detto: Ecco l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo. – Senza la fede non conoscerei né i Sacramenti, poiché a ciascuno di essi si applica, nella sua misura, ciò che la Chiesa afferma soprattutto del più sublime di tutti, la divina Eucaristia: mysterium fidei – mistero della fede; né gli alti destinati a cui è piaciuto alla bontà divina chiamare la sua creatura gracile e colpevole, né tutti i grandi doveri che questa vocazione così gratuita ci impone. Cosa devo dire? La fede, nella condizione attuale del genere umano, gli conferisce il potere di conoscere prontamente, con ferma certezza e senza alcuna mescolanza di errore, quelle verità divine che di per sé appartengono al dominio naturale della ragione (Concilio Vaticano De Fide Cath., c. 2). È quindi a ragione che il Sacramento che lo infonde nelle nostre anime, il Battesimo nel nome della Trinità, è chiamato Sacramento di illuminazione, che i battezzati sono gli illuminati, i figli della luce e del giorno, e che il loro ingresso nella Chiesa è salutato come il passaggio dalle tenebre alla luce miracolosa di Cristo (Ebr.-VI. 4; I Tess., V, 5; 1.Joan., I, 7; I Pet., I, 6). – Ma infine, per quanto grande sia lo splendore con cui la fede ci circonda, non è questo lo splendore del sole, e nemmeno la sua alba. Che cos’è allora? « Una lampada che brilla in un luogo oscuro, fino a quando il giorno comincia ad apparire e la stella del mattino sorge splendente nel suo cuore » (II Pt. I, 6, ecc.). La consumazione finale del figlio di Dio sarà di vedere ciò che crede; passare dalle ombre al Sole, dalla conoscenza imperfetta al pieno possesso della verità, contemplata faccia a faccia in Dio, la luce per essenza e la Fonte di ogni luce. – Per procedere con ordine, stabiliamo innanzitutto l’esistenza della visione intuitiva; in seguito diremo, per quanto la nostra debolezza lo consenta, quali siano la sua natura e le sue proprietà. È di fede che questo grande destino sarà il nostro. A parte le prove esplicite che raccoglieremo presto, sia nella rivelazione evangelica (Rom. V; Joan. I, 7; I Pet. I, 19), sia nella Tradizione della Chiesa, ci basterebbe sapere ciò che Dio ha già fatto in noi con la sua grazia, per intuire con certezza ciò che un giorno farà per noi nel regno della sua gloria. – Che cos’è la grazia? La vita eterna nel suo principio. Che questa vita divina si sviluppi e fiorisca, ne diventi la vita gloriosa come è in Dio, una vita che scorre senza fine nella contemplazione amorosa della bellezza divina. Cos’altro è la grazia? Una partecipazione alla natura stessa di Dio. Chi non vede che la partecipazione alla natura porta direttamente alla partecipazione agli atti, e di conseguenza all’operazione propria di Dio, cioè all’intuizione dell’essenza divina? – Cosa fa la grazia in noi? Ci rende figli adottivi di Dio, suoi eredi; fratelli, membri, collaboratori di Gesù Cristo: tanti titoli, per chi li sa capire, di questa visione benedetta. La grazia e la gloria sono così strettamente legate l’una all’altra che San Tommaso ha potuto dire in tutta verità che esse « appartengono allo stesso genere: perché la grazia non è che solo l’inizio della gloria in noi » (San Tommaso, 2-2, q. 24, a. 3 ad 2); e che il catechismo del Concilio di Trento chiama la gloria « la grazia nel suo stato di compimento e perfezione » (Catechismo del Concilio di Trento, de Orat. dom. p. IV). Questo è ciò che Origene voleva esprimere quando disse all’uomo giusto, che portava l’immagine dell’uomo celeste: « Tu sei un cielo e andrai in cielo. Cœlum es et in cœlum ibis » (Orig. In Hier. hom. 8, n. 2. P. Gr., t.13, p. 340). – Ma lasciamo qui le induzioni e prestiamo l’orecchio agli oracoli, dove la visione di Dio ci viene espressamente e direttamente affermata. « Chi mi ama – ha detto Gesù Cristo – sarà amato dal Padre mio e Io lo amerò e