DOMENICA FRA L’ASCENSIONE (2022)

DOMENICA FRA L’ASCENSIONE (2022)

Semidoppio. • Paramenti bianchi.

Noi celebreremo l’Ascensione del Signore rettamente, fedelmente, devotamente, santamente, piamente, se, come dice S. Agostino, ascenderemo con Lui e terremo in alto i nostri cuori. I nostri pensieri siano lassù dove Egli è, e quaggiù avremo il riposo. Ascendiamo ora con Cristo col cuore e, quando il giorno promesso sarà venuto lo seguiremo anche col corpo. Rammentiamoci però che né l’orgoglio, né l’avarizia, né la lussuria salgono con Cristo; nessun nostro vizio ascenderà con il nostro medico, e perciò se vogliamo andare dietro il Medico delle anime nostre, dobbiamo deporre il fardello dei nostri vizi e dei nostri peccati » (Mattutino). Questa Domenica ci prepara alla Pentecoste. Prima di salire al cielo Gesù, nell’ultima Cena ci ha promesso di non lasciarci orfani, ma di mandarci il Suo Spirito Consolatore (Vang., All.) affinché in ogni cosa glorifichiamo Dio per Gesù Cristo (Ep.). — Come gli Apostoli riuniti nel Cenacolo, anche noi dobbiamo prepararci, con la preghiera e la carità (Ep.) al santo giorno della Pentecoste, nel quale Gesù, che è il nostro avvocato presso il Padre, ci otterrà da Lui lo Spirito Santo.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XXVI: 7, 8, 9 Exáudi, Dómine, vocem meam, qua clamávi ad te, allelúja: tibi dixit cor meum, quæsívi vultum tuum, vultum tuum, Dómine, requíram: ne avértas fáciem tuam a me, allelúja, allelúja.

[Ascolta, o Signore, la mia voce, con la quale Ti invoco, allelúia: a te parlò il mio cuore: ho cercato la Tua presenza, o Signore, e la cercherò ancora: non nascondermi il Tuo volto, allelúia, allelúia.]

Ps XXVI: 1 Dóminus illuminátio mea et salus mea: quem timébo?

[Il Signore è mia luce e la mia salvezza: di chi avrò timore?].

Exáudi, Dómine, vocem meam, qua clamávi ad te, allelúja: tibi dixit cor meum, quæsívi vultum tuum, vultum tuum, Dómine, requíram: ne avértas fáciem tuam a me, allelúja, allelúja.

[Ascolta, o Signore, la mia voce, con la quale Ti invoco, allelúia: a te parlò il mio cuore: ho cercato la Tua presenza, o Signore,e la cercherò ancora: non nascondermi il Tuo volto, allelúia, allelúia.]

Oratio.

Orémus. –

Omnípotens sempitérne Deus: fac nos tibi semper et devótam gérere voluntátem; et majestáti tuæ sincéro corde servíre.

[Dio onnipotente ed eterno: fa che la nostra volontà sia sempre devota: e che serviamo la tua Maestà con cuore sincero].

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Petri Apóstoli. 1 Pet IV: 7-11

“Caríssimi: Estóte prudéntes et vigiláte in oratiónibus. Ante ómnia autem mútuam in vobismetípsis caritátem contínuam habéntes: quia cáritas óperit multitúdinem peccatórum. Hospitáles ínvicem sine murmuratióne: unusquísque, sicut accépit grátiam, in altérutrum illam administrántes, sicut boni dispensatóres multifórmis grátiæ Dei. Si quis lóquitur, quasi sermónes Dei: si quis minístrat, tamquam ex virtúte, quam adminístrat Deus: ut in ómnibus honorificétur Deus per Jesum Christum, Dóminum nostrum.”

[“Carissimi: Siate prudenti e perseverate nelle preghiere. Innanzi tutto, poi, abbiate fra di voi una mutua e continua carità: poiché la carità copre una moltitudine di peccati. Praticate l’ospitalità gli uni verso gli altri senza mormorare: ognuno metta a servizio altrui il dono che ha ricevuto, come si conviene a buoni dispensatori della multiforme grazia di Dio. Chi parla, lo faccia come fossero parole di Dio: chi esercita un ministero, lo faccia come per virtù comunicata da Dio: affinché in tutto sia onorato Dio per Gesù Cristo nostro Signore.”]

La carità, dice letteralmente la odierna Epistola, copre una moltitudine di peccati: sentenza che ha una notissima parafrasi popolare nella esclamazione posta dal Manzoni in bocca a Lucia di fronte all’Innominato: Dio perdona tante cose per un’opera di misericordia! Sentenza, che, a voler sottilizzare, presenta, ossia presenterebbe una certa difficoltà. Che cosa significa propriamente? Che cosa vuol dire l’Apostolo? La carità di cui parla che cancella o copre (le due metafore, appunto perché metafore, si possono equivalere) che carità è? La carità verso Dio? E allora la sentenza è una tautologia. Sfido, quando un’anima ha la carità i peccati sono belli e svaniti; come quando uno ha caldo, il freddo se n’è bello e ito. La carità verso il prossimo nei limiti soprattutto pratici, in cui essa è possibile anche senza amor di Dio? Certo bisogna intenderla così, così l’intende il buon senso cristiano. Giacché di fatto ci può essere, c’è un certo amor del prossimo anche là dove e quando ancora non arda completo l’amore verso Dio. C’è della gente che ha cuore e non ha fede. Che ha cuore, ma non osserva ancora tutt’intiera la legge. C’è della gente che ha molto, ha parecchio da farsi perdonare da Dio. – Ebbene l’Apostolo riprende l’insegnamento del Maestro: per essere perdonati (da Dio) bisogna perdonare (agli uomini); perché Dio sia buono con noi, dobbiamo noi essere buoni coi nostri fratelli. I casi son due; e ve li espongo, perché uno dei due può essere benissimo il caso vostro. Il miglior caso è questo: un uomo ha da poco o da molto disertato i sentieri della bontà, della verità forse; ma adesso comincia a rientrare in se stesso, ad accorgersi della cattiva strada, per cui si è messo, a sentirne dolorosamente il disagio… Non parliamo ancora di conversione, ma di un lontano principio di essa. Non parliamo di fuoco, ma la scintilla c’è: un oscuro desiderio della casa paterna improvvidamente abbandonata, del Padre che vi attende il prodigo figlio. Che fare? e che cosa consigliare a quest’anima? Non, s’intende, come mèta integrale e finale, ma come primo avviamento operoso e pratico e profondo? Fa’ del bene al tuo prossimo, tutto il bene che puoi, il maggior bene che tu possa. Fa’ del bene, fa’ della carità, anche se, per avventura, tu avessi smarrito la fede o l’avessi smozzicata ed informe. Fa del bene. Perché, lo ha detto così bene San Vincenzo: è mistero la SS. Trinità, mistero la Incarnazione del Verbo, e davanti al mistero può ribellarsi, orgogliosa la tua ragione, ma non è mistero che un tuo fratello soffra la fame e che tu potresti sfamarlo con le briciole del pane che ti sopravanza. E allora: da bravo, coraggio! Comincia di lì. Dà del pane a chi ha fame. Fa’ quest’opera buona; esercita questa carità. È carità che farà del bene anche a te, bene materiale, ma anche un po’ spirituale a colui che lo riceve; bene spirituale a te che lo dai. Ti farà del bene, ti renderà più buono, meno cattivo, sarebbe più esatto dire: diminuirà, sia pur di poco, ma diminuirà la tua lontananza da Dio benedetto. Anzi, questo lo farà anche se tu non lo pensi e non ne abbia l’intenzione; come medicina fa del bene anche al malato che la prende senza sapere che è medicina, senza desiderare di guarire. La carità avvicina l’uomo all’uomo e avvicina l’uomo a Dio. Lo rende meno dissimile da Lui, meno difforme da Lui. E Dio ce lo ha detto, ce lo ha detto Gesù Cristo: Vuoi essere perdonato? Perdona. Dio tratta noi nella stessa misura e forma che noi trattiamo i nostri fratelli. Spietati noi coi fratelli? Spietato Dio con noi; tutto giustizia e niente misericordia. Misericordiosi noi coi fratelli nostri? Misericordioso Dio con noi; pieno di misericordia e di perdono. – Non si potevano saldare più nettamente, profondamente le due cause: l’umana e la divina, la filantropia e la carità! E questa saldatura mi permette di dire una parola anche a quelli che fossero o si fingessero buoni Cristiani: siate caritatevoli, fate carità, abbiate misericordia anche voi, perché innanzi tutto non c’è un Cristiano senza torti con Dio; ma se ci fosse, non dovrebbe fare a Dio il torto di essere senza cuore pei figli di Lui, suoi fratelli, di vantarsi o credersi perfetto, senza carità, senza misericordia.

(p. G. Semeria: Epistole della Domenica – Milano – 1939)

Graduale

Allelúja, allelúja.
Ps XLVI: 9
V. Regnávit Dóminus super omnes gentes: Deus sedet super sedem sanctam suam. Allelúja.

[Il Signore regna sopra tutte le nazioni: Iddio siede sul suo trono santo.
Allelúia.]

Joannes XIV: 18
V. Non vos relínquam órphanos: vado, et vénio ad vos, et gaudébit cor vestrum. Allelúja.

[Non vi lascerò orfani: vado, e ritorno a voi, e il vostro cuore si rellegrerà. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Joánnem.

Joannes XV: 26-27; XVI: 1-4

“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Cum vénerit Paráclitus, quem ego mittam vobis a Patre, Spíritum veritátis, qui a Patre procédit, ille testimónium perhibébit de me: et vos testimónium perhibébitis, quia ab inítio mecum estis. Hæc locútus sum vobis, ut non scandalizémini. Absque synagógis fácient vos: sed venit hora, ut omnis, qui intérficit vos, arbitrétur obséquium se præstáre Deo. Et hæc fácient vobis, quia non novérunt Patrem neque me. Sed hæc locútus sum vobis: ut, cum vénerit hora eórum, reminiscámini, quia ego dixi vobis”.

[In quel tempo: Disse Gesù ai suoi discepoli: Quando verrà il Consolatore che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza; e anche voi mi renderete testimonianza, perché siete stati con me fin dal principio. Vi ho detto queste cose perché non abbiate a scandalizzarvi. Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, verrà l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio. E faranno ciò, perché non hanno conosciuto né il Padre né me. Ma io vi ho detto queste cose perché, quando giungerà la loro ora, ricordiate che ve lo detto già.

OMELIA

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956.

COSCIENZE MALATE

È triste quando si spegne la luce degli occhi: ogni cosa perde la linea e il colore, ed una oscurità senza tempo né mutamenti benda il volto del povero cieco. È triste quando si spegne la luce dell’intelligenza: l’anima è strappata via a forza e sepolta viva nella materia che la rende incapace d’agire. Il povero deficiente è al mondo quasi come un vegetale, senza saperlo; ha uno spirito immortale, e non sa d’averlo. Ma più triste ancora è quando si spegne la luce della coscienza: l’uomo ha sani gli occhi ma non vede, ha intelligenza aperta ma non capisce; non vede e non capisce che corre verso la sua finale e irrimediabile rovina. Le altre sventure sono la privazione di un grande bene, ma solo per i pochi anni della vita terrena. Questa ci sospinge verso la perdita di tutto il bene, e per tutta l’eternità. La coscienza vale assai più della scienza; ed il mondo più che gli uomini di scienza ha bisogno di uomini di coscienza, cioè di santi. – Che cos’è dunque la coscienza? Essa è un incorruttibile tribunale interiore che giudica ogni atto, ogni parola, ogni pensiero e di ciascuno pronuncia la sua sentenza: questo è buono e tu sei meritevole; questo è cattivo e tu sei riprovevole. Esso è l’eco della voce di Dio che ci parla senza strepito, che ci muove senza violenza. Non pretendete che Gesù vi appaia corporalmente come a S. Pietro e vi fermi bruscamente sulla strada per imporvi di convertirvi o di pregare. Neanche pretendete che Dio vi mandi visibilmente la Madonna o qualche Angelo. Se rientrate in voi, se la vostra coscienza non è stata guastata dall’impurità e dall’orgoglio, allora sentirete realmente quello che Dio vuole e quello che non vuole da voi. Potete ora comprendere la grande importanza che la coscienza ha nella vita dell’uomo. E potete ora comprendere l’enorme disgrazia di chi l’ha pervertita. Costui cammina verso l’abisso dell’iniquità, e siccome la coscienza è guasta, lo lascia smemorato nel suo traviamento, quasi illuso di camminare verso la giustizia. È questa la terribile illusione che Gesù denunciò prima di morire ai suoi Apostoli. «Verrà l’ora in cui chi vi scaccerà e vi ucciderà crederà di fare una buona cosa e penserà di dare gloria a Dio. Povere coscienze ottenebrate che non conoscono più né il Padre né me! Voi però non scoraggiatevi. Vi manderò lo Spirito Santo che vi darà la forza anche di morire per rendermi testimonianza ». La grave parola del Signore ci persuade a considerare le malattie della coscienza, specialmente quelle che sono le più disastrose, perché danno l’illusione di essere onesti e religiosi. Ci sono tre tipi di coscienze malate: la coscienza cieca; la coscienza farisaica; la coscienza pervertita. – 1. COSCIENZA CIECA. Quando l’aeroplano in volo entra nella nebbia, al pilota trema un poco il cuore. Manca ogni visibilità: di sopra e di sotto, a destra e a sinistra non c’è che una informe e flottante massa grigiastra. Dove sarà? Non avrà deviato dalla giusta rotta? È tempo di discendere? Come abbassarsi di quota se non si vede nulla? Un ostacolo improvviso, una collina, un campanile, potrebbero determinare la rovina. – Nessuna paura; c’è il marconista in continuo collegamento coi campi d’aviazione che gli segnalano le condizioni opportune per atterrare; ci sono perfettissimi strumenti di misurazione che indicano di momento in momento la quota d’altezza, la velocità di volo, la direzione. Intanto l’aeroplano vola ciecamente nella nebbia. E se la radio non funzionasse più? Se gli istrumenti di misurazione si fossero guastati senza che nessuno se ne accorgesse? Basterebbe un minimo errore di calcolo. Allora ogni cosa più orribile può accadere. Qualche anno fa un aeroplano smarritosi nella nebbia si fracassava a tutta velocità contro la collina di Lanzo Torinese, spiaccicandovi otto persone. La vita nostra, quaggiù sulla terra, è in tutto simile a un volo nella nebbia, la nebbia dei sensi. Noi non vediamo Dio, non vediamo il Paradiso che è la meta a cui tendiamo, non vediamo a che altezza e a che punto siamo del nostro viaggio. Ma abbiamo però la coscienza, dove ci sono strumenti perfetti di misurazione morale, e dove arrivano i radiogrammi del Signore. Appena con qualche peccato si esce dalla giusta rotta, allora nella coscienza si fa sentire una punta come di spina confitta, come di tarlo che rode. Guai a chi non bada e disprezza queste segnalazioni preziose! La coscienza si vendica facendosi sempre più fioca, fin che si spegne. Allora l’uomo è un disperso nella nebbia dei suoi istinti. Quel danaro, quella roba di mal acquisto non gli scotta più: per lui è come se fosse di guadagno legittimo. Quella lite maliziosamente intentata e con raggiri vinta non gli rimorde più: per lui è come se avesse sostenuto un proprio diritto. Quegli scherzi equivoci, quelle impudenti libertà di parola e di mano, quegli spettacoli corruttori, ora gli sembrano innocui divertimenti, una maniera allegra e piacevole di passar la vita. Ma se la rupe della morte gli si adergesse improvvisa davanti?… Ah! che disastro: altro che quello dell’aeroplano contro la collina di Lanzo Torinese. – 2. COSCIENZA FARISAICA. Quando la luce vera si spegne nella coscienza, è facile che s’accendano falsi fanali che deformano la visuale. Ne deriva così quella coscienza farisaica che fu bollata a parole roventi dal Signore. Di essa voglio ora ricordare due caratteristiche.

a) La coscienza farisaica è una lampada cieca che proietta la luce sugli altri e tiene nell’ombra chi la porta. I farisei vedevano il fuscellino nell’occhio del prossimo, e non s’accorgevano di avere una trave nel proprio. I farisei scovavano macchie e scandali dappertutto, anche nelle azioni più buone, eccetto che in sé e nella propria condotta. I farisei avevano da sparlare di tutti, eccetto che di sé. « O Dio — pregava un fariseo nel tempio fulminando indietro uno sguardo di disprezzo, — ti ringrazio che non sono come gli altri uomini; tutti ladroni, ingannatori, adulteri come quel pubblicano laggiù » (Lc., XVIII, 11). – I farisei non ci sono più, ma il fariseismo è una malattia che è rimasta, e forse un poco ammorba anche la nostra anima. Che cos’è questa smania di osservare gli sbagli degli altri, di essere tra i primi a lanciare contro di essi la pietra, di mormorare, di sprezzare tutti? Segno che c’è una trave nel nostro spirito e non la vediamo. Che cos’è quest’altra smania di criticare continuamente i preti, il Vescovo e lo stesso Papa, come si fosse più parrocchiani del parroco e più Cattolici del Papa? Segno è che non si è buoni parrocchiani né buoni Cattolici.

b) Altra caratteristica della deformata coscienza farisaica è di fissarsi sulle cose minime e trascurare le massime. I farisei scolavano mosche per ingoiare cammelli. Facevano l’offerta al tempio e poi divoravano le case delle vedove e degli orfani. Temevano di contaminarsi entrando nella casa d’un pagano come Pilato e non temevano di contaminarsi facendo ammazzare il Signore. Ci può essere ancora chi fa consistere tutta la sua religione soltanto in cose esteriori: qualche preghiera a fior di labbra; la messa bassa alla festa; qualche piccola offerta nelle cassette dell’elemosina; dare il nome a qualche pia confraternita. Ma poi nessuna giustizia con gli operai, o col padrone; nessuna carità e compassione per il prossimo che soffre o che chiede; nessuno scrupolo di vivere anni ed anni in peccato mortale, conservando un’abitudine o un affetto proibito dalla legge di Dio. Come i farisei, questi Cristiani puliscono l’esterno del piatto e del bicchiere, e dentro lo lasciano colmo di immondezze e di ingiustizie. – 3. COSCIENZA PERVERTITA. « Viene l’ora — ha detto Gesù — in cui chi vi uccide crederà di rendere ossequio a Dio ». Non molto tempo dopo questa profezia, l’Apostolo Paolo fu arrestato in Gerusalemme e custodito dal tribuno romano. Ebbene, quaranta persone fecero un voto a Dio, invocando sopra di sé le più fiere maledizioni se non l’avessero mantenute. Il voto era questo: non toccare cibo né bevanda, sino a che non avessero ucciso Paolo. Decisero d’attendere il momento in cui il tribuno l’avrebbe condotto dalla prigione al tribunale del Sinedrio, per strapparlo fuori dalle mani delle guardie e finirlo. Fortuna volle che un nipotino di Paolo, un figlio di sua sorella, venne a sapere la cosa e arrivò in tempo a sventare la congiura (Atti, XXIII, 12-21). Fu però ucciso dopo qualche anno a Roma, dove anche S. Pietro e dove anche numerosi Cristiani furono uccisi come nemici della civiltà e della patria, e degli dei dell’Impero. Forse che oggi non ci sono uomini che con giuramento si legano a perseguitare i preti e i buoni Cristiani, a odiare il Papa, a distruggere la Chiesa? Sono nazioni intere che scacciano i ministri e i fedeli del Signore, accusandoli di disfattismo, di nemici della grandezza patria, di sostenitori delle ingiustizie sociali. Si organizzano perfino i bambini, e quando a schiere passano davanti a qualche chiesa o immagine religiosa, si insegna a loro di levare il pugno chiuso e gridare: «No! No!» Ah, quelle piccole mani che Gesù accarezzava, quelle candide voci che facevano tremare il cuore del Figlio di Dio! Ma quando è possibile questo pervertimento totale della coscienza? « Quando – risponde Gesù nel Vangelo — non si conosce più il Padre né me ». Invano, o Cristiani, deprecheremo da noi e dalla nostra patria questo orrendo male, se non ci mettiamo a conoscere il Padre e il Figlio che ci ha mandato. Conoscerlo con l’intelligenza: istruzione cristiana. Conoscerlo con le opere: vita cristiana.