mi manifesterò a lui » (Giovanni, XIV, 21). Altrove, per confermare la sua raccomandazione di rispettare i piccoli e i bambini, dà questa motivazione: « perché i loro Angeli vedono senza posa la faccia del Padre che è nei cieli » (Mt XVIII, 10). Ora, come Egli stesso afferma, saremo in cielo come gli Angeli di Dio (Matth., XXII, 30). Dobbiamo ricordare ancora una volta la beatitudine promessa alla purezza di cuore, quella beatitudine che non è altro, nella sua perfezione, che la vista di Dio? (Mt. V) Finora abbiamo ascoltato il Maestro. I suoi discepoli non parlano in modo diverso da Lui. « Ora – dice San Paolo – noi conosciamo imperfettamente, profetizziamo imperfettamente. Ma quando verrà ciò che è perfetto, allora ogni imperfezione scomparirà… Attualmente vediamo Dio come in uno specchio, in un enigma, in immagini oscure; ma allora lo conoscerò come Io stesso sono da Lui conosciuto » (Cor. XIII, 10-12), cioè immediatamente e per intuizione. Lo stesso insegnamento ci è dato dall’evangelista San Giovanni: « Miei diletti, ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo un giorno non è ancora apparso. Sappiamo che nel giorno in cui Dio si manifesterà nella sua gloria, saremo simili a Lui, perché lo vedremo come Egli è in se stesso » (I Giovanni III, 2), e non più solo come si mostra a noi attraverso le sue opere o alla pallida luce della fede. – Meditiamo su queste ultime parole dell’Apostolo: « Saremo simili a Lui, perché lo vedremo », per ora la somiglianza soprannaturale non è completa. Uno schizzo più o meno fedele non è ancora la perfezione del ritratto. La nube che copre il volto di Dio deve scomparire e la luce eterna che ci colpisce, per così dire, in volto, deve completare l’immagine di Dio in noi per sempre. « Come una nuvola che il Sole penetra con i suoi raggi diventa tutta luminosa, tutta brillante e si vede in essa un oro, una brillantezza; così la nostra anima esposta a Dio, mentre la penetra, è penetrata da Lui, e noi diventiamo degli dei guardando attentamente la divinità, secondo le parole di san Gregorio di Nazianzo: Un Dio unito agli dei » (Bossuet).

2. – L’evidenza di questa verità nella rivelazione è così grande che la Santa Chiesa non ha mai avuto bisogno di stabilirla con definizioni esplicite. Io so che i Padri e i Pontefici hanno più volte difeso il nostro dogma dagli attacchi dell’eresia; ma in verità i novatori, lungi dal negare la visione immediata di Dio, l’hanno rivendicata, al contrario, come un privilegio della natura. Lo testimoniano gli Anomei del IV secolo, che sostenevano di vedere e comprendere Dio come Egli vede e comprende se stesso; lo testimoniano anche i beghini del Medioevo, condannati da Clemente V al Concilio ecumenico di Vienne (Clemente, L. V, tit. 3 de hæret., c. 3, prop. 5). Una definizione più importante, dal punto di vista che qui ci interessa, è quella che giunse, nel 1336, a porre fine ad una controversia in cui l’eresia non aveva alcuna parte. Alcuni teologi, fuorviati da una falsa interpretazione di alcuni testi scritturali, ritenevano che gli eletti, per godere della visione di Dio, dovessero attendere il giudizio generale e la risurrezione dei morti. Un papa, Giovanni XXII, in qualità di dottore particolare, ha addirittura difeso, se non la certezza, almeno la probabilità di questo parere. Non è il caso di fare la storia di una controversia che è stata piuttosto vivace per alcuni anni, ma la decisione finale deve essere citata, almeno in parte, perché esprime molto chiaramente la fede della Chiesa su questo argomento: è di Papa Benedetto XII. « Definiamo in virtù dell’autorità apostolica che, dalla morte e passione di Nostro Signore e, secondo l’ordine ordinario della divina provvidenza, le anime di tutti i Santi… purché abbiano compiuto la loro purificazione…… vedono l’Essenza divina; che esse la vedono