I TESTIMONI DI CRISTO. Gesù ascese al cielo. Più nessuno con questi occhi potrà vederlo, né con queste orecchie udirlo, senza un miracolo. Chi, dunque, testimonierà a tutti coloro che non l’hanno né visto né udito, ch’Egli veramente è il Figlio di Dio, ucciso e risorto? Lo Spirito Santo e gli uomini. « Quando. verrà lo Spirito di Verità e di Consolazione che io vi manderò dal Padre, Egli attesterà per me ». E la testimonianza dello Spirito Santo nella Chiesa è perenne e duplice: esterna, con i miracoli e le profezie; interna, con la luce e la grazia che, infuse nel cuore, inducono l’uomo alla fede e alla santità. Ma Gesù dopo quella dello Spirito Santo, ha voluto anche la testimonianza degli uomini. « Voi pure — soggiunse il Maestro divino, — mi farete da testimoni. Né vi faccio mistero di quel che v’aspetta: Vi scomunicheranno dalle loro sinagoghe, vi imprigioneranno: ecco, vien l’ora in cui chi vi uccide, s’illuderà di rendere ossequio a Dio. Coraggio! in quel momento ricordatevi che Io ve ne avevo parlato ». Su questa testimonianza umana per il Cristo, intendo fermare brevemente la vostra attenzione. Essa nei secoli non è mai mancata, né mancherà per l’avvenire; sempre, suscitati dallo Spirito Santo, sorgeranno uomini pronti a testificare per il Figlio di Dio con la morte cruenta o con la vita eroica. Ma anche da noi Gesù aspetta una testimonianza: perciò non sarà certo inutile farci una domanda in proposito. – 1. LA TESTIMONIANZA DEI MARTIRI. Il sangue dei martiri è una voce di verità. Pietro e Giovanni erano stati trascinati in Sinedrio, in cospetto di Anna e di Caifa, i due che avevano condannato Gesù. « In nome di chi osate predicare e compire prodigi? » fu domandato a loro. E Pietro rispose: « Capi del popolo, in nome di Gesù Cristo Signore nostro, quello che voi avete crocifisso e che Dio risuscitò da morte ». E tutto il Sinedrio a minacciarli: « Guardatevi bene dal parlare ancora di Lui con qualunque persona ». Pietro e Giovanni esclamarono: « Non possiamo tacere ciò che udimmo e vedemmo ». Non enim possumus non loqui (Atti, IV, 20). E da quel giorno in Gerusalemme, in Antiochia, in Roma, senza paura e senza riposo, la voce di Pietro annunciò il Vangelo; per farlo tacere, dovettero ucciderlo sul colle Vaticano, nell’anno 67. Giovanni, l’Apostolo prediletto a cui era stata affidata Maria, fu trasportato a Roma ove si lasciò immergere in una caldaia d’olio bollente. Scampato prodigiosamente, fu condannato all’esilio nell’isola di Patmos. E Giacomo, parente di Gesù, fu gettato dal pinnacolo del tempio di Gerusalemme, fu lapidato mentre pregava per i suoi nemici, e finalmente finito da un gualchieraio con un arnese del mestiere. E Andrea, a Patrasso, in Grecia, fu messo in croce: per tre giorni da quel pulpito testimoniò la divinità di Cristo alla gente che, piangendo, l’ascoltava. E dopo gli Apostoli sono migliaia di fanciulli e di fanciulle, di uomini e le donne che intrepidi versano il loro sangue. Il diacono Lorenzo vedendo il Papa San Sisto II, di cui era al servizio, trascinato al martirio, ne invidia la sorte e lo supplica, piangendo, di condurlo seco a morire. Non furono rari gli episodi come quello della morte del pontefice Caio. Nelle catacombe, nel giorno di Pasqua, moltissimi Cristiani s’erano adunati: il pontefice Caio era all’altare. Mentre l’ostia si cangiava nel Corpo di Cristo, e il popolo raccolto adorava, si sentirono forti grida: « Morte ai Cristiani! ». Queste grida partivano dagli sgherri di Diocleziano penetrati colà per tradimento. La folla, senza scomporsi proseguì ad adorare Cristo eucaristico. I soldati, sguainate le spade, colpirono a destra e a sinistra. « Figli carissimi, — gridò il pontefice Caio, — Cristo è morto ed è risorto per noi. Coraggio: Egli vuole incoronarci ». E tutti ad una voce gridarono: « Noi siamo Cristiani! ». La strage continuò ma nessuno diede un lamento. Le madri serrando al seno i figliuoli, dicevano: « Andiamo in Cielo: ecco arriva il Signore a prenderci ». Il pontefice Caio disse alla sua volta: « Anch’io sono Cristiano! ». E la sua testa stroncata rotolò sui gradini dell’altare. Non si deve pensare che la stagione dei martiri sia finita da quei primi secoli: anche ai nostri tempi abbiamo avuto gloriosi martiri. È del 1861 il martirio di Teofano Vénard, missionario francese nell’Asia (Tonchino): prima di morire ha voluto scrivere ad ognuno dei suoi cari una lettera di ricordo. « È mezzanotte: intorno alla mia gabbia non si vedono che lance e lunghe spade. In un angolo della camera un gruppo di soldati gioca alle carte, un altro gruppo gioca ai dadi. A due metri da me una lampada proietta la sua tremula luce sul mio foglio di carta cinese e mi permette di tracciarti queste linee. Io aspetto di giorno in giorno la mia sentenza Forse domani io sarò condotto alla morte. Morte felice, non è vero? Morte desiderata che conduce alla vita… ». « Mio caro Enrico — scrive al fratello — non consumare la tua vita nelle vanità del mondo… Resistere alle inclinazioni della carne ed assoggettarla allo spirito, stare in guardia contro le insidie del demonio e le pratiche del mondo, osservare i precetti della Religione, questo è essere uomo. Ti ho scritto queste parole in un momento solenne: fra alcune ore, io sarò messo a morte per la Fede di Gesù Cristo… Addio, fratello; vieni a trovarmi in cielo ». Il 2 febbraio 1861 gli fu troncata la testa. A questi fatti, ci ritorna spontanea la bella frase d’un gran pensatore: « Io credo a dei testimoni che si lasciano sgozzare » (PASCAL). – 2. LA TESTIMONIANZA DEI SANTI. In mezzo alla tenebra notturna, Dio accese le stelle, che splendono lontane e miti fino al levare del sole: il navigante sbattuto dall’onde, il pellegrino sperduto negli intrichi del bosco, le guardano e ritrovano la via sicura. Come le stelle, così sono i santi in mezzo alle tenebre del mondo: i santi sono i pallidi riflessi della faccia splendente di Dio. Gli uomini incerti tra le passioni e gli errori, rivolgono a loro lo sguardo, intravedono la felicità e la verità, ritrovano il cammino della vita cristiana. Quanti, pensando a S. Francesco d’Assisi, il poverello di Dio, sentirono la forza di staccare il cuore dall’avarizia! Altri, per l’esempio di S. Domenico, fuggirono le eresie che guastano la fede; altri ancora, davanti all’umiltà di S. Carlo Borromeo, compresero che gli onori del mondo sono nebbia al vento; altri innumerevoli da S. Luigi Gonzaga han ricevuto la forza di domare la passione impura e di resistere tutta la vita come gigli intatti e candidi. Sanctis tuis maxima lux (Sap., XVIII, 1). Dai tuoi santi, o Gesù, una gran luce si diffonde che dirada la nostra oscurità e illumina il nostro cammino. Essi sono i tuoi testimoni: chi li avvicina si sente attratto da una forza misteriosa come quella che usciva un giorno dalla tua veste; chi li ascolta parlare, coglie nel timbro della loro voce e nel senso della loro parola un’eco della tua voce, o Signore, e della tua parola viva che giunge a noi dai secoli lontani: chi li vede mortificarsi aspramente, beneficare generosamente, morire gaudiosamente vede sulla loro faccia una somiglianza con Te. Quando un santo passa sulla terra, sono sempre numerosissimi quelli che comprendono la testimonianza che egli dà a Gesù Cristo, e perciò sono moltissimi che sempre van dietro a Lui. Chi può dire quanti frati, a piedi scalzi, han seguito e seguiranno le orme di San Francesco? Chi può dire quanti hanno studiato e predicato per imitare S. Domenico? Guardate i missionari che ogni anno partono intrepidamente verso barbare contrade, incoraggiati dalla protezione di S. Francesco Saverio! Guardate i Gesuiti che ancora numerosissimi difendono con lo studio e con le opere la Chiesa Cattolica, sospinti dallo spirito del loro fondatore S. Ignazio! Sono migliaia di giovani che ogni anno nelle istituzioni salesiane sentono la carezza del Santo Don Bosco; sono migliaia di infelici, rifiutati dall’umana società, che sono accolti nella Piccola Casa della Divina Provvidenza a Torino, dove palpita il cuore del Cottolengo; sono migliaia di persone, in ogni parte della terra, di ogni condizione sociale, che nella loro anima furono commossi dalla testimonianza di Santa Teresa del Bambino Gesù. È vero che il mondo disprezza i Santi, come anche il pipistrello disprezza la luce; è vero che sono creduti ignoranti, gente illusa e malata, gente che non ha capito il piacere della vita. A chi crederemo noi? Alla testimonianza del mondo, o alla testimonianza dei Santi? – Ecco: presso i Romani ci fu un processo famoso. Emilio Scabro, uomo integerrimo di costumi e amante della giustizia, fu accusato da un certo Varo, persona iniqua e scellerata e bugiarda. Il giudizio davanti al popolo si svolge brevemente così: «Cittadini! Emilio Scabro afferma, Varo nega: a chi credete voi?» Bastò questo per salvare Emilio Scabro da ogni accusa. Le opere sono la prova delle parole. Guardate le opere dei Santi e confrontatele son quelle del mondo. – 3. LA NOSTRA TESTIMONIANZA. a) La prima testimonianza che Gesù aspetta da ciascuno di noi è quella del buon esempio. « Tu vai in Chiesa, e sei peggiore degli altri! ». Quest’insulto che i nemici dei Cristiani lanciano sovente, qualche volta ha un fondamento di realtà: le opere non corrispondono alla fede professata. Il grande Apostolo scrive: Exemplum esto fidelium in verbis, in caritate, in fide. in castitate. Esaminatevi la coscienza sulla guida di queste parole.

In verbis. Le dottrine della fede devono essere studiate e professate a fronte alta. Invece che fate voi, uomini di poca fede? Il Vangelo dice, per esempio, che bisogna far penitenza, e nei vostri colloqui d’altro non si parla se non di godimento e di piaceri. Il Vangelo lancia la maledizione al mondo ed ai suoi scandali: invece senza tanti riguardi voi dite che il mondo vi piace e troppo spesso discorrete di scandali con parole meno pudiche. Il Vangelo dice di non giudicare nessuno, eppure giorno non passa senza mormorazioni e denigrazioni.

In caritate. Il Vangelo in ogni povero che soffre, in ogni opera buona, ci mostra Gesù che soffre e chiede: invece noi ci attacchiamo così al danaro che l’elemosina ci fa paura.

In fide. Voi tutti credete che nell’Ostia Santa ci sia Dio, credete che Egli è Pane e Forza dell’anima vostra: e come va che non lo ricevete? che non lo visitate?

In castitate. Credete che il peccato sia la lebbra dell’anima, e ve lo tenete addosso tranquillamente per settimane e per mesi. Credete che il vostro Corpo sia tempio dello Spirito Santo, e poi non lo rispettate? Queste sono false testimonianze, che Gesù rifiuta e condanna: «Siate testimoni suoi con i discorsi, con l’amore, con la fede, con la castità ». – b) Oltre al buon esempio, noi possiamo e dobbiamo testimoniare Cristo con l’Azione Cattolica. Intorno ad ogni parrocchia fioriscono numerose istituzioni che non solo mirano a conservare ed aumentare nei singoli la fede, ma anche a propagarla in altri che vivono lontano dall’altare di Dio. Gli oratorî, i circoli maschili e femminili, le associazioni per gli uomini e per le donne cattoliche sono benedette e volute dal Santo Padre, Queste opere aspettano la vostra cooperazione: amatele, interessatevi, iscrivetevi, beneficatele! Ed ancora non è una bella maniera di far da testimoni a Cristo col partecipare al Terz’ordine di S. Francesco, o alla Compagnia del SS. Sacramento? Adorare l’Eucaristia, avere il giorno e l’ora stabiliti per servirlo in un modo particolare, fargli da scorta nelle processioni in divisa d’onore, accompagnarlo al capezzale dei moribondi, non è questa una edificante testimonianza? –  Ma forse ciascuno, pur convinto in cuor suo di dover dare a Cristo la propria testimonianza, si sente debole e pieno di timore e di umano rispetto. Anche gli Apostoli erano così dapprima, ma poi venne lo Spirito Santo e li trasformò. Prepariamoci anche noi con la preghiera e con la purità di coscienza alla prossima Pentecoste: lo Spirito Santo trasformerà noi pure in uomini nuovi che nella famiglia e nella società faranno da testimoni impavidi e integerrimi a Cristo.

– IL RISPETTO UMANO. Abramo, quando condusse sul monte suo figlio per sacrificarlo a Dio, compì un atto di eroismo, forse unico nella storia. Alcuni han detto che suo merito grande fu l’obbedienza con la quale accettò, senza replicare, un comando durissimo. Altri han detto che fu la fede sua ferma per la quale credette che sarebbe diventato padre d’una innumerabile generazione, mentre con la sua mano doveva spegnere la vita del suo unigenito. Ma il vescovo S. Zenone, pur riconoscendo e l’obbedienza e la fede di Abramo, disse che il suo merito più grande fu la fortezza con la quale si espose alle dicerie di tutti e ai motteggi dei maligni. Tutti si sarebbero levati contro di lui, l’avrebbero chiamato tigre in sembianze d’uomo, assassino in sembianze di padre. Un padre che assiste alla morte di suo figlio senza una lacrima, che anzi ha la crudeltà egli stesso di affondare la lama in quel piccolo cuore… e, forse, lo avrebbero condannato, credendo di rendere giustizia davanti a Dio. Ma Abramo camminò diritto, non ascoltando che il verbo di Dio. Ed in questo sta la sua grandezza: aver superato ogni rispetto umano. Il rispetto umano: ecco il male della nostra società. Ed è contro questo male che Gesù ci mette in guardia quando dice: « Lo Spirito Santo che io manderò dal Padre, renderà testimonianza di me. Ma anche voi dovete rendermi testimonianza in faccia agli uomini; e coraggiosamente: perché ci saranno di quelli che vi derideranno, che rifiuteranno la vostra compagnia nelle sinagoghe: anzi verrà il tempo che chi vi ucciderà crederà di rendere onore a Dio. Queste cose ve le ho dette perché non abbiate a scandalizzarvi ». E noi sappiamo come siano vere queste parole. E forse noi stessi abbiamo già sentito il pungolo dello scherno e delle persecuzioni, e fors’anche talvolta il coraggio ci è venuto meno. Perché non avvenga mai così, consideriamo come il rispetto umano ci renda odiosi davanti a Dio e davanti agli uomini. – 1. CI RENDE IGNOBILI DAVANTI A DIO. Il rispetto umano è apostasia e rende inutile ogni divina grazia. Una delle umiliazioni più atroci che Gesù patì nella sua passione, fu certamente sotto il pretorio di Ponzio Pilato, procuratore di Giudea. Tutti l’accusavano e Gesù taceva. Pilato aveva paura di quel silenzio di Gesù. Ogni anno alla festa di Pasqua era costumanza di liberare un prigioniero, quello qualsiasi che la folla chiedeva. Quell’anno c’era in carcere un rivoluzionario che aveva anche commesso un omicidio in una rivolta: Barabba. Pilato si rivolse al popolo e domandò: «Volete Gesù 0 Barabba? ». Allora su tutta la folla passò il soffio istigator dei sacerdoti e dei seniori. Pilato chiese ancora: « Gesù o Barabba? ». E tutto il popolo urlò: « Barabba! ». Ma come! non era Gesù il maestro, il benefattore, il taumaturgo, colui che guariva gli ammalati e asciugava il pianto agli afflitti? Non importa. Libero Barabba! Il medesimo affronto, in un modo più velato ma non meno vero, rivolgono a Dio quelli che si lasciano dominare dalle dicerie o dalle minacce dei cattivi. Essi preferiscono il mondo a Dio; i giudizi del mondo ai giudizi divini. Il giovane che nell’opificio, sentendo parole blasfeme o turpi, non ha il coraggio d’impor silenzio e finge, magari, d’acconsentire; l’uno che mangia di grasso nei giorni proibiti pur di non suscitar lo scherno dei compagni d’osteria; la donna che tralascia i Sacramenti per non sembrare una piuzza, tutti costoro rifiutano Dio e si volgono al mondo; vogliono Barabba e crocifiggono Cristo. Il rispetto umano, dunque, è un’apostasia: non solo, ma è anche un grave male dell’anima, che rende inutile ogni grazia divina per la salvezza. Può bene Iddio suscitargli in cuore delle disposizioni. a una vita più cristiana, può suggerire propositi di conversione: ma l’uomo preso dal rispetto umano per la paura della gente lascia abortire le buone ispirazioni. Dio può ben fargli sentire una predica che lo illumini, che lo convinca: ma egli non ha il coraggio di mostrarsi convinto. Dio può mandargli anche una malattia che lo conduca all’orlo della vita e gli faccia guardar nell’abisso dell’eternità; ma poi, guarito, c’è ancora il medesimo spettro: che cosa diranno? che cosa faranno? Perfino in punto di morte ci sono uomini vittime ancora del rispetto umano e ritardano il Viatico e l’Olio Santo perché non vogliono essere creduti moribondi. E per vergogna di vivere come Cristiani, muoiono come cani.  – 2. CI RENDE IGNOBILI DAVANTI AGLI UOMINI. Il rispetto umano è una viltà e una schiavitù. — Eusebio, il padre del grande Costantino, passò in rivista le sue schiere. Poi, fermato in mezzo al campo, esclamò  « Chi di voi è Cristiano, venga alla mia destra ». Tutti sapevano quanto Eusebio fosse ancora attaccato all’idolatria: ed Eusebio sapeva pure che molti de’ suoi soldati erano Cristiani. Alcuni coraggiosi, con passo deciso, si posero alla sua destra: « Noi siamo Cristiani ». L’imperatore li guardò con fiero cipiglio: « Solo voi? ». Ma nessun altro si mosse. « Allora » conchiuse Eusebio, « voi formerete la mia legion d’onore e tutti gli altri Cristiani siano espulsi dalle mie schiere: perché come oggi hanno avuto vergogna del loro Dio davanti all’imperatore, domani in faccia al nemico avranno vergogna del loro imperatore ». Non migliore di questa è la ricompensa del mondo per quelli che si fanno vilissimi schiavi; il mondo schernisce i forti per invidia, ma disprezza i deboli per la loro viltà. E nessuno si fida d’un uomo che non ha il coraggio delle proprie idee. Così i disgraziati perdono Dio per correre dietro al mondo che ha schifo della loro viltà. Il rispetto umano è anche una schiavitù. Il maggior dono che Dio ha fatto all’uomo, creandolo, è la libertà. Per fin questa rinnega l’uomo dominato dal rispetto umano. Che v’è di più vergognoso che regolarsi secondo il capriccio altrui? Dentro c’è un’idea, una convinzione, una fede… e la si soffoca per timore che a qualcuno possa dispiacere. E si diventa la canna che piega ad ogni urto e la banderuola che gira sul tetto: un giorno si è Cristiani e un giorno pagani, a seconda del vento che tira. O Cristiani, conserviamo quella dignità che Dio ci diede, creandoci uomini. Siamo orgogliosi dell’integra e diritta libertà che Cristo ci ha acquistato col suo sangue, ed il mondo, a suo dispetto, sarà costretto a rispettarci.- Dio un giorno si pentì d’aver creato l’uomo e Noè già fabbricava la rozza nave.  Per lunghi anni il patriarca picchiò i martelli e sudò a congiungere i legnami piallati. E S. Giovanni Crisostomo descrive gli scherni degli uomini corrotti contro il pio Noè. « O vecchio che rimbambisci! O falso profeta: non vedi com’è terso il cielo mentre tu minacci diluvio? ». E Noè picchia il martello senza posa. E quelli: « Tutti amano goder aria libera e cielo spazioso e costui vuol farsi una cassa di legno per chiudersi vivo con la sua famiglia e con le bestie e con la roba». E Noè ha finito l’arca e vi entra. E la gente a correre in giro con urla, con fischi, con feroci dispetti. Ma dopo sette giorni le cateratte del cielo s’aprirono con fragore immenso: ogni fonte straboccò, ogni fiume straripò, e le onde del mare inondarono la terra. Tutti perirono nel diluvio universale: ma l’arca galleggiava sull’acque verdastre, E Noè lodava il Signore. La nostra vita, quaggiù, per noi, è come l’Arca di Noè. Ogni opera buona è motivo di scherno e di persecuzione per i nemici di Dio. Non cediamo, non vergogniamoci del Vangelo. Non erubesco Evangelium. Quando il rispetto umano sta per renderci vili, ricordiamoci delle parole che Cristo ci dirà nel giudizio: «Perché tu hai avuto vergogna di me, davanti agli uomini, io pure avrò vergogna di te, davanti al Padre mio ».