con una visione intuitiva e facciale, in modo che questa Essenza divina si manifesti loro immediatamente, chiaramente, apertamente, senza che nessuna creatura si interponga come oggetto tra i loro occhi e Dio. Definiamo, inoltre, che dalla stessa visione nasce il godimento dell’Essenza divina, e che questo godimento e questa visione rendono le stesse anime veramente felici, nel seno della vita e del riposo eterno… Infine: Noi definiamo che la visione intuitiva e facciale con il godimento, una volta iniziata per essi, continuerà senza fine o intermittenza fino all’ultimo giudizio e oltre, durante l’eternità » (Benedetto XII, Cost. “Benedictus Deus“, 4. cal. Febr. 1336). – Il Concilio di Firenze, dove fu ristabilita, per un tempo purtroppo troppo breve, la riunione dei Greci con la Chiesa romana, Madre e Maestra delle Chiese, definì ancora una volta che « le anime dei giusti, sia quelle che non hanno contratto alcuna macchia di peccato dopo il Battesimo, sia quelle che avendola contratta se ne sono lavata, sia quando abitavano nel corpo, sia quando l’hanno lasciato, entrano senza indugio in cielo, e lì vedono Dio chiaramente e come Egli è, nell’unità della sua natura e nella Trinità delle Persone; non con la stessa perfezione, ma secondo la diversità dei meriti. » (Conc. Fiorentino. Decreto. Unionis Græcor. in Bulla Eugen IV, « Lætentur cœli »). – Il lettore avrà sicuramente fatto un’osservazione confrontando questi due testi: laddove Benedetto XII parla solo della visione dell’Essenza divina, i Padri di Firenze fanno esplicita menzione della Trinità. Questa differenza di linguaggio è stata motivata da qualche errore generato da un periodo all’altro? La storia non lo dice.  Del resto, in una forma leggermente diversa, si tratta sempre della stessa dottrina. Quale adoratore della Trinità potrebbe convincersi che sia possibile contemplare l’Essenza di Dio in sé, senza vedere il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo insieme? – « Forse – si chiedeva Sant’Agostino – saremo felici della vista del Padre senza godere della vista del Figlio? Ascoltate Cristo: Chi vede me vede il Padre mio (Gv. XIV, 9). Infatti, quando vediamo l’unico Dio, vediamo contemporaneamente il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo » (S. August., Enarr. in Psalm LXXXI, n. 9). Se per un’ineffabile immanenza il Padre è nel Figlio, e il Figlio nel Padre, e il Figlio nello Spirito Santo, e lo Spirito Santo in entrambi; se tutti e tre, pur restando distinti, sono una sola cosa, una sola e medesima luce, una e medesima infinita Verità; infinitamente se questa stessa unica e semplicissima Essenza è davvero il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, come parlano i Padri e i Concili, vedere intuitivamente una Persona senza vedere le altre, contemplare l’essenza senza contemplare le Persone, cosa sarebbe se non vedere e non vedere? È vero che, allo stato imperfetto della nostra conoscenza, queste astrazioni non siano impossibili; e Dio può essere conosciuto nella sua unità, senza la conoscenza e la fede della Trinità. Ma perché? Perché non godiamo della visione facciale; perché la nostra conoscenza è improntata alle molte immagini di Dio, diffuse da Lui nella creazione. – Sì, credo che se sarò fedele al mio Dio, lo contemplerò nella terra dei vivi. Lo vedrò nella sua natura e nelle sue Persone, faccia a faccia, senza intermediari, senza oscurità, senza veli. Questa professione di fede, posta per così dire alla base, mi permette di studiare con umile sottomissione il come di ciò che credo. È una fede in cerca di intelligenza: « Fides quærens intellectus », una ricerca che la Chiesa non condanna, quando è umile; che approva e persino incoraggia, mentre la indirizza affinché non si allontani dai sentieri della verità.

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.