IL CREDO

Offertorium

Orémus

Ps XLVI:6. Ascéndit Deus in jubilatióne, et Dóminus in voce tubæ, allelúja.

 Secreta

Sacrifícia nos, Dómine, immaculáta puríficent: et méntibus nostris supérnæ grátiæ dent vigórem.

[Queste offerte immacolate, o Signore, ci purífichino, e conferiscano alle nostre ànime il vigore della grazia celeste.].

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Joannes. XVII:12-13; 15 Pater, cum essem cum eis, ego servábam eos, quos dedísti mihi, allelúja: nunc autem ad te vénio: non rogo, ut tollas eos de mundo, sed ut serves eos a malo, allelúja, allelúja.

[Padre, quand’ero con loro ho custodito quelli che mi hai affidati, allelúia: ma ora vengo a Te: non Ti chiedo di toglierli dal mondo, ma di preservarli dal male, allelúia, allelúia.]

Postcommunio.

Orémus.

Repléti, Dómine, munéribus sacris: da, quæsumus; ut in gratiárum semper actióne maneámus.

[Nutriti dei tuoi sacri doni, concedici, o Signore, Te ne preghiamo: di ringraziartene sempre.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

LO SCUDO DELLA FEDE (205)

LO SCUDO DELLA FEDE (205)

LA VERITÀ CATTOLICA (II)

Mons. ANTONIO MARIA BELASIO

Torino, Tip. E libr. Sales. 1878

ISTRUZIONE II.

lo credo in Dio Padre.

Ci lasciammo, vi ricordate, nella prima istruzione tra le braccia della madre Chiesa col dire: Io credo in Dio; persuasi che il primo, il più necessario, il più consolante dovere è questo di credere in Dio. Ora come la madre colla amorosa sua parola ridesta nel fantolino l’anima quasi dormente entro il corpicciuolo, e gli fa guardare d’intorno le cose, ne eccita la curiosità, sicché il fanciulletto vuol sapere il perché di tutto che vede, e a lei muove continue dimande; e la mamma rispondendo ai suoi perché, delle più necessarie cose lo istruisce; così la madre Chiesa dopo d’aver sollevato 1’animo e il cuor nostro a credere in Dio, mentre noi contemplando lo spettacolodi tutte cose create, rapiti in sublime incanto, vorremmo saper la ragione per cui Dio creò le cose con tanta cura e bontà, non aspetta le nostre richieste, ma ci dice subito « è perché Dio è Padre in Se stesso, e mostra amor di padre in tutte le creature, e specialmente con noi uomini cui vuol beati con Lui in Paradiso. Ecco quel che v’ho da spiegare quest’oggi. Deh vi piaccia di continuarmi la vostra attenzione. Noi dobbiamo quest’oggi considerare che « crediamo in Dio Padre, che mostra amor di Padre in tutte le creature e specialmente in noi cui vuole come figliuoli suoi prediletti beati in Paradiso. ». Oh! Gesù Benedetto nostro Divin Maestro, Voi che ci avete insegnato che la cosa più buona per vivere eternamente beati è credere in Dio Padre, e in Dio Padre conoscere Voi Suo Figliuolo, dateci del vostro Cuore ad amar Dio Padre. Voi poi, o Maria Madre nostra santissima, giacché le madri metton sul labbro per la prima parola d’amore il nome del padre, menateci davanti a Dio e mostrateci a ben ripetere « Io credo in Dio Padre »  – Comincerò qui a spiegarvi in prima come si dice che Dio è Padre. Prima di tutto parlando di Dio, noi dobbiamo sollevarci Sopra :] basso modo di pensare del mondo; e quando diciamo che Dio è Padre, non dobbiamo immaginarci che Dio sia Padre a quel modo che l’uom terreno è padre de suoi figliuoli. Erano i poveri pagani che per avere un Dio, il quale a lor modo di credere lasciasse loro fare quel che volevano, anzi tenesse mano ai loro vizi, sì formarono un Dio, poi un altro e poi un altro Dio a fantasia accondiscendente alle loro passioni. Essi sostenevano che l’uno e l’altro loro Iddio fabbricato fosse padre in schifose carnalità; e padre dicevan Saturno, padre anche Giove e re degli dei e degli uomini; padre Plutone ore dei luoghi infernali. Ma sì eh? che dovevano ridere nel loro cuore corrotto, quando raccontavano di loro tante schifezze ributtanti, quali non voglio neppur nominare. Voi che avete studiato le sapete purtroppo; giacché ve le hanno date da leggere nelle scuole sui libri delle favole, per farvi imparare belle parole che ricordano così tristi fatti. Dio Creatore formò non di sua Sostanza, ma colla potenza della sua parola tutte le creature, e ne piglia tanta cura, quanta più non potrebbe un padre dei suoi figliuoli. Così si mostra ch’Egli Onnipotente Signore dell’universo, in fondo però è un Padre di bontà senza fine. Io per farvelo vedere in questa istruzione, voglio far proprio come Gesù Cristo là sul greppo della montagnola con quella buona gente del popolo che lo attorniava. Qui intorno a me, vi dirò con Lui, seduti alle mie ginocchia, guardate d’intorno a tutte cose; e voi ben conoscerete come debbe essere buon Padre il Dio dei cieli. Vedete quest’erbetta che vi spunta tra i piedi? Dio aveva fatto un granellino, lo mise a covare al caldo come in un letticciuolo nel terriccio; ne apri il guscio, e vi sviluppò appresso radichette gonfie di latte come il seno della madre: poi come sarà il fusticciuolo venuto su, Dio lo veste a ricchezza nella gioventù bellamente infiorandolo. Se poi mette fuori un bottoncino, Dio se ne piglia cura, lo avvolge in fogliette; ma irte di fuori di punte pungenti, affinché non vadano gl’insetti a guastarlo. Sicché le piante provvedute d’ogni ben da Dio si espandono ridenti guardando il Cielo, come gl’innocentini in faccia alle mamme: e se voi domandate, perché Dio si prende tanta sollecitudine per loro, la Madre Chiesa vi risponde « è perché Dio tutta bontà in Se Stesso, mostra nelle piante un amor come di padre. Ah dite, dite voi dunque, o figliuoli « io credo in Dio Padre. » Andate a cercare gli uccelli; voi li troverete nel nido come in morbido letticciuolo ben preparato chetini e contenti: la madre li scalda sotto le ali, li ciba, li difende e veglia a tutto; ma son nati nudi nudi quei tenerini, e la madre non sa cucire. Via, via, il Signore di sua mano fa loro le vesti di bellissime piume. Oh 1’augellin già cinguetta sull’orlo del nido, balza fuori, fa la svolta. e via per l’aria, canta allegro, e par che dica « mi provvide di tutto come buon padre Iddio. » Cantate, cantate augelletti, a lodare Dio, senza pure conoscerlo: ma noi che il conosciamo esclameremo inteneriti « Io credo in Dio Padre. ». Guardate poi dentro là nel fondo delle acque che visibilio di pesci svariatissimi! In quell’abisso, sotto quelle onde pesanti forse resteranno soffocati?… Ma no, ch’essi stretti stretti nella propria vita colle aline al paro di augelli, colla coda a modo di remo, sono qui, là, in mezzo delle acque, guizzano via come saette, si buttan ballando sulle onde del mare in burrasca, si abbassano nel fondo a riposare sulla melma, si addormentano nel fango; ma cogli occhi brillanti par che dicano: « pensò Dio tutto per noi come Padre »; e noi col sorriso della compiacenza diremo: « Oh sì che io credo in Dio Padre. » Qual ronzio di bestioline? sono gl’insetti che formicolano dappertutto. La farfalla che ha da vivere in aria, aleggia sui fiori, splende co’ suoi bei colori al sole e svolazza leggierissima come il pensiero. Le mosche e i moscherini più minuti che trovano nel molliccio il lor buon mangiare, perché non restino impicciati da Dio sono tenuti sollevati sopra fili sottili di gamboline; essi stendono la lor proboscide per succhiare dall’alto; e se stanno in riposo fissi e come incantati, Dio fece loro due occhietti che saltano fuori dalle testine a far guardia fino di dietro. Alle formiche fu insegnato a vivere come in buona repubblica; e alle api in gran famiglia patriarcale tutte intorno all’ape regina loro madre, che direi coi costumi da patriarca. Se a voi fanno schifo li vermi, ma ai meschinelli mostra Dio a strisciare lisci lisci nel buco, e vi vermicolano dentro alla quieta. E troppo tenera la sprezzata lumachella: ma Dio le diede due cornetti, fili sottili con cui tasta tutto dintorno; e se un soffio d’aria la può offendere, essa ha la sua casetta di osso attaccata alla vita pel bisogno di tutti i momenti: e ritirata nella chiocciola, sta tranquilla più che la dama nel suo gabinetto. Oh! sentite là il leone che fa col ruggito rimbombar la caverna; ed ah! che balza fuori dalla spaccata montagna la iena, coi peli rabbuffati sul dorso. Queste belve feroci hanno anch’esse nei loro covi i piccolini; il lione piega l’orrenda testa a lambirli delicatamente; e la iena nasconde quei raffi d’unghioni di ferro, e posando d’intorno di loro le zampe molli come i polpastrelli di morbida mano, stende loro la poppa nuda di peli, e così quella belva che ha la rabbia nel fuoco degli occhi, dà il latte dolcissimo ai suoi bestiolini. È Dio fa trattare da quei feroci animali colla tenerezza di padre e di madre i loro piccolini; perché Egli vuole a tutte le sue creature far provare amor di padre. Al variar delle stagioni Dio pensa di far a tutti gli animali per l’inverno le vesti più grevi. Essi morirebbero pel mutamento dei climi o troppo caldi o freddi, ma Dio mostra loro il luogo ove riparare, e li provvede per fari lunghissimi viaggi. Al cammello che deve attraversare a tutta lena il gran deserto infuocato dal sole, Dio mantien nello stomaco un otre d’acqua sempre buona, affinché non muoia di sete; perché poi la rondinella deve attraversare smisurati mari, Dio le mostrò, quando è stanca, a posarsi leggera sull’onde col corpicciolo, che scivola liscio come una barchettina e far di remo colla zampetta e alzar l’alina per vela, e batter colla coda come col timone le acque arruffate dal vento. Arrivano poi le rondini nei nostri paesi, e proprio allora, quando brulican per terra gl’insetti o volan per l’aria; così trovano preparata l’esca. Provvede dunque tutti di tutto Iddio come il più buono dei padri e tutti ci invitano a dire « io credo in Dio Padre. » Intanto tornati a casa troviamo i buoi tra noi quieti: allungano mansueti il collo a portare il giogo e durare nel lavoro l’intiera giornata; e il cavallo scorgiamo che scuote la testa, raspa impaziente il terreno, lì per rompere al corso, ma con l’occhio sgranato guarda indietro ad aspettar il comando. Perché Dio fece cavalli e buoi così obbedienti? Vel dirò io; è per trovar loro dei padroni che li piglino per servi, ma stabili che pagassero loro il salario coll’averne cura e mantenerli; come un padre colloca il figliuol suo presso un padrone a patto che lo tratti bene. Voi vedete di fatto che se il cane è fedelissimo al padrone fin oltre la morte, il Signor gli fa dare il pago coll’indurne il padrone a trattarlo direi quasi uno della stessa famiglia. Oh sì! veramente Dio mostra con tutti amor di padre; sicché noi dobbiamo col cuor sulle labbra esclamare: « io credo in Dio Padre » Che se poi consideriamo noi stessi, bisogna piangere di tenerezza al pensare come Dio con noi uomini si mostra Padre di bontà a tutte prove nel preparare le cose per noi, proprio come fa coi suoi figliuoli il più buono dei padri. Sicché quando ci crea e ci mette nel mondo par che ci dica: « guardate; guardate, come ho già tutto preparato per voi; per voi disposi soda la terra, vi coltivai le piante, creai gli animali prima di voi; epperò entrati nel mondo considerate di essere nella casa del Padre vostro. Fermiamoci un po’ a pensare come Dio pensò a tutto. Affinché potessimo pigliar possesso della terra, ci creò ritti sulla persona abili a fermarci sicuri sulla la pianta de’ piedi, con mani e braccia che si acconci ad eseguire quello che vogliamo. Dio ci ha fatti tendere di scavare la terra per trovarvi i nascosti metalli, ci ha fatto sapere che se armiamo con un pezzo di ferro falcato girandolo intorno, si raccoglieranno i frumenti a fasci nel nostro seno; che se menerem colpi a piè d’un albero che torreggia superbo fin tra le nubi, la pianta ci cadrà ai piedi, e si lascierà squarciare, e segare per tutti gli usi che noi vogliamo. Dio ci ha lasciato capire che in mettendo un sasso sopra dell’altro,  fabbricheremo la case per nostra sicurezza, e che gettando le reti nell’acqua potremo arretare i pesci fin dentro le viscere del mare; e che, se gli animali fuggono in su per l’aria, li potremo far cadere al suolo quasi come con un colpo di fulmine; e che il fulmine stesso farem cadere giù dalle nubi. Così Dio ci disse: « io vi do da studiare, da industriarvi, nel mondo; adoperatevi e troverete che Io ho già preparato tante belle e buone cose da servirvene a volontà… » Onnipotente Creator di ogni cosa, tuttoché così grande, con noi mostrate proprio di pensare da Padre, di provvedere da Padre, di amarci da Padre; di che noi grideremo inteneriti sino alle lacrime: « io credo in Dio Padre. » – Ma però, o miei fratelli, io vi do da pensare alquanto facendovi osservare che, se Dio provvide a tutte le creature per tutti i loro bisogni; con noi uomini, mentre pur fa conoscere che vuole a noi maggior bene, tratta in modo da lasciarci ancora maggiori bisogni. Ascoltate. Vedete le piante: perché hanno da star ferme radicate sul suolo han bisogno di aver d’appresso l’alimento per mantenersi; e Dio mise il cibo nella terra e nell’aria a loro d’intorno, e nelle radici e nelle foglie fece lor tanti buchi come bocche per assorbirlo. Eppure Egli non ha da amar tanto le piante, perché le piante non Lo conoscono, né si curan di Dio. Gli animali han bisogno di muoversi e cercar da mangiare, e guardarsi da ciò che a loro nuoce; e Dio diede loro per questo la forza di muoversi, diede i sensi del corpo e l’istinto, per cui essi vivono, mangiano, dormono, e par che dicano « noi non abbiamo un fastidio al mondo; Dio pensò a tutto per noi. » E sì che gli animali son men cari a Dio perché non lo intendono e non sanno amare. E poi Dio solamente a noi uomini non diede sulla terra tutto il bene che sospiriamo. Noi vogliamo la pace, e non troviamo pace mai, sempre tra incerte speranze, e maggiori paure. Vogliamo godere d’ogni bene e se assaggiamo qualche bene, vogliam sempre un bene maggiore; se non fosse altro, vogliamo star bene per sempre; mentre vediamo, ahi! che il tempo ci porta via quel po’ di ben che abbiamo. Siamo adunque nel mondo le creature più inquiete. E perché Dio che ci ama da Padre non ci lascia esser proprio contenti sopra la terra? Perché? Oh! voi già l’intendete il perché. Dio ci ha creati non per fermarci qui; ma per farci contenti eternamente in cielo. Sì, sì, è perché Dio ama noi uomini proprio con amor da padre vero, e come Padre vuole avere i suoi figliuoli sempre con sé beati in paradiso. Al cielo, al cielo innalziamo la mente, il cuore, le nostre grida, piangendo inteneriti: « O Padre nostro che siete ne’ cieli, liberateci dal male; ed è tutto male per noi se non possediam Voi sommo Ben nostro in paradiso « o Pater noster…. libera nos a malo: » Or dunque se abbasseremo gli occhi alla terra grideremo con quella bell’anima che era santa Maria Maddalena de’ Pazzi, « erboline e piante e fiori, io v’intendo; vi ha creato Iddio coll’amor di Padre, e se per questo voi guardate il cielo ma senza dir niente, diremo noi anche per voi che lo amiamo da Padre: sclameremo colle parole che il sublime e semplice s. Francesco d’Assisi volgeva alle tortorelle: « tortorine sorelle mie, voi sospirate!… animali, e che volete voi dirci colle vostre grida? Volete dirci che vorreste amar Dio? Ah che voi non avete cuore da farlo! Ebbene, v’impresteremo noi dell’amore di cui abbiamo pieno il cuor nostro, per amarlo insieme con tutti. » Se guarderemo al Cielo, noi esclameremo insieme colla bell’anima innamorata di santa Teresa « oh quanto è ricco il Padre nostro Creator del tutto » e finiremo col dire piangendo per tenerezza con un largo sospiro del cuore, « io credo in Dio Padre » (Sì veramente è la più cara cosa i conoscere che Dio in fine è così buon Padre; e ben dobbiamo ringraziare la Chiesa, la quale da buona madre, dopo di averci detto di credere in Dio, c’insegna subito che Dio è Padre. Poiché se ella a dir vero ci lasciasse pensare da noi chi sia questo Creatore cui dobbiamo creder per forza che vi sia, perché vediamo tutto da Lui creato; noi uomini non avremmo mai immaginato da noi che Dio fosse così buon Padre. Sentite difatti come gli uomini, che vollero pensare da sé con quelle lor matte teste, quante sognarono orrende cose di così buono Iddio. Lasciamo i poveri popoli che diventati come selvaggi, udendo nell’India ruggire tremendamente la tigre, slanciandosi addosso per divorarli dissero « la tigre così forte, è Dio. Lasciamo i poveri negri abbrutiti anch’essi, che udendo fischiar nei deserti dell’Africa l’orrido serpente nel vibrarsi come una saetta alla lor vita, esclamarono: serpente è Dio. » Non vorrei anche dirvi come popoli civili ma più corrotti s’immaginavano i loro Dei pieni di vizi più schifosi, e diventarono dissennati così, che impastavan del fango, scolpivan di sassi le figure più bizzarre per dirsi « questo fango e questa pietra opera delle nostre mani sono Dio » perché non sì abbia da dirmi che quei popoli eran troppo ignoranti nei tempi passati. Poiché ecco proprio a questi lumi di sole, uomini che si danno del fiero e si dicono da cime di filosofi che si innalzano sopra di tutti (figuratevi che di dicono trascendentali, che vuol dire che passano sopra alle menti di tutti) e si siedono a scranna a dettare fin nelle più famose università, ne dissero… Abbiate pazienza se ve ne dico di quelle dette da loro alcuna cosa strana che voi dovete esclamare « incatenateli come matti furiosi. » Damiron sostenne che Dio è un corpo di fuoco. Misericordia! Qual tremendo incendio dovrebbe bruciar tutto l’universo se Dio fosse fuoco … Michelet scrisse che Dio  è un combattimento. Ahi chi ci salva da non restar distrutti da questo Dio che combatte con la forza con che muove i mondi! Hegel poi sogna che Dio è la trasformazione delle nostre persone! Oh Dio è ben una miserabile cosa, se Dio siamo noi! Scelling dice la più pazza cosa del mondo che siamo noi i quali creammo Dio creatore del cielo e della terra. Ma deh chiudete le orecchie per non udir la più orrenda bestemmia dalla bocca indiavolata Proudomme… «Dio (ha egli il furore di dire) Dio … è …. Il male! ….. Oh Santissimo Iddio!!….. Deh calmatevi o figliuoli; perché essi a loro dispetto confessano la verità nel loro modo diabolico col demonio che li invasa. Costoro non volendo adorare Dio santissimo che è il Padre di tutti i beni, il Sommo Bene, adorano l’autor del male per Dio e se lo tengono per loro padre… Lo dice Gesù: vos ex patre diaboli estis! Oh per me io credo che, se venissero fuori dalla negra tetraggine della morte eterna le anime degli antichi filosofi (immaginiamoci l’anima di Cicerone che aveva tanto buon senso) ad ascoltar queste bestemmie esclamerebbero: « per me ritorno piuttosto nel sonno dell’eterna morte: perché questi filosofi farebbero del mondo un peggior inferno! » Per questo la Chiesa inorridita a tali bestemmie vorrebbe conservare un resto di buon senso e facendosi, se fosse possibile, ascoltare fino dai suoi nemici fin dal principio e come sulla porta del Concilio Vaticano, come vi ho già spiegato nella prima Istruzione, va gridando ai suoi figliuoli così da farsi udire da tutti: « Guardatevi da costoro: i miserabili sono maledetti e scomunicati. » – Conc. Vat. Cit.). Grande Iddio della bontà, noi vi ringraziamo che vi siete fatto conoscere di essere tanto buon Padre! Così noi suoi figliuoli tra le braccia del Padre nostro arriviamo a capire certi fatti caratteristici degli animali; e arriviamo a spiegar certi misteri del cuore umano; anzi penetriamo il più profondo mistero o segreto del Cuore di Dio. Attendete e considerate certi fatti negli animali. La lepre tutto il dì appiattata sotto la frasca osa appena allungare il collo e brucare le foglie appresso appresso; tutta orecchie, a larghi occhi; paurosa origlia e guata, è l’animaletto per istinto più pauroso di tutti; ma se i segugi l’appostano, quando ha sotto i leprottini, balza ardita dal covacciolo, e quà e là sempre a grandi salti innanzi ai cani, se li tira appresso a ghermire se stessa. E quando i cani affranti l’han perduta di vista, fa la svolta e torna ai suoi piccini, lasciando il cacciatore a cercarla da lontano. Or perché diventa tanto ardimentosa contro l’istinto suo?….. Perché Dio l’ha creata secondo il pensiero e il cuor di padre. Vedete pur la timidetta rondinella delle aline tremolanti, sempre li per volarsene via, fugge in aria; ma se ritorna col cibo pei pulcini, e trova la casa sotto il cui tetto tiene il nido, tutta in fiamme, vola a battersi contro il fuoco. Ah il fuoco l’abbrucia… ella svolta via, ma ritorna all’assalto, si caccia dentro della fiamma e va a cader carboncino ardente sui pulcini già abbruciati… Eh via mi dicano i naturalisti, qual forza è che la spinge tanto contra l’istinto. Non lo san dire?…….. Lo diremo noi che abbiamo imparato dalla Chiesa che Dio in fondo della Divinità è Padre per natura il quale in tutte le creature trasfonde dell’amor di Padre verso i loro figliuoli. Vi ho detto sopra che credendo che Dio è Padre, si spiegano in noi uomini certi misteri di cui non si potrebbe dare in altro modo ragione. Voi ben sapete come noi uomini sappiam tirar bene i nostri conti per fare ciò che conviene al nostro interesse. Sì; ma perché mai la madre senza far calcolo, ove le si avventi il lupo, presto nasconde il bambino sotto il proprio petto, e volge la vita a lasciare squarciare se stessa? Perché se un padre dalla riva, se vede il figliuol suo travolto dall’acqua, furente, non istà lì a far calcoli, no, ma si getta di repente nell’onda, e strascinato dal vortice che lo ingoia, sporge in alto il figliuol e vuol dire annegando: « che io pur muoia, ma si salvi il figlio mio? » perché?…….. Ah noi ben lo sappiamo il perché; è perché Dio nel creare al cuore della madre e del padre guardò il proprio cuore: e il Cuor di Dio è il Cuor di Padre tutto divino. Di che noi sentiam bisogno di ripetere sempre: « Io credo in Dio Padre e Dio Padre di bontà infinita. » Per farvi intendere poi i secreti del Cuor di Dio Padre, e capire in qualche modo a che cosa fino possa giungere l’amore di Dio Padre, sentite un fatto che si racconta. Fu un povero padre, che appena natogli un bambino, cercato a morte da’ suoi nemici dovette fuggire di casa. Ma dopo alcun tempo non ne poté più, tornò a stare appresso al figliuolo a costo della propria vita. Però a fine di mantenere l’incognito si faceva tenere da lui per servitore(eh vi so dir io se era un servitore ben fedele!). Che pazienza infinita nell’andargli appresso in tutti gli aggiramenti! in tutti i pericoli era sempre li a salvarlo. Un dì un assassino assale con un pugnale il padrone, e ve’… il servo si slancia all’improvviso in mezzo a coprirlo col proprio petto. Un altro dì il padrone si getta incauto in pericolo da perdersi certamente: e il servo è là; l’attraversa, lo vuol salvare ad ogni costo, gli contrasta, lo minaccia anzi, ed alza fino le braccia a percuoterlo. Il padrone indignato a tanto: « oh chi sei tu, vile servo, che hai siffatto ardimento? » E il servo allora; « figliuol mio, riconoscimi, io sono tuo padre, io!… » Ah allora cade la benda dagli occhi al figlio, allora questi, comprende in un lampo i misteri di quell’amore senza pari. Deh anche noi inteneriti fino alle lagrime, esclamiamo che comprendiamo tutti i misteri della bontà di Dio. Egli è Padre. Forse il profeta Giona nol capiva per bene. Il perché mandato a predicare a Ninive, e a dirle sulla parola di Dio, che essa cadrebbe e i suoi cittadini dentro quaranta giorni sarebbero mandati tutti in perdizione: egli stava là sulla montagna ad aspettare che Ninive fosse schiacciata sotto i colpi dello sdegno di Dio. Passato il quarantesimo dì, in veggendo che Ninive stava tuttavia, egli diceva: « Signore, e la vostra parola? Qui ci vaa dell’onor vostro! È nel vostro interesse che io parlo. » Il Signore mandò un vermicello a roder dentro un fil di pianta d’edera che egli con amor coltivava; e l’edera, che dell’ombra proteggeva il profeta piegò le foglioline e appassita disseccò, tanto che il profeta voleva piangere pel dolore. Allora il Signore pare gli dicesse: « o Giona, ti è tanto cara questa pianticella solo perché l’hai allevata con amore, ma tu non ami al paro di me da Dio: io ho creato i Niniviti; gli uomini mi uscirono di mia mano e me li guardo in seno coll’amor di Padre. O Giona, sai qual è il mio onore e il mio pro’ maggiore? è l’amare da Padre! » Oh! adesso sì finalmente sì conosce il perché Gesù Cristo parli con parola così amabile, che non si può dire di più. Sentite che Egli stesso ce ne dà la ragione: « è perché la mia dottrina è la dottrina del Padre, » come volesse dire: « mi preme tanto farvi conoscere quanto è buono il Padre nostro. Adesso si fa chiaro, perché dice, che la madre di famiglia, perduta la moneta d’oro, tutta fuori di sé mette sossopra la casa, e, se la trova, fa la gran festa. Egli con questa immagine ci vuole far intendere che il tesoro del suo Cuore sono i poveri figli peccatori: perché li ama tanto, fa festa, se gli tornan in seno. Ecco perché a quei servitori impazienti che gridavano: « strappiam via la zizzania? » Gesù fa rispondere dal ,buon padrone: « aspettate alla fin dell’annata, perché non abbiate insieme colla mal erba da strapparmi un filo di buon frumento. » E quando poi quei discepoli là con uno zelo arrabbiato gli dicevano: « vedete, Gesù, noi siamo andati proprio a vostro nome a quei del tal paese, e non ci vollero ricevere!…… eh eh! Fate piovere a loro addosso il fuoco dal cielo e servirà per una tremenda lezione. » È Gesù a loro rispondere: « ah! non sapete di quale spirito voi siete; » e poi ancora; « il mio è lo spirito del Padre mio. » E quando Pietro sentendosi dire di perdonare e perdonar sempre, gli saltava su davanti: « ma dunque ho da perdonar fino a settanta volte? » e Gesù: « Anzi settanta volte sette » per dire: tutte volte che si son convertiti. Adesso intendo, perché si vedono dei poveri giovani voltar le spalle a Dio e volere fin dimenticar che vi sia Dio…….. per fargliene sugli occhi di quelle!!…..; e Dio quasi dire: « pazienza, sono poveri figli; ed io son loro Padre!» E anche noi, o cari, anche noi continuiamo degli anni tanti a goder d’ogni ben di Dio, e forse villanamente senza neppur dirgli grazie; e Dio dire, « pazienza! poveri disgraziati, essi non san quel che fanno, sono proprio poveri figli; ma io son Padre! » Vi voglio dire ancora, perché lo dice Gesù, che se un qualche cattivo come, fu il prodigo figlio abbandona la religione, alza la testa indragato, al pari del serpente d’inferno e fa guerra a Dio, se poi rovinato in ogni brutto vizio alla disperata, e almen perché non ne può più, vuol tornare a Dio….; se ritorna, sentite, sentite fa con quel suo Cuore Gesù, se ritorna…. Dio gli corre incontro, se lo serra al petto, e per rimprovero lo veste di nuovo, per castigo lo porta al convito e mena gran festa. Ah! si sì, che siamo obbligati a dire piangendo: « Io credo in Dio Padre.» Figliuoli, io non posso andare più in là!; mi trema il cuore pensando che proprio come un padre ha compassione dei suoi figliuoli: così Dio ha compassione di noi che ci conosce così meschinelli — quomodo miseretur pater filiorum; misertus est Dominus… quoniam Ipse cognovit figmentum nostrum. (Psal. 102). –  Però mi voglio gettar per terra e dire al Signore anche a nome vostro Confiteor. Vi confesso, o grande Iddio, che Voi siete un Padre di bontà; e che a noi, che siam pure ignorantelli, sembra d’intendere il più sublime segreto, il più profondo mistero della vostra inaccessibile Divinità il quale spaventa le menti le più profonde, tanto che nel loro orgoglio nol possono credere. Sì, se per tutti è un mistero il capire come Dio si è potuto far uomo; a noi tra le braccia di Dio Padre par di vederglielo nel suo Cuore come abbia potuto; anzi ci pare fin di comprendere come Dio abbia potuto morire per noi. Sì, noi abbiamo conosciuto che Dio è Padre. È dunque l’eterna fonte dell’amore di Padre, perché da Dio discende ogni paternità; e Dio trasfonde l’amor della paternità alle creature. Ora Egli creando ad immagine sua i padri e le madri, sol per farli un po’ simili a Se stesso mise tanto amore in loro, da esser capaci di sacrificare sino la propria vita pei loro figliuoli, e sol perché son creati ad immagine sua; ed Egli poi che in realtà ha in sé l’Eterno Amore Sostanziale, non doveva poter sacrificar Se stesso? Se lo possono meschini uomini e povere donnicciole; non aveva da poterlo un Dio? …Ah! L’Eterno Padre Iddio, come vi spiegherò, ha l’eterno suo Figliuol Unigenito; per Lui creò noi uomini a fine di averne in noi dei figliuoli che lo amassero da figliuoli, e per amarci Egli da Padre benché sia Dio. Or chi può misurare il tesoro immenso di bontà che è il Cuor del gran Padre Iddio? … Poté dunque cavarsi dal suo seno il suo Figliuolo; (perdonatemi la povera umana espressione che non può dir bene cose tanto divine) e il Figliuol di Dio fattosi Uomo per fare diventare noi suoi figliuoli e farci adottare per figli dal suo Padre Celeste, poté volere e volle in forza del suo Amore divino sacrificare e Corpo e Sangue a nostro salvamento. Sì sì! quando Gesù, morì sulla Croce, e sì lasciò squarciare il Cuore per darci fin l’ultima goccia di Sangue, allora mostrò che Egli col Padre nello Spirito canto Eterno Amore, è Padre anch’esso dei figliuoli del suo Sangue. Col cuor che non ne può più per non poter dir tutto che si merita Iddio, conchiudiamo con un po’ d’esame sulla nostra vita.

Esame.

Se Dio pur così grande, ci ama da Padre, noi fino adesso come l’abbiamo amato da buoni figli?… Poveri noi che lo disprezzammo orribilmente!

Pratica.

.1° Siamo adunque noi i poveri figli che l’abbiamo abbandonato, proprio come il figliuol prodigo! Ecco perché ci troviamo così miserabili… Deh noi abbiamo ancora il Padre nostro, e noi ritorniamogli subito in braccio, confessando dolenti i nostri peccati.

.2° Abbiamo qui nel Sacramento Gesù Figliuol del Padre celeste, e Padre nostro anch’esso perché ci ha fatti rinascere col suo Sangue, e sta qui per sollevarci al Padre nel cielo. Deh! Almen tuute le mattine e le sere, abbracciamoci col cuore a Gesù nel  Sacramento, e per dir tutto nelle nostre orazioni gridiamo col Cuor suo che sempre prega il Padre suo per noi — « O Padre nostro »: recitiamo il Pater noster uniti a Gesù Cristo, è col Pater noster che noi veniamo a dire — O Padre nostro Dio Santissimo, tutta la gloria, tutto l’amore a Voi; a noi tutta la vostra misericordia!

Catechismo.

D. Ditemi adunque la bella, la cara verità che abbiamo considerato quest’oggi?

R. Noi abbiamo considerato che Dio è Padre.

D. Perché si dice che Dio è Padre?

R. Si dice che Dio è Padre, perché coll’amor di Padre ha creato tutte le cose, e coll’amor di Padre le conserva e governa: perché Dio ha creato noi, e come suoi figliuoli ci vuol beati seco in Paradiso. Perché essendo Dio Padre col Figliuolo e lo Spirito Santo un Dio solo, Dio Padre mandò il suo Figliuolo a farsi uomo a fine salvare noi col suo Eterno amore lo Spirito Santo e così averci beati seco in Paradiso. – Ma di questo vi parlerò nella ventura istruzione. Sicché ora andate a casa, e ripetete tra voi: noi abbiam ben capito che Dio è il gran Padre di tutti, ma specialmente di noi, e siam consolati al pensiero che ci ama come figliuoli del Sangue del suo Figlio. Lungo il giorno poi dite sovente abbracciati col cuor a Gesù: « O Padre, o Padre. »